Roma, 23 dicembre 1655 Un amazzone fra i prelati

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Roma, 23 dicembre 1655 Un amazzone fra i prelati la solenne entrata di cristina di svezia nella città eterna. secolarizzazione degli stati e rilancio spirituale del papato. l ostensione pubblica della neoconvertita. una donna nella corte pontificia: etichetta e cerimoniali. la regina del nord come sovrana della scena culturale capitolina La maestà della regina di Svezia fece la sua entrata solenne in questa città con splendore ancora maggiore dell aspettazione, essendo comparsi tutti questi principi e cavalieri l uno a gara dell altro per soddisfare al desiderio di Sua Santità. Il 23 dicembre 1655 soffiava a Roma un vento impetuoso e pioveva. Nonostante le intemperie Cristina decise di fare il suo ingresso solenne su un cavallo bianco, la chinea. Cronisti, cerimonialisti, autori di Avvisi e diaristi descrissero accuratamente quel giorno memorabile, le scene, gli attori e le tappe del trionfo, soffermandosi con il loro linguaggio barocco e aulico su ogni minimo e significativo particolare e offrendoci così, in una sorta di cronaca in diretta, la possibilità di visualizzare l evento. Sappiamo dunque che Cristina non utilizzò la magnifica carrozza a sei disegnata da Gian Lorenzo Bernini e realizzata da Giovanni Paolo Schor, offerta dal pontefice in persona, Alessandro VII Chigi, proprio per l occasione dell entrata trionfale. La regina montava il cavallo «all uso di donna», contrariamente al suo solito, e indossava «una veste alla francese di color simile al cenerino, non di seta, ma guarnita con trina, o reticella d oro aperta in modo che, dall una e dall altra parte del cavallo cadeva»; sulle spalle portava una mantellina nera di taffettà e sul capo un grande cappello alla moda, piumato e bordato d oro. Cavalcava in mezzo ai due cardinali che erano stati inviati dal papa ad accoglierla a qualche miglio dalla città in qualità di legati apostolici, Federico d Assia, suo cugino e anch egli ex luterano convertito come lei, e Giovanni Carlo de Medici, fratello del granduca di Toscana, appartenente alla fazione spagnola a cui si era legata l ex regina. Era seguita dalla splendida carrozza color argento e celeste, dettagliatamente descritta dai cronisti. Era tutta d argento con statue, figurini, intagli e imprese misteriose, d invenzione del Cavalier Bernino, con la fodera e la coperta di velluto color celeste tirata da sei corsier leardi con i finimenti dello stesso drappo, come pure del medesimo erano adorni i cocchieri, la lettiga, e la sedia e le coperte de muli de la chinea. La regina era preceduta nella cavalcata da otto trombettieri, un tamburino e due paggi, seguiti da una compagnia di armati, con spade sguainate e vestiti «con casacconi di panno bottinati d oro con maniche lunghe, e aperte con quattro croci di velluto nero nel petto, nelle spalle e nelle maniche». Dopo di essi procedevano altri soldati e dodici «cariaggi con testiera di seta e d oro, piastre e sonagli d argento con pettorali di seta e tortori d argento»: i cavalli erano condotti a mano con cordoni d oro. A Porta del popolo, l entrata principale da cui si accedeva alla «città santa» e che per quell occasione, insieme con la piazza, era stata risistemata da Bernini, la attendeva il Sacro Collegio, con i cardinali a cavallo, vestiti di cappe e berretti viola poiché era tempo di avvento. Qui fu accolta a nome di tutti dal vicedecano, il cardinale Francesco Barberini, che le rivolse un «breve, ma elegante complimento». Oltrepassata la porta, tra spari e applausi della immensa folla accorsa ad assistere allo spettacolo venne scoperta l iscrizione in marmo appostavi, composta dallo stesso pontefice: felici faustoque ingressui a.s. 1655. Anche in questo caso, come per tutti i grandi rituali urbani, politici e religiosi, Roma proponeva se stessa come scenario della festa, quale teatro e palcoscenico di eventi spettacolari e di pubbliche celebrazioni. Ce lo confermano ancora una volta i cronisti, con l attenzione che riservarono all elemento spaziale, ai luoghi che ricoprivano ruoli ben definiti nella scena complessiva della città