LA PROVA DELLA FRODE CAROSELLO NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA E DELLA CORTE DI CASSAZIONE



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Convegno di formazione e aggiornamento in diritto tributario del 19 giugno 2008 Terzietà del giudice tributario e oneri probatori delle parti, presso Camera di Commercio - Sala Borsa Merci, Via Canaletto n.88 Modena LA PROVA DELLA FRODE CAROSELLO NELLA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA E DELLA CORTE DI CASSAZIONE (del Ten.Col. Flaviano Radassi Comandante Nucleo Polizia Tributaria Guardia di Finanza Modena) LA FRODE CAROSELLO. La Guardia di Finanza annovera tra i compiti demandatigli di più elevato profilo investigativo la tutela degli interessi finanziari dell Unione Europea (UE). Questi vedono la loro materiale rappresentazione nel Bilancio dell UE, cioè nel documento dove figurano le uscite, caratterizzate per lo più da stanziamenti e finanziamenti delle politiche comunitarie (quali, ad es.: quelli a carico del Fondo Europeo Agricolo di Garanzia FEAGA, ovvero quelli finalizzati all attuazione della Politica Agricola Comune PAC), e le entrate comunitarie. Queste ultime, definite risorse proprie, hanno sostituito, ormai da anni, i contributi che un tempo gli Stati membri destinavano alla Comunità e provengono sia dai dazi sugli scambi con i paesi terzi (extra UE), secondo le molteplici forme previste (doganali, anti-dumping etc.) sia, in misura di gran lunga più elevata, dalle entrate derivanti dall applicazione dell IVA sugli scambi di beni e prestazioni di servizi. La considerevole consistenza quantitativa delle entrate comunitarie riconducibili all applicazione dell IVA rende, di conseguenza, facilmente intuibile l estrema importanza assunta dalle misure di contrasto alle frodi tese ed aggirarne la corretta applicazione. Per meglio chiarire la tematica, è necessario descrivere, in estrema sintesi, il campo di applicazione dell IVA, in specie in ambito comunitario. Come è noto, a mente dell art.1 del D.P.R. 633/72, l IVA si applica alle cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nel territorio dello Stato nell esercizio di impresa o nell esercizio di arti e professioni e sulle importazioni da chiunque effettuate. Come si vede, mentre negli scambi tra cedente (imprenditore e/o libero professionista) e cessionario italiani l imposta viene assolta dal cedente (che è il soggetto passivo a mente del successivo art.17), nel caso di importazione viene assolta dal cessionario/importatore (anche se non imprenditore/professionista). Per gli scambi tra paesi UE, infatti, dal 01 gennaio 1993 è in vigore la disciplina degli acquisti intracomunitari per la quale, dall originario intento di accompagnare l eliminazione delle frontiere tra paesi membri con l introduzione della tassazione IVA nello stato membro d origine, dovette ripiegarsi, a causa delle diverse aliquote applicate dai paesi membri, in un regime transitorio di tassazione nello stato membro di destinazione, pur sopprimendo le barriere doganali in ambito comunitario. Il regime degli acquisti intracomunitari trova dettagliata regolamentazione nel D.L. 331/93 convertito nella Legge 427/1993 che all art.38 li individua quali acquisti di beni effettuati nel territorio dello Stato nell esercizio di imprese, arti e professioni o comunque da enti soggetti passivi nel territorio dello Stato. Devono, pertanto, escludersi gli acquisti intracomunitari ove il cessionario/acquirente non sia soggetto passivo d imposta (vale a

- Foglio n. 2 - dire non sia imprenditore/professionista o ente e quindi consumatore finale), con l eccezione degli acquisti a titolo oneroso di mezzi di trasporto nuovi (co.3 lett.e art. 38). Gli acquisti intracomunitari, sotto il profilo contabile, comportano la cosiddetta doppia registrazione : il contribuente integra la fattura ricevuta dall'operatore comunitario con l'ammontare dell'imposta (art. 46, comma 1, del D.L. n. 331/1993), provvedendo inoltre a registrarla nel registro delle fatture emesse (art. 47 del decreto-legge citato; in tal modo si crea il debito d'iva); correlativamente è ammessa la detrazione dell'imposta per il pari importo ai sensi dell'art. 19 del D.P.R. n. 633/1972, cosicché la fattura viene anche annotata, secondo i principi generali, sul registro degli acquisti (artt. 45 e 47 del decreto-legge citato). Così operando, l'effetto pratico dell'acquisto, sotto il profilo dell'iva, diventa neutro per il cessionario (Iva a debito e Iva in detrazione si compensano, annullandosi), ma l'imposta è applicata quando, a sua volta, quest'ultimo provvederà a rivendere il bene in ambito nazionale, emetterà fattura aggiungendo l'iva e verrà così ad assumere il reale ed effettivo debito d'imposta (consistente nell'obbligo di versare all'erario l'importo pari all'iva pagatagli dal cliente italiano). A questo punto, appare chiaro che un'impresa nazionale, la quale operi abitualmente acquistando beni da una impresa comunitaria e rivendendoli ad altro soggetto nazionale, viene ad accumulare un importante e crescente debito d'iva, che viene a crearsi via via che le merci sono immesse nel mercato interno. Risulta quindi intuitiva la ragione per cui la normativa in esame si presta ad essere sfruttata da condotte criminali gravissime ed insidiose: attraverso l'interposizione di un soggetto che acquisti fittiziamente dal fornitore comunitario e rivenda al reale compratore assumendosi quindi l'integrale debito d'imposta, l'effettivo acquirente si trova ad utilizzare fatture alle quali è applicata l'iva, così da assumere il correlativo diritto alla detrazione; gli importi pari all'iva, formalmente versati dal reale acquirente all'interposto, vengono poi variamente spartiti tra i due interessati atteso che, di regola, l'interposto stesso non presenta alcuna dichiarazione ovvero pur presentandola non provvede ovviamente al pagamento dell'imposta. Il medesimo effetto viene a prodursi qualora l interposto, pur non acquistando direttamente da un impresa comunitaria, acquisti da un fornitore nazionale al quale abbia presentato la dichiarazione d itento prevista dall art.1 co.1 lett.c) del D.L.746/1983 convertito nella L.17/1984, e cioè il documento che attesta l intenzione di avvalersi della facoltà di effettuare acquisti o importazioni senza applicazione dell imposta nel caso in cui dichiari di essere esportatore abituale così come previsto dall art.8 co.1 lett.c) del D.P.R.633/72, vale a dire operatore che dichiari di aver effettuato cessioni all esportazione, quindi verso paesi extraue, nei limiti dell ammontare delle esportazioni effettuate nell anno precedente. Anche in questo caso, infatti, l interposto, sul fronte dei suoi acquisti - così come visto per gli acquisti intracomunitari, che comportano neutralità dell IVA per via della doppia registrazione - non dovrà assolvere l IVA, con il risultato che nel caso le dichiarazioni d intento presentate al fornitore italiano siano false beneficerà di una indebita non imponibilità e all atto di rivendere ad altro operatore nazionale accumulerà IVA a debito che, per lo stesso intento fraudolento descritto, si guarderà bene dal versare. La consolidata esperienza maturata, al riguardo, dai Reparti del Corpo ha dimostrato che le suddette imprese interposte possano, pacificamente, chiamarsi anche cartiere in

