Capitolo 1. INTRODUZIONE



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Capitolo 1. INTRODUZIONE 1.1 PROBLEMA Purtroppo nel mondo, quotidianamente avvengono disastri, incidenti maggiori che provocano la morte, la distruzione di strutture, il ferimento di persone. Prevenire, intervenire nell emergenza e cercare di ristabilire la normalità è cosa non semplice. Quando, a causa di una maxiemergenza, si ha il coinvolgimento di molte persone, siano esse ferite nel corpo e/o nella psiche, il sistema sanitario extra ed intra ospedaliero viene coinvolto. La gestione di un massiccio numero di feriti mette a dura prova tutto il sistema di risposta, e l ospedale, struttura rigida e preparata per gestire quotidianamente emergenze singole, ha la necessità di reinventarsi perché il coordinamento, l organizzazione dello stesso deve modificarsi per poter assistere e salvare il maggior numero di persone nel minor tempo possibile. Altrettanto frequente è la possibilità che la struttura ospedaliera subisca dei danneggiamenti a causa di eventi naturali e non (terremoti, incendi, ecc.) e che questo comporti ancora una volta la diminuzione della sua operatività, fino ad arrivare a casi estremi di evacuazione parziale o totale dei degenti. Per poter agire con rapidità e correttezza è necessaria una pianificazione a monte e tanta formazione del personale che si troverà in prima linea. L ospedale però non può organizzarsi e lavorare estraniandosi dal sistema, è parte di esso e punto di arrivo. Se non ci fosse coordinamento, integrazione, collaborazione con tutti gli organismi deputati alla gestione delle emergenze, in molti casi gli 1

ospedali si troverebbero isolati e non capaci di gestire in modo ottimale le richieste e i bisogni delle vittime. Il personale sanitario è portato a pensare al proprio ambito e a sottovalutare gli aspetti non proprio legati alla salute, ma la pianificazione ospedaliera deve essere collegata ed integrata ad una pianificazione interospedaliera ed interorganizzativa. Il coordinamento, in caso di catastrofe, in Italia è dato alla Protezione Civile che con la propria organizzazione arriva in modo capillare su tutto il territorio nazionale. Grazie al servizio della protezione civile della Regione Marche e al gruppo di volontari sanitari dell ARES (Associazione Regionale Emergenza Sanitaria e Sociale), nel 2004 si è attuato un progetto di miglioramento che aveva portato alla formazione del personale e all adozione, in tutti gli ospedali della Regione, del Piano di Emergenza Intra-Ospedaliero di Massiccio Afflusso Feriti (PEIMAF). Negli anni a seguire si sono effettuate simulazioni e/o aggiornamenti dei piani ma in modo difforme e spesso sporadicamente. A distanza di 6 anni dalle prime elaborazioni dei piani intra-ospedalieri si è sentita quindi l esigenza di rimettere mano ai PEIMAF regionali in modo generale, organico e coordinato. Lo scopo di questa tesi è ricercare le problematiche e le criticità legate alla risposta reale di una maxiemergenza, come quella del terremoto dell Aquila del 2009; non solo quelle direttamente legate all ospedalizzazione dei feriti, ma anche organizzative e di sistema, nel cratere dell evento e in ambito regionale; valutare lo stato di preparazione degli ospedali della provincia di Ancona, verificando la presenza o meno delle criticità evidenziate nel caso recente dell Aquila; 2

agire poi a livello regionale per mantenere ragionevolmente alto il livello di attenzione rispetto ai PEIMAF, aggiornando e migliorando i piani già in uso con l ausilio di check-list al fine di uniformarne collegialmente i contenuti. Ma chi è la Protezione Civile in Italia, cosa fa e come è organizzata? 3

1.2 LA PROTEZIONE CIVILE IN ITALIA La legge n. 225 del 24 febbraio 1992 istituisce il Servizio Nazionale della Protezione Civile e l ultima modifica dello stesso è avvenuta recentemente con la legge n. 100 del 12 luglio 2012. Il fine della Protezione Civile Italiana è di tutelare l'integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l'ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e da altri eventi calamitosi. Il Presidente del Consiglio è a capo di tutte le attività e le promuove e coordina avvalendosi del Dipartimento della Protezione Civile. In base alle dimensione dell evento e quindi alla risposta organizzativa necessaria alla risposta, è stata fatta una classificazione : a) eventi naturali o connessi con l'attività dell'uomo che possono essere fronteggiati mediante interventi attuabili dai singoli enti e amministrazioni in via ordinaria; b) eventi naturali o connessi con l'attività dell'uomo che per loro natura ed estensione comportano l'intervento coordinato di più enti o amministrazioni via ordinaria; c) calamità naturali o connesse con l'attività dell'uomo che in ragione della loro intensità ed estensione debbono, con immediatezza d'intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo. Ma le competenze della Protezione Civile non risiedono solo nella risposta all emergenza; le attività e i compiti sono infatti chiaramente definiti e si trovano principi di previsione, prevenzione e mitigazione dei rischi, oltre al soccorso delle popolazioni sinistrate. La previsione consiste nelle attività dirette all'identificazione degli scenari di rischio probabili, al preannuncio, al 4

monitoraggio, alla sorveglianza e alla vigilanza in tempo reale degli eventi e dei conseguenti livelli di rischio attesi. La prevenzione consiste nelle attività volte a evitare o a ridurre al minimo la possibilità che si verifichino danni conseguenti agli eventi. Questa si esplica attraverso l'allertamento, la pianificazione dell'emergenza, la formazione, la diffusione della conoscenza della protezione civile nonché l'informazione alla popolazione, l'applicazione della normativa tecnica e l'attività di esercitazione. Il soccorso consiste nell'attuazione degli interventi integrati e coordinati di prima assistenza. Il superamento dell'emergenza consiste nell'attuazione delle iniziative atte a rimuovere gli ostacoli, alla ripresa delle normali condizioni di vita. In questa parte del documento si intravedono le fasi del ciclo del disastro con le azioni da attuare per contrastare il verificarsi o i danni dovuti all evento. Inoltre la norma chiarisce che i piani e i programmi di gestione, tutela e risanamento del territorio devono essere coordinati con i piani di emergenza di protezione civile e a quelli deliberati dalle regioni in ottemperanza alla modifica del titolo V della costituzione. Particolare rilievo viene dato al sistema di allerta nazionale per il rischio meteo-idrogeologico e idraulico, a causa degli ultimi eventi accaduti sul territorio nazionale e la reale possibilità di prevederli attraverso strumentazioni specifiche, così anche la gestione delle reti di monitoraggio e uso delle radio-frequenze che sono ora di competenza delle regioni. Rispetto alla direzione e coordinamento delle attività di previsione, prevenzione e soccorso viene ribadito che il Dipartimento della protezione civile deve predisporre i programmi nazionali in relazione alle varie ipotesi di rischio, piani di soccorso e di emergenza, e al fine di consentire opportune 5

