almanacco della presenza veneziana nel mondo fondazione venezia 2000



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almanacco della presenza veneziana nel mondo fondazione venezia 2000

sommario a cura di hanno collaborato si ringraziano in collaborazione con progetto grafico Fabio Isman Guido Beltramini Sandro Cappelletto Isabella Cecchini Giuseppe De Rita Fabio Isman Rosella Lauber Fabio Achilli Emanuela Bassetti Riccardo Bon Stefano Bortoli Dennis Cecchin Augusto Gentili Antonella Lacchin Piero Lucchi Stefania Mason Fondazione di Venezia Studio Tapiro, Venezia 7 15 39 53 69 97 Acqua, piacere e governance: tre delle ragioni di un intensa affinità elettiva Giuseppe De Rita I traffici tra la Serenissima e Londra, su navi speciali. E arriva perfino il baccalà Fabio Isman Tutta l Inghilterra è ricolma di Palladio. E ruba perfino il volto all architetto Guido Beltramini Quando sotto San Marco Haendel arriva per cercare delle voci castrate Sandro Cappelletto Il più famoso tra i viaggiatori mai stato in laguna; Byron ha 14 famiglie e bestie Fabio Isman Letti, cassapanche e comò: come nel Novecento gli inglesi si rifanno l arredo Isabella Cecchini 115 Il mercante vende ai britannici un migliaio di opere; e al Residente taglia un Tiepolo Rosella Lauber 2011 Fondazione Venezia 2000 www.fondazionevenezia2000.org In copertina: In copertina: Raffaello Sanzio, o bottega, Studio di galea, disegno, Venezia, Gallerie dell Accademia.

secoli di reciproca attrazione tra venezia e gran bretagna: perché? acqua, piacere e governance: tre delle ragioni di un intensa affinità elettiva Giuseppe De Rita l editoriale 1. John Ruskin, Casa Contarini Fasan, da The stones of Venice, New York, Lovell, 1851. Y Fin dall inizio dell avventura di Venezia Altrove, quando mi accingo all esercizio di prefatore, resto da anni letteralmente sommerso e sconvolto da quel pozzo senza fondo che per secoli è stata la produzione culturale veneziana, e dall intrigo senza bandolo che è stato per secoli lo scambio commerciale su di essa esercitata. Y I nostri lettori, ormai tutti sul web e certamente con qualche nostalgia della carta patinata e delle fo tografie del passato, conoscono bene l ecce zio na - lità un po mostruosa della citata produzione e del citato scambio com merciale; ma son convinto che, anno per anno, in loro si rigenera l attesa : la voglia cioè di tornare a meravigliarsi della potenza veneziana nei due campi citati. Una potenza di cui in dieci anni abbiamo scandagliato le tracce in ogni grande capitale europea, russa, americana; e che questa volta siamo andati a verificare a Londra ed in Inghilterra, ritrovando ulteriori prove di quanto sia significativo, in 2. William Downey, Dante Gabriel Rossetti e John Ruskin, s.d., quantità e in qualità, l altrove veneziano sedimentato nelle isole Archivio Jeremy Maas. britanniche. 7

secoli di reciproca attrazione tra venezia e gran bretagna: perché? 3. Tiziano Vecellio, La morte di Atteone, forse dipinta per Filippo II di Spagna tra il 1559 e il 75, Londra, National Gallery, acquisita nel 1972, grazie a speciali fondi e donazioni, e a un pubblico appello. 4. Frederic Leighton, Una nobile signora di Venezia, 1864, Leighton House Museum, Royal Borough of Kensington and Chelsea, Londra. 8 Y Per la qualità, basta leggersi, con Rosella Lauber, le avventurose imprese del Residente britannico Strange e del suo sodale Sasso (il mercante degli inglesi ) negli ultimi decenni del 1700, per constatare quante eccelse opere d arte siano transitate per le mani di quei due e poi per le abitazioni e le case britanniche (ben 245 lotti di opere messe all incanto a Londra il 10 dicembre 1789!). E si tratta soltanto di un tassello del grande mosaico di acquisti, collezioni, vendite, esportazioni ve nutesi a creare in tutto il Settecento. Ma la sorpresa è anche nella più banale quantità degli oggetti comuni arrivati in Inghilterra fino a cento anni fa: l attenzione del mercato inglese per tutto quel che sapeva di veneziano è rimasta vivissima anche scadendo nel livello di qualità. C è da restare stupiti, leggendo l avvio del saggio di Isabella Cecchini, di quanta roba sia partita da Venezia per Londra in appena due mesi, cioè in settembre ed ottobre del 1926; o quanti ogni anno, nel 1898 e nel 1922, due anni scelti a caso; siamo lontani dalla sublime qualità del passato; magari una parte di quegli oggetti era «di grossolana imitazione o di lavoro ordinario»: ma il loro volume e la loro varietà stanno a ricordare che molti inglesi, anche in pieno Novecento, volevano avere in casa un pezzetto di Venezia. Per alcuni, a ricordo di un viaggio; per altri, a borghese consonanza con un mito. Y Guido Beltramini s incarica di mostrarci come ad un certo punto, perfino Palladio sia diventato quasi più britannico, che non veneto; e Sandro Cappelletto, che per soddisfare certi desideri, s intende artistici, la Serenissima era il luogo indubbiamente migliore e più idoneo al quale guardare. Ne escono non soltanto informazioni, ma curiosità a bizzeffe. Basta leggere i due testi di Fabio Isman, prodighi di viaggiatori, artisti, epopee,

5. Antonio Canal, detto Canaletto, Il Molo del bacino di San Marco nel giorno dell Ascensione, 1733-4 circa, Collezioni di S.M. la regina Elisabetta II, Castello di Windsor; commissionata del console inglese a Venezia Joseph Smith, e venduta nel 1762 a re Giorgio III. Nel dettaglio, una galea ormeggiata davanti a Palazzo Ducale. 6. Giovanni Bellini, La Madonna del prato, 1550 circa, Londra, National Gallery, acquisita nel 1828. imprese, perfino di 007 ante litteram e di rotte avventuristiche. Y C è da domandarsi perché Venezia e l Inghilterra abbiano avuto per tre-quattro secoli una tale affinità elettiva a vari livelli. Non basta, come spiegazione, che nel periodo storico in cui tale affinità nacque, Venezia e l Inghilterra fossero le due più grandi potenze marinare, una connessa con il vasto mondo dell Oriente, l altra invece tutta baldanzosamente atlantica. Le ragioni della affinità elettiva devono essere più profonde; e si possono ricavare anche dalla lettura dei saggi che seguono. Tenterò, da semplice lettore, di metterne in evidenza alcune, con qualche pudore e molta umiltà. Y La prima mi sembra essere il rap - porto con l acqua: più con la sua regolazione minuta in adesione al territorio, che con il dominio degli oceani. Chi conosce l amore con cui i britannici valorizzano l acqua (nei ruscelli che attraversano i prati dei loro castelli, nei fiumi che connotano le città, e anche nei porti dell antica potenza), può capire con quale meraviglia ed ammirazione essi abbiano percorso i rii e i bacini di Venezia. Nell acqua regolata c è più cultura e soddisfazione, che sull acqua ribelle degli oceani; c è più capacità di pensare e costruire un insediamento; c è più cura del particolare; c è più valorizzazione della quotidianità. Queste cose non saranno mai state al centro di convegni e volumi di confronto fra veneziani e britannici; ma devono aver contato nella reciproca loro attrattiva. Y La seconda ragione di affinità sta probabilmente nel gusto del paesaggio, riproposto se possibile anche in dipinti e stampe. Non a caso l artista inglese più apprezzato in Italia è Turner, come apprezzati e comprati a caro prezzo degli inglesi furono Canaletto e Guardi («sapevano copiare», cioè avevano genio fotografico). Ed in effetti, l attrazione particolare dei grandi collel editoriale 11