- Foglio n. 3 - quanto aventi, quale minimo comune denominatore, una o più delle seguenti caratteristiche: a. ditte individuali o società a responsabilità limitata, intestate ad un prestanome nullatenente e, spesso, senza aver maturato una specifica esperienza imprenditoriale; b. forniscono, attraverso una fittizia copertura contabile e documentale, una parvenza di regolarità alle predette operazioni; c. riducono o azzerano, come visto, l imposta dovuta sugli acquisti sia attestando fittiziamente di effettuare acquisti intracomunitari da fornitori comunitari sia acquistando da fornitori nazionali ai quali presentano false dichiarazioni d intento, in entrambi i casi non imponibili IVA, e vendendo, solo formalmente, ad altri operatori nazionali accumulando una considerevole IVA a debito che non versano. Da quanto descritto emergono evidenti condotte fraudolente, basate sulla fittizietà del ruolo rivestito nella filiera della distribuzione dall interposto che, infatti, non acquistando realmente dal fornitore comunitario o dal fornitore nazionale al quale presenta falsa dichiarazione d intento, si interpone formalmente al solo fine di consentire al proprio cliente nazionale, nei cui confronti risulta fornitore da fatture artatamente emesse, di accumulare una considerevole IVA a credito da portare in detrazione (corrispondente alla sua IVA a debito non versata), cliente nazionale (anche detto interponente ) che risulta, di conseguenza, il reale beneficiario della frode, e rispetto al quale l interposto/cartiera/prestanome riveste, quindi, una funzione spesso servente, di frequente retribuita dal primo (spesso per il tramite di soggetti terzi, per sviare sospetti) con un vero e proprio stipendio. Il riflesso penale di tale frode è quindi l emissione, ascritta a carico delle imprese interposte/cartiere, di fatture per operazioni inesistenti nei confronti dell interponente, condotta prevista e punita dall art.8 del Dlgs.74/2000 mentre, di riflesso, nei confronti di quest ultimo potrà ravvisarsi il reato di cui all art.2 del Dlgs.74/2000, in quanto avvalsosi degli elementi passivi fittizi originati dalle dette fatture per operazioni inesistenti in sede di dichiarazione annuale. Più in particolare, nel caso in cui le fatture, per quanto false, sottendano ad uno scambio reale di merci - però, ed è questo il punto, non provenienti dall interposto ma direttamente dal fornitore comunitario di questo - le fatture saranno soggettivamente inesistenti (in quanto recanti quale fornitore un soggetto non realmente parte contrattuale e cioè l interposto/cartiera), mentre se, addirittura, non vi è stata, in realtà, alcuna cessione di merci si avranno fatture oggettivamente inesistenti. Il beneficio che realizza l interponente cioè colui che, come ricordato, si giova della frode - rispetto all acquisto direttamente dal cedente originario (comunitario o nazionale) è che attraverso lo schermo dell interposto/cartiera/prestanome realizza un duplice considerevole vantaggio: uno di carattere fiscale, perché invece di vedersi riconosciuta la non imponibilità IVA all acquisto, sia nel caso effettuasse direttamente l acquisto intracomunitario (per via dell accennata doppia registrazione e conseguente neutralità dell operazione) sia nell ipotesi di acquisto da fornitore nazionale cui presentare falsa dichiarazione d intento, attraverso l inserimento dell interposto, matura il diritto alla detrazione dell IVA sugli acquisti, e cioè l IVA a credito (non versata dall interposto);

- Foglio n. 4 - uno di carattere economico, conseguenza del ruolo figurativamente ricoperto dal dell interposto nella catena distributiva in un anello antecedente rispetto a quello dell interponente, posizione che comporta l acquisto a prezzi più bassi (soprattutto se l acquisto è intracomunitario) e che consente allo stesso interposto di figurare nelle successive fatture per operazioni inesistenti quale fornitore ad un prezzo sottocosto praticato all interponente, avendo la possibilità di recuperare la conseguente perdita proprio omettendo di versare l'imposta dovuta. Il fenomeno ha assunto tali dimensioni da giustificare l intervento dell UE che attraverso la Commissione Europea, nell ambito dei lavori SCAC( Comitato permanente per la cooperazione amministrativa), ha stilato, nel 2002, una guida pratica contro le frodi carosello all IVA intracomunitaria. In tale sede sono state individuate le figure tipiche ricorrenti nello specifico tipo di frode : A. Conduit Company (società del condotto). Il fornitore comunitario, rappresentato dalla cosiddetta società del condotto. Tale società risiede in uno Stato membro diverso da quello in cui la frode viene successivamente realizzata, per effetto del mancato versamento dell'iva. Essa provvede alla registrazione di acquisti e cessioni intracomunitarie che risultano totalmente neutri dal punto di vista dell'imposta sul valore aggiunto. B. Missing trader (operatore assente, d ora in poi interposto/cartiera/prestanome ). Si attua con la costituzione nel territorio nazionale di una o più società fittizie convenzionalmente denominate cartiere (in quanto la loro unica attività è quella di fornire, alle imprese che lo richiedano, fatture per operazioni inesistenti). Solitamente tali società risultano residenti presso indirizzi di comodo o addirittura fittizi e, in ogni caso, non svolgono nessuna attività commerciale effettiva. La titolarità delle quote dei cosiddetti missing traders - come vengono comunemente denominate le cartiere a livello comunitario - viene solitamente attribuita a soggetti nullatenenti. Ciò consente di ostacolare eventuali azioni di recupero dell'imposta evasa da parte delle Amministrazioni finanziarie a meno che non si riescano ad individuare i reali responsabili delle organizzazioni criminali. C. Broker (rivenditore o intermediario, d ora in poi interponente ). Il rivenditore è un altro soggetto immancabile all'interno del meccanismo fraudolento; questo provvede all'acquisto da un fornitore nazionale, registrando il relativo credito Iva ed immette i prodotti sul mercato nazionale; in alternativa effettua una cessione intracomunitaria della merce ad un operatore residente in un altro Stato membro; in questo caso, la cessione risulta non imponibile per cui il cedente intracomunitario - l'intermediario ha diritto al rimborso dell'iva pagata in seguito all'acquisto effettuato dal fornitore nazionale. D. Buffer (filtro).trattasi di soggetto non indispensabile per la frode. La società filtro svolge funzioni di stabilizzatore, per effetto dell'interposizione tra la cartiera e l'intermediario. Essa, infatti, acquista le merci dalla cartiera e le rivende immediatamente all'intermediario emettendo regolare fattura. La società filtro provvede all'effettivo versamento del saldo Iva pari alla differenza fra il credito derivante dall'acquisto della merce - che corrisponde all'iva formalmente versata dalla società cartiera - e l'iva a debito determinata dalla cessione della merce all'intermediario. L'interposizione del buffer - come viene comunemente denominata la società filtro a