verifiche della efficienza dei programmi e dei piani, dispone la esecuzione di periodiche esercitazioni, promuove studi sulla previsione e prevenzione delle calamità naturali e delle catastrofi ed impartisce indirizzi ed orientamenti per l'organizzazione e l'utilizzazione del volontariato. Nel momento del verificarsi dello stato di emergenza e specificatamente degli eventi di tipo c), o nella loro imminenza, il Presidente del Consiglio, d'intesa con le regioni colpite, delibera lo stato di emergenza che può durare non più di 90 giorni, estendibili ad ulteriori 30, determinandone durata ed estensione territoriale in stretto riferimento alla qualità ed alla natura degli eventi. La norma delinea molto chiaramente il percorso che devono seguire le varie ordinanze (chi e come devono essere emanate) relativamente all'organizzazione e all'effettuazione dei servizi di soccorso e di assistenza alla popolazione interessata dall'evento, alla messa in sicurezza degli edifici pubblici e privati e dei beni culturali gravemente danneggiati o che costituiscono minaccia per la pubblica e privata incolumità, al ripristino delle infrastrutture e delle reti indispensabili per la continuità delle attività economiche e produttive e per la ripresa delle normali condizioni di vita, e comunque agli interventi volti ad evitare situazioni di pericolo o maggiori danni a persone o a cose. Per l'attuazione degli interventi previsti il Dipartimento della protezione civile si avvale delle componenti e delle strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile coordinandone l'attività e impartendo specifiche disposizioni operative. Le Componenti del Servizio nazionale della protezione civile sono le amministrazioni dello Stato, le regioni, le province, i comuni e le comunità montane, e vi concorrono gli enti pubblici, gli 6

istituti ed i gruppi di ricerca scientifica con finalità di protezione civile, nonché ogni altra istituzione ed organizzazione anche privata, i cittadini ed i gruppi associati di volontariato civile, gli ordini ed i collegi professionali. Le Strutture operative sono: a) il Corpo nazionale dei vigili del fuoco quale componente fondamentale della protezione civile; b) le Forze armate; c) le Forze di polizia; d) il Corpo forestale dello Stato; e) i Servizi tecnici nazionali; f) i gruppi nazionali di ricerca scientifica, l'istituto nazionale di geofisica ed altre istituzioni di ricerca; g) la Croce rossa italiana; h) le strutture del Servizio sanitario nazionale; i) le organizzazioni di volontariato; l) il Corpo nazionale soccorso alpino - CNSA (CAI). ed hanno compiti di supporto e consulenza per tutte le amministrazioni componenti il Servizio nazionale della protezione civile. A livello centrale troviamo organi quali il Consiglio, la Commissione e il Comitato nazionale con compiti rispettivamente di indirizzo generale, consulenza rispetto alla previsione e prevenzione dei rischio, direzione unitaria ed il coordinamento della attività di emergenza. Molto chiare sono anche le competenze delle Regioni, delle Province con il coinvolgimento dei prefetti e dei Comuni con i loro sindaci. 7

Le regioni partecipano all'organizzazione e all'attuazione delle attività di protezione civile assicurando lo svolgimento delle attività di protezione civile. Provvedono alla predisposizione ed attuazione dei programmi regionali di previsione e prevenzione in armonia con le indicazioni dei programmi nazionali. Provvedono all'ordinamento degli uffici ed all'approntamento delle strutture e dei mezzi necessari per l'espletamento delle attività di protezione civile, avvalendosi di un apposito Comitato regionale di protezione civile. Le province assicurano lo svolgimento dei compiti relativi alla rilevazione, alla raccolta ed alla elaborazione dei dati interessanti la protezione civile, alla predisposizione di programmi provinciali di previsione e prevenzione e alla loro realizzazione, in armonia con i programmi nazionali e regionali. In ogni capoluogo di provincia è istituito il Comitato provinciale di protezione civile dove troviamo un rappresentante del prefetto. Il prefetto, anche sulla base del programma provinciale di previsione e prevenzione, predispone il piano per fronteggiare l'emergenza su tutto il territorio della provincia e ne cura l'attuazione. Al verificarsi di uno degli eventi calamitosi di tipo b) e c) informa il Dipartimento della protezione civile, il presidente della giunta regionale e il Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell'interno; assume, coordinandosi con il presidente della giunta regionale, la direzione unitaria dei servizi di emergenza da attivare a livello provinciale, coordinandoli con gli interventi dei sindaci dei comuni interessati; adotta tutti i provvedimenti necessari ad assicurare i primi soccorsi; vigila sull'attuazione, da parte delle strutture provinciali di protezione civile, dei servizi urgenti, anche di natura tecnica. 8