tendenzialmente convergenti nella concezione della governance pubblica, con una virtuosa e graduata compresenza dei poteri del monarca (doge, o re), dei poteri dell oligarchia, dei poteri democratici. Una ipotesi forse un po tirata, ma che può far capire come, per secoli, veneziani ed inglesi si siano sentiti entrambi orgogliosi di avere un equilibrato assetto del potere pubblico, quasi dei precursori dei processi oggi in atto un po in tutto il mondo. Y E dall altra parte, per rendere più leggero il ragionamento, avanzo l ipotesi che nell immaginario inglese, Venezia fosse un luogo di piaceri: teatranti, spie, e specialmente dame. Penso a quanto facilmente possa esser nata la voglia di andare a vedere in loco se corrispondesse a realtà quanto scriveva Byron sulle sue tante conquiste nel proprio scannatoio: «Alcune contesse, alcune figlie di ciabattini, alcune nobili, alcune borghesi, alcune di basso ceto, alcune splendide, alcune discrete, altre di poco consecoli di reciproca attrazione tra venezia e gran bretagna: perché? 7. Nimrud, un rilievo dal palazzo di Assurbanipal II, New York, Metropolitan Musum: scavato verso il 1840 da Austen Henri Layard, che vive lungamente a Venezia, è un dono di John Davison Rockfeller nel 1930. 12 zionisti britannici per gli scorci paesaggistici dei due autori citati è nel tempo diventata più intensa di quella riservata ai maestosi quadri storici e mitologici, ai grandi capolavori; e non sarebbe comprensibile la curiosità inglese per Palladio, se non la sapessimo alimentata dalla capacità appunto palladiana di progettare anche edifici vicini al paesaggio circostante, oltre che edifici monumentali. Y Naturalmente, non possono bastare queste due ragioni per spiegare l affinità elettiva fra Venezia e gli inglesi. Leggendo i saggi che seguono, altre due se ne aggiungono, anche se di diversa consistenza e di opposto valore. Da una parte, avanzo l ipotesi che due mondi così lontani fossero to, tutte puttane». Non saranno attrattive elettive; certo, comunque, sono attrattive pesanti. Y La reciproca attrazione che ha contraddistinto i rapporti fra Venezia e l Inghilterra è passata quindi per percorsi e campi più antropologici che di alta cultura e di grande arte. È una interpretazione che potrà non convincere tutti, e spiacere a molti; ma ha il pregio di documentare il fatto che una vicinanza così stretta, come quella fra l Inghilterra e Venezia, non avrebbe avuto vita plurisecolare se non fosse stata incardinata, più o meno coscientemente, su scelte di segreta psicologia collettiva. Sulle vette si gode molto; ma non ci si vive tanto a lungo quanto è prosperata quella vicinanza. l editoriale 13

ambasciatori e spie raccontano anche gli amori della regina i traffici tra la serenissima e londra, su navi speciali. e arriva perfino il baccalà Fabio Isman l indagine 1. Una galea a tre rematori per bordo, da Cristoforo Canal, La milizia Marittima, inedito, 1550 circa, Venezia, Biblioteca nazionale Marciana. 2.Sebastiano Caboto in un antica incisione. 3.La statua di Giovanni Caboto, nella piazza di Montreal a lui dedicata Y Prima sono le navi, i commerci, i traffici; poi la cultura e il grand tour, che valgono racconti a parte. Politica, poca: Londra è lassù, lontana dal Mediterraneo, e a Venezia non interessa poi troppo; almeno fin verso il tramonto della Repubblica, il bacino d influenza è un altro. Però, i legami non sono sporadici, e s intensificano. «L Inghilterra e Venezia», ha scritto qualcuno, «appaiono legate da un rapporto morganatico»: sorte dal mare, nazioni anomale, per secoli custodi della propria insularità, con immensi imperi marittimi e commerciali. Nel Quattrocento, le prime spedizioni inglesi verso il Nuovo Mondo, e Lorenzo Pasqualigo scrive da Londra ai fratelli Alvise e Francesco di «sto nostro venezian, che andò con uno navilio de Bristo a trovar isole nove, e dice d aver trovato lige 700 lontam di qui terra ferma, ch è el paese de Gram Cam»; però era Terranova, il Canada, scambiato per la Cina: vi pianta i vessilli inglese e pontificio, e forse il Leone di San Marco. Pasqualigo lo chiama Zuan Talbot: ma è Giovanni Caboto (figg. 2 e 3), che morrà in Inghilterra come il figlio Sebastiano, pure grande navigatore e con lui a 13 anni, nella prima spedizione del 1497, i cui successivi viaggi meritano un racconto dettagliato a papa Leone X. Y Alle Fondamenta Nuove, non lontano da quella di Tiziano ai Biri dove è sparito il verde che possedeva, la casa veneziana dei 15

ambasciatori e spie raccontano anche gli amori della regina 4. Il modello di una galea veneziana, ricostruito per l Expo di Okinawa, che si è svolta nel 1975. 5. La descrizione di una galea grossa, pubblicata da Jules Sottas in Les messageries maritimes de Venise aux XIV et XV siècles, Parigi, 1939. A fronte: 6. Raffaello Sanzio, o bottega, Studio di galea, disegno, Venezia, Gallerie dell Accademia. Caboto esiste ancora, e ha forma di una prua di nave. Caboto junior, cartografo di Enrico VIII a Greenwich, battezza Baccalaos quelle terre, perché vi trova pesci simili ai tonni, così chiamati dai locali: «Tanto fitti, che talora ritardavano la corsa dei bastimenti». Insomma, il termine baccalà forse nasce da qui; lassù, «vivono orsi in gran numero, i quali si nutrono di pesce». Però lo stoccafisso era già stato importato in laguna da un altro grande navigatore. La storia è curiosa: Pietro Querini parte da Creta il 25 aprile 1431 per il mare del Nord, con 68 marinai, vino e spezie. Una tempesta nel Canale della Manica li costringe alle scialuppe. In 14 arrivano su un isola delle Lofoten, al Nord del Circolo polare; anche per la libertà dei costumi, che descrivono nei particolari, ci rimangono cento giorni. Querini ritorna il 12 ottobre 1432, e al Maggior Consiglio presenta anche lo stoccafisso, che ben presto entra nella gastronomia veneziana. Ma 60 anni dopo, quel nome Baccalaos resta imperituro. E le stranezze non finiscono qui: nel 1398, da Orkney in Gran Bretagna, con 12 vascelli del principe Enrico di Sinclair, erano già salpati Antonio e Nicola Zen; e se i Caboto toccano Terranova e il Labrador, costeggiano il Canada e la Groenlandia, gli Zen arrivano alla Nuova Scozia e alla Nuova Inghilterra; ne lasciano un resoconto 94 anni prima di Cristoforo Colombo, e un cannone veneziano, trovato di recente al largo di Terranova, parrebbe confermarlo. 16