- Foglio n. 5 - livello comunitario - consente quindi di creare un filtro che potrebbe ostacolare la connessione diretta tra la società cartiera e l'effettivo cessionario della merce. Nel caso di forniture da Paesi UE, che rappresenta il presupposto indispensabile della frode, le società cartiere assumono l onere del mancato versamento dell IVA relativa alla successiva cessione in ambito nazionale della merce di provenienza comunitaria (ai sensi degli artt. 38 e segg. D.L. 331/93). I meccanismi dell interposizione fittizia vengono comunemente realizzati secondo il seguente schema di frode: SOCIETA A FORNITORE COMUNITARIO (Conduit Company) CONFINE POLITICO SOCIETA D RIVENDITORE (Broker) SOCIETA B OPERATORE SCORRETTO (Missing Trader) SOCIETA C FILTRO (Buffer) Il precedente è lo schema più semplice e ricorrente di questo tipo di frode, dove in sostanza: una società (A), effettua una cessione di beni intracomunitaria ad una società (B) che è localizzata in un altro Stato ed è una società fittizia, nel senso che è sostanzialmente una mera testa di legno, priva di qualsiasi solvibilità. La società (B), acquirente intracomunitario, integra la fattura proveniente dal cedente e liquida l'imposta dovuta, senza necessità, tuttavia, di effettuare alcun versamento all'erario, dal momento che la contestuale detrazione dell'iva neutralizza l'imposta a debito e l'obbligo del relativo versamento. Successivamente (B) effettua una cessione interna ad un terzo soggetto passivo (D), incassa l'iva addebitata in rivalsa a (D), ma, prima di scomparire, non versa all'erario l'iva dovuta sulla cessione interna. Il soggetto (D) detrae l'iva sugli acquisti effettuati presso (B) (eventualmente con diritto al rimborso) e successivamente può effettuare (o solo simulare) un'altra cessione intracomunitaria, non imponibile, alla prima società (A). Quest'ultima può, a sua volta, porre in essere una nuova cessione intracomunitaria a (B), e così il ciclo della frode si ripete. Per rendere più difficili gli accertamenti, nella parte interna del circuito di cessione vengono, talvolta, frapposti degli intermediari, o cosiddette società cuscinetto, attraverso cui i beni transitano da (B) a (C). Si passa così da una struttura triangolare, a quadrangolazioni o a catene in cui sono coinvolti ancora più soggetti. Queste società cuscinetto, la cui presenza è eventuale e comunque non indispensabile alla perpetrazione della frode, possono essere consapevoli della frode, ma possono anche esserne del tutto all'oscuro.

- Foglio n. 6 - Per arginare il fenomeno fraudolento in parola il legislatore ha introdotto nell ordinamento, soprattutto negli ultimi anni, diverse previsioni normative sia sul fronte della prevenzione sia sotto l aspetto meramente repressivo, entrambe tendenti ad avere effetto deterrente. In ordine alle prime si annovera l introduzione dell art.60bis del D.P.R. 633/1972 (introdotto dalla finanziaria di cui alla L.311/2004), che prevede nell ipotesi di cessioni effettuate a prezzi inferiori ai valori normali per beni individuati dal D.M. 22.12.2005 (autoveicoli e motoveicoli, telefoni cellulari, personal computer e animali vivi) in caso di mancato versamento della relativa imposta da parte del cedente la solidarietà passiva del cessionario relativamente alla stessa IVA non versata dal cedente. Analoga finalità di garanzia per il versamento dell IVA è assolto dall art.38 comma 3 DL 331/93 il quale assimila ad acquisti intracomunitari gli acquisti di mezzi di trasporto nuovi (per le auto quelle con meno di 6000 Km o con meno di 6 mesi dall immatricolazione) sia se effettuati nell esercizio di impresa o professione sia se effettuati da privati. Nel primo caso l acquirente soggetto passivo IVA dovrà, oltre ad assolvere quanto previsto in materia di acquisto intracomunitario, per ottenere l immatricolazione del veicolo allegare alla fattura ricevuta dal cedente di altro paese UE copia del modello F24 attestante il pagamento dell IVA in occasione della prima cessione interna.(art.1co.9,11 DL 262/2006 conv.in L286/2006). Se invece l acquirente è privato non soggetto IVA l imposta viene liquidata da quest ultimo all Ufficio delle Entrate competente previa presentazione, prima dell immatricolazione, di una dichiarazione in duplice copia contenente gli elementi identificativi dei soggetti tra i quali è intervenuta l operazione e dell autoveicolo acquistato. Il legislatore ha poi introdotto con la L.223/2006, con finalità dissuasive delle più diversificate frodi IVA, il meccanismo del riverse charge vale a dire dell inversione contabile e cioè dell emissione della fattura senza l applicazione dell IVA da parte del cedente/prestatore, così come già visto per gli acquisti intracomunitari, e l integrazione dell IVA nella fattura da parte dell acquirente/committente per settori che presentano più alto potenziale rischio di accordi tra le parti in frode all IVA e segnatamente quello dei subappalti edilizi per i quali, dal 01 gennaio 2007, per prestazioni di servizi di sub-appalto di opere edili rese da subappaltatori ad imprese edili, il subappaltatore che rende la prestazione emette fattura senza IVA che sarà integrata dall appaltatore-committente. Il meccanismo dell inversione contabile si presenta particolarmente efficace in quanto, vedendo l emissione di fatture senza l indicazione dell IVA, evita che il cessionario/committente porti in detrazione un imposta che il cedente non versa. L inversione contabile è stata, da ultimo, estesa anche per le cessioni di fabbricati strumentali imponibili ad IVA e per le cessioni di rottami. Il riverse charge comporta, poi, che il committente/acquirente annoti la fattura sia nel registro delle fatture sia, ai fini della detrazione, nel registro degli acquisti. Sempre con le medesime finalità dalla predetta legge (223/2006) sono state introdotte quali prove certe e dirette nel corso di accertamento in ambito cessioni immobiliari per le rettifiche delle dichiarazioni di cui all art.54 co.3 DPR 633/72 il valore normale degli stessi beni immobili determinato ex art.14 stesso Decreto e cioè quale valore di mercato praticato per beni della stessa specie Con finalità evidentemente repressive delle manifestazioni più gravi del fenomeno, il legislatore ha poi introdotto con la Legge n.248/06, in seno al DLvo 74/2000, l art.10 ter che punisce penalmente chiunque non versi l IVA, risultante dalla dichiarazione annuale, se di importo superiore a 50 mila euro, entro il termine di versamento dell acconto per il periodo successivo.

