Difetto di giurisdizione e giudizio di accertamento dell obbligo del terzo: equivoci e concettualismi.

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Rivista scientifica bimestrale di Diritto Processuale Civile ISSN 2281-8693 Pubblicazione del 10.3.2014 La Nuova Procedura Civile, 2, 2014 Comitato scientifico: Elisabetta BERTACCHINI (Professore ordinario di diritto commerciale, Preside Facoltà Giurisprudenza) - Giuseppe BUFFONE (Magistrato) - Paolo CENDON (Professore ordinario di diritto privato) - Gianmarco CESARI (Avvocato cassazionista dell associazione Familiari e Vittime della strada, titolare dello Studio legale Cesari in Roma) - Bona CIACCIA (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Leonardo CIRCELLI (Magistrato, assistente di studio alla Corte Costituzionale) - Vittorio CORASANITI (Magistrato, ufficio studi del C.S.M.) - Francesco ELEFANTE (Magistrato T.A.R.) - Annamaria FASANO (Magistrato, Ufficio massimario presso la Suprema Corte di Cassazione) - Cosimo FERRI (Magistrato, Sottosegretario di Stato alla Giustizia) - Eugenio FORGILLO (Presidente di Tribunale) Mariacarla GIORGETTI (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Giusi IANNI (Magistrato) - Francesco LUPIA (Magistrato) - Giuseppe MARSEGLIA (Magistrato) - Piero SANDULLI (Professore ordinario di diritto processuale civile) - Stefano SCHIRO (Presidente di Corte di Appello) - Bruno SPAGNA MUSSO (Magistrato, assistente di studio alla Corte Costituzionale) - Paolo SPAZIANI (Magistrato, Vice Capo dell'ufficio legislativo finanze del Ministro dell'economia e delle finanze) - Antonio VALITUTTI (Consigliere della Suprema Corte di Cassazione) - Alessio ZACCARIA (Professore ordinario di diritto privato). Difetto di giurisdizione e giudizio di accertamento dell obbligo del terzo: equivoci e concettualismi. Nota a Tribunale di Palermo, 13 gennaio 2014, n. 120 di Simone ALECCI Con sentenza n. 120 dell 8 gennaio 2014, depositata in cancelleria il 13 gennaio 2014, il Tribunale di Palermo ha declinato la giurisdizione nel giudizio di cui in oggetto in favore del T.A.R. Sicilia, condannando la società attrice al pagamento delle spese legali. Va osservato sin da subito che l iter argomentativo tracciato dall organo giudicante è inficiato da speciosi concettualismi annidati essenzialmente nelle premesse logico-giuridiche della ricostruzione della fattispecie. Ed infatti, nel tacciare di inconsistenza le argomentazioni attoree dirette a contestare l ammissibilità dell eccezione di difetto di giurisdizione sollevata dal convenuto Comune di Palermo, il giudice adito ha ampiamente travisato il significato teleologico del giudizio instaurato, diretto a realizzare l accertamento della valida costituzione del credito come oggetto del pignoramento. In buona sostanza, il Tribunale, aderendo acriticamente alla parabola ermeneutica disegnata da una interessante pronuncia dalle Sezioni Unite della

