ALLEGATO 1 brano da riordinare a) Il fenomeno migratorio in Italia ha ormai raggiunto proporzioni ragguardevoli: secondo le anticipazioni del Dossier Caritas 2005 le presenze straniere regolari ammontano attualmente a 2.730.000 unità. 1 b) Questo straordinario balzo in avanti non rispecchia fedelmente la realtà; è di certo in parte puro frutto della regolarizzazione che ha reso visibile quanto prima era clandestino. Tuttavia, è innegabile che la situazione sia molto fluida, instabile, cangiante. L Italia si è trasformata da paese di emigrazione a paese di immigrazione e tale trasformazione si è attuata in tempi relativamente brevi, nell arco di qualche decennio, a differenza di altri paesi europei di più lunga tradizione migratoria: agli inizi degli anni 70 in Italia le presenze straniere regolari erano 144.000. c) Il dato è tuttavia soggetto a forte variabilità: si pensi ad esempio che l Ucraina, attualmente in quarta posizione, si trovava solo due anni fa al ventunesimo posto. d) A ciò hanno contribuito certamente, oltre a una programmazione dei flussi debole e inefficace, i caratteri geografici dell Italia: i suoi estesi confini e la sua posizione, attorniata da Paesi a Forte Pressione Migratoria, alla confluenza del continente asiatico e africano e alle porte dell Europa dell Est. I gruppi nazionali più rappresentati provengono nell ordine da Romania, Marocco e Albania con all incirca 230/240.000 registrati per ogni gruppo, cui seguono Ucraina e Cina (Caritas Italiana / Fondazione Migrantes 2004). e) Si è così raggiunta un incidenza sulla popolazione ormai vicina alla media europea del 5%, quota che le aree metropolitane di Milano e Roma e diversi comuni del Veneto e dell Emilia Romagna hanno già superato. L Italia si colloca in Europa subito dopo Germania, Francia e Gran Bretagna, diventando essa stessa un grande paese di immigrazione (Caritas Italiana / Fondazione Migrantes 2005). f) Confrontando questo dato con quello attuale l incremento è stato nell arco di trentacinque anni del 1795%; l aumento è stato particolarmente sostenuto negli ultimi quattro anni: alla fine del 2001 i soggiornanti stranieri corrispondevano grosso modo alla metà degli attuali. 1
ALLEGATO 2 soluzioni e commenti a) Il fenomeno migratorio in Italia ha ormai raggiunto proporzioni ragguardevoli: secondo le anticipazioni del Dossier Caritas 2005 le presenze straniere regolari ammontano attualmente a 2.730.000 unità. 1 b) Questo straordinario balzo in avanti [quale balzo?] non rispecchia fedelmente la realtà; è di certo in parte puro frutto della regolarizzazione che ha reso visibile quanto prima era clandestino. Tuttavia, è innegabile che la situazione sia molto fluida, instabile, cangiante. L Italia si è trasformata da paese di emigrazione a paese di immigrazione e tale trasformazione si è attuata in tempi relativamente brevi, nell arco di qualche decennio, a differenza di altri paesi europei di più lunga tradizione migratoria: agli inizi degli anni 70 in Italia le presenze straniere regolari erano 144.000. 5 [il paragrafo che precede questo deve menzionare un balzo in avanti, come il passaggio dell Ucraina dal 21 al 4 posto nella classifica dei gruppi nazionali più rappresentati > c] c) Il dato [quale dato?] è tuttavia soggetto a forte variabilità: si pensi ad esempio che l Ucraina, attualmente in quarta posizione, si trovava solo due anni fa al ventunesimo posto. 4 [il paragrafo che precede questo deve menzionare un dato di cui passaggio dell Ucraina dal 21 al 4 posto possa costituire un esempio, come la classifica dei gruppi nazionali più rappresentati > d] d) A ciò [cosa?] hanno contribuito certamente, oltre a una programmazione dei flussi debole e inefficace, i caratteri geografici dell Italia: i suoi estesi confini e la sua posizione, attorniata da Paesi a Forte Pressione Migratoria, alla confluenza del continente asiatico e africano e alle porte dell Europa dell Est. I gruppi nazionali più rappresentati provengono nell ordine da Romania, Marocco e Albania con all incirca 230/240.000 registrati per ogni gruppo, cui seguono Ucraina e Cina (Caritas Italiana / Fondazione Migrantes 2004). 3 [il paragrafo che precede questo deve menzionare una situazione che possa essere stata provocata da una cattiva programmazione dei flussi e dai caratteri geografici dell Italia, come il fatto che l Italia sia diventata un grande paese d immigrazione > e] e) Si è così [come?] raggiunta un incidenza sulla popolazione ormai vicina alla media europea del 5%, quota che le aree metropolitane di Milano e Roma e diversi comuni del Veneto e dell Emilia Romagna hanno già superato. L Italia si colloca in Europa subito dopo Germania, Francia e Gran Bretagna, diventando essa stessa un grande paese di immigrazione (Caritas Italiana / Fondazione Migrantes 2005). 2 [il paragrafo che precede questo deve contenere un dato da cui consegue che la percentuale di stranieri è pari a circa il 5% della popolazione, come un numero di presenze straniere di 2.73.000 unità > a] f) Confrontando questo dato [quale dato?] con quello attuale l incremento è stato nell arco di trentacinque anni del 1795%; l aumento è stato particolarmente sostenuto negli ultimi quattro anni: alla fine del 2001 i soggiornanti stranieri corrispondevano grosso modo alla metà degli attuali. 6 [il paragrafo che precede questo deve menzionare un dato diverso da quello attuale quindi probabilmente riferito al passato e con esso confrontabile, come il numero delle presenze straniere in Italia all inizio degli anni 70 > b] 2