- Foglio n. 7 - La giurisprudenza della Corte di Giustizia Il tema delle frodi all IVA ha da sempre attratto, data la rilevanza comunitaria del tributo, la cognizione della Corte di Giustizia Europea. Per brevità, tuttavia, appare opportuno soffermarsi in questa sede unicamente sulle ultime pronunce di rilievo in materia. Tra queste spiccano sicuramente, le sentenze Teleos e altri (causa C-409/04), Collèe (causa C-146/05) e Twoh International (causa C-184/05) emanate il 27 settembre 2007. Le prime quattro che andranno a commentarsi, innanzitutto, statuiscono non rispetto alle posizioni dei soggetti che rivestono il ruolo di maggior responsabilità nelle frodi IVA (compresa la tipologia delle frodi carosello ) e cioè i cc.dd. interposto/cartiera/missing trader e interponente/beneficiario/broker, ma in ordine all originario fornitore comunitario che, situato in paese Ue diverso da quello dei detti due protagonisti della frode, può essere estraneo ed ignaro delle condotte fraudolente di interposto e interponente. La prima sentenza origina dal caso dell azienda inglese Teleos e di altri 13 venditori all ingrosso di telefoni cellulari che ritenevano ingiustificata la richiesta del versamento dell IVA da parte del Fisco inglese, per una frode commessa dall acquirente. Nel 2002 le 14 imprese avevano venduto alla Total Telecom Espana prodotti che secondo i contratti di vendita dovevano essere destinati alla Spagna con clausola franco fabbrica, che ne prevedeva la messa a disposizione all acquirente presso dei magazzini in Gran Bretagna. Per ciascuna transazione i venditori inglesi ottenevano lettere di consegna - recanti descrizione dei beni, nome del conducente, targhe degli autocarri usati per il trasporto utilizzate dagli stessi come prova di esportazione fuori dalla GB e quindi per esentare dall IVA le transazioni. Prova non ritenuta sufficiente dal Fisco inglese, poiché aveva accertato che i dati delle lettere di consegna erano falsi e ne aveva dedotto che i telefoni non avevano mai lasciato il suolo britannico. Dall Erario inglese era dunque partita la richiesta del recupero dell IVA, pur riconoscendo che Teleos e gli altri 13 fornitori non erano in alcun modo coinvolti nella frode. La Corte di Giustizia UE ha ritenuto tale richiesta di recupero ingiustificata, atteso che il fornitore aveva agito in buona fede e che aveva presentato prove prima face attendibili (anche se in questo caso si trattava di prove contraffatte, segnatamente le dette lettere di consegna, anche se da altri soggetti) che i beni erano stati spediti o trasportati in altro stato membro. Nel caso Collée, la Corte Europea si è espressa sul caso di una impresa tedesca che aveva venduto 20 automobili a un concessionario belga, utilizzando però fittiziamente un intermediario tedesco della propria zona, in quanto per motivi di esclusività territoriale aveva diritto alla provvigione solo per vendite nel proprio distretto. L intermediario tedesco, in cambio di una commissione, si prestava ad acquistare fittiziamente gli automezzi per poi rivenderli all effettivo cliente belga. Scoperta la frode, il venditore si affrettava ad annullare le fatture e a sostituirle con i documenti relativi alla reale cessione intracomunitaria, ma l autorità fiscale negava la dichiarazione in quanto tardiva(le prove erano intervenute fuori dai termini) e quindi non riconosceva la conseguente esenzione dall IVA. Anche in questo caso i giudici europei hanno ritenuto infondate le pretese dell Erario tedesco osservando che il rifiuto dell esenzione non è giustificato per la sola ragione che la prova documentale sia presentata in ritardo, atteso che il carattere intracomunitario della cessione deve essere riconosciuto sulla base di criteri oggettivi, anche se vi è stata rettifica successiva della contabilità, e che, inoltre, l occultamento iniziale della transazione comunitaria può portare a negare la esenzione IVA solo se tale occultamento, ed il

- Foglio n. 8 - conseguente ritardo nel fornire la prova di cessione comunitaria, possa causare rischio di perdita di entrate fiscali. Infine, il caso Twoh International è quello di un fornitore intracomunitario olandese che, in seguito alla contestazione dell Erario del suo Paese, dichiara che il trasporto è stato eseguito con destinazione Italia ma che, non disponendo della prova dell invio/trasporto, richiede che questa venga inoltrata dalle autorità olandesi alle autorità del Paese di destinazione (Italia). I giudici europei hanno respinto la richiesta, osservando che, come previsto dalle norme sulla cooperazione amministrativa, l Erario dello Stato di partenza delle merci non è tenuto a chiedere prova delle cessioni intracomunitarie allo stato UE d arrivo. La portata delle predette sentenze comunitarie in materia probatoria è di grande rilevanza. E di tutta evidenza che le cennate pronunce della Corte di Giustizia Europea presentano, a fattor comune, un unico costante filo conduttore da individuarsi, nel perpetuo equilibrio tra interessi erariali e affidamento del contribuente, nel prevalere della tutela dell interesse del fornitore UE, affermando a tal fine ora un criterio formalista lì dove viene riconosciuta non imponibilità per il fornitore comunitario qualora la propria buona fede è dimostrata dal possesso di documentazione di trasporto/consegna merce formalmente ineccepibile, ora affermando un criterio sostanzialista lì dove, pur in presenza a monte di triangolazioni nazionali fittizie attuate dallo stesso fornitore comunitario per finalità però diverse dall evasione o elusione fiscale (ad es.: per giovarsi di benefici commerciali), si realizzi comunque a valle effettivamente la cessione intracomunitaria. Coerente con tale generale indirizzo, è poi il non riconoscere l operazione comunitaria e la conseguente non imponibilità lì dove il fornitore comunitario non sia in grado di provarla, per indisponibilità della documentazione di trasporto, ma pretenda che la dimostrazione venga fornita tramite l A.F. del paese di destinazione della merce. Nello specifico, nel caso Teleos la Corte osserva che la suddivisione del rischio tra il fornitore e l amministrazione finanziaria in seguito a una frode commessa da un terzo, dev essere compatibile con il principio di proporzionalità. Il venditore non può dunque essere obbligato a pagare l IVA se ha presentato prove della non imponibilità ancorché prove, a sua insaputa, false (cioè documentazione di trasporto falsificata da altri) e se ha adottato tutte le misure ragionevoli per assicurarsi che la vendita non lo coinvolgesse in una frode fiscale senza che risulti provata la sua partecipazione alla frode fiscale. Sempre nel segno del favore nei confronti del fornitore che effettua realmente l operazione comunitaria è anche il caso Collèe, dove l autorità fiscale dello Stato comunitario di partenza non può disconoscere la non imponibilità della cessione se l operazione è effettivamente avvenuta, per la sola ragione che la prova della cessione non è stata presentata nei termini da parte del venditore. L occultamento consapevole, in un primo momento, dell esistenza della cessione intracomunitaria da parte del venditore rileva ai fini del disconoscimento della non imponibilità dell operazione solo se vi è rischio di perdita di entrate fiscali, di conseguenza permane la non imponibilità della cessione intracomunitaria anche nel caso, del tutto anomalo, in cui il contribuente avesse interposto fittizie triangolazioni nazionali, poi annullate dal venditore e compratore, senza alcun danno per l Erario.