e che costituivano un percorso definito e carico di senso. Mentre all improvviso la pioggia cessava e il cielo si rasserenava ciò che venne interpretato come un segno del favore divino per quella giornata di trionfo della Chiesa e della religione cattolica, la solenne cavalcata proseguì per il Corso e da qui a San Marco (oggi piazza Venezia), fino a piazza del Gesù e poi a piazza di Pasquino, raggiungendo, per la via dei Banchi, Castel Sant Angelo, la fortezza di Roma, dove venne salutata da una gran salva di moschetti, da mortaretti e colpi di cannone. Il corteo proseguì fino a San Pietro, tappa conclusiva ed emblematica, ricca di valenze ideologiche per la Chiesa e per la stessa visitatrice neocon-

Un amazzone fra i prelati 515 vertita. Anche qui la piazza «era tutta piena di Popolo, e di soldatesca squadronata». La regina, smontata da cavallo, si trovò di fronte alla facciata della basilica, vale a dire all imponente struttura che compendiava il senso del percorso e il significato primo del corteo trionfale: l esaltazione della gloria e della potenza del papato. La basilica, non ancora completata dal colonnato berniniano, era stata allestita come un grandioso palcoscenico, «superbamente adornata» con drappi d oro, con «apparati di ricami, di broccati, di velluti, di arazzi variamente figurati». Una quantità innumerevole di fiaccole ne illuminavano l interno, mentre i musici della Cappella pontificia e sei cori intonavano il Te Deum laudamus. La regina avanzò nella navata centrale tra la folla immensa e venne accompagnata nella Sala regia dove il papa l attendeva; si genufletté tre volte davanti a lui e si inginocchiò per il bacio del piede, pronunciando «poche ed umili» parole di obbedienza e venerazione. Con questa brevissima cerimonia culminava e si concludeva la complessa giornata. Apparati alle finestre delle case, addobbi sui palazzi delle vie attraversate dal corteo, vesti, colori, suoni grida, spari, musiche, fuochi d artificio, cavalli, carrozze, partecipazione in massa del popolo, folla di cardinali, aristocratici, ambasciatori, dame, ordini religiosi e cariche cittadine: mai, dopo le entrate trionfali di Carlo V (1536) e di Marcantonio Colonna (1571), veri precedenti storici di quello di Cristina, si era vista a Roma una tale esibizione di pompa e di magnificenza e mai un trionfo di una donna, sia pure di una regina. Ma perché tutto questo per Cristina? Ed era solo per lei che si celebrava l evento con tale magnifica pompa? La quantità considerevole di relazioni, narrazioni e cronache, destinate ad ampia diffusione tramite ambasciatori e visitatori presso le altre corti, italiane ed europee, rivela l enfatizzazione dell avvenimento a precisi intenti apologetici della Chiesa e del papato e di propaganda cattolica. D altro canto, l attenzione ossessiva per i dettagli del cerimoniale in esse contenuta rende ai nostri occhi evidente l uso del rituale come efficace linguaggio politico, in grado di esprimere attivamente e visivamente anche complessi contenuti ideologici. Il trionfo di Cristina di Svezia fu in sostanza l espressione di una Chiesa che aveva inventato e praticato, con grande anticipo sulle altre corti, la forza intrinseca dell immagine e dei rituali come strumenti di consenso e di persuasione, politici e religiosi, particolarmente necessari in una fase di grave difficoltà politica e ideologica per la Santa Sede. Il trionfo decretato a Cristina avvenne infatti nella fase di risistemazione europea successiva alla pace di Westfalia (1648) che pose fine alla guerra dei Trent anni. Contro il nuovo equilibrio tra le diverse entità politiche e religiose introdotto dal trattato e il ridimensionamento dell Impero e dei diritti del papato si levarono, inutili, le proteste di Innocenzo X attraverso il nunzio Fabio Chigi, futuro Alessandro VII. Questi rifiutò di firmare i protocolli di pace, considerati lesivi dei diritti romani, e manifestò con un pubblico documento la sua opposizione. Anche il pontefice emanò, nel 1651, contro le deliberazioni della pace di Westfalia una bolla di disconoscimento, la Zelus domus Dei. Ma l accoglienza tiepida riservata alla protesta papale dalle