Al comune viene data la possibilità di dotarsi di una struttura di protezione civile, ma è il sindaco l autorità comunale di protezione civile. Al verificarsi dell'emergenza nell'ambito del territorio comunale, il sindaco assume la direzione dei servizi di emergenza sul suo territorio, il coordinamento dei servizi di soccorso e di assistenza alle popolazioni colpite e provvede agli interventi necessari dandone comunicazione al prefetto e al presidente della giunta regionale. Il comune approva il piano di emergenza comunale in materia di protezione civile, provvede alla verifica e all'aggiornamento periodico dello stesso, trasmettendone copia alla regione, alla prefettura e alla provincia. Quando la calamità naturale o l'evento non possono essere fronteggiati con i mezzi a disposizione del comune, il sindaco chiede l'intervento di altre forze e strutture al prefetto. Interessante è il sistematico passaggio di comunicazioni tra i vari livelli della risposta, la verifica e l aggiornamento dei piani, l attivazione del livello più alto solo su richiesta. La norma infine auspica la più ampia partecipazione dei cittadini, delle organizzazioni di volontariato di protezione civile all'attività di previsione, prevenzione e soccorso, in vista o in occasione di calamità naturali, catastrofi o eventi assicurandone però il coordinamento. I volontari costituiscono una delle componenti più vitali del sistema: oltre ottocentomila persone, distribuite sul territorio nazionale, aderiscono a organizzazioni che operano in molteplici settori specialistici. Nell'elenco nazionale del Dipartimento della Protezione Civile sono iscritte oltre 4.000 organizzazioni, tra cui oltre 3.850 organizzazioni locali in diverse Regioni 9

italiane. Nella Regione Marche, un esempio di volontariato molto importante e specifico per la risposta nelle maxiemergenze è rappresentato dall ARES. Ma chi è il volontario e cos è l ARES? 10

1.3 IL VOLONTARIATO Il volontariato di Protezione civile è nato sotto la spinta delle grandi emergenze verificatesi in Italia a partire dall'alluvione di Firenze del 1966 fino ai terremoti del Friuli (1976) e dell'irpinia (1980). In occasione di questi eventi si verificò una grande mobilitazione spontanea di cittadini di ogni età e condizione, affluiti da ogni parte del paese nelle zone disastrate per "dare una mano". Ciò che mancava non era la solidarietà della gente, bensì un sistema pubblico organizzato che sapesse impiegarla e valorizzarla. Il Presidente della Repubblica rivolgeva un appello agli italiani, con queste parole: "Voglio rivolgere anche a voi Italiane e Italiani un appello, senza retorica, che sorge dal mio cuore..., qui non c'entra la politica, qui c'entra la solidarietà umana, tutti gli Italiani e le Italiane devono sentirsi mobilitati per andare in aiuto di questi fratelli colpiti da questa sciagura". La prima legge organica del dopoguerra - che cita il volontariato - è la 996/70, successiva appunto all alluvione di Firenze. L atto prevede la possibilità per i volontari occasionali e spontanei, come gli Angeli del Fango, di partecipare alla attività di soccorso e di essere iscritti in un elenco nelle Prefetture. Da allora è iniziata l'ascesa del volontariato di Protezione civile, espressione di coscienza collettiva del dovere di solidarietà. Negli anni, la legislazione ha riconosciuto il valore del volontariato associato (legge quadro 266/91), come espressione di solidarietà, partecipazione e pluralismo, incoraggiandone e sostenendone sia la cultura che lo sviluppo organizzativo. Specificamente formato e addestrato, opera mediante prestazioni 11

personali, volontarie e gratuite, svolte da persone che aderiscono a organismi liberamente costituiti senza fini di lucro. È la legge 225/92 - istitutiva del Servizio nazionale della protezione civile - che inquadra il volontariato organizzato e non occasionale e che gli riconosce il ruolo di "componente" (art. 6) e di struttura operativa del Servizio Nazionale (art. 11) assicurandone (art. 18) il coinvolgimento in ogni attività di protezione civile, con l approvazione di un regolamento dedicato. In questi anni, inoltre, lo Stato tende a far riferimento soprattutto alle grandi organizzazioni con le quali collabora per il coordinamento nazionale del settore. Le riforme sul decentramento amministrativo (D. Lgv. 112/98), in seno alle autonomie locali (Regioni, Province e Comuni) hanno aiutato lo sviluppo di associazioni di volontariato sul tutto il territorio nazionale. L'obiettivo condiviso con le Associazioni di volontariato di Protezione civile è di creare in ogni territorio un servizio di pronta risposta alle esigenze della Protezione civile, in grado di operare integrandosi, con gli altri livelli di intervento previsti nell'organizzazione del sistema nazionale della Protezione civile, valorizzando le forze della cittadinanza attiva ed organizzata presente in ogni comune d'italia. Le organizzazioni di volontariato che intendono collaborare nel sistema pubblico di Protezione civile, si devono iscrivere in appositi albi o registri, regionali e nazionali. Si tratta di associazioni a carattere nazionale e di associazioni locali, queste ultime tra di loro coordinate sul territorio dai comuni (gruppi comunali), 12

province e regioni, in modo da formare, in caso di necessità, un'unica struttura di facile e rapida chiamata per gli interventi. Per la grande importanza che ricopre tale componente, sebbene l opera del volontariato sia assolutamente gratuita, il Decreto del Presidente della Repubblica 194 del 2001 è andato a definire: le procedure per la concessione di contributi per il potenziamento delle attrezzature ed il miglioramento della preparazione tecnica alle organizzazioni, le procedure per assicurare la partecipazione delle organizzazioni all'attività di predisposizione ed attuazione di piani di protezione civile, i criteri per i rimborsi dei gruppi associati che svolgono attività di previsione, prevenzione e soccorso. Inoltre il legislatore ha provveduto a tutelare i volontari lavoratori garantendo a coloro impegnati in attività di formazione e soccorso la conservazione del posto di lavoro e della relativa retribuzione; successivamente la pubblica amministrazione provvederà a rimborsare ai datori di lavoro gli oneri così sostenuti. Per verificare e testare i modelli organizzativi d'intervento in emergenza, il Dipartimento e le Regioni promuovono esercitazioni che simulano situazioni di rischio a cui le organizzazioni di volontariato partecipano. Come struttura operativa del sistema nazionale di protezione civile, possono anche promuovere e organizzare prove di soccorso che verificano la capacità di ricerca e intervento. Il ruolo del volontariato è fondamentale durante un'emergenza: la Funzione di supporto Volontariato è fra le prime ad essere attivata e si struttura in una "Segreteria amministrativa" e in un "Coordinamento del volontariato". La Segreteria gestisce gli arrivi e le partenze dei volontari, la loro dislocazione 13

