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Penale Sent. Sez. 1 Num. 22556 Anno 2015 Presidente: SIOTTO MARIA CRISTINA Relatore: CAVALLO ALDO Data Udienza: 08/01/2015 sul ricorso proposto da: SENTENZA COMUNALE GIUSEPPE N. IL 18/06/1936 avverso l'ordinanza n. 2034/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di SALERNO, del 30/04/2014 sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ALDO CAVALLO; lette~ le conclusioni del PG Dott. é r. FaAO 50291e~i c,xo e6)-14 fu:ryvv oclae(afrwouv2,9 -tifirmtrcàiq Uditi difensor Avv.;

Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza deliberata il 30 aprile 2014 il Tribunale di Sorveglianza di Salerno applicava a Comunale Giuseppe ex art. 47 ter, comma 1-ter Ord. Pen. e fino al 30 aprile 2015, la misura alternativa della detenzione domiciliare presso la Casa di cura La Quiete, anziché disporre il richiesto rinvio dell'esecuzione della pena. Il Tribunale ravvisava l'esistenza dei presupposti di applicabilità di entrambe gli istituti (rinvio dell'esecuzione e detenzione domiciliare), attesa l'età dell'istante (settantasette anni) la gravità delle condizioni di salute del condannato, tali da richiedere "costanti contatti con i presidi sanitari territoriali", ma optava per la detenzione domiciliare, "sia in considerazione della gravità del reato commesso (omicidio)", sia in quanto la detenzione domiciliare consentiva all'istante "di attendere alle cure della propria salute". 2. Ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell'interessato, che deduce erronea applicazione della legge penale (artt. 146 e 147 cod. pen.) e vizio di motivazione (manifesta illogicità), sostenendo, in estrema sintesi: che essendo le condizioni di salute del Comunale particolarmente gravi ed incompatibili con il regime detentivo, il richiesto rinvio dell'esecuzione "deve essere obbligatoriamente concesso", senza che residui alcun margine di valutazione discrezionale o di ponderazione di fattori o interessi contrapposti; che il riferimento alla gravità del reato commesso non costituisce argomento idoneo per escludere l'applicabilità dell'istituto invocato (differimento della pena); che la illegittimità del provvedimento impugnato non può ritenersi superata dall'applicazione della detenzione domiciliare, anche perché tale misura alternativa non consente di tutelare adeguatamente le ragioni che il legislatore ha posto a base dell'istituto del differimento dell'esecuzione della pena, costituendo nel caso di specie una "mera clausola di stile" l'idoneità della detenzione domiciliare a garantire le cure del ricorrente; l'incompatibilità delle condizioni di salute del Comunale "non è ancorata alla detenzione carceraria, ma alla detenzione in assoluto, anche a quella meramente domiciliare". Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto nell'interesse del Comunale pone il problema del coordinamento tra l'istituto del "rinvio dell'esecuzione della pena" (disciplinato dagli artt. 146 e 147 cod. pen.) e quello della detenzione domiciliare in favore della "persona in condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedano costanti contatti con i presidi sanitari territoriali". cpie-

