LAZIO La ceramica invetriata romana: la testimonianza dell'area NE delle Terme del Nuotatore ad Ostia La ceramica invetriata della prima età imperiale è ancora una delle classi di ceramica romana meno conosciute. Ciò è dovuto alla sua scarsità dei rinvenimenti, che rende difficile il suo inquadramento. Infatti, anche se compare regolarmente a Roma e altrove in contesti databili tra il tardo I secolo e il III, rimane sempre una classe decisamente minoritaria, con pochi frammenti che costituiscono una percentuale bassissima del totale della ceramica fine attestata. Le stratigrafie edite delle Terme del Nuotatore ad Ostia presentano, per esempio, sessantasei frammenti invetriati rispetto a quasi 20.000 delle classi fini (Ostia I-IV, passim; M. L. FERRANTINI, La ceramica fine da mensa, in L. ANSELMINO, C. M. COLETTI, M. L. FERRANTINI, C. PANELLA, Ostia. Terme del Nuotatore, in A. GIARDINA (a cura di), Società romana e impero tardo-antico III. Le merci, Gli insediamenti, Roma-Bari, 1986, Figg. 2-5, pp. 47, 49, 52, presenta il quadro delle stratigrafie più importanti). Perciò, il ritrovamento di 393 frammenti invetriati in una sequenza stratigrafica che va dall'età flavia all'età severiana nell'area NE delle Terme del Nuotatore ad Ostia, scavata dall'istituto di Archeologia e Storia dell'arte Greca e Romana dell'università di Roma La Sapienza dal 1972 al 1975, nonché di altri 190 in strati moderni o senza contesto affidabile, è un caso eccezionale, che difficilmente si ripeterà, se non si rinviene uno scarico di fornace. Offre la possibilità di approfondire le conoscenze almeno di una produzione della classe, che è il primo passo verso una valutazione della sua posizione tra le ceramiche coeve e anche rispetto alle ceramiche invetriate più tarde. Dei frammenti trovati in strati antichi la maggior parte (331) proviene da un terrapieno tardoantonino ricchissimo di materiale ceramico. Un precedente livello di rialzamento del terreno, databile al regno di Adriano, ha dato una quantità ancora notevole (quarantanove frammenti), mentre gli altri strati contenevano i rimanenti frammenti. L'alto numero di frammenti rinvenuti rispecchia soprattutto la massiccia quantità di frammenti ceramici di tutte le classi testimoniate in questa stratigrafia: gli strati tardo-antonini e adrianei hanno dato, per esempio, 2502 e 1109 frammenti di sigillata rispettivamente (M. L. FERRANTINI, art. cit., Fig. 1, p. 47, dà informazioni preliminari, sulle classi fini; A. MARTIN, Ceramica fine a Roma e Ostia tra la seconda metà del I e il II secolo, in Rei Cretariae Romanae Fautorum Acta, 1990, in corso di stampa, presenta dati più elaborati sulle sigillate). [323] E ancora da chiarire se la sua attestazione maggiore, come quella di altre classi fini secondarie presenti nella stratigrafia (quali le sigillate orientali e ispanica), può essere dovuta ad un suo inserimento in un parziale vuoto di mercato creatosi tra la sigillata italica in declino e quella africana non ancora dominante (cfr. MARTIN, art. cit., per questa problematica). Come si vedrà di seguito, però, la ceramica invetriata interessa solo parzialmente le funzioni caratteristiche delle sigillate. Sulla base dell'analisi petrografica e mineralogica eseguita specificamente per il seminario senese è stata proposta un'attribuzione soltanto per una piccola parte del materiale (quarantasette frammenti da strati antichi e non). Questi frammenti presentano un impasto marnoso depurato, con poche miche, augite e piccoli calcari (Gruppo 7b), che si accorda bene con un'attribuzione all'area tra la media valle del Tevere e Roma. Gli altri frammenti sono caratterizzati da un impasto piuttosto generico, ad argilla marnosa con tanti piccoli calcari (Gruppo 13b). Quest impasto, che non è sembrato sufficientemente caratteristico per avallare un attribuzione geografica della produzione, è però compatibile con una