nelle zone operative, censisce materiali e mezzi, fornisce supporto organizzativo e amministrativo. Il Coordinamento acquisisce e rende esecutive le esigenze della Sala Operativa, convoca e attiva gruppi specializzati, individua le risorse da distribuire al volontariato, si occupa della supervisione logistica delle presenze degli operatori; attiva i coordinamenti nazionali e regionali, si coordina con altri enti e Istituzioni, gestisce la banca dati delle organizzazioni a fini operativi. In emergenza la Funzione Volontariato si coordina con tutte le altre funzioni di supporto in particolare con le funzioni assistenza alla popolazione, materiali e mezzi e telecomunicazioni. La Regione Marche, riconoscendo e valorizzando la specifica funzione sociale del volontariato nelle attività di protezione civile, si è dotata di specifica normativa di settore L.R. 32/01 (art. 16) individuando compiti e funzioni della Regione stessa e degli Enti e delle strutture del Sistema regionale Marche di protezione civile. Pertanto, relativamente al volontariato la legge regionale: promuove la partecipazione delle organizzazione di volontariato di protezione civile alle attività di previsione, prevenzione e soccorso; formula indirizzi relativi all utilizzo del volontariato di protezione civile a livello provinciale, sovracomunale e comunale; costituisce, un apposito "Registro regionale delle organizzazioni di volontariato di Protezione Civile periodicamente aggiornato al fine di individuare quelle Organizzazioni che, dispongono degli specifici requisiti necessari (struttura organizzativa, affidabilità, esperienza, 14

capacità logistica, capacità d intervento e dotazione, ecc..) per partecipare alle attività di cui alla legge stessa. In ambito regionale, a tutt oggi, sono iscritte al Registro regionale delle organizzazioni di volontariato di Protezione Civile 117 Gruppi comunali 87 Associazioni oltre 2.200 volontari (se si considera il volontariato di tipo socio- assistenziale e sanitario) Il volontariato specializzato in attività di protezione civile costituisce uno degli elementi cardine del Sistema di protezione civile, sia a livello nazionale sia a livello locale. Molte Regioni si sono autonomamente organizzate e, spesso, garantiscono alle organizzazioni di volontariato iscritte nei propri registri alcuni benefici. Più è alto il livello organizzativo delle associazioni, più solide sono la loro efficacia e la loro autonomia. 15

1.4 UN ESEMPIO DI VOLONTARIATO IN PROTEZIONE CIVILE: L ARES (Associazione Regionale Emergenza Sanitaria e Sociale) Marco Esposito (1959-2011), medico chirurgo, fondatore dell ARES, per spiegare chi è il volontario scriveva: L umanitarismo o filantropia è il sentimento di carità e solidarietà verso gli altri e si manifesta soprattutto in forme di assistenza o aiuto a chi soffre o è bisognoso. Chi sono dunque quelle persone che dedicano una parte importante della loro vita per organizzare le risposte mediche a quelle situazioni di disastro che sfuggono al controllo umano? Non c è un vantaggio professionale o economico, né è qualcosa che si deve fare perché fa parte del lavoro, non ci sono premi, medaglie o riconoscimenti, anzi spesso si corre il pericolo per il benessere degli altri. In un mondo pieno di agitazione, incomprensioni, di mancanza di rispetto e gelosie, questa filosofia unisce le persone in ogni angolo del mondo, cementa rapporti fra persone con culture profondamente differenti, generando rispetto reciproco. In definitiva, l umanitarismo è il cuore e l anima stessa della medicina e si esalta nella medicina delle catastrofi. Sapersi calare nel dolore di chi soffre è, in qualche modo, prepararsi alla gioia del vivere. Ma andiamo a capire la specificità di questa associazione di volontariato. L associazione ARES Marche nasce nel dicembre 1999 per iniziativa di alcuni operatori sanitari che hanno partecipato all intervento della Regione Marche nell ambito della Missione Arcobaleno in Albania a favore della popolazione del Kosovo. L ARES persegue, senza fini di lucro, 16

esclusivamente finalità di solidarietà sanitaria e sociale nel campo dell assistenza alle persone colpite da eventi calamitosi attraverso l organizzazione e la formazione degli associati, è iscritta all elenco nazionale delle Associazioni Onlus di Protezione Civile e si configura come risorsa sanitaria straordinaria che si attiva attraverso la SOUP (Sala Operativa Unificata Permanente) del Dipartimento di Protezione Civile nelle situazioni in cui le necessità di una zona disastrata eccedano le capacità sanitarie proprie, anche in sede extra regionale e nazionale. Attualmente sono iscritti all ARES 600 sanitari non solo marchigiani ma da quasi tutto il territorio nazionale ed è per questo che da ARES Marche si è passati al nome di ARES Italia. L Associazione crede nella formazione e nell organizzazione ed è proprio in questi ambiti che si applica maggiormente. La formazione è la base per la riuscita degli interventi sempre e a maggior ragione in situazione di catastrofe dove è necessario ridurre il divario tra le necessità e le capacità di risposta sanitaria locale. Particolare importanza, dal punto di vista formativo, rivestono le numerose simulazioni sul campo effettuate con le altre componenti della Protezione Civile. Ma per disporre di una forza strutturata, formata ed organizzata in qualsiasi momento e non solo in occasione di eventi programmati, c era la necessità di formalizzare gli impegni reciproci della Regione Marche, Servizi Sanità, Politiche Comunitarie e Cooperazione allo Sviluppo, Protezione Civile e dell ARES mediante convenzione. Nel 2008 con Delibera della Giunta Regionale n. 1900 Indirizzi per la promozione delle attività di volontariato, la cui specializzazione rientri nell ambito della medicina delle grandi emergenze 17