Corte di Cassazione( 1 ), ha omesso di considerare che l accertamento del credito di cui alla pretesa della società attrice è intimamente avvinto all azione esecutiva, essendo la sentenza che definisce tale giudizio sostanzialmente inidonea a sortire effetti al di là degli steccati del processo esecutivo, nel quale incidentalmente confluisce. Ciò in quanto il giudizio scaturente dalla mancata o contestata dichiarazione del terzo non ha né potrebbe avere ad oggetto il rapporto sostanziale dal quale deriva il credito pignorato bensì soltanto l individuazione del bene del debitore sul quale insiste l azione esecutiva. E del resto, l atto conclusivo del giudizio instauratosi ex art. 548 c.p.c. è chiaramente ordinato a determinare il cosiddetto bene-credito che si intende assoggettare all espropriazione nonché ad integrare la fattispecie costitutiva del pignoramento mediante una precisa identificazione del suo oggetto, trasfigurandosi tale parentesi cognitoria in una proiezione del pignoramento stesso( 2 ). Non è casuale, del resto, che la generalizzata previsione di una ficta confessio (pur nei limiti imposti dal richiamo operato dall art. 548 nella sua vecchia formulazione all art. 232 c.p.c.) e la facoltà riconosciuta al debitor debitoris di rendere la dichiarazione nel corso del giudizio di primo grado valgono a convalidare la tesi, opposta a quella sposata dalla giurisprudenza di legittimità e sbrigativamente metabolizzata dal Tribunale, per la quale tale giudizio è disciplinato dal codice di rito in funzione del processo esecutivo onde consentirne la prosecuzione. La linearità epistemologica dell assunto appena tracciato si lascia ancor di più apprezzare, nell ottica di un approccio di respiro sistematico, incanalando l attenzione sulla recente riforma dell art. 549 c.p.c., attuata con legge 24 dicembre 2012 n. 228, che ha radicato nella competenza del giudice dell esecuzione la risoluzione delle contestazioni eventualmente sorte sulla dichiarazione effettuata dal terzo, assicurando il soddisfacimento delle esigenze di economia e celerità processuale evocate nel richiamato addentellato delle Sezioni Unite senza stravolgere la funzione del giudizio di accertamento. Impedire l apertura di una parentesi cognitiva e concentrare ogni questione attinente alla dichiarazione del debitor debitoris nell ambito dell espropriazione presso terzi rispecchia, infatti, un efficace implementazione del principio costituzionale del giusto processo che non si risolve in una inammissibile destrutturazione dello statuto del giudizio di accertamento dell obbligo del terzo. Non è un caso, d altronde, che il novellato art. 549 c.p.c. preveda espressamente che l ordinanza (provvedimento analogo alla sentenza ( 1 ) Cass. Civ., Sez. Un., 13 ottobre 2008, n. 25037, in Rivista dell esecuzione forzata, 2008, 789, che, proponendo una a dir poco ardita interpretazione delle coordinate codicistiche che disciplinano l espropriazione presso terzi, ha ravvisato nella sentenza conclusiva del giudizio di accertamento dell obbligo del terzo nei confronti del debitore un duplice contenuto di accertamento: l uno avente ad oggetto il diritto di credito del debitore esecutato nei confronti del terzo (idoneo pertanto ad acquisire autorità di giudicato tra le parti del rapporto sostanziale); l altro, di natura eminentemente processuale, attinente alla assoggettabilità del credito pignorato ad espropriazione forzata, come tale rilevante ai soli fini dell esecuzione in corso secondo la forma dell accertamento incidentale ex lege. ( 2 ) Cfr., in proposito, la rigorosa ricostruzione svolta da Andrioli, Appunti di diritto processuale civile, Napoli, 1963, p. 447; sulla medesima linea d onda si adagiano le riflessioni di Satta- Punzi, Diritto processuale civile, Padova, 1994, p. 724; Saletti, Il giudizio di accertamento dell obbligo del terzo pignorato, in Rivista di diritto processuale, 1998, p. 1023; Vaccarella, Espropriazione presso terzi (voce), in Novissimo Digesto Civile, VIII, Torino, 1992.

che chiude il giudizio di accertamento ex art. 548 c.p.c. ante riforma) con la quale il giudice dell esecuzione decide in ordine alle contestazioni sorte sulla dichiarazione del terzo produce effetti ai soli fini del procedimento esecutivo in corso. Come se non bastasse, a sostegno dell opzione ermeneutica che predica la sostanziale inidoneità del giudizio di accertamento a concludersi con una sentenza dal duplice contenuto soccorre anche la riconosciuta attitudine all assolvimento della funzione satisfattiva del diritto dell esecutante per via di assegnazione o vendita di crediti non ancora liquidi ed esigibili( 3 ), a riprova del fatto che l eventuale domanda con la quale il debitore esecutato (che non è legittimato a domandare l accertamento dell obbligo del terzo, essendo com è noto a ciò autorizzato soltanto il creditore procedente) chiedesse l accertamento dell esistenza del proprio credito verso il terzo avrebbe un oggetto diverso da quello previsto dall art. 548 c.p.c., consistente non nell accertamento del credito come era al momento del pignoramento bensì del credito come è nel momento in cui il processo si svolge. Essendo la decisione nel giudizio ex art. 548 c.p.c. idonea a manifestare i propri effetti esclusivamente nell alveo dell azione esecutiva sul bene-credito oggetto di contestazione, sarebbe logicamente consequenziale dedurre l inammissibilità dell eccezione di difetto di giurisdizione sollevata nell ambito del giudizio di accertamento dell obbligo del terzo( 4 ). Muovendo da una premessa logico-giuridica del tutto discordante da quella appena esposta nei suoi tratti essenziali, l organo giudicante ha non soltanto declinato erroneamente la giurisdizione, ma ha anche rassegnato una nutrita serie di pronunce della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato in materia di determinazione del quantum del risarcimento nell ipotesi prevista dall art. 34 del d.lgs. 104/2010 che, tuttavia, nulla di decisivo apportano alla risoluzione della questione prospettata. Invero, è senz altro fuori discussionecome ineccepibilmente argomentato dal Tribunale- che la formula incisa nel citato art. 34 c.p.a. riproduce una peculiare modalità di liquidazione del danno attraverso un operazione negoziale sostanzialmente transattiva e che, in mancanza di tale accordo, la sede per realizzare la tutela giurisdizionale in forma progressiva è rappresentata dal giudizio di ottemperanza. Nondimeno, pur qualificando la sentenza del T.A.R. n. 1564 del 2010- in forza della quale il Comune di Palermo è stato condannato al risarcimento dei danni per occupazione illegittima di alcuni immobili oggetto di un ordinanza di requisizione successivamente annullata- alla stregua di provvedimento di condanna generica al risarcimento, in quanto tale necessitante di un integrazione del giudicato diretto non solo ad enucleare e precisare il ( 3 ) Conformemente alla ricostruzione prospettata cfr., ex multis, Cass. Civ., Sez. III, 26 settembre 1979, n. 4970; Cass. Civ., Sez. I, 28 giugno 1994, n. 6206; Cass. Civ., Sez. III, 23 aprile 2003, n. 6449. ( 4 ) Già in questo senso si esprimeva correttamente Cass. Civ., Sez. Un., 18 ottobre 2002, n. 14831, in Corriere giuridico, 2003, 1141, secondo la quale il giudizio di accertamento dell obbligo del terzo pignorato è strettamente attinente all azione esecutiva, privo di rilevanza esterna e come tale fenomenologicamente inadeguato ad ospitare nei suoi gangli questioni di competenza e di giurisdizione.

