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N 01/2012 2 Gennaio 2012 (*) Gentili Colleghe e Cari Colleghi, nell ambito di questa nuova iniziativa editoriale di comunicazione e di immagine, ma pur sempre collegata alla instancabile attività di informazione e di formazione che caratterizza il CPO di Napoli. Oggi parliamo di. IL LAVORATORE TRASFERITO, ANCHE SE NON VARIA LA PROPRIA RESIDENZA, HA DIRITTO A PERCEPIRE L INDENNITA DI TRASFERIMENTO. CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 22695 DEL 2 NOVEMBRE 2011 La Corte di Cassazione, sentenza n 22695 del 2 novembre 2011, ha affermato l importante principio giuridico in base al quale l indennità di trasferimento compete anche al lavoratore che, a seguito della variazione definitiva del luogo abituale di lavoro, non sia costretto a variare la propria residenza. Nel caso de quo gli Ermellini hanno espresso il loro giudizio di legittimità in riferimento alla querelle sorta a seguito del trasferimento di un casellante, dipendente della Società Autostrade, da un casello ad un altro. Tale trasferimento, sicuramente dispendioso per il lavoratore, non aveva però comportato per lo stesso e per la sua famiglia la necessità di variare la residenza anagrafica. 1

I Giudici di Piazza Cavour, secondo l ormai consolidato indirizzo nomofilattico (cfr. sentenze n.ri 12097/2010 e 11103/2006), hanno (ri)confermato che il trasferimento, ex art. 2103 c.c., consiste nel mutamento definitivo del luogo abituale di lavoro, da un unità produttiva ad un altra, intendendosi per tale qualsiasi autonoma articolazione dell azienda (id: il singolo casello deve ritenersi unità produttiva). Inoltre, i Giudici del Palazzaccio hanno relativamente al caso in esame - avallato il deliberato dei Giudici di prime cure che avevano riconosciuto il diritto del lavoratore a percepire l indennità di trasferimento, atteso che la contrattazione collettiva di riferimento prevede il pagamento di tale indennità non soltanto il trasferimento puro e semplice (id: comportante la variazione della residenza) ma in tutti quei trasferimenti che comportano disagi apprezzabili per il lavoratore. Pertanto, secondo i Giudici nomofilattici, il pagamento dell indennità di trasferimento realizza un equa composizione degli interessi in gioco in quanto assicura un minimo di provvidenza al lavoratore per i disagi patiti in seguito al trasferimento anche se lo stesso non ha obbligato il lavoratore a variare la propria residenza. IL PROFESSIONISTA CHE RICHIEDE DECRETO INGIUNTIVO PER IL PAGAMENTO DELL ONORARIO DEVE PRESENTARE LA PARCELLA CORREDATA DAL PARERE DELL ORDINE DI APPARTENENZA. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE CIVILE - SENTENZA N. 22655 DEL 31 OTTOBRE 2011 La Corte di Cassazione II Sezione Civile -, sentenza n 22655 del 31 ottobre 2011, ha stabilito l importante principio in base al quale il professionista che chiede un decreto ingiuntivo per il pagamento dei suoi compensi è tenuto a presentare la parcella vistata dall Ordine di appartenenza. I Giudici di Legittimità, infatti, hanno stabilito che, ai sensi del combinato disposto degli artt. 633 e 636 c.p.c., la domanda monitoria relativa a crediti per prestazioni professionali deve essere accompagnata dalla parcella delle spese e prestazioni, munita della sottoscrizione del ricorrente e corredata dal parere di congruità della competente associazione professionale (id: Ordine professionale). 2

La Corte di Cassazione, con la sentenza de qua, ha accolto le argomentazioni di una società in accomandita semplice che si era opposta al decreto ingiuntivo ottenuto da un ragioniere commercialista per il pagamento della sua parcella. Ecco i fatti. Una società in accomandita semplice proponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Giudice di Pace, con il quale, dietro istanza di un ragioniere commercialista, le era stato intimato il pagamento di una certa somma oltre ad interessi legali per prestazioni professionali. Il giudice adito rigettava l opposizione e stesso esito subiva l appello proposto dall opponente avverso la predetta decisione. Contro le due sentenze di merito, la società presentava ricorso in Cassazione. I Giudici di Piazza Cavour, nell accogliere i motivi di gravame della società ricorrente, hanno evidenziato che, ai fini dell art. 634 c.p.c. (id: prova scritta del credito per il quale si richiede il procedimento monitorio), non può essere ritenuta idonea né la fattura, né la copia autentica del registro IVA. Infatti, i Giudici di Legittimità hanno precisato che, nella fattispecie in esame - trattandosi di ipotesi diversa dalla somministrazione di merci o di denaro, nonché di prestazioni di servizi rese da imprenditori che esercitano un attività commerciale ai fini della prova della sussistenza del credito, condicio sine qua non per l emissione del decreto ingiuntivo, non si poteva prescindere dalla mancanza di un titolo idoneo (id: parere di congruità della parcella emesso dal Consiglio dell Ordine), conformemente al disposto di cui al citato art. 636 c.p.c.. INTERESSI E RIVALUTAZIONE MONETARIA CORRISPOSTI AL LAVORATORE SUBORDINATO COSTITUISCONO REDDITO DA LAVORO DIPENDENTE, IL CUI MOMENTO IMPOSITIVO COINCIDE CON LA PERCEZIONE DEGLI STESSI. CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE TRIBUTARIA - SENTENZA N. 19325 DEL 22 SETTEMBRE 2011 La Corte di Cassazione Sezione Tributaria -, sentenza n 19325 del 22 settembre 2011, ha (ri)confermato che le somme corrisposte a un dipendente per interessi e rivalutazione monetaria sugli arretrati dello stipendio sono soggetti a tassazione, poiché si tratta di un'erogazione economica connessa al rapporto di lavoro. 3

