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INTRODUZIONE Alcune delle caratteristiche più impressionanti rivelate da tre decenni di esplorazione planetaria, sono i vulcani giganti di Marte. Le osservazioni dei satelliti, Viking Orbiter, Mars Global Surveyor, Mars Odyssey, hanno mostrato come questi vulcani abbiano, rispetto a quelli terrestri, ordini di grandezza maggiore, sia per quanto riguarda le strutture eruttive, sia per i depositi dei materiali emessi, i quali possono estendersi per centinaia di chilometri dal punto di emissione. In molti casi, il vulcanismo marziano è caratterizzato da edifici a scudo caratterizzati da ampie aree collassate, mostranti notevoli analogie con le corrispondenti strutture terrestri; pertanto, si ritiene che attraverso l analisi della morfologia di questi edifici, sarà possibile dedurre una quantità apprezzabile di informazioni sull evoluzione di tali vulcani. I dati ottenuti dall interpretazione geomorfologica del vulcanismo extraplanetario potranno, in futuro, fornire un'immagine più chiara delle dinamiche eruttive dei vulcani terrestri, in quanto, sulla Terra, le strutture derivate dall attività vulcanica sono spesso mascherate o distrutte dall'erosione successiva alle eruzioni. L'obiettivo di questa ricerca, è quello di fornire dati utili affinché le osservazioni geomorfologiche derivate dalle immagini satellitari dei vulcani di Marte (anche attraverso il confronto con analoghe strutture terrestri), possano permettere una migliore comprensione delle dinamiche eruttive. Il punto di partenza di questo lavoro, assieme ad una adeguata conoscenza della letteratura precedente riguardante i meccanismi eruttivi, di trasporto e di deposizione dei prodotti vulcanici, sarà quello di individuare possibili correlazioni riguardanti l evoluzione tettonica e geodinamica del pianeta Marte. Sarà inoltre effettuato uno studio comparato delle morfologie vulcaniche terrestri e di quelle marziane, basato sui dati delle passate missioni esplorative del pianeta (Viking Orbiter, Mars Pathfinder) e di quelle tuttora operative attraverso i satelliti Mars 1

Global Surveyor, Mars Odyssey, in funzione sia della dinamica regionale sia della genesi magmatica. Infine, dall analisi morfologica delle strutture vulcaniche, si procederà al confronto peculiare tra gli scenari eruttivi dei principali vulcani di Marte, con quelli dei distretti vulcanici della Provincia Comagmatica Romana, per avanzare, nel caso dei vulcani di Marte, ipotesi in grado di spiegare i meccanismi genetici, eruttivi e deposizionali. 2

CAPITOLO 1 IL VULCANISMO TERRESTRE 3

1.1. LA STRUTTURA DEL GLOBO TERRESTRE Il pianeta Terra, se considerato da un punto di vista statico, può essere rappresentato da gusci concentrici corrispondenti a zone a differente caratteristiche chimico-fisiche. Tale struttura, acquisita entro i primi 500.000 anni dalla sua formazione, è attribuibile ad un processo di differenziazione che nelle linee generali hanno subito tutti i corpi planetari rocciosi del sistema solare. La descrizione della parte interna del pianeta avviene attraverso due modelli: il modello composizionale e il modello reologico. Modello composizionale Questo modello individua una suddivisione del pianeta in tre zone (crosta, mantello e nucleo) in base alla loro diversa composizione. La crosta ha uno spessore variabile tra 5-15 Km sotto gli oceani, 30-40 Km sotto i continenti, superando i 50 Km sotto le grandi catene montuose. La crosta oceanica ha un sottile strato di sedimenti che ricopre lave e prodotti vulcanici basaltici (basalti tholeiitici) e una densità media di circa 2,9 g/cm 3. Per le zone continentali sono distinguibili due livelli geochimici diversi suddivisibili in crosta superiore (velocità delle onde sismiche fino a 6,5 Km/s) e crosta inferiore o profonda (velocità delle onde sismiche da 6,5 a 7,6 Km/s). La variazione nella velocità delle onde sismiche (a testimonianza del carattere eterogeneo della crosta continentale), individua una discontinuità non uniformemente distribuita, detta discontinuità di Conrad. La crosta continentale superiore ha una densità media di 2,5-2,7 g/cm 3 ed è prevalentemente costituita da rocce intrusive (dacitigranodioriti) e metamorfiche con sottili coperture di rocce sedimentarie. La crosta continentale inferiore ha una densità media di 2,8 g/cm 3 ed è composta da rocce di tipo gabbrico. Una discontinuità sismica primaria (Moho), individua una zona di transizione non netta che separa la crosta dal sottostante mantello (Hale & Thompson, 1982). 4