- Foglio n. 9 - Speculare al caso Teleos è il caso Twoh International, nel senso che se è vero che nel primo il fornitore comunitario provando il possesso di documenti di uscita apparentemente regolari (quand anche rivelatisi poi falsi) giustifica la non imponibilità della vendita, nel secondo caso proprio la mancata disponibilità degli stessi documenti da parte dello stesso fornitore comunitario fa sì che non possa avvalersi della non imponibilità, né potrà ovviare a ciò chiedendo al proprio Stato che richieda al Paese di destino della merce la prova dell avvenuto trasporto (considerando, peraltro, che gli elenchi INTRASTAT obbligatori nell UE sono quelli relativi alle vendite e solo alcuni paesi, tra cui l Italia, hanno l intra-acquisti). In tema di prova dell avvenuta cessione della merce da parte del fornitore comunitario è, da ultimo, intervenuta anche la sentenza della Corte di Giustizia UE del 21 febbraio 2008 nel procedimento C-271/06 (Netto Supermarket). In questa, vengono ancora meglio contemperati gli interessi, apparentemente contrastanti, dell Erario con l esigenza di veder riconosciuta la buona fede del fornitore, facendo protendere per quest ultima ove il fornitore provi concretamente di aver verificato, con diligenza, la reale cessione all acquirente comunitario. La Corte - dopo aver precisato che spetta agli Stati membri, per prevenire frodi ed evasioni, stabilire le condizioni per l applicazione dell esenzione alle cessioni all esportazione ha ribadito, tuttavia, che tale potere dei paesi membri deve essere esercitato nel rispetto dei principi dell ordinamento comunitario della certezza del diritto, di proporzionalità e di tutela del legittimo affidamento. In tale ottica, sottolinea che l introduzione di obblighi anche rigorosi di prova a carico del fornitore per prevenire le frodi devono, comunque, consentire allo stesso fornitore, in presenza di frode commessa da un terzo, di provare la propria estraneità e la propria buona fede nell avvenuta esportazione, benché i documenti di trasporto si possano rivelare poi falsi, se in grado di dimostrare di aver utilizzato tutta la diligenza di un commerciante avveduto. In sostanza, tale dimostrazione della cessione intracomunitaria da parte del fornitore deve partire dalla dimostrazione a carico dello stesso che i beni, effettivamente trasferiti, hanno lasciato lo Stato membro in cui si trovano al momento della cessione. In tale contesto il fornitore che deve effettuare una cessione intracomunitaria senza applicare l IVA, per dimostrare la buona fede e l estraneità alla frode ordita da terzi, deve dar prova di aver adottato a tal fine tutta la diligenza del commerciante avveduto, che deve ritenersi non diligenza ordinaria ma diligenza qualificata. In termini pratici ciò si traduce per il fornitore nel tenere alta la soglia di attenzione nelle fasi più a rischio frode dell operazione comunitaria: dalla corretta acquisizione dei dati su di un cliente nuovo, al sospetto innanzi a modalità anomale di pagamento o, ancora, quando si tratta di operazioni articolate per le modalità di trasporto e/o per il numero di soggetti coinvolti (es.: triangolazioni). Nel caso di rapporti con un nuovo cliente posto in altro paese UE mentre è pacifico l obbligo che incombe sul fornitore comunitario di acquisire il codice di identificazione IVA(ricevendo, a pena di assoggettamento ad IVA, conferma di validità dall Agenzia Entrate da stampare e conservare) del medesimo, appare opportuno acquisire, altresì, il certificato di attribuzione della partita IVA, nonché, per propria cautela, documentazione equivalente a una visura camerale, rilasciata dallo Stato membro del cliente, così da disporre di informazioni riguardanti l organo amministrativo, i poteri di rappresentanza dei suoi componenti, nonché su dimensioni e operatività del cliente.