2. Nel caso di specie, per altro, va anzitutto precisato come costituisca solo una deduzione del ricorrente che si versi in un'ipotesi di rinvio obbligatorio dell'esecuzione: ciò non si afferma, infatti, nel provvedimento impugnato e manca nel ricorso qualsiasi indicazione circa il tipo di patologia da cui lo stesso è affetto, il che non consente al Collegio di apprezzare la fondatezza di tale assunto. In particolare rappresenta un'affermazione del tutto indimostrata del ricorrente quella secondo cui le condizioni di salute del condannato risultano assolutamente incompatibili con lo stato di detenzione, fermo restando, per altro, che la giurisprudenza di questa Corte (Sez. 1, n. 6283 del 27/11/1996 - dep. 04/02/1997, Calzolaio, Rv. 206753) ha da tempo affermato la estraneità, rispetto all'istituto del rinvio dell'esecuzione della pena per grave infermità, del concetto stesso di compatibilità delle condizioni di salute con il regime carcerario. 3. Ciò premesso, e ritornando alla questione principale sollevata nel presente procedimento, ovvero la distinzione tra rinvio dell'esecuzione della pena e detenzione domiciliare, è opportuno evidenziare, come questa Corte ha da tempo chiarito che la detenzione domiciliare, al pari delle altre misure alternative alla detenzione in carcere, ha come finalità il reinserimento sociale del condannato e quale presupposto, "condizioni di salute particolarmente gravi che richiedono costanti contatti con i presidi sanitari territoriali", e che consigliano una espiazione di pena meno afflittiva. "Il differimento della pena previsto dall'art. 147 cod. pen. è invece istituito anteriore all'ordinamento penitenziario vigente, ha finalità diverse dall'individuazione del trattamento più opportuno nei confronti del condannato, in quanto mira ad evitare che l'esecuzione della pena avvenga in spregio del diritto alla salute e del senso di umanità, e quindi rappresenta una conferma del fatto che l'espiazione della pena in tanto ha significato, in quanto tende alla rieducazione del condannato" (Sez. 1, n. 542 del 30/01/1995 - dep. 05/04/1995, De Vincenzo, Rv. 200789). A fronte di una domanda di rinvio dell'esecuzione della pena motivata da grave infermità fisica, spetta quindi al giudice di merito valutare se le condizioni di salute del condannato siano compatibili con la finalità rieducativa della pena e con le possibilità concrete di reinserimento sociale che dalla rieducazione conseguono. Quando, tenuto conto della natura della infermità e di una eventuale prognosi infausta "quoad vitam" a breve scadenza, l'espiazione di una pena appaia contraria al senso di umanità per le eccessive sofferenze che i limiti imposti alla libertà individuale comportano, ovvero sia priva di significato rieducativo in conseguenza delle impossibilità di proiettare in un futuro gli effetti della sanzione sul condannato, troverà applicazione l'istituto del differimento previsto dal codice penale. Qualora invece le condizioni di salute, pur particolarmente gravi, non presentino tali caratteristiche di sofferenza o di 2

prognosi infausta, e richiedano i contatti con i presidi sanitari territoriali indicati dall'art. 47 ter c. 1 lett. c) Ord. pen., potrà essere disposta la detenzione domiciliare. In questa prospettiva, e tenuto conto delle esigenze di tutela collettiva che vanno costantemente considerate in tema di esecuzione della pena, deve essere interpretato il comma 1 ter dell'art. 47 ter Ord. pen., che recita: "Quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 del codice penale, il tribunale di sorveglianza, anche se la pena supera il limite in cui al comma 1, può disporre la applicazione della detenzione domiciliare, stabilendo un termine di durata di tale applicazione, termine che può essere prorogato". Come ben evidenziato nella decisione di questa Corte in precedenza citata (Sez. 1, n. 6283 del 27/11/1996 - dep. 04/02/1997, Calzolaio, Rv. 206753) «la norma, che conferma la sopravvivenza dell'istituto previsto dal codice penale, può destare perplessità nella previsione che, quando si ravvisino i presupposti di applicabilità del rinvio della esecuzione della pena, possa applicarsi la detenzione domiciliare, la disposizione ha in realtà una sua logica, collegata alle esigenze di tutela collettiva, che qualora siano imponenti in relazione alla personalità del condannato possono meglio essere salvaguardate con la detenzione domiciliare piuttosto che con il rinvio della esecuzione, con una scelta che il giudice deve compiutamente motivare». Come condivisibilmente osservato in dottrina "la detenzione domiciliare si configura, dunque, come strumento più duttile con il quale bilanciare il diritto alla salute del condannato e le istanze di difesa sociale". 4. Il descritto coordinamento tra le due norme, per altro, non prevede possibilità di scelte arbitrarie. Nel caso di specie, la motivazione del Tribunale di Sorveglianza in ordine all'istituto applicato si rivela del tutto insufficiente: il provvedimento impugnato, infatti, oltre un riferimento, invero generico, alla possibilità per il condannato di attendere alla cura della propria salute in regime di detenzione domiciliare, sviluppa, in ordine alle ritenute esigenze di tutela collettiva, che devono essere valutate anche in rapporto all'influenza delle condizioni di salute del condannato sulla sua pericolosità sociale, solo un generico riferimento al titolo di reato, senza alcuna ulteriore e specifica indicazione sulle modalità dei delitti commessi dal Comunale e sulla sua attuale pericolosità sociale. 5. L'ordinanza impugnata deve essere conseguentemente annullata, con rinvio al Tribunale che l'ha emessa per nuovo esame, da attuarsi in conformità ai criteri sopra indicati. 3

P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Salerno. Così deciso in Roma, 1'8 gennaio 2015.