ambasciatori e spie raccontano anche gli amori della regina 7. I percorsi delle mude veneziane alla fine del XIII secolo. 18 8. La ricostruzione di una galea a tre rematori per bordo, del Museo navale di Venezia, esposta alla mostra Venezia e l Egitto, a Palazzo Ducale fino al 22 gennaio 2012. Y Almeno dal Duecento, la marineria della Serenissima spaziava dal Mar Nero all Algeria, pronta a valicare le colonne d Ercole ed a spingersi a quello del Nord e alla Manica, grazie al sistema delle mude : convogli di galee (però chiamate galere) di solito a remi, ma in via sussidiaria anche a vela (figg. 4 e 5), di proprietà dello Stato e armate; perfino Raffaello ne trae un disegno (fig. 6) e quella diretta all area anseatica e inglese era l unica a spingersi nell Atlantico (fig. 7). Nel 1317, si istituisce il viaggio annuale per le Fiandre e l Inghilterra. Le galee possiedono fino a sei ordini di rematori: tre per bordo, 180 uomini (fig. 8); lo si vede ancora al Museo navale a Riva degli Schiavoni (tutti volontari; pagati poco più di un ducato al giorno, e due a fine Quattrocento, ma autorizzati a trafficare in proprio); quattro remi per banco di voga, solo quelle militari. Carpaccio la immortala (fig, 9). Il capitano era eletto dal Maggior Consiglio, ma stipendiato dai mercanti (fig. 10): 600 ducati a viaggio nel 1517; con lui, medici, un notaio, due pifferi e «due trombetti»; e 30 balestrieri, comandati da due giovani patrizi. Nel Trecento (dice Gino Luzzatto), ce n erano «da 30 a 50, portata certamente inferiore alle 95 tonnellate». Nel Quattrocento, la capacità arriva a 250 mila chili: lunghe quasi 50 metri e larghe otto, le galee hanno fino a tre alberi. Più grandi soltanto le galeazze, pensate a metà Cinquecento: 228 ai remi, una potenza di fuoco inusitata, che ne compensa l inevitabile lentezza. In quel secolo, cento galee sono sempre di riserva, un quarto armate, pronte all Arsenale, fino alla battaglia di Lepanto (1571) il complesso industriale più grande al mondo (figg. 11 e 12), con uno status privilegiato. Lo regge un ammiraglio: alla morte del Doge, alla testa degli arsenalotti, controlla la sicurezza di Palazzo Ducale; e accanto al neoletto, brandisce il vessillo di San Marco. Y Il doge Tomaso Mocenigo (fig. 13), nel 1423 riassume così la potenza navale: impegnati 10 milioni di ducati sulle navi; due di utile dall import, e due dall export; in navigazione tremila imbarcazioni «da 10 a 200 anfore con 17 mila marinai, 300 navi con ottomila, 45 galee con undicimila». Le mude, il cui viaggio richiede buona parte dell anno, durano fino al 1560; poi, saranno le navi a vela, non più statali, capaci anche di 600 tonnellate: i mercanti di Venezia, come l Antonio di Shakespeare, armano le «ricche caracche» a proprio rischio e pericolo. Sempre piene di merci. Già nel Duecento, questi precursori dei servizi di linea trasportano «da tre a cinquemila tonnellate ogni anno; nel Trecento, fino a diecimila». La parte preponderante del carico dalle Fiandre è la lana, di qualità superiore a quella dell Estremo Oriente e del Levante (e ancora più bassa la tipologia dall Albania e dalle Puglie), importata appunto dall Inghilterra e smistata alle filande in Lombardia, o in Oriente. In cambio, s intende, di altre merci nei viaggi d andata. È il ruolo di ponte sui mari, che alla Serenissima garantisce prolungata e doviziosa prosperità (fig. 14). Y Ecco l esempio di un viaggio: l 8 febbraio 1383, quattro galee «de melioribus quae sint in Arsenatu de mensura magna», caricano da 60 a 220 mila libbre di «merci sottili»; le possono imbarcare anche di privati, però a pagamento. Per zavorra, 80 l indagine 19

ambasciatori e spie raccontano anche gli amori della regina mila libbre di metalli non pregiati. Al ritorno, lana, che, per sconsigliare la concorrenza, importare via terra dopo giugno costa di dazi un quarto del valore. Eppure, il viaggio è un fiasco: le prime due galee appaltate per 15 lire, ma per le altre nessun offerta. Però non rallenta il commercio; nel 1402, infatti, ne partono cinque: un carico che vale 300 mila ducati d oro. Una cinquantina sono sempre in mare, con ottomila marinai; oltre 11. Pianta dell Arsenale come era nel XVI secolo, Venezia, Museo Correr. A fronte: 9. Vettor Carpaccio, Il rimpatrio degli ambasciatori inglesi (dettaglio), forse 1495, terzo dei dieci teleri del ciclo delle Storie di Sant Orsola, Venezia, Gallerie dell Accademia. 10. Gabriel Bella, L asta delle galee in piazzetta, tra il 1779 e il 1792, Venezia, Fondazione Querini Stampalia. ad altri 3.300 navigli inferiori, con 25 mila a bordo. Nel 1423, valuta il doge Mocenigo, l utile dei mercanti, «tra provvixion e noli, dazi doganali e senseri, tentori, noli de nave e de galie, pesadori, barche e marinai e galioti», è di «600 mila ducati dei nostri de Veniexia». Guglielmo Querini, commerciante patrizio di cui rimae la corrispondenza, ha rapporti con metà mondo: da Costantinopoli, a Bruges e Londra. In ogni luogo, trova amici o parenti; o concittadini che ci vivono per tanti anni, o fanno continue trasferte da Venezia. Nel 1498, le tre galee per la Fiandra sono ridotte a due «per mancanza di aspiranti» che le finanzino; da Candia, per l Inghilterra, «patron Alvise Trevisan» carica 2.200 botti di vino, lasciandone a terra 500, per non sfidare il peso: quasi 600 tonnellate. In più, le navi per l Inghilterra portano spesso gioie assai costose, ovviamente lavorate a Venezia. Y Già nelle sette mappe nautiche di Pietro Vesconte del 1318, uno degli atlanti più antichi che ci sono pervenuti e tesoro del museo Correr, le coste inglesi sono segnate, ma senza troppi l indagine 21