- Foglio n. 10 - Quanto alle prove idonee a dimostrare l effettivo trasporto dei beni all estero permane la difficoltà rispetto alle vendite con termini di resa franco fabbrica, dato che il fornitore non ha, in questo caso, alcun controllo sullo sviluppo delle operazioni successive alla presa in consegna dei beni da parte dell acquirente, direttamente o tramite un proprio incaricato del trasporto. Al riguardo, l Agenzia delle Entrate è intervenuta con la risoluzione n.345/e del 28 novembre 2007 concordando con l orientamento giurisprudenziale comunitario nel considerare, di fatto, sufficienti a comprovare l avvenuta cessione intracomunitaria i seguenti documenti: fattura di vendita emessa ex art. 41 del D.L. 331/93, elenco Intrastat delle cessioni, documentazione bancaria relativa al pagamento della merce ma, soprattutto, documento di trasporto CMR, firmato dal trasportatore e dal destinatario per ricevuta. In special modo la lettera di vettura internazionale, CMR appunto, rappresenta sicuramente il documento decisivo, per la sua stessa natura recettizia, a comprovare l avvenuto trasporto dei beni in alto Stato membro. Tuttavia, diversi autorevoli commentatori segnalano che l accettazione del CMR quale strumento probatorio della buona fede del fornitore non esclude, automaticamente, il possibile ricorso ad altri documenti di trasporto, quali i DDT che, sebbene in assenza di un preciso obbligo di legge, potrebbero avere significativo valore probatorio ove fossero anch essi firmati, oltre che dal trasportare, per ricevuta anche dal destinatario e, come tali, conservati. Nella stessa risoluzione viene evidenziato l obbligo di conservare, altresì, copia degli altri documenti che hanno originato la cessione intracomunitaria. Questi, benché non espressamente indicati, potrebbero riferirsi a documenti presenti in azienda quali corrispondenza commerciale, fax, e-mail nonché eventuali contratti se presenti. Di particolare rilievo risulta, inoltre, la Sentenza della Corte di Giustizia del 06 luglio 2006 cause riunite C-439/04 e C-440/04, anche per l inevitabile confronto che richiama con giurisprudenza nazionale intervenuta sul punto. Le cause originano dal rinvio operato dalla Corte di Cassazione del Belgio alla Corte di Giustizia, nel quale il primo giudice chiede a quello comunitario di esprimersi nel caso di una cessione, inserita nell ambito di una frode all IVA, nella quale secondo l A.F. belga l acquirente soggetto passivo, decada dal diritto di dedurre l IVA, benché ignaro di tale contesto fraudolento, in quanto, comunque, acquirente in un contratto, civilisticamente, viziato da nullità assoluta poiché contrario all ordine pubblico per causa illecita perseguita dall alienante, caratterizzata da una frode IVA commessa dal venditore (missing trader/interposto), o se, viceversa, a tale mancato riconoscimento del diritto di deduzione dell IVA per l acquirente osti il contenuto dell'art.17 della VI Direttiva. La Corte di Giustizia dopo aver ricordato che l art. 17 della VI Direttiva prevede che il diritto alla deduzione nasce quando l imposta deducibile diventa esigibile e che il soggetto passivo è autorizzato a dedurre, dall'imposta di cui è debitore, l'imposta sul valore aggiunto dovuta o assolta per le merci che gli sono o gli saranno fornite e per i servizi che gli sono o gli saranno prestati da un altro soggetto passivo e che tale previsione sottolinea, in sostanza, l evidente neutralità dell imposta in ragione della quale non influiscono nel suo meccanismo di funzionamento vicende estranee, quali la valutazione di annullabilità del contratto sottostante la cessione generatrice dell IVA per condotta fraudolenta del venditore, qualora ovviamente tali vicende fraudolente non erano nè potevano essere conosciute dall acquirente.

- Foglio n. 11 - Per tale via la Corte di Giustizia evidenzia, dunque, che il diritto di un soggetto passivo di dedurre l'iva pagata a monte non può neanche essere compromesso dalla circostanza che, nella catena di cessioni in cui si inscrive anche il suo acquisto, senza che tale soggetto passivo lo sappia o possa saperlo, un'altra operazione, precedente o successiva a quella da esso realizzata, sia inficiata da frode all'iva, e che allo stesso fine della deducibilità è irrilevante stabilire se l'iva dovuta sulle operazioni di vendita precedenti o successive riguardanti i beni interessati sia stata versata o meno all'erario. La Corte di Giustizia conclude affermando che gli operatori che adottano tutte le misure che possano essere da essi ragionevolmente pretese al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode, che si tratti di frode all'iva ovvero di altre frodi, devono poter fare affidamento sulla liceità di tali operazioni senza rischiare di perdere il proprio diritto alla deduzione dell'iva pagata a monte. Evidenzia, infine, che spetta al giudice nazionale negare, eventualmente, il beneficio del diritto a detrazione se è dimostrato, alla luce di elementi obiettivi, che tale diritto viene invocato in modo fraudolento o abusivo. Sempre in tema di detraibilità dell IVA si colloca poi la sentenza della Corte di Giustizia dell 08 maggio 2008 cause riunite C95/07 e C96/07, che è stata investita di un caso in cui un destinatario italiano di prestazioni di servizi di trasporto marittimo rese da prestatore comunitario, non si avvedeva di osservare il regime del riverse charge previsto nel caso di specie (trasporti intracomunitari ex art.47 DL 331/93) e dunque non integrava con l indicazione dell IVA le fatture che gli pervenivano e non provvedeva alla doppia registrazione delle stesse nel registro delle fatture e nel registro degli acquisti, ma si limitava a registrare le stesse nel registro degli acquisti ritenendo, erroneamente, trattarsi di operazioni esenti. Atteso che per le dette ragioni l IVA, afferente le cennate operazioni, non era riportata in dichiarazione e che secondo l A.F. italiana la destinataria le prestazioni era decaduta dal suo diritto a detrazione dell IVA, non avendo esercitato il medesimo, visto il predetto erroneo convincimento, entro il termine biennale decorrente dal momento in cui tale imposta era divenuta esigibile, come previsto dall art.19, primo comma del DPR n. 633/72, mentre l A.F. beneficiava ancora dei termini per accertare l IVA afferente ai servizi in questione, ed essendo il contribuente di diverso avviso poiché l irregolarità, non determinando alcun debito tributario, non avrebbe dovuto compromettere l esercizio del diritto a detrazione, l Ufficio accertatore richiedeva se la le norme nazionali fissanti detti termini ostavano con le norme comunitarie in materia. Al riguardo, la Corte di Giustizia osserva preliminarmente che le norme comunitarie (art.17 e 18 VI Direttiva) non ostano ad una normativa nazionale che preveda un termine di decadenza per l esercizio del diritto a detrazione purché siano osservati i principi di equivalenza e di effettività. Il principio di effettività non è violato per il semplice fatto che l amministrazione fiscale disponga, per procedere all accertamento dell IVA non assolta, di un termine che eccede quello concesso ai soggetti passivi per l esercizio del loro diritto a detrazione. Tuttavia la Corte di Giustizia rileva che sebbene l art. 18, n. 1, lett. d), della sesta direttiva consente agli Stati membri di fissare le formalità riguardanti l esercizio del diritto a detrazione nel caso dell inversione contabile, l inosservanza di queste ultime da parte del soggetto passivo non può privarlo del suo diritto a detrazione.

