TURNO DI NOTTE. di Francesco Manzo



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TURNO DI NOTTE di Francesco Manzo I Ancora un'ora ed andrò a casa. E l'ora in cui gli ospiti, a piccoli gruppi, in coppia, o da soli, lasciano la zona ristorante, e molti di loro si accomodano nella saletta del bar per un ultimo grappino, un thè o, se sono anglosassoni, un cappuccino. Alcuni si dirigono verso la sala ospiti accanto alla zona bar, e siedono nelle poltrone davanti all ampio video LCD che, grazie al barista, signore unico del telecomando, è sempre sintonizzato sullo spettacolo televisivo più popolare. Il nostro barman funziona meglio dell Auditel, e sa intuire i gusti del suo pubblico. O forse sono gli ospiti che, preferendo questi momenti di comunità alla solitudine delle loro stanze, si trasformano in platea condiscendente. Dalla reception posso osservare quasi tutti, senza essere disturbata. I nostri clienti sono persone tranquille, molti trascorrono qui una o due notti, quasi ogni settimana, per lavoro; altri sono turisti occasionali, ma che spesso ritornano, attratti dalla vicinanza con le città d'arte e dalla quiete del nostro borgo. Di tanto in tanto succede che qualche ospite, dopo cena, tenti di attaccar bottone con la ragazza della portineria; ma è raro, e di solito vogliono solo sapere se più tardi arriverà Altiero. Dopotutto I clienti, quelli abituali, sanno che non gradisco perdere tempo, ho sempre tanto da fare e non amo interruzioni; per questo cercano di non disturbarmi senza motivo. La verità è che a quest'ora non c'è più un gran lavoro. Gli arrivi sono completati, e devo solo aspettare le dieci, quando monta Altiero, il ragazzo del turno di notte. Ragazzo, poi. Sarà ormai vicino ai cinquanta, ma per tradizione il turno di notte è suo, e lavora qui da una vita; per questo è conosciuto da tutti come il ragazzo di notte. Dice di trovarsi in difficoltà a chiudere un conto, o a passare una carta di credito, ed in effetti, a volte si comporta come se fosse solo di passaggio in questo secolo. Saranno forse le sue giacche a quadri, che molto spesso indossa sopra un panciotto a tinta unita verde, o le sue camicie ben stirate anche se quasi sempre con i polsini usurati, o quell improbabile cravattino a fiori annodato al collo, che contribuiscono a dargli un aria retrò. Ma fa il suo lavoro, quel poco che si deve fare in un hotel di quaranta stanze di notte, senza aver mai causato grossi problemi. Se solo fosse puntuale, potrei anche rilassarmi un po. Invece è imprevedibile, e potrebbe presentarsi qui un ora prima, o mezz ora dopo l orario di inizio turno; e questo mi rende ansiosa, perché io mal sopporto i cambiamenti di programma. Altiero va molto d'accordo col resto del personale, ma familiarizza troppo con tutti. Anche col facchino senegalese e le due cameriere moldave. A volte ho anche provato a dirglielo: se non mantieni le giuste distanze quelli non ti rispettano più. Specialmente gli stranieri. Ma Altiero è così. Non segue convenzioni e regole. Come quel mattino che mi rovinò il caffé mattutino: lo trovai nella zona bar a rifocillare una piccola nomade intrufolatasi in hotel per chiedere l'elemosina. Sapeva bene che le regole interne impongono di mettere alla porta immediatamente qualsiasi questuante. Non si rendeva conto che gli ospiti avrebbero potuto infastidirsi. Sicuramente si infastidì la cameriera moldava, a cui ordinai di disinfettare accuratamente la tazza e tutto ciò che era venuto in contatto con l'estranea. Quella volta Altiero se la cavò per un pelo. Decisi di non fare rapporto scritto alla Direzione, per evitargli il licenziamento. Davvero non lo capisco, ma d'altra parte neanche lo frequento molto; il lavoro vero qui c'è dalle sette alle dieci di mattina, e dalle sei alle otto di sera. E tocca tutto a me.