ambasciatori e spie raccontano anche gli amori della regina 12. Antonio Canal detto Canaletto, Il ponte dell Arsenale, Woburn Abbey, Collezione del duca di Bedford. 22 dettagli; un altra carta da navegar di Francesco de Cesanis in quel museo, 1421, registra svariate decine di porti inglesi e irlandesi (fig. 15); e una tavola di Andrea Bianco del 1436 descrive la Manica. Nel Quattrocento, commerciava con l Inghilterra pure Andrea Barbarigo, non del ramo che offre due dogi alla Serenissima: pochi studi e molta pratica sul campo, cioè sul mare (è balestriere su varie navi, dice lo studioso Frederic Lane), anche lui ha lasciato numerosi documenti. Parte con 200 ducati, e dopo 12 anni, nel 1431, ne possiede 1.600. Lavora con i Balbi, banchieri, ed i Cappello, di cui due, più volte, sono capitani di galee nel viaggio di Fiandra; poi, si dedicheranno alla carriera politica, e uno sarà il Capitano generale della flotta. Come lui, avevano perso il padre da piccoli. Barbarigo fa scontare a Londra lettere di cambio; dei tre fratelli Cap- 13. La tomba del doge Giovanni Mocenigo, di Tullio Lombardo, nella Basilica dei Santi Giovanni e Paolo. pello, suoi cor rispondenti, diverrà cognato. La posta giungeva in 25 giorni, e almeno con Bruges, c era già un regolare servizio; è del 7 marzo 1282 la prima notizia di un officium postale di stato veneziano. Ma il Nord restava ancora davvero remoto. E pericoloso: nel 1485, sei vascelli pirata uccidono 130 veneziani e ne feriscono 300; per la restituzione del bottino, interviene perfino Carlo VIII di Francia; Piero Malipiero comanda una galea nel 1488: lamenta l attacco di tre navi inglesi che «pretendevano il saluto», muoiono 18 britannici e due soli veneziani. Y Comunque sia, nel 1430 Andrea carica merci su una cocca, nave da 400 tonnellate, che compiva il viaggio in tempi precedenti alle «galee di mercato» organizzate dalla Repubblica (fig. 16); quattro del convoglio arrivano a Bruges, e la quinta, la Balba, è catturata da pirati genovesi. La maggior parte del carico era tuttavia riservata alle più sicure galee statali. Ne sono appaltate cinque, anziché le quattro previste (con un voto di 60 a 40 in Senato): in una, Barbarigo carica sei balle di pepe. Nel viaggio, la flotta incappa in 10 galere e altri 26 vascelli castigliani: se la cava pagando con gioielli, forse in vetro, valutati lo 0,2 per cento del valore delle merci. Il pepe giunge a Bruges, ai Cappello; e da Londra e Sandwich, tornano 23 barili di stoviglie di stagno e peltro, e altrettanti panni di stoffa inglese: un investimento di 1.600 ducati. Approdano a Venezia appena ad aprile 1431: lana venduta a Rialto; stoviglie in Puglia, a Ferrara e Verona. Y Il mercante importa 20 «panni fini» da Londra anche un anno dopo, e ne chiede fino a 200, da acquistare a credito, al tasso dell 8 o 10 per cento annuo, da destinare in Siria. In cambio, spedisce pelli; ma manda anche fili d oro da Costantinopoli via terra, per alienarli a Londra, dove la colonia veneziana è di 40 componenti. Su Barbarigo, per Lane, pesa anche l ombra di doppi giochi tra agenti. Nel 1440, gli investimenti in Ponente per le merci delle navi di Fiandra toccano i cinquemila ducati; di solito, spezie (per conferire gusto ai cibi e conservarli) contro stoffe. Il prezzo di 120 chili di pepe, dai 56 ducati di inizio Quattrocento, arriva fino a 100; e nel 1501, tocca i 130: Antonio Grimani ne è ben rifornito, e senza nemmeno muovere un ciglio, guadagna 40 mila ducati. Un bel gruzzolo: un decimo delle entrate nel 1586, annota il futuro doge Leonardo Donà, per i dazi delle mercanzie nell intera Serenissima. Un viaggio che va a male, può rovinare un intera famiglia, lo spiega anche Shakespeare ne Il mercante di Venezia. Una querelle infinita tra i due stati sono i dazi sull uva secca. Y La linea per il Nord, le cui galee svernano a Southampton (e qui, i rematori Schiavoni hanno perfino un cimitero: in una chiesa di North Stoneham c è ancora una lapide del 1491), è assai importante. «Producono sui mercati britannici un movimento l indagine 23

ambasciatori e spie raccontano anche gli amori della regina 14. Il bacino di San Marco affollato di navi mercantili (a sinistra, una galea appena arrivata, con i remi in mare), in una xilografia del Supplementum chronicarum di Johannes Philippus Forestus Bergomensis, Venezia, 1490. 15. Franceco De Cesanis, Carta nautica, 1421, dettaglio con la penisola iberica e, in alto, le coste inglesi e irlandesi, Venezia, Museo Correr (già coll. Cicogna). 24 quanto poté mai produrlo 60 anni fa», scrive un inglese a metà Ottocento, «l arrivo a Calcutta della flotta delle Indie». A Bruges, parecchi gli uomini d affari veneziani; per determinare i prezzi, si riuniscono nella casa dei van der Boerse; da qui, per qualcuno, il nome di una fondamentale istituzione moderna: la Borsa. Nel XIV secolo, sul Tamigi, nasce lo Steelyard, o Stalhof; era una concessione ai mercanti di Colonia già da due secoli. Magazzini e botteghe; alloggi per ospitalità temporanee; la chiesa più vicina è All Hallows the Great (fig. 17); è difeso manu militari; residenza obbligatoria per i mercanti, e le donne off-limits; di sera, le porte chiuse. Tanti parallelismi con il Fondaco dei Tedeschi a Venezia, 200 camere e 21 botteghe a pian terreno. Il Trionfo della povertà e quello della ricchezza, di Hans Holbein il giovane (perduti, ma noti da copie) decorano la Guild-Hall (e a Venezia, i mercanti del Fondaco pensano alla Pala della Festa del Rosario di Albrecht Dürer, nell attigua chiesa di San Bartolomeo, che poi Rodolfo II vorrà a Praga, fig. 18). Il predominio sulla rotta si esplica fino al 1625: quando i prodotti delle Indie orientali entrano ormai nel Mediterraneo su navi olandesi e inglesi salpate da Amsterdam, o Londra. L attività veneziana di grande mediatrice tra Oriente e Occidente viene meno. E i guadagni, pure. I viaggi costituivano davvero un ottimo mercato, se nel 1587, l ospizio delle Convertite alla Giudecca offre intense preghiere per il buon esito degli stessi, in cambio dello 0,08 per cento dei capitali assicurati: proposta troppo speculativa per il tribunale. Nemmeno un secolo dopo, il futuro di porto regionale non è così lontano, anche se, con i suoi 175 mila abitanti, la città rimane (Alvise Zorzi) «una specie di New York del Cinquecento;