Questa è caratterizzata da un aumento di velocità delle onde sismiche da valori inferiori a 7,6 Km/s, a valori vicini o superiori a 8 Km/s. Fig.1.1.:Struttura dei 700 Km più esterni della Terra. Il mantello si estende per 2900 Km di profondità ed essenzialmente assume lo stato fisico di un solido cristallino. La porzione di mantello compresa tra circa 150 e 400 Km di profondità è tuttavia caratterizzata da una velocità anomalamente bassa delle onde sismiche e questo dovrebbe indicare che, in tale porzione di mantello, è presente una piccola frazione di materiale allo stato fuso. In condizioni normali il mantello (costituito da rocce peridotitiche) è secco e l'aumento di temperatura con la profondità non è compatibile con l'inizio della fusione. Anche il mantello è suddivisibile in due strati: mantello superiore, (fino a una profondità di circa 680 Km), e mantello inferiore. La parte superiore ha una densità di 3,3-3,4 g/cm 3 mentre in quella inferiore aumenta da 3,3 g/cm 3 fino a 5,6 g/cm 3 nella zona più profonda. Più complessa appare la corretta definizione della composizione del mantello, tuttavia, correlando i dati riguardanti la sua densità media con le caratteristiche elastiche che il materiale deve possedere, è possibile indicare una composizione essenzialmente di tipo peridotitico. 5

A circa 2900 Km di profondità è rilevabile la discontinuità di Gutenberg, che identifica la differenza chimica tra il mantello e il nucleo ( Brown & Musset, 1985 ). Il nucleo è diviso in due strati: uno esterno liquido e uno interno solido, entrambi a composizione piuttosto omogenea caratterizzata da ferro e nichel, separati da una zona di transizione. La divisione tra i due strati è posta a circa 5200 Km di profondità dove si riscontra un'altra discontinuità (discontinuità di Lehman) alla sommità della quale si estinguono le onde sismiche che non si propagano nei liquidi (onde S). Modello reologico Se si considerano le caratteristiche meccaniche, (come la risposta a uno sforzo, la capacità o meno di fluire e di deformarsi,) la Terra può essere suddivisa, dall'esterno verso l'interno, in litosfera, astenosfera, mesosfera e nucleo. La litosfera comprende la crosta e una parte del mantello, la parte più esterna fino a circa 100 Km di profondità nelle zone oceaniche e fino a circa 120-130 Km ed oltre in quelle continentali. La litosfera, ha un comportamento abbastanza uniforme di tipo rigido, tipico di solidi con temperature lontane da quella di inizio fusione. Al disotto della litosfera è presente una zona (Low-Velocity Zone) considerata parzialmente fusa, in quanto è caratterizzata da un significante rallentamento delle onde sismiche. Quest area (astenosfera), si estende fino a 350 Km di profondità e il suo limite inferiore è marcato dall'aumento di velocità delle onde sismiche. L'astenosfera può deformarsi plasticamente, può fluire lentamente e inarcarsi verso l'alto per effetto di ampi moti convettivi. Lo strato che si estende dalla base dell'astenosfera (350 Km di profondità) fino al nucleo (mesosfera), mostra al suo interno due discontinuità, a 400 e a 650 Km di profondità, caratterizzate da bruschi aumenti di velocità; tali discontinuità corrispondono a nette variazioni di densità. La suddivisione della parte più esterna del globo terrestre in base alle diverse proprietà fisiche (litosfera e astenosfera), rappresenta il punto di partenza per la teoria della tettonica a zolle. 6