e delle catastrofi, e per la predisposizione delle relative convenzioni ulteriore conferma e forza viene data alla collaborazione tra Protezione Civile ed organizzazioni di volontariato la cui specializzazione rientri nell ambito della medicina delle grandi emergenze e delle catastrofi, riconoscendo ad esse un ruolo essenziale, la possibilità di utilizzare attrezzature e locali della Regione, la stipula di apposita convenzione dietro approvazione del dirigente del Dipartimento di Protezione Civile che ne darà comunicazione al Dirigente del Servizio Salute. Questa va a regolamentare la pronta disponibilità dell associazione e degli associati, partendo dal presupposto di non mettere in difficoltà le strutture ospedaliere per la contemporanea partenza in missione di più professionisti della stessa unità operativa, ed ancora una volta si parla dell importanza della formazione favorendo la partecipazione a corsi specifici di medicina delle grandi emergenze e delle catastrofi. Nel 2009 viene stipulata l ultima convenzione tra la Regione Marche e l ARES che detta gli impegni della Regione: contributo di 5000.00 euro l anno, il rimborso delle spese per ogni attivazione, garanzia agli associati delle disposizioni vigenti, a favorire la partecipazione al modulo sanitario ed esercitazioni nazionali ed internazionali, affidamento di locale e materiale, assicurare la pronta disponibilità se richiesto, assicurare la disponibilità di un infermiere e medico per unità operativa per ogni evento, a rendere disponibili strutture e attrezzature e locali, a valutare le attività formative dei soci con la possibilità di specifici contributi; gli impegni dell Ares sono: garantire la continuità dell ordinario dei soci all interno delle strutture sanitarie in caso di attivazione, trasferire professionalità ed esperienza nelle strutture ospedaliere, collaborare nella progettazione e realizzazione di attività formative per tutte le 18

componenti del sistema, collaborare nella progettazione e definizione di procedure e modelli extra-ordinem, collaborare nella definizione di materiali e mezzi idonei, contribuire a mantenere in uso materiali e attrezzature, presentare ogni anno un ipotisi di programma di attività formative, a comunicare alla SOUP la partecipazione ad attività di formazione, emergenza, esercitazioni e manifestazioni per l attivazione della polizza assicurativa. La Regione Marche si è dotata quindi di una colonna mobile volontaria sanitaria altamente formata e motivata dotandola allo stesso tempo delle attrezzature sanitarie e logistiche necessarie per un adeguata risposta sia alle situazioni critiche locali, che alle grandi catastrofi nazionali ed internazionali. Questa convenzione pone l ARES in una posizione di importante riconoscimento regionale e al contempo l impegna a prepararsi adeguatamente per rispondere alle aspettative prodotte. La crescita dell ARES passa attraverso tappe che progressivamente l hanno vista impegnata, assieme ad altre associazioni di volontariato di Protezione Civile, in interventi quali grandi raduni di massa, spettacoli e grandi eventi nazionali, come quello di Loreto nel settembre 2004. Questo è stato per l Associazione un evento fondamentale di crescita che si è concretizzata nell acquisizione da parte del Dipartimento Regionale di Protezione Civile di tutto quel materiale e strumenti necessari per la dotazione di un ospedale da campo, sulla base del progetto ARES ed in osservanza della convenzione sopra citata. L occasione ha rappresentato anche un importante fase progettuale circa l impianto dell organizzazione sanitaria di un evento nazionale, così come un ottima prova di collaborazione fra istituzione e volontariato, nell integrazione fra tutte le forze intervenute. 19

L ARES è stata attivata per intervenire con attrezzatura, assistenza sanitaria e psicologica in diversi eventi: terremoto del Molise del 2002; terremoti del 2003-2004 in Marocco, Algeria ed Iran; maremoto del Sud Est Asiatico 2004; esequie di Giovanni Paolo II nel 2005 Grande Evento XXIV Congresso Eucaristico Nazionale di Bari 2005 simulazione europea EUROSOT 2005; terremoto del Pakistan 2005-2006 Cawas e Klaten nell isola di Java 2006; terremoto d Abruzzo 2009 terremoto di Haiti 2010 Grande Evento XXV Congresso Eucaristico Nazionale di Ancona 2011. L ARES è stata inoltre da stimolo per la crescita della coscienza dei sanitari sulle problematiche della maxiemergenza. Per questo si sono concretizzati progetti che vedono la realizzazione di un primato nazionale, cioè quello che tutti gli ospedali della regione siano dotati non solo di Piani di Massiccio Afflusso di Feriti, ma anche di personale sensibilizzato e cosciente delle tematiche. Infatti, con Decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 49 del 17/02/2004, modificato ed aggiornato del Decreto del Presidente della Giunta Regionale n. 60 del 27/03/2012, la regione Marche ha riconosciuto quale obiettivo prioritario, la redazione e l aggiornamento dei piani di emergenza intraospedaliera per il massiccio afflusso di feriti (PEIMAF) dell ASUR e delle Aziende Ospedaliere del 20

Territorio, per un adeguata pianificazione dell emergenza. Anche le problematiche inerenti il rischio chimico sono state affrontate con la costituzione di una squadra formata ed organizzata, sotto il coordinamento della Protezione Civile regionale e in collaborazione con il Corpo dei Vigili del Fuoco. Questi risultati non rappresentano episodi isolati, ma sono la conseguenza di un percorso lento e faticoso, di crescita culturale e di organizzazione logistica dell associazione integrata con l istituzione. Quale è stato il percorso che ha portato alla redazione dei piani di Massiccio Afflusso Feriti in tutti gli ospedali marchigiani? 21

1.5 UN MODELLO D INTERVENTO NELLA REGIONE MARCHE: la nascita dei PEIMAF La legge regionale 32/01 disciplina Il sistema regionale delle Marche di protezione civile e quindi l'insieme delle attività per la previsione e prevenzione dei rischi per persone e beni, per il soccorso e il superamento dell'emergenza. Ai fini della previsione e prevenzione, l articolo 4 dice che essa deve: individuare e classificare i rischi presenti sul territorio regionale; elaborare e attuare programmi per eliminare o ridurre i pericoli conseguenti ai rischi individuati; formare una moderna coscienza di protezione civile mediante la promozione ed il coordinamento di esercitazioni, di programmi educativi ed informativi; istituire corsi di qualificazione e aggiornamento professionale; formulare indirizzi per la predisposizione dei piani comunali, provinciali e speciali di previsione, prevenzione ed emergenza; ecc.. L art. 7, comma 1, prevede che, in condizioni di pericolo o di emergenza, il Presidente della Giunta individui le strutture regionali chiamate ad operare per lo svolgimento degli interventi necessari. A tal fine è stato istituito il GORES (Gruppo Operativo Regionale Emergenze Sanitarie) che individua un gruppo ad hoc anche per lo sviluppo del progetto PEIMAF. L articolo 10 istituisce la Sala Operativa Unificata Permanente (SOUP) e il Centro Operativo Regionale (COR); La SOUP è il luogo in cui confluiscono tutte le funzioni di controllo del territorio regionale e le informazioni generali concernenti la sicurezza delle persone e la tutela dei beni, delle infrastrutture e dei servizi di rilevante interesse per la popolazione, e nel caso di crisi determinata dal verificarsi o dall'imminenza di eventi o situazioni di 22