potenze europee rivelava come il peso politico e diplomatico della Santa Sede sul piano internazionale fosse oramai significativamente ridotto. In questo contesto di indebolimento e di mancato riconoscimento all interno dello scenario politico europeo, da un lato, ma anche di volontà di riconquista cattolica e di strategie di rafforzamento della Chiesa universale, soprattutto attraverso l accentuazione del potere spirituale e universale del papato e la celebrazione apologetica della sua immagine simbolica, dall altro, si inseriscono la conversione di Cristina e le modalità eccezionali del suo ingresso a Roma. Il rafforzamento del sistema del potere papale si riflette sulla costruzione efficace dell immagine sacralizzata del pontefice e di una ecclesiologia sempre più centrata sull esaltazione della sua primazia, sull accentuazione progressiva del ruolo della religione nella politica e sull uso abile di quelli che oggi chiameremmo gli strumenti della propaganda: rituali, liturgie, simboli, devozioni, cerimonie, trattati apologetici. L egemonia romana, intaccata dalla modernità e dall avvio dei processi di secolarizzazione, tende a dislocarsi dal piano politico e diplomatico, non più controllabile, a quello spirituale della politica ecclesiastica: ad esempio, attraverso la rivendicazione dell esclusiva e specifica competenza papale nella lotta per il mantenimento dell unità della fede e nella ripresa militante della battaglia antiprotestante (e, parallelamente, antiturca). Nella strategia generale di rilancio dell autorità del papato e del ruolo di Roma, in funzione apologetica e di polemica antiprotestante, accanto alla valenza politicoreligiosa delle canonizzazioni, delle grandiose liturgie, dei fastosi giubilei, rientrava appieno l insistenza sul tema e sulla pratica delle conversioni. La loro utilizzazione propagandistica in direzione del rafforzamento della supremazia cattolica e papale e come messaggio al mondo degli eretici appare manifesta e clamorosa nel caso dell ex regina di Svezia. Fabio Chigi, tornato a Roma nel 1651, nella sua nuova qualità di segretario di stato favorì in tutti i modi l abiura di Cristina dal luteranesimo e, una volta diventato pontefice (7 aprile 1655), ne promosse e ne organizzò il trasferimento a Roma. La regina, dopo complesse trattative segrete, aveva fatto la sua pubblica abiura e la professione di fede a Innsbruck, il 3 novembre 1655, nelle mani del rappresentante papale Lucas Holstenius: noto scienziato, protonotario apostolico e prefetto della Biblioteca Vatica-

516 Roma, 23 dicembre 1655 na, Holstenius era pure un convertito e aveva contribuito efficacemente alla conversione di molti protestanti. L atto solenne e pubblico, con la regina prostrata ai piedi del protonotario apostolico, vestita semplicemente di nero, era stato richiesto dal papa che voleva enfatizzare la rilevanza dell evento con cui iniziava il suo pontificato e che rappresentava la vittoria del cattolicesimo sull eresia. Grande era infatti l investimento romano, e in particolare di Alessandro VII, sulla conversione della regina, incoraggiata e utilizzata tanto nella direzione efficacemente simbolica della rivincita pontificia nei confronti dell umiliazione sancita nei trattati della pace di Westfalia che allora erano stati sottoscritti dalla stessa Cristina, quanto per la speranza che quella conversione servisse da spinta e da modello per altre. Come scriveva il gesuita, poi cardinale, Francesco Maria Sforza Pallavicino nella sua biografia di Alessandro VII, restata a lungo inedita, il papa riteneva che muovendosi i più degli uomini, non tanto dalle ragioni quanto dagli esempi, dovesse questo grand atto, corroborato dalla perseveranza, trarre altri molti alla religione ortodossa ne paesi boreali, dove più signoreggiava la rea [regina], ed era maggiore l estimazione e l autorità di quella principessa. Nella giovane regina, la figlia di Gustavo Adolfo, il «difensore del protestantesimo», convertita al cattolicesimo si vedeva un Europa del Nord «heretica» che, strappata all eterodossia, si prostrava ai piedi del successore di Pietro e un esempio che avrebbe ispirato altri principi protestanti