produzione laziale. Nell interpretazione di un'altra analisi, che è stata effettuata su un gruppo di campioni che comprende alcuni dall Area NE delle Terme del Nuotatore, ambedue i gruppi vengono assegnati ad una produzione attribuita alla Campania o al Lazio (A. DESBAT, Céramiques romaines à glaçure plombifère des fouilles de Lyon (Hauts-de-Saint-Just, Rue des Farges, La Solitude), Figlina, 7, 1986, p. 110; M. PICON, A. DESBAT, Note sur l origine des céramiques à glaçure plombifère, généralement bicolore, des II ème et III ème siècles, de Vienne et Saint-Romain-en-Gal, Figlina, 7, 1986, pp. 125-127). Ancora un'altra analisi, che comprende anch'essa un campione dell'area NE, ha portato all'ipotesi della produzione nelle vicinanze di Roma in qualche punto dove si trovano giaciture di argilla formata dal degrado di travertino (P. ARTHUR, An Italian Flagon from Roman Colchester, Antiquaries Journal, LIX, 1979, pp. 392-397). Accanto a questa evidenza petrografica e mineralogica bisogna considerare anche gli stretti legami morfologici e decorativi tra i due gruppi riscontrati nell'analisi più recente per concludere che tutta la produzione deve
essere attribuita alla stessa area, cioè a quella campano-laziale e probabilmente più specificamente ai dintorni di Roma. [324] [325] La datazione precisa di questa produzione deve essere ancora chiarita. Desbat e Picon indicano già nel loro titolo il II e il III secolo (art. cit.). Il materiale dell'area NE prova che l'inizio della produzione va anticipato almeno all'epoca flavia, in quanto vari frammenti sono stati restituiti da sttati precedenti il riempimento adrianeo, anche se non sono particolarmente ricchi di materiali: dodici da strati databili tra il 70 e il 100 ca. Come è stato detto, il grosso delle testimonianze interessa l'epoca adrianea e soprattutto quella ántonina. Per quanto riguarda la fine della produzione, la stratigrafia dell'area NE è poco indicativa, perché dopo il riempimento antonino essa comprende soltanto uno strato severiano non di grande importanza. Però, il fatto che questo ha dato solo un frammento invetriato, unito alla scarsa testimonianza dell'invetriata in altre sequenze stratigrafiche di questo
periodo e più tarde delle Terme del Nuotatore, crea almeno il dubbio che la fioritura della produzione sia da porre ancora nel II secolo. La morfologia della ceramica invetriata di questa produzione è piuttosto varia, consistente di vasi di varie funzioni. Sono compresi vasi da mensa paragonabili a quelli delle sigillate (cfr. il piatto a Fig. 1 e le coppe a Figg. 2-5). Va notato che sono pochi (ventotto frammenti o il 4,8% del totale dei vasi) i piatti, che costituiscono la forma più caratteristica delle sigillate. Le coppe più o meno aperte analoghe a quelle delle sigillate sono meglio attestate, con 104 frammenti (il 17,84%). Le coppe più frequenti sono quelle a Figg. 2 e 3. Alcuni vasi, rappresentati qui da dodici frammenti (il 2,1%), avevano funzioni potorie, e presentano quindi legami con la ceramica a pareti sottili (Figg. 6-8). Il vaso a Fig. 6 è particolarmente vicino a vasi a pareti sottili RICCI 2/389 e 2/391. Una parte considerevole dei frammenti, gli ottantatre relativi ad olle o altri vasi chiusi e i sedici a brocche (ad apertura trilobata o circolare), propone forme caratteristiche della ceramica comune (cfr. le olle e gli altri vasi chiusi a Figg. 9-13 e le brocche a Figg. 14-15). Si possono citare a questo proposito uno dei vasi chiusi più attestati, quello a Fig. 9 paragonabile a Ostia II, 402, e una brocca relativamente frequente, quella a Fig. 15 simile a Ostia I, 318. Compaiono ancora altre forme in ceramica invetriata. Le lucerne costituiscono un nucleo di una certa importanza, con cinquantasette frammenti attribuibili (laddove sono identificabili tipologicamente) alle lucerne a becco tondo o cuoriforme (cfr. Fig. 19). Presenze isolate sono rappresentate da un frammento di calamaio e da una statuetta maschile (Figg. 16 e 17) Si riceve dunque l'impressione di un insieme fortuito di oggetti di varia aspirazione e assolutamente privo di qualunque discorso di servizi. Sembra piuttosto che il rivestimento invetriato serva a nobilitare diversi oggetti che altrimenti avrebbero poco di eccezionale. [326] [327]