emergenza di particolare rilevanza viene costituito il Centro Operativo Regionale (COR), quale struttura di emergenza con compiti di raccordo, coordinamento e consulenza. Il mandato è chiaro e le parole chiave sono: pianificazione, raccordo, coordinamento. Quindi nel 2004 inizia un percorso finalizzato ad ottimizzare la risposta nelle maxiemergenze del sistema regionale, consapevoli che l organizzazione della stessa comporta il raccordo di tutte le strutture e gli enti territoriali, e modelli d intervento pianificati in tempi di normalità. Le linee d intervento sono state tre: 1 individuazione di un referente esperto della medicina delle catastrofi per la sanità e un referente esperto nella pianificazione speciale di emergenza della protezione civile regionale; 2 costituzione di un gruppo di coordinamento intersettoriale (Gruppo Operativo Regionale Emergenza Sanitaria GORES) attivabile, con specialisti diversi in base agli eventi presentati; 3 riconoscimento con decreto quale obiettivo prioritario regionale, la redazione e l aggiornamento dei PEIMAF della ASUR e delle Aziende Ospedaliere. Al fine di raccordare tutte strutture nosocomiali, le Direzioni Generali degli ospedali hanno individuato dei referenti per i gruppi di coordinamento aziendale per la redazione dei piani composti da: un medico dell emergenza, un responsabile della Direzione Sanitaria, un esperto logistico-tecnico. È stato individuato un percorso formativo con incontri mensili dei gruppi di coordinamento aziendali, le centrali operative 118, i referenti provinciali della funzione 2 e l Associazione ARES. Inoltre si sono creati corsi specifici di Hospital Disaster Management (HDM) con l obiettivo di formare ai compiti di pianificazione e coordinamento ospedaliero ottenendo una diffusione 23

omogenea della cultura della medicina delle catastrofi. A seguire è stata effettuata una esercitazione denominata EmergoHospital2004 testando le conoscenze acquisite in merito alla pianificazione e al coordinamento delle maxiemergenze intra-ospedaliere. Si è avviata poi un ulteriore formazione di ulteriori HDM a livello provinciale che potevano essere coinvolti in eventi di disastro. Per l occasione venne scritta e distribuita in modo capillare una pubblicazione dal titolo La pianificazione ospedaliera per la maxiemergenza: il PEIMAF Piano di Emergenza Interno per Massiccio Afflusso di Feriti Guida per operatori sanitari ospedalieri con la partecipazione della Regione Marche, Servizio di Protezione Civile e Sicurezza Locale, Dipartimento dei Servizi alla Persona e alla Comunità, Associazione Regionale Emergenza Sanitaria e Sociale. La guida prevede: informazioni sul servizio nazionale di protezione civile, la previsione e prevenzione del rischio, il progetto PEIMAF nelle Marche, cenni sulla medicina delle catastrofi, la catastrofe e l ospedale, come cambia l ospedale in stato di emergenza, comunicazione sicurezza e viabilità, il ritorno alla normalità. E da qui si riparte! 24

Capitolo 2. REVISIONE BIBLIOGRAFICA La ricerca bibliografica è iniziata ricercando su varie banche dati come ad esempio PubMed articoli scientifici, visitando siti di enti ed organizzazioni nazionali ed internazionali specializzati nella gestione delle maxi-emergenze come ad esempio la FEMA, consultando libri inerenti la medicina delle catastrofi come Disaster Medicine di Hogan (vedi bibliografia). Le parole chiave utilizzate sono state: catastrofe, piano di emergenza, protezione civile, emergency management plan mass casualty, hospital response, plan disaster medicine, check-list hospital disaster. Quando si può parlare di disastro? 2.1 I DISASTRI In tutto il mondo milioni di vite sono state perse a causa di disastri nell ultimo quarto di secolo. Il rischio che un disastro produca feriti di massa è in aumento per l incremento continuo della popolazione presente sul pianeta (6 miliardi 1999 con una previsione di 8.9 miliardi nel 2050) (WHO, 2002), per il fatto che la maggior parte di essa vive in zone dove avvengono uragani, terremoti, inondazioni, per la creazione di nuovi scenari di pericolo a causa della tecnologia. Ci sono varie definizioni del termine disastro e derivano dalle diverse discipline che intervengono nella pianificazione e risposta dello stesso: il World Health Organization definisce il disastro: sudden ecological phenomenon of sufficient magnitude to require external assistance, l American College of Emergency Physicians dice: when the destructive effects of natural or man- 25

made forces overwhelm the ability of a given area or community to meet the demand for health care ; il denominatore comune è una rottura di tale portata che l'organizzazione, le infrastrutture e le risorse di una comunità non sono in grado di tornare alla normale operatività dopo l'evento senza assistenza esterna. Per chiarire il contrasto tra le normali emergenze e i disastri, l American College of Emergency Physicians dice: "i servizi di emergenza medica di routine utilizza massime risorse per un piccolo numero di individui, mentre i servizi medici nei disastri sono progettati per indirizzare risorse limitate per il maggior numero di persone." Possiamo avere un disastro senza necessariamente trovare vittime o feriti es. un terremoto che distrugge le infrastrutture dei luoghi pubblici, forze dell ordine, vigili del fuoco. D altra parte si può avere un disastro medico senza coinvolgimento delle infrastrutture quando esiste un gap tra le risorse mediche in relazione alle esigenze dei singoli che necessitano di cure in un luogo e tempo specifico es. un incidente stradale con sei feriti in un area metropolitana è un emergenza normale, ma diventa un disastro in un ospedale periferico. Prima dell apparizione del Homo Sapiens sulla Terra, la minaccia di eventi geofisici, quali ad esempio terremoti, eruzioni vulcaniche, frane e alluvioni, interessava solamente il sistema di flora e fauna presenti. La presenza dell uomo ha trasformato questi eventi del tutto naturali in disastri naturali (I. Alcàntara-Ayala, 2002). La storia presenta innumerevoli esempi di disastri naturali, uno dei più famosi è l eruzione vulcanica del Vesuvio che ha ricoperto di uno strato di cenere le città di Pompei ed Ercolano nel 79 DC. Un esempio recente è lo tsunami che la 26