europei a seguirla. Inoltre, come sempre avveniva per le conversioni di personaggi importanti, prestigio e gloria ricadevano su chi in questo caso il pontefice in persona l aveva procurata. La celebrazione di Cristina era la celebrazione del potere del papa. Di conseguenza, l accoglienza che le doveva essere riservata doveva corrispondere a tali aspettative e speranze. L istruzione consegnata dal segretario di stato, Giulio Rospigliosi, al legato papale Holstenius, pur nella sua prosa barocca, era esplicita su questi punti: Questa attiene così gloriosa siccome accrescerà il giubilo, che ebbe il Paradiso, quando Ella detestati gli errori si riconciliò in segreto à S.ta Chiesa, così edificherà in estremo la Chiesa militante, che altro non aspetta per riconoscerla per sua degna figliuola; l allegrezza poi, che ne è per sentire N. Signore non si potrà giammai ridire; l attende con impazienza à Roma, per confermarla co suoi Paterni ammaestramenti nella Santa Fede, e fortificarla in essa con le sue Sante Benedittioni. Le accennerò anche a V.S.I. che Sua Santità è risoluta di riceverla con tutte quelle dimostrazioni e pubbliche, e private, che sono dovute à Regina di sì grande esempio nella Cristianità e reca tanta gloria al suo felice Pontificato. Fremerà senza dubbio l Inferno, e ne mormorerà il Settentrione, ma ben si ha da credere, che abbattuta la superbia di molti dal vedere una Regina tanto grande abbandonare il Regno Terreno per acquistar quello del Cielo, debbon essi restar confusi, e rientrando in se stessi cooperante la gratia di Dio, seguitare le sue vestigia, e che Sua Maestà addottrinata poi nella scuola della vera Santa Religione Cattolica habbia da rinovare i Trionfi delle Caterine, e dell altre Vergini Reali, le quali confusero i sapienti del mondo, et acquistarono gloriosi campioni e Martiri à S.ta Chiesa In cambio e in conseguenza della pubblicità della conversione, il papa assicurava un trattamento pubblico e più che regale. Il trionfale viaggio di Cristina attraverso gli stati italiani, diretta a Roma con un seguito, quasi una vera corte, di oltre duecento persone, le riservò onori mai concessi ad altri sovrani e soprattutto a sovrane e fu preparato in base a precise disposizioni e istruzioni del papa. Questi destinò al viaggio l enorme cifra di centomila scudi tratti dalla Camera Apostolica affinché la regina fosse ovunque «ricevuta e servita» con le maggiori dimostrazioni del suo «particolare affetto». L entrata di Cristina a Roma non fu perciò l unica, ma venne preceduta da molte altre, reiterate, entrate trionfali nelle diverse città italiane attraversate dal corteo, che dilatavano l evento festoso nel tempo e nello spazio. Tutti gli ingressi furono accuratamente descritti da opuscoli e relazioni che amplificavano la portata dell avvenimento e ne diffondevano l eco in Europa. La letteratura encomiastica illustrava accuratamente al pubblico colto del continente gli apparati festivi e i loro significati allegorici, l ordine e il percorso della cavalcata, la disposizione dei posti riservati alle autorità, civili ed ecclesiastiche, gli abbigliamenti, i banchetti, le pietanze, le macchine sceniche, i fuochi d artificio, le regole del rigido cerimoniale: tutto era finalizzato a dimostrare la potenza del papato e a esaltare, con quello di Cristina, il trionfo della vera religione. Un messaggio fruibile però anche dal basso, dal popolo che accorreva come spettatore e che, attraverso gli apparati visivi, il linguaggio delle immagini, dei gesti, dei suoni, dei colori, efficaci strumenti di coinvolgimento emotivo, era raggiunto dalla trasmissione di contenuti facilmente comprensibili. Quanto alla regina, il viaggio verso Roma, così rigidamente pianificato e ritualizzato, si configurava anche come una sorta di rito di passaggio, simbolico e insieme spaziale e geografico, e come un pellegrinaggio che attraversava molti confini e prevedeva molte stazioni prima di giungere alla meta agognata, Roma, dove il passaggio da uno status all altro si sarebbe compiuto e concretamente realizzato mediante l attraversamento della soglia costituita dalla Porta del popolo, accesso alla città sacra.