Sembra freddo, fuori. Spero solo sia partito il riscaldamento a casa. Rientrare sola, in un appartamento ghiacciato, non è certo il massimo. E domani mattina sarò di nuovo qui, come sempre in tempo per i primi checkout. Preferisco arrivare prima dell'inizio del mio orario di lavoro, in modo da servire personalmente anche i clienti più mattinieri. Meglio un'ora in più di lavoro, che dover sistemare gli errori degli altri, dico io. Stasera tra gli ospiti abbiamo anche i Martini. Sono appena usciti dal ristorante. Anche loro vanno al bar. Sembrano una bella coppia, ma tante coppie ti fanno questa impressione finché non ci guardi veramente dentro. Ne ho visti tanti di rapporti andati a male, da questo banco. A volte scene sgradevoli. Ma i Martini no, o almeno non ancora; sono sposati solo da cinque o sei anni, e forse non conoscono ancora il tempo delle crisi. Sono clienti ormai da un po', e passano sempre un paio di notti all'anno da noi. Tornano al paese d origine per una visita ai genitori, e qui siamo a metà strada, o qualcosa del genere. Certo, Altiero è un inesauribile fonte di informazioni. Io, invece, non faccio troppe domande personali ai clienti. Mi basta osservarli ed immaginare un po' delle loro vite. Da un paio d anni i Martini portano con loro anche una bambina, Serafina credo si chiami. O così la chiamano loro, ma chissà con quale nome è nata. Avrà cinque o sei anni; devono averla adottata in Africa perché è nera, ma nero buio, quasi con riflessi blu. E capelli così crespi che sembrano pagliette per le pentole. E stata una giornata particolarmente faticosa, oggi, e comincio ad essere davvero stanca. Per fortuna è quasi ora di andare. Almeno stasera vorrei che Altiero arrivasse, come a volte succede, un po' prima. Potrebbe parlare lui con la signora Martini, che sta venendo in reception quasi di corsa. Spero non abbia richieste strane; non è la sera giusta per me. "Buonasera Elena, le devo chiedere una cortesia". Dica pure signora, le faccio. "Mio marito ha dei forti dolori al torace e sono preoccupata. Non vorrei fosse un inizio di infarto. Vorrei portarlo subito al Pronto Soccorso più vicino. Posso lasciarle Serafina? Sarebbe solo d'impaccio per noi". Ma signora, provo a dirle, io non ho figli, non so tenere una bambina, e poi è tardi e vorrei andare a casa. E tutto inutile: la signora Martini, o meglio Anna, come mi ha chiesto di chiamarla qualche tempo fa, ha buttato un giaccone sulle spalle del marito e sta già uscendo con lui dall'hotel. E Serafina è qui, seduta sul bancone della reception, che mi guarda divertita con quei suoi occhi neri come il carbone. II Doveva essere una normale notte di lavoro. Il mio turno di sempre. Una serata tranquilla, che mi ero ripromesso di dedicare all'ascolto della Turandot. Ero riuscito a scaricare l'intera opera sul mio i pod, e nella biblioteca comunale avevo cercato e preso in prestito il libretto dell opera, che ora custodivo gelosamente nella tasca del mio impermeabile. Elena mi avrebbe affidato le consegne, con i suoi modi bruschi, guardandomi con l'aria un po' scettica di chi non crede che ce la farai. Subito dopo, con un ultima occhiata ammonitrice, avrebbe varcato la doppia porta a vetri dell hotel e se ne sarebbe andata. Come sempre, senza salutare. Avrei passato un oretta in compagnia dei nostri ospiti più nottambuli. Molti di loro aspettano che inizi il mio turno per guardare insieme un po di televisione. Con qualche grappino si crea un atmosfera cameratesca e commentiamo ad alta voce le trasmissioni. Il barista, ormai a fine serata, abbandona il suo presidio e si unisce a noi nell ultimo quarto d ora del suo turno. Per gli ospiti è sicuramente più