ambasciatori e spie raccontano anche gli amori della regina 16. Vettor Carpaccio, L incontro dei fidanzati e la partenza in pellegrinaggio (dettaglio), 1495, quarto dei dieci dipinti del ciclo delle Storie di Sant Orsola, Venezia, Gallerie dell Accademia; nel particolare, tre cocche, di cui quella a sinistra abbattuta per il carenamento. ma per la libertà dei costumi, l attrazione intellettuale e il richiamo che esercita», si può paragonare solo «alla Parigi di prima della seconda guerra mondiale». Y Nel Seicento, però, tanti espatriano anche dalla laguna in Inghilterra; scrive l ambasciatore, Girolamo Lando: «Accasati con mogli e figli, e con buoni utili». Tra loro, nove, banditi da Murano nel 1617, perché accusati di omicidio in una faida tra i Licinio dal Drago ed i Seguso. E otto anni dopo, probabilmente, pure due personaggi assai singolari, Vincenzo e Bernardo. Sono i superstiti di una straordinaria spedizione. A Jamestown, in Virginia, sotto l egida di Giacomo I Stuart, c era poco più di un fortino, comandato dal leggendario capitano John Smith. Per renderlo autonomo, si pensa ad una fornace, fuori dai pali del forte, che produca quanto serve ai coloni. Ne sono officiati otto tedeschi e polacchi; tuttavia, non funziona. E, ad agosto 1621, quattro di Murano, con due aiutanti, vanno per fabbricare perle, da offrire agli indiani negli scambi. Difficoltà con chi già c era; la fornace crolla ed è riparata; muta il comandante dell avamposto; tanti i malati; gli indiani provocano un massacro; un Simone muore, e nel 1624, abortisce anche il secondo tentativo: Vincenzo e Bernardo tornano a casa, in quella Venezia che è tutta un mercato. Nel 1674, esistevano 497 sensali, di cui 25 di nozze e 20 di case e noli marittimi: un numero infinito; e mai stanchi, sempre all opera, annota Marco Boschini, autore, nel 1660, della Carta del navegar pitoresco. Y Per le «galee di Fiandra» passano anche gli antichi rapporti 17. Londra, la chiesa di All Hallows the Great. tra i due paesi, l Inghilterra e la Serenissima: questi capitani di mare «valevano ben di più degli agenti diplomatici a mantenerli», come scrive Rawdon Lubbok Brown ne L archivio di Venezia con riguardo speciale alla storia inglese, apparso a Londra nel 1864 e l anno dopo a Venezia e a Torino, introdotto dal conte Agostino Sagredo (fig. 19); un libro capitale, da cui attingeremo svariate notizie, di un singolare autore di cui diremo parlando del Grand tour. Brown è figura atipica: a 27 anni arriva per «vedere Venezia» (Zorzi) e non se ne va più fino alla morte, a 67 anni, la bara avvolta nel gonfalone di San Marco. Lavora tantissimo all archivio: riscopre Marin Sanudo e i suoi Diari; trova casa a John Ruskin. E capitano della nave di Fiandra è Gabriel Dandolo, il primo agente diplomatico di Venezia in Inghilterra che Brown registra, nel 1316. Dal 1554 al 1787, conta ben 9.991 dispacci mandati in laguna dai diplomatici spediti a Londra, cui vanno aggiunte 13 relazioni di Ambasciatori, ancora presenti nell Archivio dei Frari (luogo per studiare dei migliori al mondo; «forse nessun Paese vanta un patrimonio dei suoi governi più ampio, dettagliato e rivelatore», afferma John Julius Norwich): da quella del 1531 di Ludovico Falier, a quella di Francesco Morosini e Tommaso Querini del 1763, a quella di Sebastiano Giustinian (come tra i capitani di Fiandra, anche tra i diplomatici a Londra tanti bei nomi), che ci resta quattro anni ai tempi di Enrico VIII. Finché Venezia «non vuole più mantenere» esponenti di un tale rango «alla corte d un principe in aperta rottura con la Santa Sede», e seguiranno 44 anni di vane l indagine 27

ambasciatori e spie raccontano anche gli amori della regina 18. Albrecht Dürer, la Festa del Rosario, Praga, Národni Galerie. 28 sollecitazioni della regina Elisabetta: il Senato (96 sì, 44 no e 58 astenuti) provvede giusto sei settimane prima che la sovrana muoia; le resta soltanto il tempo per l udienza di presentazione e di benvenuto. Y Dei 34 consoli veneziani in Inghilterra, due, nel Quattrocento, sono inglesi, a Sandwich ed a Hampton: due porti, a riprova di quanta rilevanza avessero i viaggi delle galee. Mentre appena del 1608, e anonimo, è il primo console inglese a Venezia, «nominato dai mercanti ivi residenti». Il primo ambasciatore, 1340, è il cappellano della casa regnante a Napoli; e del 1532 il primo residente, dopo alcuni inviati o straordinari. Brown conta oltre duemila lettere mandate a Londra solo dal 1602 al 1629. Venezia sarà l ultimo Stato a riconoscere quello di Cromwell, dopo la decapitazione di Carlo I Stuart (fig. 20). La sua tradizione diplomatica è celebre, come quella degli spioni. Lord Chesterfield esorta il figlio, «in qualunque parte si trovi, a coltivare l amicizia dell ambasciatore veneziano». Y Dal 1431 la Repubblica ha missioni diplomatiche permanenti, «primo Stato a mantenerne», scrive Norwich: eletto papa Eugenio IV Gabriele Condulmer (fig. 21), c è bisogno di un delegato a Roma. Già prima, però, nelle capitali giungevano diplomatici incaricati di singole partite, cui dal 1268, una legge imponeva di presentare rapporto al vertice della Repubblica; dal 1470, sono in italiano. E il gioco delle spie nel mondo era tale, che questi rapporti si ritrovano in vari archivi stranieri, e perfino alla biblioteca Bodleiana di Oxford. Invero, a Venezia esistono anche 49 lettere scritte dai monarchi inglesi ai romani pontefici nel Quattrocento, e non si sa come vi siano giunte. 19. Un interno di Palazzo Sagredo, oggi. Y Brown annota molti «prodotti e manifatture» trasportati dalle galee di Fiandra, con i luoghi di provenienza. Seta e «damaschi rari» lagunari, con altre sete dalla Persia e dalla Turchia; cotone dalle Indie e dall Egitto; altro greco; «semenza di perle da triturare» dal Golfo Persico, usata come medicinale; materiali da Angora. Più tutte le «spezierie» immaginabili. Dal pepe «d Indostan», all assenzio di Persia; dal «verzìn, ossia la Phytolacca scosandra, fiori di albero purgativi che forniscono tintura purpurea», alla noce moscata di Malacca, alla canfora del Borneo, al rabarbaro di Aleppo; il «turbito raffinato di Ceylon e Goa», che è un altro purgativo, come la scammonea di Aleppo; lo storace della Siria; lo zibetto delle Indie orientali e «qualunque luogo dove si trova la jena», che guariva i neonati dalle coliche. Il «tignami o Elichrysum di Alessandria, pianta di fiori vermifuga, facilita i mestrui»; il bezoìm delle Indie orientali, Siam e Sumatra, gomma resinosa per i polmoni ulcerati, curante dell asma e antidoto al veleno; vari prodotti, francamente, più potabili ed abituali, compresi i ribes di Patrasso, «buona qualità e ben venduti»; con le spezie, agli inglesi non dispiacciono nemmeno l uva passa greca e il vino dolce, la malvasia; e addirittura libri manoscritti, stampati e miniati. Y Quella della stampa è arte innanzitutto veneziana: nel Cin- l indagine 29