ALLEGATO 3 il testo di partenza Il fenomeno migratorio in Italia ha ormai raggiunto proporzioni ragguardevoli: secondo le anticipazioni del Dossier Caritas 2005 le presenze straniere regolari ammontano attualmente a 2.730.000 unità. Si è così raggiunta un incidenza sulla popolazione ormai vicina alla media europea del 5%, quota che le aree metropolitane di Milano e Roma e diversi comuni del Veneto e dell Emilia Romagna hanno già superato. L Italia si colloca in Europa subito dopo Germania, Francia e Gran Bretagna, diventando essa stessa un grande paese di immigrazione (Caritas Italiana / Fondazione Migrantes 2005). A ciò hanno contribuito certamente, oltre a una programmazione dei flussi debole e inefficace, i caratteri geografici dell Italia: i suoi estesi confini e la sua posizione, attorniata da Paesi a Forte Pressione Migratoria, alla confluenza del continente asiatico e africano e alle porte dell Europa dell Est. I gruppi nazionali più rappresentati provengono nell ordine da Romania, Marocco e Albania con all incirca 230/240.000 registrati per ogni gruppo, cui seguono Ucraina e Cina (Caritas Italiana / Fondazione Migrantes 2004). Il dato è tuttavia soggetto a forte variabilità: si pensi ad esempio che l Ucraina, attualmente in quarta posizione, si trovava solo due anni fa al ventunesimo posto. Questo straordinario balzo in avanti non rispecchia fedelmente la realtà; è di certo in parte puro frutto della regolarizzazione che ha reso visibile quanto prima era clandestino. Tuttavia, è innegabile che la situazione sia molto fluida, instabile, cangiante. L Italia si è trasformata da paese di emigrazione a paese di immigrazione e tale trasformazione si è attuata in tempi relativamente brevi, nell arco di qualche decennio, a differenza di altri paesi europei di più lunga tradizione migratoria: agli inizi degli anni 70 in Italia le presenze straniere regolari erano 144.000. Confrontando questo dato con quello attuale l incremento è stato nell arco di trentacinque anni del 1795%; l aumento è stato particolarmente sostenuto negli ultimi quattro anni: alla fine del 2001 i soggiornanti stranieri corrispondevano grosso modo alla metà degli attuali. 3
ALLEGATO 4 cloze La teoria degli atti linguistici La nozione di atto linguistico ha giocato un ruolo importante nella formazione della pragmatica linguistica contemporanea e nel diffondersi di pratiche di analisi del discorso attente agli aspetti operativi e interazionali del linguaggio. La (1) influenza sul modo di intendere la comunicazione ha favorito il passaggio da una nozione di comunicazione basata sulla codifica, trasmissione e decodifica di messaggi a una nozione che mette in primo piano le intenzioni comunicative del soggetto parlante. Intesa in senso lato, l influenza della nozione di atto linguistico è dunque molto vasta. Qui non tenteremo di seguirla in tutti i suoi aspetti, ma concentreremo l attenzione sulla corrente di studi che più ampiamente ed esplicitamente ha trattato dell atto linguistico: appunto, la cosiddetta teoria degli atti linguistici. Possiamo caratterizzare quest (2) in base alle sue due idee principali, e cioè: o si deve tracciare una distinzione fra il significato di un enunciato e il modo in cui l enunciato è usato (la sua «forza»); o il proferimento di un enunciato può essere considerato come l esecuzione di un atto, qualunque sia il tipo di enunciato che viene proferito. Queste due (3), prese separatamente, sono state affermate anche da autori che non possono essere considerati come esponenti della teoria degli atti linguistici. Ad esempio, Gottlob Frege ha per primo introdotto la distinzione fra significato e forza, ma la considerazione del linguaggio come azione (4) era estranea. D altra parte, Karl Bühler ha usato la nozione di atto linguistico, senza introdurre però una distinzione fra significato e forza. È la congiunzione delle due idee in questione che caratterizza la teoria degli atti linguistici come specifica corrente di pensiero all interno della filosofia del linguaggio e della pragmatica linguistica contemporanee. Nel prendere in considerazione le origini di tale (5), ci limiteremo alle sue origini prossime, nel pensiero filosofico e linguistico del Novecento. Naturalmente bisogna tenere presente che molti dei problemi che la teoria degli atti linguistici si è trovata