divertente che seguire lo spettacolo o la partita nel chiuso della propria camera. E le consumazioni migliorano anche i conti dell hotel. Avrei aspettato che l'ultimo ospite andasse a dormire e, dopo il solito giro di controllo dei locali, mi sarei accomodato nella poltrona dietro la reception per iniziare le mie ore di lettura e di ascolto della musica. Ed invece, entro nella hall e trovo Elena, quasi in preda al panico, che fissa quella bimba nera, la figlia dei Martini. Le chiedo cosa è successo, e mi racconta dei genitori di Serafina al pronto soccorso. Te la lascio, mi dice, io vado a casa; dopotutto si tratta solo di aspettare che almeno la madre faccia ritorno. No, no, Elena, le dico, al massimo ti posso dare una mano ad intrattenerla mentre aspettiamo. Ma come, fa lei, io sono stata tutto il giorno qui; non posso sacrificare anche le mie poche ore di riposo. Tipico di Elena. Le difficoltà delle persone non la riguardano, non sono di suo interesse. Quella volta della piccola rom, gliela avevamo quasi fatta, io e il barista: era una settimana che la piccola faceva colazione da noi, senza che lei se ne accorgesse. Poi un giorno la bambina è arrivata tardi, e non siamo riusciti a mandarla via prima dell abituale caffé mattutino di Elena. Non contò il fatto che avesse fatto commuovere e sorridere per qualche giorno gli ospiti, con il suo modo di avventarsi sui cornetti alla crema che le offrivamo. Ma Elena certo non si commosse, e pretese che tutto ciò che la bimba aveva toccato venisse accuratamente pulito e sterilizzato. Minacciò di farmi licenziare per aver infranto le regole, e non averla cacciata via immediatamente. Non fosse stato per la solidarietà e le garbate proteste degli ospiti presenti, lo avrebbe fatto davvero. Non le ho mai serbato rancore per quell'episodio, anzi quella sua reazione sproporzionata ebbe l'effetto di incuriosirmi. Da allora ho cercato di sapere di più sulla sua vita, ma Elena ha evitato tutte le domande che, in maniera molto discreta, ho provato a porle. E' come se non avesse una vita, e cercasse di nasconderlo. Che poi, nascondere qualcosa che non c è, non è nemmeno tanto difficile. E' quasi pronta per andare via. "Ma Elena le dico senza ironia io non ho molta esperienza con i bambini. E poi vedrai che i genitori saranno di ritorno subito. Dopotutto l'hanno affidata a te, e cosa penserebbero se, rientrando, non ti trovassero?" Il richiamo al senso del dovere sembra funzionare, e la vedo rassegnarsi. Ripone il cappotto sull attaccapanni nel retro della reception, e, lanciandomi un occhiata che probabilmente vorrebbe essere di commiserazione per la mia manifesta incapacità, si avvicina a Serafina. Si muove impacciata con la bambina. Cerco di rompere il ghiaccio tra loro, e le faccio sedere entrambe nella sala ospiti, ormai quasi deserta. "Ragazze, cosa vi posso portare dal bar? Un gelato? Un biscotto?" Si accordano per dei biscotti ed un bicchiere di gelato alla crema. Mentre preparo il vassoio, le guardo di soppiatto dalla zona bar. Quanti anni avrà Elena? Forse trentacinque? Mi sono spesso sorpreso a catalogarla tra quelle persone che a prima vista non ti attraggono, ma poi guardandole e frequentandole ogni giorno, potrebbero cominciare a piacerti, se solo lo volessero. Sarà alta un metro e settanta. Si costringe in una divisa inventata da lei, e composta da un tailleur blu con gonna e calze di spesso nylon, ed una camicetta bianca. L unica variazione sul tema è costituita dai pantaloni al posto della gonna. I capelli bruni sono sempre tirati indietro, a volte raccolti in una coda di cavallo, a volte in una crocchia sulla nuca. Indossa un ombra di trucco, ma davvero solo un ombra e molto spesso neanche quella. E l espressione del viso è sempre accigliata, come se le persone intorno cospirassero per darle fastidio. Più ci penso e più mi convinco che, se si curasse un po di più, e lasciasse a casa quell'aria ostile che le fa da ombra, potrebbe avere più successo con chi le sta intorno. Gli altri colleghi non la sopportano. Nessuno nega che sia efficiente, ma il lavoro sembra essere il suo solo interesse. Si dice non sia sposata e viva da sola. In questi ultimi cinque anni avremmo scambiato in tutto una decina di frasi. Ho provato spesso a coinvolgerla in qualche chiacchierata con gli altri dipendenti, l ho anche invitata, senza il consenso degli altri, a qualche evento, una bicchierata o una pizza, ma ogni volta mi è come sfuggita, rifugiandosi nella sua torre d'avorio, o nella sua fredda stanza, come direbbe il librettista della Turandot.