- Foglio n. 12 - Osserva, inoltre, che le misure necessarie affinché i soggetti passivi assolvano gli obblighi di dichiarazione e di pagamento non devono tuttavia eccedere quanto è necessario per conseguire gli obiettivi di contrastare le frodi e gli abusi, tanto da rimettere sistematicamente in questione il diritto alla detrazione dell IVA, il quale è un principio fondamentale del sistema comune dell IVA. In proposito, aggiunge che la rettifica della dichiarazione del contribuente da parte dell A.F. di cui al caso in specie, che sanziona l inosservanza, ad opera del soggetto passivo, degli obblighi contabili e di dichiarazione con un diniego del diritto a detrazione, eccede chiaramente quanto necessario per conseguire l obiettivo di garantire il corretto adempimento di tali obblighi. Tanto più che tale prassi accertatrice può comportare la perdita del diritto a detrazione qualora la rettifica della dichiarazione da parte dell A.F. intervenga solo dopo la scadenza del termine di decadenza di cui dispone il soggetto passivo per effettuare la detrazione. Né in questo caso vi è necessità di una valutazione sulla buona fede del contribuente, pure presente nel caso in specie, atteso che tale giudizio rileva solo laddove vi sia rischio di perdite fiscali, certo non ricorrenti nel caso di un inosservanza formale nel regime dell inversione contabile in quanto nulla è dovuto, in linea di principio, all erario. La Corte di Giustizia risponde al quesito, infine, rilevando che gli artt. 18, n. 1, lett. d), e 22 della VI Direttiva ostano ad una prassi di rettifica e di accertamento la quale sanzioni un inosservanza formale, sia contabile e di registrazione inerente il regime del riverse charge sia dichiarativa, con un diniego del diritto a detrazione. La Giurisprudenza della Corte di Cassazione. Soprattutto intorno alla posizione del soggetto passivo, acquirente finale dall operatore fraudolento dell acquisto intracomunitario (quest ultimo missing trader/interposto), si è incentrata gran parte della giurisprudenza recente più significativa del nostro Paese, pervenendo a risultati divergenti dal giudice comunitario. Con la sentenza n.1950 del 21 dicembre 2006 la Corte di Cassazione - Sezione Tributaria si pronuncia in merito a ricorso incentrato su avviso di rettifica di dichiarazione con cui si determinava debito tributario relativo a indebite detrazioni IVA a carico di un soggetto destinatario finale di materiali ferrosi, riportato in fatture che recavano, come fornitrici, ditte rivelatesi cartiere (missing trader/interposte) frappostesi fittiziamente al fine di realizzare una articolata frode all IVA. La Suprema Corte parte dalla propria chiave di lettura dell art.19 del DPR 633/72 ( sul punto in cui prevede che:.è detraibile dall ammontare dell imposta relativa alle operazioni effettuate quello dell imposta assolta o dovuta dal soggetto passivo a titolo di rivalsa in relazione ai beni ed ai servizi ed i beni acquistati nell esercizio dell impresa. ) ponendolo in relazione con quanto prescritto dal richiamato art.17 della VI Direttiva, pervenendo al primo assunto che il diritto alla detrazione non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell'avvenuta corresponsione di imposta formalmente indicata in fattura, richiedendosi, altresì, che l'imposta sia effettivamente dovuta e, cioè, corrispondente ad operazione effettivamente soggetta all'iva.

- Foglio n. 13 - Ciò perché, proprio in considerazione del particolare meccanismo che presiede al funzionamento dell'iva,... infrazione fiscale si configura... per il solo fatto oggettivo che il contribuente, con il proprio comportamento, doloso o colposo che sia, abbia determinato il rischio per l'amministrazione di non conseguire il pagamento dell'imposta effettivamente dovuta" o l'abbia esposta a indebite detrazioni. Di qui prosegue affermando che la divaricazione tra il soggetto che ha emesso la fattura e quello ha ceduto la merce o prestato il servizio, tipico della fatturazione soggettivamente inesistente, impone che sia approfondita, quale requisito imprescindibile della detraibilità, l inerenza all impresa dell operazione fatturata. Partendo dall assunto che l IVA da corrispondere in acquisto sia un costo solo se corrisposta all effettivo fornitore e che, secondo note regole mutuate dalla contabilità aziendale, un costo può detrarsi in quanto inerente, ne discende che quella corrisposta all interposto è invece costo che non può considerarsi inerente in quanto potenziale espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse, tali da rompere in messo di inerenza. E che, in definitiva, in ipotesi di operazioni soggettivamente inesistenti, il diritto alla detrazione dell'iva versata in rivalsa al soggetto, diverso dal cedente/prestatore, che ha, tuttavia, emesso la fattura, non sorge immancabilmente, per il solo fatto dell'avvenuta corresponsione di imposta formalmente indicata in fattura, ma richiede altresì, a dimostrazione dell'effettiva inerenza dell'operazione all'attività istituzionale dell'impresa, che il committente/cessionario, che invochi la detrazione, fornisca riscontri precisi, che non si esauriscano nella prova dell'avvenuta consegna della merce e di quella del pagamento della merce medesima e dell'iva riportata sulla fattura emessa dal terzo, trattandosi di circostanze non decisive, rispetto al thema probandum. In definitiva, nelle fatture per operazioni soggettivamente inesistenti l IVA esposta nelle stesse qualora corrisposta dal cessionario non va detratta in quanto la consegna del bene o la prestazione del servizio è avvenuta in realtà da altro cedente/prestatore, operazione quest ultima per la quale l IVA deve, pertanto, considerarsi evasa. Da ciò deriva che l IVA, benché versata, indicata in fattura per operazione soggettivamente inesistente è un costo non inerente, mentre inerente sarebbe stata l IVA che si sarebbe dovuta versare al cedente effettivo nel caso non fosse stata perpetrata la falsa fatturazione. Nella sentenza nr.5717 del 18.01.2007 la Corte di Cassazione Sezione Tributaria questa volta si pronuncia a seguito di ricorso del contribuente, che chiede la sospensione del procedimento in attesa della definizione del processo penale con pronuncia di giudicato, figurante destinatario di prestazioni in fatture soggettivamente inesistenti e, dunque, rese da imprese diverse da quelle riportate nelle stesse quali prestatrici, le quali ultime in realtà risultano avere vari indici di anomalia in ordine alla loro effettiva operatività. La Corte - dopo aver preliminarmente affermato che non sussiste pregiudizialità tra le decisioni del giudice penale e quelle del giudice tributario, stante la completa sostanziale autonomia tra i due procedimenti - parte dal contenuto testuale dell'art.21 co.1 del D.P.R. n. 633/72, il quale recita che: "il soggetto che effettua la cessione del bene o la prestazione del servizio emette la fattura ".