Infatti, i Giudici di Legittimità hanno statuito che interessi e rivalutazione costituiscono, al pari di qualsiasi altra erogazione economica che abbia titolo nel rapporto di lavoro, reddito da lavoro dipendente assoggettabili a tassazione ai sensi dell art. 6 del T.U.I.R., il D.P.R n. 917/86 (così come modificato con effetto dal 30 dicembre 1993 dall art. 1 del d.l. n. 557 del 1993, convertito con modificazioni nella L. n. 122 del 1994), anche se maturati in epoca anteriore al 1994, ed indipendentemente dalle cause del ritardo nel pagamento, in quanto la percezione costituisce il momento decisivo ai fini dell imposizione fiscale prevista dalla normativa citata. Come noto, l'articolo 6 del T.U.I.R. prevede che i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento danni consistenti nella perdita di redditi, tranne quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti. Secondo i Giudici di Piazza Cavour questa regola vale anche per gli interessi maturati prima del 1994, cioè prima della modifica del contenuto dell art.6 TUIR, con la conseguenza che anche prima della predetta novella - interessi moratori e quelli percepiti per dilazione di pagamento costituiscono redditi della stessa categoria di quelli da cui derivano i crediti su cui sono maturati. Il reddito di lavoro dipendente è infatti costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, in base al c.d. principio di cassa, per cui ai fini della tassazione a nulla rileva il periodo temporale di riferimento degli emolumenti avente carattere retributivo, ciò che conta è il momento di percezione. Nel caso in esame, un avvocato dello Stato aveva impugnato il silenzio rifiuto del Fisco in seguito alla presentazione di un'istanza di rimborso delle ritenute fiscali operate dall'amministrazione di appartenenza su interessi e rivalutazione monetaria pagati sugli arretrati dello stipendio riguardante periodi anche ante 1994. Il ricorso era stato accolto in primo grado, ma la sentenza veniva riformata in appello poiché, secondo la C.T.R., interessi e rivalutazione non possono che avere lo stesso trattamento fiscale dello stipendio. Inoltre, i Giudici del Palazzaccio hanno anche rilevato che la rivalutazione monetaria non costituisce una forma di risarcimento del danno, ma è una componente essenziale del credito di lavoro tardivamente soddisfatto, per cui 4

in base ai dettami degli artt. 6 e 49 comma 2 lett. b del T.U.I.R. va assoggettata al regime di tassazione proprio dei redditi di lavoro dipendente. IL CARPENTIERE LICENZIATO NON HA DIRITTO AL REPECHAGE COME MURATORE. CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 19837 DEL 28 SETTEMBRE 2011 La Corte di Cassazione, sentenza n 19837 del 28 settembre 2011, ha affermato che il repechage deve consentire al lavoratore di conservare il bagaglio di esperienze e professionalità maturati nel corso del rapporto. Come noto, infatti, in caso di licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo è onere del datore di lavoro dimostrare sia la sussistenza delle ragioni poste su fondamento dell atto risolutivo del rapporto di lavoro, sia l impossibilità di ricollocare il lavoratore all interno dell azienda (id. obbligo di repechage). Con la sentenza de qua, i Giudici nomofilattici si sono pronunciati nella controversia insorta fra un azienda edile ed un carpentiere, licenziato per ultimazione della fase lavorativa, il quale rivendicava la possibilità di essere ricollocato con mansione di muratore, adducendo, a sostegno della propria prospettazione, di aver già svolto tale attività nel corso del rapporto lavorativo intercorso sebbene per un breve periodo di tempo. Orbene, gli Ermellini, uniformandosi al giudicato del grado di appello, parzialmente modificativo del deliberato di primo grado, non hanno ritenuto sufficienti le motivazioni addotte dal lavoratore, escludendo quindi l obbligo di repechage nei termini dallo stesso richiesti. I Giudici del Palazzaccio, infatti, hanno evidenziato che correttamente i Giudici della Corte distrettuale avevano rilevato che il lavoratore aveva svolto la mansione di muratore per un brevissimo lasso di tempo (7 giorni una prima volta e 4/5 giorni una seconda volta). Pertanto, nel caso di specie, stante la diversità sostanziale delle mansioni ed il loro contenuto professionale (carpentiere specializzato/muratore comune), una ricollocazione forzata del lavoratore con una mansione espletata per un ristrettissimo arco temporale ed in modo del tutto occasionale, avrebbe comportato una attribuzione a mansioni inferiori legalmente non consentita. 5