In questo senso i vasi della produzione in questione potrebbero costituire un anello di congiunzione tra i pregiati vasi invetriati orientali e di imitazione norditalica a rilievo ottenuto a matrice di epoca tardoellenistica e protoimperiale e quelli non decorati ad uso utilitario tardoantichi e altomedievali, che altrimenti sembrerebbero avere nulla in comune, come commenta C. Maccabruni (Ceramica romana con invetriatura a piombo, in P. LÉVEQUE, J.-P. MOREL, Céramiques héllenistiques et romaines, II, Paris, 1987, p. 174), la quale non conosce questa produzione. La predominanza di vasi lisci rafforza quest'ultimo discorso. Soltanto sessantanove frammenti (il 13,1% dei vasi, escluse le lucerne e la statuetta) presentano affatto una decorazione, che sia a rilievo a matrice, alla barbotina o a rilievo applicato. La varietà di decorazioni attestate è in linea con la diversità di ispirazione suggerita dalla morfologia. Quella più comune, testimoniata da circa due terzi dei frammenti decorati, è la barbotina, che a sua volta è attestata soprattutto da decorazioni a scaglie di pigna (cfr. Figg. 6, 7 e 10 per le scaglie di pigna; Figg. 11 e 12 per altre decorazioni alla barbotina). La decorazione alla barbotina, e in particolare a scaglie di pigna, trova confronti specialmente sulla ceramica a pareti sottili. La decorazione a rilievo piuttosto basso eseguito a matrice ricorda invece quella delle sigillate, o per diretti influssi o forse più probabilmente per influssi su ambedue da parte di modelli metallici. [328] Le caratteristiche testine fatte a parte in matrice e apllicate alla base delle anse (Fig.18), che sopravvivono ancora nella produzione tardoantica (cfr. R. Meneghini, A. Staffa, infra), e le placche per i pollici (Fig. 5) derivano infatti da modelli metallici. La ceramica invetriata della produzione trovata ad Ostia ha una diffusione sorprendentemente vasta per una classe così poco frequente. Arthur indica una diffusione nel bacino mediterraneo occidentale e nell Europa centrale e nordoccidentale (dall'ungheria all'inghilterra) che si concentra specialmente in Italia e in Spagna (art. cit., p. 394). È sostanzialmente d'accordo Desbat (art. cit., pp. 109-110), che indica Ostia, Sarsina, l'italia del nord, la valle del Rodano, Maiorca, la Catalogna, l Africa settentrionale, Conimbriga e l'inghilterra. Si possono aggiungere per l'italia la villa di Settefinestre nella Maremma toscana (M. CELUZZA, Ceramica invetriata, in A. RICCI (a cura di), Settefinestre. Una villa schiavistica nell'etruria meridionale III. La villa e i suoi reperti, Modena, 1985, pp. 163-166) e vari siti liguri (comunicazione personale di M. Biagini, che ne prepara uno studio). Si profila quindi una produzione con caratteristiche proprie. E possibile individuare gli impasti marnosi tipici. L area di produzione è stata identificata nei dintorni di Roma o comunque tra il Lazio e la Campania. Si comincia almeno a datare gran parte della produzione nel II secolo, con l'inizio non più tardo dell'epoca flavia. La sorte successiva della produzione rimane più oscura, ma i legami con certi
prodotti tardoantichi indicano che deve esistere una continuità. E possibile riconoscere i tipi e le decorazioni più frequenti, che derivano da molteplici ispirazioni. La sua estesa diffusione è infine ancora da valutare nel quadro della storia economica dell'italia antica, specialmente perché si data a un periodo spesso considerato di declino delle esportazioni italiche e dell'economia italica in generale. ARCHER MARTIN [329]