- Foglio n. 14 - Conseguendo da ciò che la detrazione Iva è ammessa solo in presenza di fatture provenienti dal soggetto che effettua la cessione o la prestazione, ne discende che nel caso, come quello in rassegna, di fattura ove figura soggetto diverso dal prestatore del servizio tale detrazione d imposta al destinatario delle prestazioni non può essere riconosciuta. Né può affermarsi, per riconoscere tale detraibilità, che nel caso in esame si verta in una ipotesi di fatturazione con "indicazioni incomplete o inesatte" di cui all'art.41 comma 3, del D.P.R. n. 633/72, peraltro abrogata dal DLgs n.471/97, né a quella di omissione dell'indicazione dei soggetti tra cui l'operazione è effettuata, prescritta dall'art. 21 comma 2, n. 1), dello stesso decreto, trattandosi invece di fatturazione per operazione soggettivamente inesistente di cui deve essere versata la relativa imposta in base al citato art.21 co. 7. Con la sentenza n.25672 del 04 dicembre 2006 la Corte di Cassazione Sezione Tributaria viene investita dal ricorrente - acquirente in un giro di fatture per operazioni inesistenti e nei cui confronti, quindi, era disconosciuta la detraibilità dell imposta indicata nelle dette fatture che lamenta, in estrema sintesi, che la prova della fittizietà dovesse essere fornita, ex art.2697 C.C., dall Ufficio e che comunque la stessa, provenendo da dichiarazioni rese in procedimento penale, non fa stato in altro processo, tenendo conto, inoltre, che il ricorrente nei cui confronti la sentenza viene invocata non ha partecipato al giudizio nel quale è stata pronunciata, e ciò in violazione del c.d. giusto processo di cui all art.111 Cost., e considerando comunque che trattasi di prove testimoniali con i noti limiti di utilizzabilità in ambito tributario; soggiunge poi che l A.F. interpreterebbe la normativa IVA in contrasto con l orientamento UE. La Corte, innanzi tutto, esclude l applicabilità dell art.2697 del C.C., essendo pacifico nella giurisprudenza della stessa Corte il diverso principio secondo il quale "nel caso in cui l'amministrazione finanziaria contesti al contribuente l'indebita detrazione di fatture perché relative ad operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni IVA deve essere fornita dal contribuente con la esibizione dei documenti contabili legittimanti (Cass. 10 gennaio 2001 n. 269)" (Cass., trib., 3 dicembre 2001 n. 15278; id., 5 novembre 2001 n. 13662; id., 27 gennaio 2001 n. 1181): "nel momento in cui si paga l'imposta per effetto di una cessione", infatti, "si acquisisce il diritto a portare l'imposta a detrazione alle condizioni di legge" e "tale diritto si può esercitare solo se vengono acquisiti, conservati ed esibiti, a richiesta dell'ufficio, i documenti che attestano le operazioni effettuale" per cui "quando il contribuente non è in grado di provare la fonte che legittima la detrazione, evidentemente non è in grado di provare il fatto costitutivo del suo diritto, sicché legittimamente la detrazione non viene riconosciuta e si procede a recuperare a tassazione l'imposta detratta irritualmente". La Corte ritiene, poi, assorbita dalla precedente argomentazione anche la lagnanza in ordine alle dichiarazioni rese in procedimento penale riversate nel giudizio tributario e le definisce di alcun pregio.

- Foglio n. 15 - Il contrasto rilevato dal contribuente dell interpretazione della normativa IVA in rapporto a quella comunitaria della VI Direttiva, contrasto al quale subordina richiesta di rinvio alla Corte di Giustizia, si fonda sull asserita necessità, affermata da sentenza della Corte di Giustizia n.454 del 2000, che l adozione da parte dei paesi membri di strumenti per arginare le frodi all IVA non devono contrastare con la neutralità dell imposta e con l esigenza di vedere riconosciuta la detraibilità dell IVA anche in caso di indebita fatturazione purchè ogni rischio di minare le entrate per lo Stato sia stato in concreto eliminato perché il cedente ha contabilizzato a suo debito, e pagato,[ n.d.r.come asserisce essere avvenuto nel caso di specie] l'iva indebitamente fatturata e riscossa. La Corte di Cassazione rileva, al riguardo, che la registrazione dell IVA a debito ed il relativo pagamento da parte della cedente, non può essere oggetto di cognizione in quanto mai accennato prima di allora, e comunque fatto non dimostrato ma soltanto affermato dal contribuente e non sottoposto al giudice del merito, circostanza questa che pregiudica il rinvio alla Corte di Giustizia poiché la incompatibilità di una norma nazionale con quelle comunitarie, infatti, presuppone necessariamente l'accertamento della rilevanza della questione stessa nel giudizio pendente innanzi al giudice nazionale. Motivo per il quale il ricorso viene rigettato. In conclusione, dalla rapida ricognizione compiuta intorno alla giurisprudenza nazionale, più recente, in materia di frodi IVA, se ne rileva, dunque, un orientamento generalmente divergente rispetto a quello comunitario, basato, in sintesi, sul mancato riconoscimento della detrazione IVA all acquirente finale/destinatario di merci di provenienza comunitaria che l A.F. ha ipotizzato rientranti in una frode carosello, indipendentemente dalla sua eventuale estraneità e buona fede rispetto alla frode e/o indipendentemente dall inesistenza del danno erariale. Per il primo aspetto, la Cassazione ritiene che la falsità intrinseca dell operazione si riverberi anche nella sfera giuridica del soggetto che vi abbia partecipato inconsapevolmente, solitamente l acquirente finale/destinatario effettivo della merce di provenienza comunitaria inquadrato, anche se ignaro, nell ambito di fatturazioni per operazioni soggettivamente inesistenti. Per il secondo aspetto, l orientamento, sebbene con alcuni distinguo, è che il mancato versamento dell imposta da parte dell emittente pregiudichi la detrazione a favore del destinatario e, al contrario, l eventuale versamento dell imposta non comporti il riconoscimento immediato della detrazione. Tale contrasto tra normativa comunitaria e nazionale e, soprattutto, tra le rispettive interpretazioni, pone, inevitabilmente, in evidenza il problema di quale sia il percorso che il giudice tributario debba seguire nell esame delle controversie a lui devolute. Al riguardo, appare ragionevole, affermare, in conclusione, che il giudice tributario è giudice anche di diritto comunitario e, quindi, obbligato ad applicare la norma della Direttiva se in contrasto con quella nazionale. In base alla stessa constatazione, che è poi espressione del principio dell interpretazione conforme, il giudice nazionale interpreta il diritto interno alla luce della direttiva comunitaria al fine di raggiungere il risultato utile, contemplato dall art.249 co.3 del Trattato.

- Foglio n. 16 -