LA RICHIESTA DEL TENTATIVO DI CONCILIAZIONE EX ART. 410 C.P.C. NON PRODUCE PER IL LAVORATORE LA SOSPENSIONE DEL TERMINE QUINQUENNALE DI PRESCRIZIONE AI FINI DELL ESERCIZIO DEL DIRITTO DA AZIONARE. CORTE DI CASSAZIONE - SENTENZA N. 21483 DEL 18 OTTOBRE 2011 La Suprema Corte, sentenza n 21483 del 18 ottobre 2011, si è pronunciata - nel quadro della disciplina vigente antecedentemente la riforma di cui alla Legge 4 novembre 2010 n 183 del 2010 (id: Collegato lavoro) - in materia di effetti interruttivi della prescrizione in caso di attivazione del procedimento di conciliazione innanzi alla Direzione Provinciale del Lavoro, di cui al previgente art. 410 c.p.c., 2 comma. Ecco la vicenda. Un dipendente del Ministero dell Interno, impugnato il licenziamento con preavviso intimatogli per ragioni disciplinari con provvedimento del 3 maggio 2002, aveva presentato la richiesta del tentativo di conciliazione ex art.410 c.p.c. il 24 giugno 2002. Dopo un lungo periodo di inerzia, in data 9 settembre 2007 aveva notificato ricorso giudiziario, ex art. 414 c.p.c. I giudici del gravame, con sentenza del 16 dicembre 2008 - contrariamente alla decisione del giudice di prime cure - accoglievano l eccezione di prescrizione quinquennale dell azione di annullamento del licenziamento coltivata dal Ministero. Il lavoratore, ex adverso, ricorreva per la cassazione della sentenza, sostenendo la tempestività del ricorso introduttivo giacché, secondo la sua prospettazione, durante il periodo entro cui deve esaurirsi il tentativo obbligatorio di conciliazione ex art. 410 c.p.c. deve reputarsi altresì sospeso il termine di prescrizione del diritto azionato, sino al termine di venti giorni successivi alla conclusione della suddetta procedura, di guisa che, l attivazione del procedimento di conciliazione possa essere equiparato alla proposizione della domanda giudiziale, ai fini della prescrizione. La Suprema Corte - nel richiamare quanto già stabilito dalla pronuncia 1 giugno 2006 n 13046, ha affermato che, senza ricorrere a criteri ermeneutici o ad argomenti extra testuali (in claris non fit interpretatio), già il tenore letterale dell art. 410 c.p.c., 2 comma, non consente di ritenere che l instaurazione del tentativo obbligatorio di conciliazione comporti anche la sospensione del decorso del termine 6

prescrizionale durante il suo svolgimento e nei 20 giorni successivi alla sua conclusione. Peraltro, ad adiuvandum, gli Ermellini hanno precisato che l assolvimento di una mera condizione di procedibilità non possa confondersi con la domanda giudiziale. Da ultimo, i Giudici di Piazza Cavour, hanno affermato che per effetto di siffatta interpretazione, in ogni caso, il complessivo termine di prescrizione non può dirsi apprezzabilmente accorciato, sessanta giorni (entro cui deve esaurirsi il tentativo di conciliazione), su un totale di ben cinque anni di termine di prescrizione dell azione di annullamento. La Redazione di questa Rubrica augura a tutti i lettori Buon Anno 2012!!!! Ad maiora IL PRESIDENTE EDMONDO DURACCIO (*) Rubrica contenente informazioni riservate ai soli iscritti all Albo dei Consulenti del Lavoro di Napoli. Riproduzione, anche parziale, vietata. Con preghiera di farla visionare ai Praticanti di studio!! HA REDATTO QUESTO NUMERO LA COMMISSIONE COMUNICAZIONE SCIENTIFICA ED ISTITUZIONALE DEL CPO DI NAPOLI COMPOSTA DA FRANCESCO CAPACCIO, PASQUALE ASSISI, GIUSEPPE CAPPIELLO E PIETRO DI NONO. 7