ambasciatori e spie raccontano anche gli amori della regina 20. Anton Van Dyck, Carlo I Stuart a caccia, a 35 anni, Parigi, Louvre. 30 quecento, la città produce due terzi dei libri dell intera Penisola; in 50 tipografie, tre volte e mezzo quelli globalmente stampati da Milano, Firenze e Roma. I torchi sono 1.500; 493 tipografi ed editori danno lavoro a 2.500 abitanti. Un solo nome: Aldo Manuzio. Inventa il carattere aldino (il corsivo: lo troviamo ancora con il nome di italic nei nostri computer); è editore di Pietro Bembo ed Erasmo da Rotterdam; e suo è il sogno di ogni bibliofilo, il libro più prezioso del Rinascimento: la Hypnerotomachia Polyphili del domenicano Francesco Colonna, «battaglia d amore in sogno», un mix di latino e volgare, arricchita da splendide incisioni (fig. 22). Le edizioni di Manuzio, con àncora e delfino (fig. 23), sono un modello; inventa anche i tascabili, piegando un foglio in otto: sono i volumi in ottavo. Ma l arte di Gutenberg approda in laguna già nel 1469, con tanto di placet dogale: la portano Vindelino e Giovanni di Spira; suo il primo libro veneziano: le Epistolae ad familiares di Cicerone (fig. 24), conservate in quel gioiello che è la Biblioteca Marciana. Con loro è Johann Emerich, che si fa chiamare Giovanni de Spira: dall inizio, è in società con Johannes Hamman di Landau, che dal 1482 spedirà anche a Londra i propri messali per le chiese di York e Salisbury, finanziati da investitori fiamminghi (fig. 25); erano già la mobilità dei capitali, l intraprendenza commerciale, le lunghe vedute di uomini colti. Riccardo III, immortalato da Shakespeare, nel 1483, il primo anno di regno, ri- 21. Bernardino di Betto detto Pintoricchio, Enea Silvio Piccolomini fa atto di sottomissione a papa Eugenio IV (dett.), 1503-8, Siena, Duomo. chiede l elenco di miniatori, stampatori e rilegatori veneziani, e con un decreto ne sancisce l importazione. Y Ma tra Londra e Venezia non sono soltanto i viaggi. Esistono inglesi, ad esempio, che domandano aiuto a Venezia per giungere in Terrasanta: il duca di Norfolk, Thomas Mowbray, bandito da Riccardo II, nel 1399 spera in una galea in prestito per un pellegrinaggio, ma muore di peste. La salma ritorna in Inghilterra, come lui voleva, solo nel 1532. Resta la lapide, poi inserita nel porticato di Palazzo Ducale, finché, 1810, i francesi ordinano che sia resa illeggibile, piena come era d insegne del nemico. Domenico Spera, lo scalpellino incaricato del lavoro, si limita a rivoltare la pie - tra; e nel 1839, proprio Rawdon Brown la scopre, e la spedisce agli eredi. Tra gli atti che pubblica, infinite le curiosità. Un Avviso (è il nome dei dispacci) racconta, nel 1531, di 7 o 8 mila donne che si precipitano fuori di Londra, per uccidere Anna Bolena (fig. 26), «l a mata del re inglese che cenava in una casa di piacere sopra una fumeria»; ma la avvertono, e lei scappa in tempo, traversando in barca il Tamigi. La foresta di Chute, donata da Carlo I al Premier, cela uno scandalo ante litteram: «Una vendita fatta dal Lord Tesoriere a se stesso sotto falso nome»; non è processato perché poco dopo (provvidenzialmente) muore. Tra le carte, imperversano le spie. Le prime lettere inglesi nell archivio della Serenissima riguardano il conte di Devon «Edoardo Courtenay (fig. 27), che morì a Padova di lenta febbre, benché non senza sospetto di veleno». Era stato incarcerato 15 anni nella Torre di Londra, dove, 31 l indagine

ambasciatori e spie raccontano anche gli amori della regina 22. Francesco Colonna, una xilografia dell Hypnerotomachia Polyphili. 32 con la madre, aveva assisto all esecuzione del padre Henry, tutti propria mano in testa». Né è detto che la sovrana muoia davvero accusati di complotto filocattolico. Spende in Italia l anno estremo; ma il Consiglio dei Dieci lo crede «stromento della corte di «in tutto il vigore d una verde vecchiaja» (Rawdon Brown): lo per infermità, come si afferma. Appena sei settimane prima, era Francia», e ordina al Podestà di Padova d inviargli in segreto lo dice il segretario Carlo Scaramelli, in un dispaccio. Dopo 44 anni, un diplomatico era stato inviato, ma a spese dei mercanti, non stipo con le sue lettere; convoca un fabbro, lo vincola al silenzio e ne sottrae alcune; poi rispedisce il tutto, riposto d argento et bianco fregiato d oro, con della Repubblica. Lei era «vestita di tabì nell esatto ordine in cui si habito alquanto aperto davanti, sì che trovava, con ogni sigillo. mostrava la gola cinta di perle et rubini Ma ad Antonio Foscarini fino a mezzo petto, capelli di un color (1570-1622) i sospetti chiaro che non lo può far la natura, peri costano ancora di più: di perle grossi attorno alla fronte, gran ambasciatore in Francia e numero di gemme nella persona, quasi Inghilterra, al ritorno è coperta di cinte d oro gioielate, e pezzi accusato di relazioni con separati di carnonzi, balassi et diamanti, esponenti stranieri (proibite); alcuni incontri, a assistevano, «scoperti, l Arcivescovo di filze doppie di perle più che mezzane»; Palazzo Mocenigo, da Lady Canturberì, il Cancelliere, il Tesoriere, Alathea Talbot, moglie del l Ammiraglio, il Secretario e tutto il II Conte di Arundel (uno Consiglio privato, dame, cavalieri, musici da ballo». La Regina si leva in piedi; dei primi collezionisti di opere italiane, fig. 28), saluta; scambia cortesie; discute; fa progetti. Legge la missiva da Venezia che il che, per smentirli, invano si reca a Palazzo Ducale. segretario le porge, e «di placida, quasi Con voto unanime del ridente si fece alquanto più grave nel volto»: protesta, perché, fino ad allora, Ve- Consiglio dei Dieci, è condannato, strangolato nezia non ha mandato un ambasciatore. in carcere e il corpo appeso tra le due colonne in Piazzetta San Ricorda anche d aver imparato l italiano da piccola; e dice che 23. Aldus Pius Manutius, Marco. Pochi mesi dopo, scoperta la falsità delle accuse, giustiziati i rei; e lui, pienamente ma tardivamente riabilitato. con àncora e delfino, Y Nemmeno i sovrani vanno esenti da quella umanissima pecca il frontespizio, forse le riuscirà di parlarlo nuovamente. Una moribonda? di Institutionum grammaticarum Y Mandate dall ambasciatore veneziano a Parigi, non mancano che si chiama gelosia. Tra i dispacci dei quattro anni di Sebastiano Giustinian a Londra, 226 trovati da Brown quando si pensa- libri quatuor, Venezia, 1508 neppure due lettere d amore, del 1579, della regina Elisabetta o 1514. (fig. 29) al duca Francesco d Angiò già d Alençon, figlio di Caterina de Medici, la regina madre di Francia. Se un po di gossip è 1515 di 24 anni: «Sua Maestà è entrato nel nostro pergolato, e rivano perduti, uno riferisce di un incontro con Enrico VIII, nel lecito, sono divertenti. La sua «presenza mi ha dato e dà la salute et ogni contentezza che ho», «all intera sodisfazion mia non di Francia è alto come me? Gli ho risposto che la differenza era volgendosi a me in francese ha detto: Parla un po con me; il re mancherà altro che la persona di V.A.»; gli dona un orologio di poca. Ha proseguito: È altrettanto robusto? Gli ho risposto di pregio e una «beretta giogielata che vale quattro mila scudi»: li no. Poi: Come ha le gambe? Muscolose, ho replicato. Al che, ha definisce «piccoli doni, l uno perché portandolo al collo habbi aperto il farsetto e, mettendosi la mano sulla coscia, ha detto: causa di ricordarsi ogn hora di me», e «la beretta a significazione della corona di questo regno, che più volentieri le metterei di yard si mercanteggiava. Guarda qui; e ho anche buoni polpacci!». E intanto, allo Steel- 33 l indagine