mattina del 26 dicembre 2004 si è verificato al largo delle coste dell isola indonesiana di Sumatra provocando la morte di circa 300,000 persone. Grazie poi all operato dell uomo al termine disastro viene aggiunto sempre più spesso il termine man made (Sutton e Tierney, 2006; Alcàntara-Ayala, 2002; Hernàndez e Serrano 2001) dichiarando così la causa dello stesso (Alcantàra-Ayala). Alexander (2002) presenta una classificazione prescindendo da quelle che sono le dimensioni, la portata e la durata degli eventi disastrosi e propone una suddivisione dei disastri in tre grandi aree: Naturali Tecnologici Sociali Tale suddivisione nasce dalla considerazione che la pericolosità di un evento è strettamente collegata al sistema sociale e alla popolazione, alla vulnerabilità della stessa. Non c è un rapporto proporzionale fisso tra l entità delle forze fisiche coinvolte e danni connessi. Ogni tipo di disastro, interagisce e si sovrappone agli altri creando una complessa matrice di condizioni e necessita di un approccio multidisciplinare. Altra classificazione può essere fatta in base alla risultante risposta necessaria. A tal proposito Alexander (2002) propone una scala di criticità delle emergenze suddivisa in quattro livelli crescenti in ordine di impatto e coinvolgimento degli enti e dimensione degli aiuti. 27

Il livello più basso è rappresentato da situazioni come incidenti stradali che coinvolgono un ridotto numero di autovetture o casi di infarto per strada. Questi eventi sono oggetto del lavoro quotidiano di enti quali i Vigili del Fuoco o i centri di pronto soccorso medico. Il secondo livello ricopre quegli incidenti che possono essere affrontati dalle strutture presenti in un singolo comune o comunque in una zona senza la necessità di ricorrere a risorse dall esterno. Incidenti più gravi o disastri occupano il terzo livello. Questi sono caratterizzati dalla necessità di intervento e impiego di risorse a livello regionale e interregionale. A differenza dei primi due, questo livello è caratterizzato dalla necessità di avere un elevato grado di coordinamento dal momento che vengono attivate diverse funzioni che hanno necessità di scambio di comunicazioni e collaborazioni tecniche. L ultimo livello, infine, è composto da disastri a carattere nazionale e internazionale che possono essere fronteggiati solo attraverso l intervento del governo nazionale e con aiuti internazionali. Altra classificazione viene riportata da Hogan nel 2007: livello I : il personale di risposta alle emergenze e le organizzazioni locali sono in grado di contenere e affrontare efficacemente il disastro e le sue conseguenze; livello II: richiede sforzi regionali e gli aiuti reciproci delle comunità circostanti; 28

livello III: di tale intensità che i beni locali e regionali sono sopraffatti e che richiedono l'assistenza statale o internazionale. Al di la delle classificazioni il disastro è un qualcosa che va fuori dalla normale esperienza della vita quotidiana, che richiede un cambiamento dello stile di gestione e del modo di pensare (Noji 1997, Callun et al 1992). I disastri vengono di norma considerati a bassa probabilità - alto impatto, e questa bassa probabilità sposta spesso l attenzione verso altre problematiche ma più comuni. Bisognerebbe considerare sempre che l impatto sulla popolazione è di molto maggiore di quanto sembrerebbe in un primo momento se si contassero solo le persone decedute e i feriti; la distruzione della normale vita è la misura del vero impatto.(noji 1994, Day 1949) Il recupero dei danni anche psicologici richiede anni. Ma quanto è importante il problema? 29

2.2 EPIDEMIOLOGIA Il Centro per la Ricerca sull'epidemiologia dei Disastri (CRED) è attiva da più di 35 anni nel campo della catastrofe internazionale e studi sulla salute nei conflitti, con varie attività di ricerca e formazione per aiuto, ricostruzione e sviluppo. E stata fondata a Bruxelles nel 1973 presso la Scuola di Salute Pubblica dell'università Cattolica di Louvain (UCL) senza scopo di lucro. Nel 1980, è diventato un organismo dell'organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) collaborando nel Programma globale per la preparazione e la risposta alle emergenze. Il CRED collabora a stretto contatto con numerose agenzie delle Nazioni Unite, le istituzioni intergovernative e governative, organizzazioni non governative, istituti di ricerca e università. Il CRED definisce un disastro come "una situazione o evento che travolge la capacità locale, che richiede un aiuto a livello nazionale o internazionale per l'assistenza esterna, un evento imprevisto e spesso improvviso che causa gravi danni, la distruzione e la sofferenza umana". Dal 1988, il CRED ha mantenuto l EM-DAT, un database mondiale sui disastri. Esso contiene i dati di base essenziali sulla presenza e l'impatto di più di 19.500 disastri in tutto il mondo dal 1900 ad oggi. I dati sono compilati da varie fonti, comprese le agenzie delle Nazioni Unite, organizzazioni non governative, compagnie di assicurazione, istituti di ricerca e agenzie di stampa, ed è tenuto costantemente aggiornato, con report ogni tre mesi. L obiettivo principale della banca dati è quello di razionalizzare il processo decisionale per la preparazione alle catastrofi, fornendo una base per la valutazione della vulnerabilità dei territori e per la definizione delle priorità. 30