Fig.1.2.: Rappresentazione schematica della struttura interna del globo terrestre, secondo il modello reologico e composizionale. 1.2. CENNI SULLA TETTONICA A ZOLLE La tettonica a zolle, oltre a fornire una descrizione cinematica della tettonica globale terrestre, rappresenta il maggior mezzo di interpretazione dei processi vulcanici ritenuti legati a processi eminentemente convettivi nel sistema litosfera-astenosfera, che determinano la dispersione del calore dall interno verso l esterno del pianeta. La tettonica delle placche descrive la parte superiore del nostro pianeta come costituita da una serie di placche litosferiche, essenzialmente rigide, in movimento reciproco. Tali placche sono ben delimitate da cinture sismiche, nelle quali particolarmente intensa risulta anche l'attività ignea. I movimenti delle placche, che in prima approssimazione possiamo immaginare come infinitamente rigide, sono accoppiati a movimenti più profondi della astenosfera, che può essere considerata plastica. Nel complesso la tettonica delle placche costituisce un efficiente meccanismo che, attraverso movimenti eminentemente convettivi nel 7

sistema litosfera-astenosfera determina una dispersione del calore interno della terra. Dove infatti le placche si allontanano (dorsali oceaniche), si ha una risalita della astenosfera, che è inizialmente calda. Quando questa giunge alle zone più superficiali si raffredda, aumenta la sua rigidità ed in ultima analisi si trasforma in litosfera. Inversamente, dove il movimento delle placche è convergente, una delle placche va sotto l'altra affondando nella astenosfera. Questo processo di subduzione, perturba l'andamento delle isoterme della astenosfera, che vengono depresse per l'introduzione della placca litosferica complessivamente più fredda. Dal momento che la rigidità della litosfera è controllata dal suo regime termico, essa non risulta avere in tutta la sua estensione verticale uguale capacità di deformazione. Per questo si distingue una porzione superiore a comportamento elastico dove sono localizzati i terremoti con stile tettonico essenzialmente rigido, da una inferiore a comportamento visco-plastico, dove si hanno movimenti penetrativi e piegamenti. Le grandi placche litosferiche sono costituite da calotte sferiche in movimento relativo sulla superficie terrestre. Il movimento relativo tra placche, porta a tre tipi di contatti possibili: divergenti, trasformi, convergenti. Nei contatti divergenti la risalita di astenosfera produce continuamente nuova litosfera; l'espressione superficiale di questo processo è rappresentata dalle dorsali oceaniche, rilievi topograficamente più elevati di 2000 metri rispetto alle zone circostanti e talora caratterizzati da una valle centrale (rift valley), in corrispondenza delle quali i fondi oceanici si espandono lateralmente e simultaneamente. Le dorsali oceaniche sono caratterizzate dalla presenza di attività sismica abbondante, ma individualmente poco intensa e limitata a zone molto superficiali (massimo 10-15 Km) e soprattutto ad attività ignea che localmente può essere molto intensa, tanto da produrre zone emerse, come per esempio l'islanda. Il flusso di calore misurato nella zona centrale è distintamente più elevato di quello osservato nei bacini lontani dalle dorsali (valore medio del flusso di calore delle dorsali 1,9 HFU contro un valore medio di 1,3 HFU nei bacini oceanici). 8