contenuto degli obblighi nascenti dalla sentenza passata in giudicato ma ad adottare una statuizione analoga a quella che potrebbe emettere in un nuovo giudizio di cognizione( 5 ), non si può automaticamente inferire l inammissibilità della domanda proposta dalla società attrice al fine di accertare la legittimità, in relazione al suo oggetto, dell esecuzione forzata e non anche di attuare la tutela giurisdizionale del diritto del debitore nei confronti del terzo. In altre parole, non si intende revocare in dubbio l innegabile presenza di un momento cognitivo nel giudizio di ottemperanza( 6 ), circostanza peraltro confermata dall ultimo comma dell articolo 112 c.p.a., quanto piuttosto evidenziare che nel giudizio di accertamento dell obbligo del terzo non emerge neanche in controluce quel rapporto sostanziale intercorrente tra il debitore esecutato ed il terzo che proprio il ricorso in ottemperanza ex art. 34, in ossequio al principio di concentrazione oggi scolpito nel codice di rito, è deputato a portare alla cognizione del giudice amministrativo. La circostanza che la sentenza del T.A.R. non sia idonea alla costituzione di un diritto di credito [ ] nei confronti dell Amministrazione comunale si rivela pertanto inconferente alla natura del giudizio di accertamento promosso dalla società attrice. Ad ogni modo, in attesa che il criticato orientamento giurisprudenziale muti anche alla luce delle più recenti novità normative in tema di espropriazione presso terzi, al creditore non resta che percorrere la strada della translatio iudicii, congegno processuale che permette di superare la pietra tombale gravante sulla domanda erroneamente proposta innanzi al giudice privo di giurisdizione. L art. 11 c.p.a., frutto dell elaborazione legislativa della sentenza della Corte costituzionale 77/2007 e di una precedente pronuncia a Sezioni Unite della Corte di Cassazione( 7 ), offre la possibilità di proporre la medesima domanda al giudice indicato nel provvedimento che declina la giurisdizione entro il termine perentorio di tre mesi dal suo passaggio in giudicato. La formulazione della disposizione si rivela, d altronde, alquanto ambigua laddove mantiene ferme le preclusioni e le decadenze intervenute. Si deve senz altro propendere, a meno di non voler sdoganare un inconcepibile antinomia normativa, per la natura extra-processuale delle medesime già maturate quando la domanda era stata proposta innanzi al giudice privo di giurisdizione( 8 ). Sul punto- giova precisarlo- è comunque intervenuta una chiarificatrice decisione del Consiglio di Stato, stando al tenore della quale il meccanismo traslativo non può in alcun modo consentire l elusione dei termini ( 5 ) Cass. Civ., Sez. Un., 20 novembre 2003, n. 17633; Cass. Civ., Sez. Un., 19 luglio 2006, n. 16469. ( 6 ) La letteratura in materia è sterminata. Cfr., per tutti, la lucida analisi di Corso, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2013, 552. ( 7 ) Cass. Civ., Sez. Un., 22 febbraio 2007, n. 4109, in Dir. proc. amm., 2007, 796, la cui motivazione valorizza correttamente il dato positivo inciso nell articolo 382 c.p.c. nella parte in cui impone implicitamente il rinvio quando esiste un altro giudice munito di giurisdizione ( 8 ) Cfr., al riguardo, Monteleone, Difetto di giurisdizione e prosecuzione del processo: una confusa pagina di anomalie processuali, in Riv. dir. proc., 2010, 271.

stabiliti, a pena di decadenza, a tutela di posizioni giuridicamente protette al cospetto al giudice amministrativo( 9 ). ( 9 ) Consiglio di Stato, 28 febbraio 2012, n. 940, in federalismi.it, 5/2012.