Un disastro, per essere inserito nel database, deve essere costituito da almeno uno di questi criteri: a)10 o più persone decedute, b)100 o più persone coinvolte, c) dichiarazione dello stato d emergenza, d) bando di assistenza internazionale. L EM-DAT distingue due categorie generiche di catastrofi, naturali e tecnologiche. La categoria di calamità naturale è divisa in 5 sottogruppi: biologiche, geofisiche, idrologiche, meteorologiche, climatologiche. Figura 1 31

In EM-DAT, il numero di persone uccise comprende i morti confermati e presunti, e dei dispersi. Le persone colpite sono quelle ferite, o senza casa o che richiedono assistenza durante un periodo di emergenza (ad esempio, richiedono assistenza di base per la sopravvivenza come cibo, acqua, alloggi, servizi igienici e assistenza medica immediata). In questa relazione, il numero delle vittime è utilizzato come misura dell'impatto umano di una catastrofe. L'impatto economico di un disastro di solito consiste in conseguenze dirette sull'economia locale (ad esempio danni alle infrastrutture, le colture, alle abitazioni) e le conseguenze indirette (ad esempio perdita di ricavi, la disoccupazione, la destabilizzazione del mercato). In EM-DAT, il dato registrato corrisponde al valore del danno immediato ed è di solito solo il danno diretto, espresso in dollari. Il numero di casi di calamità naturali nel 2011 (332) è stato inferiore a quello del 2010 (386) e anche sotto la media annuale per il periodo 2001-2010 (384), che indica una stabilizzazione della crescita del numero di catastrofi segnalate, ed osservate nei precedenti decenni. Meno persone sono state uccise dai disastri nel 2011 (30.773) rispetto al 2010, quando il terremoto di Haiti ha causato da solo la morte di più di 222.500 persone, e rispetto alla media annuale 2001-2010 (106.891). Tuttavia, il numero delle vittime segnalate nel 2011 (244,7 milioni) è stato il più grande dal 2003, quando 255,1 milioni vittime sono state registrate, ed è stato anche superiore alla media annua del decennio che è di 232,0 milioni. Le perdite economiche stimate da calamità naturali nel 2011 (US 366,1 miliardi dollari) sono state le più alte mai registrate, e ha superato l'anno record del 2005 (US $ 246,8). Il 32

terremoto di Tohoku e lo tsunami in Giappone sono i maggiori responsabili di questi danni (57,4%). Figura 2 Il numero dei disastri tecnologici tendono ad essere più contenuti, ma possono essere molto letali. La fuoriuscita di prodotti tossici (ad esempio, il rilascio di gas di cianuro a Bhopal, India) e incidenti nucleari (ad esempio, Chernobyl) hanno causato a breve e lungo termine caos, morte e distruzione. 33

Figura 3 Figura 4 34

Figura 5 Altri incidenti con potenziali vittime e disastri di massa comprendono la guerra e il terrorismo. Dal momento degli attacchi al World Trade Center di New York City del 9/11/2001, il terrorismo è diventato uno degli obiettivi principali di risposta e preparazione alle catastrofi negli USA, ma nessuna area geografica è immune dagli effetti devastanti di esso. Queste attività sono diventate più frequenti e letali negli ultimi anni, senza alcun preavviso, come testimoniano i attacchi dell'11/9, gli attentati di Madrid e Londra, e il più distante, ma comunque tragico, attacco con gas nervino Sarin nella metropolitana di Tokyo (Goolsby et Mothershead, 2008). E oramai chiaro che ogni disastro segue un modello generale di sviluppo che si ripete nel tempo, è un processo continuo interrotto solo dal punto d impatto. Quali sono le fasi di vita del disastro? 35

2.3 CICLO DI VITA DEL DISASTRO Le fasi sono: 1. quiescenza; 2. prodromica; 3. impatto; 4. salvataggio 5. ricostruzione. 1) La fase di quiescenza o di interdisastro durante il quale le combinazioni di eventi che porterà al disastro si stanno verificando e la causa potrebbe essere evidente. Importante in questa fase è la valutazione del rischio in quanto può far predire quali tipi di disastro ci si può aspettare; 2) La fase prodromica o di avviso che si sviluppa e dura una quantità di tempo variabile a seconda del tipo di disastro. Il periodo di avviso rappresenta il tempo durante il quale si matura la possibilità di sviluppo di eventi. In questa fase si possono compiere azioni per mitigare gli effetti dello stesso es. avvisi alla popolazione, azioni protettive come l evacuazione; 3) La fase dell impatto coincide con l evento. Questo può essere corto (terremoto) o prolungato (carestia). Di solito poco si può fare per diminuire l'impatto del disastro sulle popolazioni se i passaggi precedenti non sono stati effettuati. Comportamenti, anche di protezione, come ad esempio cercare un riparo durante un tornado, richiedono istruzioni precedenti e programmi di avvertimento. Solo una corretta pianificazione e ragionevoli azioni preventive avranno il massimo effetto nel diminuire l impatto dell evento disastroso; 4) La fase di salvataggio (emergenza, soccorso, isolamento) 36

rappresenta il periodo dove l immediata assistenza può salvare vite. In questa fase le persone possono essere salvate dalle azioni di primo soccorso, ricerca e salvataggio con metodi di supporto vitale di base ed avanzate. Questo periodo spesso dipende dai soccorsi locali ma che possono essere sopraffatti o inabili; 5) La riconversione o ricostruzione consiste in tutte quelle azioni o elementi che servono per ritornare alla normalità. Questo periodo può durare mesi o anni e termina quando la popolazione è ritornata alla fase di quiescenza. (Noji 1987-1997, Cuny 1993). Con la consapevolezza che prima o poi un disastro si presenterà di nuovo, il FEMA (Federal Emergency Management Agency U.S. Department of Homeland Security, 2010), afferma che: Il ciclo di vita del disastro descrive il processo attraverso il quale i manager dell emergenza si preparano per le emergenze e calamità, rispondono ad esse quando si verificano, aiutano le persone e le istituzioni a riprendersi da loro, mitigano i loro effetti, riducono il rischio di perdita, e si prevengono ulteriori disastri, intravedendo logiche manageriali all interno dell intero ciclo. L obiettivo è quello di trovarsi pronti nel momento dell emergenza ma per far questo bisogna lavorare bene in tempo di pace (Marco Esposito). Come intervenire? 37