Flusso di calore e altezza topografica del fondo variano sistematicamente allontanandosi dalle dorsali e diminuiscono proporzionalmente alla radice quadrata della età; ciò è consistente con un modello di litosfera che si ispessisce per raffreddamento allontanandosi dalle zone di risalita astenosferica. Le dorsali, pur costituendo una fascia praticamente continua su tutta la Terra, sono tuttavia nel dettaglio discontinue, essendo interrotte da grandi lineamenti trasversali detti zone di frattura (Menard & Atwater, 1968). L'ultima configurazione geometrica dei confini tra placche imposta dalla loro cinematica, è quella convergente. In essa una placca litosferica affonda sotto l'altra attraverso il processo di subduzione. La subduzione è accompagnata da numerosi fenomeni geofisici, ignei, metamorfici, tettonici, la cui disposizione spaziale permette di definire anche in superficie la polarità del processo. L'approfondimento della litosfera più fredda nell astenosfera, libera una relativamente grande quantità di energia sismica. La subduzione favorisce la formazione di liquidi silicatici, la cui risalita determina in superficie le catene vulcaniche (archi magmatici) che sono costantemente associate alle zone di sottoscorrimento litosferico. Le zone di risalita dei magmi ed in generale le intere fasce che formano i margini attivi convergenti, sono caratterizzati da flussi di calore relativamente elevati (in media 1,7 HFU) rispetto a quelli osservati nelle zone lontane dai margini (flusso di calore medio negli scudi stabili 1,0 HFU). Fig.1.3.:Rappresentazione schematica degli elementi fondamentali della configurazione della litosfera secondo la tettonica delle placche. (Da D Amico et. al., 1991, liev. modificato) 9

In alcuni casi il contatto tra le placche può assumere una configurazione particolarmente complessa quando tre zolle entrano in contatto in un punto così detto punto triplo. La geometria dei punti tripli dipende dal tipo di confine che viene a contatto (dorsale, limite convergente, faglia trasforme), e solo in alcuni speciali casi essa rimane invariata nel tempo ed il punto può essere definito come stabile. Se però è presente un margine convergente e/o le velocità di allontanamento sono diverse, la geometria dell'intero sistema è destinata ad evolvere e a modificarsi profondamente nel tempo (McKenzie & Morgan, 1969). 1.2.1. IL VULCANISMO INTRAPLACCA La maggior parte dei vulcani è di fatto concentrata ai limiti di placca, ma tuttavia esistono consistenti centri vulcanici molto distanti da questi limiti, sia in zone oceaniche che continentali (vulcanismo intraplacca). Gran parte dell'attività intraplacca da luogo a rilievi vulcanici lineari, lungo i quali esiste spesso una variazione progressiva di età, essendo i prodotti più recenti sistematicamente disposti ad una estremità. Queste caratteristiche si ritrovano sia nelle catene di isole, come per esempio le Hawaii o le Canarie, sia nelle dorsali totalmente sommerse, dette dorsali asismiche. Una tale correlazione tra età e posizione lungo la dorsale ha fatto avanzare l'ipotesi (Wilson, 1963) che esse rappresentino la traccia sulla litosfera di punti caldi (hot spots) che rimarrebbero fissi nella astenosfera rispetto alla litosfera mobile. L'idea di Wilson è stata completata da Morgan (1971), immaginando che i punti caldi rappresentino la culminazione di plume o pennacchi di astenosfera che risale da zone molto profonde, trasferendo verso la parte superiore del mantello materiale primordiale. Si assume che i plume esprimano una eterogeneità fisica e chimica del mantello (Anderson, 1975) e che risalgano lungo zone cilindriche per differenze di temperatura, anche relativamente piccole, rispetto al mantello circostante. Differenze di temperatura di un centinaio di gradi tra centro del plume e del mantello circostante, potrebbero essere sufficienti a 10

determinare la risalita e a mantenere la individualità del plume anche per tempi relativamente lunghi. In generale, la risalita di questo materiale profondo e caldo, può essere in grado di determinare una perturbazione termica nella litosfera e quindi di innescare il vulcanismo. Una prolungata azione di questo tipo, può addirittura interrompere la continuità laterale della litosfera; numerosi punti caldi, si trovano infatti in corrispondenza di punti tripli o comunque di zone divergenti che risultano anomale rispetto alle dorsali oceaniche normali, in quanto l'attività del plume si estrinseca in una super-produzione di materiale igneo. I magmi prodotti per l'azione dei punti caldi, traggono, secondo questo modello, la loro origine da un materiale sorgente di provenienza molto profonda, presumibilmente non modificato da alcun altro processo; in altri termini sarà costituito da mantello primordiale o almeno con caratteristiche molto vicine ad esso. I numerosi dati isotopici e geochimici ottenuti sulle vulcaniti intraplacca e più in particolare sui prodotti che si ritiene abbiano avuto origine da plume profondi, tendono effettivamente a sostenere l'ipotesi che le zone sorgenti di tali magmi, hanno caratteri più primordiali di quelle che hanno generato il grande vulcanismo delle zone divergenti. Fig.1.4.: Modelli di Mantle Plume. 11