ad affrontare, e in particolare quelli riguardanti la definizione delle funzioni del linguaggio e la loro correlazione con forme linguistiche, esistevano già ben prima di (6). Già Aristotele distingueva fra il significato delle parole e l assertività dell enunciato dichiarativo. E prima di Aristotele, il sofista Protagora si era mostrato consapevole della varietà degli usi del linguaggio, di cui ha proposto la prima classificazione che sia giunta fino a noi. Nel Novecento, l interesse per le funzioni del linguaggio ha dato origine a una vasta letteratura di carattere psicolinguistico, semiotico e sociolinguistico. Tuttavia, sarebbe errato sia dal punto di vista strettamente storico sia dal punto di vista concettuale considerare questi (7) di ricerca come dei contributi alle origini e/o allo sviluppo della teoria degli atti linguistici; essi restano estranei infatti all una o all altra delle idee centrali di questa, quando non ad ambedue. La teoria degli atti linguistici di cui qui ci occuperemo si è sviluppata non nel contesto dei dibattiti sulle funzioni del linguaggio, ma nell ambito della filosofia analitica, e il suo sfondo sia storico che concettuale è nel lavoro di filosofi quali Frege, Wittgenstein, Austin e Grice. Adattato da: M. Sbisà, Teoria degli atti linguistici: appunti per una storia 4
ALLEGATO 5 soluzione (con eventuali opzioni alternative tra []) La teoria degli atti linguistici La nozione di atto linguistico ha giocato un ruolo importante nella formazione della pragmatica linguistica contemporanea e nel diffondersi di pratiche di analisi del discorso attente agli aspetti operativi e interazionali del linguaggio. La (1) sua influenza sul modo di intendere la comunicazione ha favorito il passaggio da una nozione di comunicazione basata sulla codifica, trasmissione e decodifica di messaggi a una nozione che mette in primo piano le intenzioni comunicative del soggetto parlante. Intesa in senso lato, l influenza della nozione di atto linguistico è dunque molto vasta. Qui non tenteremo di seguirla in tutti i suoi aspetti, ma concentreremo l attenzione sulla corrente di studi che più ampiamente ed esplicitamente ha trattato dell atto linguistico: appunto, la cosiddetta teoria degli atti linguistici. Possiamo caratterizzare quest (2) ultima in base alle sue due idee principali, e cioè: o si deve tracciare una distinzione fra il significato di un enunciato e il modo in cui l enunciato è usato (la sua «forza»); o il proferimento di un enunciato può essere considerato come l esecuzione di un atto, qualunque sia il tipo di enunciato che viene proferito. Queste due (3) idee, prese separatamente, sono state affermate anche da autori che non possono essere considerati come esponenti della teoria degli atti linguistici. Ad esempio, Gottlob Frege ha per primo introdotto la distinzione fra significato e forza, ma la considerazione del linguaggio come azione (4) gli era estranea. D altra parte, Karl Bühler ha usato la nozione di atto linguistico, senza introdurre però una distinzione fra significato e forza. È la congiunzione delle due idee in questione che caratterizza la teoria degli atti linguistici come specifica corrente di pensiero all interno della filosofia del linguaggio e della pragmatica linguistica contemporanee. Nel prendere in considerazione le origini di tale (5) teoria [corrente], ci limiteremo alle sue origini prossime, nel pensiero filosofico e linguistico del Novecento. Naturalmente bisogna tenere presente che molti dei problemi che la teoria degli atti linguistici si è trovata ad affrontare, e in particolare quelli riguardanti la definizione delle funzioni del linguaggio e la loro correlazione con forme linguistiche, esistevano già ben prima di (6) essa [allora]. Già Aristotele distingueva fra il significato delle parole e l assertività dell enunciato dichiarativo. E prima di Aristotele, il sofista Protagora si era mostrato consapevole della varietà degli usi del linguaggio, di cui ha proposto la prima classificazione che sia giunta fino a noi. Nel Novecento, l interesse per le funzioni del linguaggio ha dato origine a una vasta letteratura di carattere psicolinguistico, semiotico e sociolinguistico. Tuttavia, sarebbe errato sia dal punto di vista strettamente storico sia dal punto di vista concettuale considerare questi (7) orientamenti [ambiti; settori; campi] di ricerca come dei contributi alle origini e/o allo sviluppo della teoria degli atti linguistici; essi restano estranei infatti all una o all altra delle idee centrali di questa, quando non ad ambedue. La teoria degli atti linguistici di cui qui ci occuperemo si è sviluppata non nel contesto dei dibattiti sulle funzioni del linguaggio, ma nell ambito della filosofia analitica, e il suo sfondo sia storico che concettuale è nel lavoro di filosofi quali Frege, Wittgenstein, Austin e Grice. Adattato da: M. Sbisà, Teoria degli atti linguistici: appunti per una storia 5