Sembra che Elena sia più rilassata, ora. Serafina le fa cambiare i canali del televisore. Conosce tutti i programmi e le serie. Sta spiegando ad Elena quali spettacoli preferisce, e come passa le normali giornate a casa. Mi sembra che Elena la ascolti con attenzione, anche se non riesce davvero ad entrare nel suo mondo. E come se fosse ferma sulla soglia di una casa a lei estranea e guardasse dentro, combattuta tra la voglia di entrare e l abitudine a volgere le spalle ed andar via. Da un pezzo sono passate le undici e forse la bimba dovrebbe dormire. Ma non sembra ne abbia una gran voglia. "Voglio andare al bagno. Elena, mi accompagni?". Elena guarda la bambina come smarrita, guarda me e mi sembra di intravedere un accenno di disperazione. Mi tira da un lato e mi dice: "Altiero, ti supplico. Non credo di potercela fare." "Elena" le dico, "cosa vuoi che sia, accompagnare una bimba al bagno. E' anche abbastanza grandetta e farà tutto da sola. Te l'immagini se qualche cliente mi vedesse uscire dal bagno delle donne alle undici di sera con una bambina per mano?" "Ma non l'ho mai fatto. Non ho figli, non ho nipoti, e non ho mai accompagnato al bagno nessuno." "Dai, andiamo insieme" le dico. Sembra rassegnarsi, e ci avviamo tutti e tre in fila verso la zona toilette. Arrivati alla soglia del bagno per signore, le faccio cenno di entrare con la bambina. Elena mi guarda smarrita, prende Serafina per mano, e la conduce dentro. "Chiudi la porta", le consiglia la piccola. Dopo cinque minuti, sono entrambe fuori. Serafina si dà un'ultima aggiustatina ai pantaloni e si mette alla testa del terzetto per tornare in reception. Elena, invece, ha gli occhi lucidi e mi guarda con un sorriso appena accennato. E poi si lascia andare ad un pianto sommesso. Mi guardo intorno; nella hall non ci sono più clienti. Le prendo un braccio e la guido delicatamente verso il nostro banco. Si abbandona su un divano della sala tenendosi Serafina vicina, mi guarda e sussurra: "E' tutta questa situazione. Mi passerà, vedrai." III Per fortuna era solo un falso allarme. La dottoressa del pronto soccorso dopo i primi esami, si è accorta che si trattava di sintomi senza importanza, forse un accenno di congestione, ma ci ha trattenuto in ospedale per un paio d'ore in osservazione, per non correre rischi. Quando siamo rientrati in hotel, Serafina era addormentata su uno dei divani della hall, avvolta in una spessa coperta, e vicino al lei c'era Elena che le teneva una mano. Il portiere di notte, Altiero, faceva finta di leggere, ma in realtà le guardava entrambe di sottecchi, con una espressione quasi d affetto dal bancone della reception. Deve essere successo qualcosa. Ero davvero preoccupata quando ho affidato la bambina ad Elena. Ho sempre avuto la sensazione che fosse una donna gelida, e sono sicura che non avesse alcuna voglia di occuparsi di Serafina.

Ma mi ero evidentemente sbagliata. Quando ci ha visto rientrare, ha preso delicatamente nelle braccia Serafina, e, senza svegliarla, me l'ha fatta scivolare in braccio. "Anna, lei è una donna fortunata", mi ha sussurrato con un sorriso stanco, mentre si infilava il cappotto. Poi ha guardato Altiero e gli ha detto: "Buona notte. Ci vediamo domani mattina."