Un interessante aspetto dell'ipotesi di Wilson-Morgan è rappresentato dal fatto che i punti caldi, riflettendo perturbazioni profonde del mantello terrestre, possano essere in prima approssimazione considerati un sistema di riferimento fisso nel tempo. Si può così tentare di riferire ad essi, attraverso le tracce lasciate sulla litosfera mobile, il movimento delle placche assoluto e non relativo. Non tutti i dati oggi disponibili sul vulcanismo intraplacca sono razionalizzabili all'interno di tale modello, per questa ragione sono state proposte altre ipotesi che non postulano sorgenti profonde, e che fanno appello a processi distensivi causati da appropriati stress intraplacca (Pilger, 1982). La forma non sferica della terra potrebbe in questa ottica giocare un ruolo significativo provocando un effetto di membrana (Turcotte & Oxburgh, 1973), a causa del quale le placche in movimento verso i poli, sarebbero sottoposte a stress tensionali orientati essenzialmente secondo i paralleli per il passaggio su superfici con minore curvatura rispetto a quelle di provenienza. 1.3. GENESI E RISALITA DEI FUSI MAGMATICI La fusione di parti del mantello terrestre si ritiene possa essere innescata da diversi fenomeni: diminuzione di pressione; aumento di temperatura; depressione della curva del solidus causata da una variazione chimica del sistema. Una depressione pseudo-isoterma, potrebbe essere provocata per movimento verso profondità inferiori di un certo volume del mantello in rami ascendenti di correnti convettive in zone di dorsale oceanica: in tal caso una parte del mantello, trovandosi in condizioni di pressioni inferiori, potrebbe iniziare a fondere. L aumento di temperatura sembra il meccanismo più semplice per spiegare la genesi dei magmi; questi, può essere attribuibile a elementi radioattivi quali Th, U, Rb, Cs, che tuttavia, essendo 12

particolarmente mobili, concentrandosi nel magma, lascerebbero un mantello fortemente impoverito in elementi radioattivi, con la conseguenza che un mantello in convezione, decurtato in tali elementi, possa difficilmente fondere. E tuttavia plausibile che al centro di celle convettive possano esserci nuclei relativamente stagnanti nei quali l effetto del calore liberato dalla disintegrazione degli elementi radioattivi, possa effettivamente accumularsi sino a provocare la fusione; questo è infatti uno dei meccanismi proposto per spiegare l origine dei plume. Fig.1.5.:Zona di possibile fusione parziale del mantello dedotta in base al diagramma di stato di una peridotite anidra (linea tratteggiata) e di una con aggiunta dello 0,1% di acqua (linea continua). Fig.1.6.: Diagramma di fase di una roccia; la linea del solidus indica le condizioni di pressioni e temperatura che separano la fase solida dalla fase liquida. Il processo di fusione può avvenire per diminuzione di pressione, per aumento di temperatura o per l effetto combinato di entrambi i fattori. Altro processo alternativo in grado di spiegare l arricchimento in elementi radioattivi, riguarda il metasomatismo del mantello grazie all infiltrazione di soluzioni fluide arricchite in CO 2 e H 2 O, in grado di trasportare elementi a largo raggio ionico come quelli radioattivi. In un ristretto intervallo di profondità compreso tra 100-300 Km, l aumento di pressione dell acqua favorisce la fusione parziale del mantello con la possibile coesistenza di una frazione liquida ed una solida. 13