ambasciatori e spie raccontano anche gli amori della regina 24. Marco Tullio Cicerone, una pagina delle Epistolae ad familiares, il primo libro pubblicato a Venezia, da Giovanni di Spira, nel 1469. 25. (a fronte) Johannes Hamman de Landoja, una pagina miniata del Messale romano, Venezia, 1491. Y Di spessore certamente inferiore i contenuti di altri registri veneziani, quelli degli spioni e delle informazioni. Tra Londra e Venezia, c era anche una guerra di cifre. Gli inglesi fanno subito conoscere «il manualetto di Leon Battista Alberti, padre della crittologia occidentale» (è del 1466, però pubblicato solo nel 1568, il suo De componendis cyfris); «si avvale di John Dee, mezzo scienziato mezzo astrologo, che conosce i segreti crittografici di Tritemio e Cardano» (così Paolo Preto nel fondamentale I servizi segreti a Venezia); e già nel Cinquecento, la Serenissima sviluppa un suo codice, per cui bovi significa galee, specchi di Muran artiglieria, biscotti sta per occhiali, spetie per fanteria, i damaschi sono l armata del papa, la cannella intera, un pezzo gli arabi, il velluto cremisin il fuoco, volpe le navi turche, e così via. Perché, all epoca, la corrispondenza era spesso intercettata. Nel 1746, Pietro Andrea Cappello, ambasciatore a Londra, sa tutto della celebre camera nera inglese, strumento speciale che «imprime li dispacci su una carta espressamente preparata con una spezie di gomma, che ne attrae da qualunque inchiostro l impressione». Y A Venezia, bastava un sospetto di collusione, e si finiva in piena notte nel Canal Orfano: «In più cauta et secreta maniera», con due marmi impiombati addosso. E in laguna, nel 1583, circolano voci sui tentativi di avvelenare la regina Elisabetta con mazzi di fiori, acque profumate e con la biancheria. Potere e affari. Nicolò Tron, ambasciatore nel 1718, nel suo lanificio a Schio introduce la «navetta volante» inventata nel 1733 da John Kay, e la Serenissima registra; il residente a Londra Cesare Vignola manda

ambasciatori e spie raccontano anche gli amori della regina 26. Anna Bolena, in un dipinto della National Portrait Gallery di Londra. 27. Edward Courtenay, morto a Padova, in un antica incisione. 36 tello mi scrive che debba farvi vedere le cose belle che sono in questo regno, et alla prima voi haverete veduta la più bruta, che son io». Ovvi i seguiti, ed i reciproci salamelecchi. Sipario. Ma con un pensiero a una (forse) povera monaca: nelle Curiosità veneziane, Giuseppe Tassini (1863) racconta che, nel 1643, «il gentiluomo inglese Giovanni Bren, o Brin, addetto all ambasciata d Inghilterra, presa una gondola da traghetto, stava per asportare dal monastero delle Convertite una monaca, che aveva già messo sotto il felze, coperta con un drappo, allorquando i barcaiuoli, alle grida dell altre monache, ricusarono di muovere la barca, così andò fallita l intrapresa. Il Bren perciò dovette stare in prigione sei mesi». Ma dopo, è assolto: «Giovane e alquanto inesperto», era stato «gabbato da una vecchia ruffiana, per nome Margherita Locarda, la quale fu condannata a 4 anni di carcere». Che esistesse, già allora, l impunità diplomatica? notizie sulle ultime invenzioni: il cronometro marino, la draga, la giacca di salvataggio, il pallone aerostatico. E per avere una nuova qualità di ferro, un ignoto fabbro veneziano corrompe l operaio di una fornace inglese con un banalissimo bicchiere di punch. Un colpo sensazionale si deve nel 1780 all ambasciatore Simone Cavalli: riesce ad introdurre in Veneto macchine copialettere e rotative a vapore; ne imbarca di nascosto i modelli, come poi farà per certi affusti di artiglieria, con cui Angelo Emo bombarderà i porti tunisini. Proteggere i commerci, e l industria è da sempre un compito della nutrita rete di 007 veneziani. Quando, nel 1622, un gruppo di muranesi si trasferisce in Nuova Sco- 28. Anton Van Dyck, Thomas Howard, XXIV Conte di Arundel, con la moglie Alathea, zia portando i propri segreti e apre nove fornaci, l ambasciatore 1639-40, Arundel Castle offre denari a uno di loro, convincendolo a ritornare. Anche nel West Sussex inglese, Giacomo Casanova è attivo a Londra: propone agli inquisitori, collezione del duca di Norfolk. nel 1763, un nuovo modo per tingere di scarlatto i fazzoletti di cotone. Ma facciamo punto con tante vicende più o meno equivoche. Tra queste carte, ci sono anche descrizioni che soltanto i Catherine Elise Blanchett, 29. L attrice australiana detta Kate, nel film testimoni possono offrire: le galanterie di corte, il bon ton diplomatico. Francesco Gradenigo scrive nel 1596 che «trovai la regi- del 2007, seconda parte Elizabeth, the golden age na [Elisabetta] sotto il baldacchino, tosto le baciai la mano, che di una trilogia diretta da Shekhar Kapur. mi disse in italiano, la qual lingua parla benissimo: il Re mio fra- 37 l indagine

tanti edifici, e un ritratto forse falsificato dal console smith tutta l inghilterra è ricolma di palladio. e ruba perfino il volto all architetto Guido Beltramini 1. Lord Richard Boyle, terzo conte di Burlington, Chiswick House, facciata, 1726, Londra. 2. Anton Van Dyck, Ritratto di Inigo Jones, matita, Chatsworth, The Trustees of the Chatsworth Settlement. Y Il primo inglese ad arrivare e a scriverci sopra fu una specie di buffone di corte, e Palladio non lo impressionò affatto. Thomas Coryat (1577 c. - 1617) pubblica nel 1611 il resoconto del proprio viaggio di cinque mesi attraverso l Europa, compreso un soggiorno a Vicenza, avvenuto tre anni prima. Nelle sue Crudities - letteralmente: cose ancora grezze, non raffinate - Coryat nomina palazzo Valmarana, il teatro Olimpico e la Rotonda, ma la celebre Basilica palladiana ha la peggio di fronte all antiquato palazzo della Ragione di Padova, «di gran lunga la cosa più bella che io abbia visto». Qual che anno dopo, invece, con Inigo Jones (1573-1652, fig. 2) fu amore a prima vista. Jones è a Vicenza due volte, nel settembre del 1613 e alla fine dell estate del 1614. Percorre le strade della città con in mano una copia della terza ristampa (1601) dei Quattro Libri dell architettura (fig. 3), il trattato che Palladio aveva pubblicato nel 1570, su cui annota puntualmente ciò che vede. Da questo esemplare, oggi conservato al Worcester College di Oxford (fig. 4), possiamo trarre il più antico report sullo stato degli edifici palladiani, a poco più di un trentennio dalla morte dell autore. Jones commenta le immagini del trattato, segnalando le differenze con quanto effettivamente realizzato. Nella tavola di palazzo Barbarano aggiunge, tratteggiate, le due campate effettivamente costruite, che mancano nell illustrazione; sulle planimetrie di palazzo Chiericati e di case, palazzi, ville 39