Un ulteriore processo in grado di generare un magma, è quello di abbassarne il punto di fusione del mantello cambiandone alcune proprietà chimico-fisice, mediante depressione del solidus. Tale meccanismo sembra essere il più plausibile per spiegare l origine dei magmi nei margini di zolla compressivi al di sopra della zona di subduzione. Una volta formatosi nel mantello terrestre, il magma inizia il processo di risalita verso la superficie, ed essendo in condizioni di disequilibrio fisico-chimico con l ambiente circostante, subisce una serie di processi che ne modificano la composizione originaria. Avendo minore densità rispetto al solido che lo circonda, il liquido subisce una minore attrazione gravitazionale e pertanto subirà una forza di galleggiamento che tenderà a muoverlo verso l alto. Il meccanismo mediante il quale avviene la migrazione verso profondità minori, è stato proposto da Turcotte & Schubert (1982), ipotizzando che la formazione del magma avvenga nell interstizio tra granuli di materia solida, che, con il procedere dell accumulo, produce un sistema interconnesso di canali in grado di favorire la permeabilità del mezzo. La risalita del magma nell astenosfera, può essere paragonabile all instabilità di un mezzo a minor densità sottoposto ad un mezzo a maggiore densità, tanto che l instabilità prodotta dal materiale a minore densità, innesca la risalita di diapiri magmatici verso l alto. I diapiri magmatici, secondo Anderson (1989), sono considerati strutture più o meno sferiche che risalgono adiabaticamente attraverso il mantello, divenendo via via sempre più fluide a causa del differente andamento delle curve di fusione adiabatica. Per la risalita dei magmi, la litosfera agisce come una barriera di viscosità, mentre la crosta come una barriera di densità, tanto che gli elevati valori di viscosità della litosfera, rendono qui improbabile il meccanismo di trasporto del magma attraverso il diapirismo. Nelle zone crostali un meccanismo alternativo è quello che prevede la rottura delle rocce soprastanti ed il loro affondamento all interno del corpo magmatico. Altro fenomeno permissivo è stato suggerito da Wertmann (1971), il quale ipotizza che fratture riempite di liquido possano propagarsi all interno di una placca (fluid-filled cracks). Tale meccanismo ipotizza che un accumulo di magma alla base della 14

crosta, possa creare una sovrapressione sufficiente a generare una frattura in presenza di uno stress tensionale uniforme. Il magma riempie così il vuoto creato fino a che la frattura, raggiunta la lunghezza critica, comincia a propagarsi verso l'alto tendendo ad aprire l estremità superiore e chiudere quella inferiore. Anderson & Grew (1977), hanno proposto un meccanismo di propagazione delle fratture causato per stress ad opera di sostanze corrosive liberate all interno della frattura per essoluzione dei volatili. Questi gas unitamente all azione dell acqua, agendo come agenti chimici corrosivi, aggrediscono la roccia incassante e riducono l energia necessaria alla sua fratturazione. Non tutto il magma prodotto nel mantello riesce a raggiungere la superficie terrestre a causa del fatto che, perdendo calore durante la risalita, esso diventa man mano più viscoso ed incontra maggior resistenza a fluire. Quando il magma, risalendo verso la superficie incontra una zona ad uguale densità, si determinano le condizioni che ne permettono l accumulo con la formazione di una camera magmatica. All interno delle camere magmatiche, l effetto del raffreddamento del magma e la conseguente cristallizzazione di fasi minerali, porta un originario magma basaltico ad evolversi per differenziazione, in termini progressivamente più ricchi in alcali e silice, ed a un impoverimento in MgO, FeO, CaO. Il meccanismo di differenziazione del magma, sembra giustificare in maniera comprensibile il processo che permette al magma in raffreddamento ed in cristallizzazione, di riacquistare la sua spinta ascensionale e giungere in superficie. 1.3.1. PROCESSI DI VESCICOLAZIONE Durante il processo di risalita o di differenziazione, si possono verificare fenomeni che portano alla saturazione un magma inizialmente sottosaturo in H 2 O o in altri gas. Una causa può essere la decompressione del liquido per la risalita verso zone a minore pressione idrostatica. Ogni diminuzione di pressione, in condizioni prossime alla saturazione, provoca la fuoriuscita di H 2 O dal reticolo cristallino e la sua essoluzione. 15