tanti edifici, e un ritratto forse falsificato dal console smith 3. Andrea Palladio, I quattro libri dell architettura, Venezia, 1750. 40 palazzo Thiene, invece, segna il limite cui si era arrestato il cantiere. Non manca di appuntarsi un gossip per noi prezioso, quando sulla pagina relativa a palazzo Thiene scrive: «Scamozzi e Palma il giovane dissero che questi progetti erano di Giulio Romano ed eseguiti da Palladio, e così pare», smascherando il tentativo di Andrea di attribuirsi l edificio del più noto collega. Y Sem pre dalle note sul trattato, veniamo a sapere che vecchi muratori vicentini con - dussero Jones di fronte a palazzo Thiene e, indicandogli il capitello sullo spigolo del piano nobile, affermarono con orgoglio di categoria: «Questo lo ha scolpito Palladio con le proprie mani». Y Perché questa esegesi palladiana? Che cosa spinge Jones ad uno studio tanto accurato degli edifici vicentini e delle ville nelle campagne? Inigo - che, ricordiamo, è scenografo di corte e architetto - è giunto in Italia con l obiettivo di trovare dei modelli su cui basare un rinnovamento radicale della provinciale architettura inglese del proprio tempo. All inizio del XVII secolo, pur destinata a diventare una grande potenza europea, la Gran Bretagna scontava il suo periferico isolamento, con uno stile edilizio dove le novità della nuova architettura classica continentale si mischiavano ingenuamente con una tradizione locale ancora gotica. Jones vede in Palladio la via per un rapido aggiornamento: una architettura basata su modelli antichi, ma che aveva saputo adattarli ad edifici contemporanei 4. Il Worcester College, a Oxford. 5. Paolo Caliari, detto Veronese (attr.), Ritratto di Vincenzo Scamozzi, Denver, Denver Art Museum. come ville, palazzi, chiese. Il linguaggio palladiano appare a Jones puro e limpido, fatto di proporzioni e di misura, basato su regole semplici; in un certo senso, più vicino ad una certa austera mentalità nordeuropea di quanto non lo fossero le eleganze michelangiolesche o le successive complesse ricerche spaziali barocche. Con in più il fascino, per nulla secondario per tutti i palladianisti, di provenire dal territorio della Serenissima Repubblica di Venezia, vale a dire il paese dove si riteneva - dai veneziani naturalmente - concretamente realizzata la forma di governo ideale vagheggiata da Platone, in cui convivono la monarchia (il doge), l oligarchia (il Consiglio dei X) e la democrazia (il Senato). Y Ma la passione di Inigo per Palladio probabilmencase, palazzi, ville 41

tanti edifici, e un ritratto forse falsificato dal console smith 6. Paolo Caliari, detto Veronese (attr.), Ritratto di Daniele Barbaro, fratello di Marcantonio, Amsterdam, Rijksmuseum. 7. Jonathan Richardson il Vecchio, Ritratto di Lord Richard Boyle, terzo Conte di Burlington, National Portrait Gallery, Londra. te non sarebbe stata sufficiente ad innescare la rivoluzione architettonica del palladianesimo se egli non fosse rientrato in Inghilterra con diverse centinaia di disegni del Maestro. Non sappiamo con certezza come sia successo. È possibile che i disegni fossero rimasti in possesso di Silla, il figlio minore di Palladio, o più probabilmente di Vincenzo Scamozzi (1548-1616, fig. 5), suo allievo o quantomeno erede dei cantieri in corso alla morte di Andrea (dalla Rotonda, al Teatro Olimpico) e delle preziose relazioni con committenti quali Marcantonio Barbaro (fig. 6). Dato che Scamozzi aveva un pessimo carattere - e bisogno di soldi per pubblicare il proprio trattato - ci siamo fatti l idea che egli abbia fatto commercio dei disegni palladiani, vendendoli a Jones. In effetti non ne abbiamo le prove e mi piacerebbe pensare che il vecchio Scamozzi abbia voluto affidare i disegni del proprio maestro al futuro: al campione di una nuova nazione potente a caccia di una nuova architettura. Non lo sapremo mai; ma come nel XV secolo i codici greci furono trasportati dal Cardinale Bessarione a Venezia da Costantinopoli, al momento della caduta della città nelle mani turche, e attraverso essi la Serenissima divenne l erede di una sapienza secolare, così i disegni palladiani trasformarono nel profondo la cultura architettonica inglese. Jones li conservò come reliquie, e in contrasto con le fitte annotazioni e disegni tracciati sulla propria copia de I Quattro Libri, evitò di apporvi il minimo segno. Intonsi giunsero al suo allievo e congiunto John Webb (1611-1672), che nel 1628 aveva sposato sua nipote Anne, il quale continuò a rispettarli preferendo ricopiarli in grandi preziosi fogli oggi al Worcester College di Oxford. Da Webb, giunsero ad un altro architetto inglese, William Talman (1650-1719), che li acquistò prima del 1701 e li lasciò in eredità al figlio John (1677-1726), collezionista e antiquario, che nel 1720-21 li vendette a Lord Burlington (1694-1753, fig. 7), anch egli architetto dilettante. Quest ultimo, non sazio, nel 1719 organizzò un viaggio in Italia a caccia di nuovi fogli palladiani, ritrovandone un folto gruppo relativi alla Terme 8. Inigo Jones, il salone della Banqueting House, a Whitehall, 1619-22, Londra. 9. Henry Flitcroft, il salone centrale della Wentworth Woodhouse di 365 stanze, edificata a partire dal 1723 nello Yorkshire. antiche, che pubblicò nel 1730 come Fabbriche antiche disegnate da Andrea Palladio vicentino, stampati in color seppia ad imitazione degli inchiostri originali: è la prima pubblicazione in fac-simile di disegni di architettura. Dagli eredi di Burlington, le ormai diverse centinaia di disegni palladiani approdarono nel 1894 nelle raccolte del Royal Institute of British Architects, riconosciute come una sorta di riserva aurea della cultura architettonica della nazione. Y Palladio per gli inglesi non è mai stato un architetto qualunque. Non lo fu per Inigo Jones, che ispirandosi a lui rivoluzionò l architettura del proprio paese con edifici come la Banqueting House (fig. 8), ultimata nel 1622 per il re Carlo I. E non lo fu per i successivi tre secoli, se pensiamo che le letture palladiane di Rudolf Wittkower contenute nel libro The Architectural Principles in the Age of Humanism, (London 1949) divennero fondative per la nuova architettura inglese del secondo dopoguerra. Un allievo di Wittkower, Colin Rowe, tracciò proprio in quegli anni una discutibile ma feconda linea di contatto fra Palladio e il Movimento Moderno, attraverso Le Corbusier, con il celebre saggio The Mathematics of the Ideal Villa, in cui paragonava la villa modernista a Garches con la Malcontenta palladiana. E di edifici palladiani case, palazzi, ville 43