Un amazzone fra i prelati La prima tappa in Italia fu Trento, dove Cristina venne accolta dal principe-vescovo, seguita poi dall entrata nel territorio veneziano in cui in realtà le manifestazioni in suo onore furono piuttosto fredde, e successivamente, in un crescendo di onori e di fasto, Mantova. Qui, il duca le offrì un banchetto memorabile, di cui ci resta l accurata descrizione delle vivande e della spettacolare e allegorica scenografia dei piatti. Finalmente entrata nello Stato della Chiesa, venne accolta al confine da ben quattro legati del papa, accompagnati dal maestro del cerimoniale, Fulvio Servanzio, che doveva presiedere all organizzazione delle onoranze. Il papa inviò anche carrozze, lettighe e sedili sontuosissimi, letti e baldacchini foderati d oro e «una credenza preziosa d argento dorato con i servizi necessari», nonché il computista della Camera Apostolica in persona che doveva saldare tutti i conti e le spese ingentissime del viaggio. La prima sosta nello Stato ecclesiastico avvenne a Ferrara, dove la regina fu salutata da salve di cannone e dove assistette a una rappresentazione teatrale con musica intitolata Orizia, arricchita da un impressionante 517 stuolo di macchine sceniche. In essa l autore, Almerico Passatelli, narrava gli amori di Borea e Orizia, apertamente alludendo con Borea «alla spiaggia di Settentrione, ove sono i Regni rinunziati da Sua Maestà» e con Orizia alla stessa Cristina. A Bologna, l accoglienza trionfale fu caratterizzata, oltre che da un sontuoso corteo fino alla cattedrale, da complessi fuochi d artificio rappresentanti le insegne del papa, della Svezia e di Bologna e da uno spettacolo notturno allestito nella piazza di San Petronio, costituito da un torneo a cavallo in cui si sfidavano i più bei nomi della nobiltà cittadina. A Forlì invece, il clou della festa era un gigante di bronzo che rappresentava il fiume Rubicone: sul piedistallo erano installate delle iscrizioni latine che paragonavano Cristina a Cesare. Cristina, come già Cesare, aveva passato il suo Rubicone, non in cerca di un regno terreno ma di quello celeste. A Rimini si fece di più: nella piazza venne eretta addirittura una statua che la rappresentava, «un effigie di donzella in piedi, armata in capo d un elmo premuto da un Gallo; nella destra vibrava una fiaccola, e con la sinistra Figura 1. Filippo Lauri e Filippo Gagliardi, Carosello organizzato a palazzo Barberini in occasione dei festeggiamenti per Cristina di Svezia (1656).

518 Roma, 23 dicembre 1655 stringeva un libro. Era come in atto di scagliarsi contro un Idra di sette capi». La simbologia era chiara a tutti: l elmo e il gallo erano tipici attributi di Atena; la fiaccola indicava la luce della fede e la redenzione; il libro alludeva alla dottrina, sia sacra che profana, di cui la regina era dotata e che l aveva portata alla conversione. Ma, soprattutto, nella lotta con l idra dalle sette teste e nell esplicito riferimento contenuto nell iscrizione sotto la statua, il paragone era tra Cristina ed Ercole, e l idra che Cristina atterrava era l eresia. Una complessa simbologia che raffigurava la regina convertita come paladina della fede e della Chiesa. Ma la festa continuava. Lasciata la Romagna, il corteo si diresse verso le Marche con un itinerario non diretto per Roma ma più tortuoso, per dare modo al trionfo di toccare tutti i luoghi dello stato e alla regina di essere vista da tutti i sudditi. Anche nelle Marche archi di trionfo, danze, banchetti, accademie letterarie, tornei e rappresentazioni teatrali si susseguirono uno dietro l altro, mentre le città gareggiavano in manifestazioni grandiose. A Pesaro, vi fu una festa da ballo ove incontrò i fratelli conti Francesco e Luigi Santinelli che decise di portare con sé a Roma, quali suoi stretti collaboratori e Luigi eseguirà materialmente l uccisione del marchese Rinaldo Monaldeschi, per ordine di lei. Quindi, Fano, Senigallia e Ancona: qui venne eretto un arco trionfale con varie scene allegoriche, tra cui una molto esplicita che raffigurava la regina delle Amazzoni inginocchiata ai piedi di Alessandro Magno. «Amazzone del Nord» era del resto chiamata Cristina, non certo solo in riferimento alla sua abilità nel cavalcare, ma per alludere alla sua diversità dalle altre donne altro topos della retorica barocca che sfociò addirittura nell immagine dell ambiguità sessuale di lei e della sua pretesa androginia e alle sue prerogative di donna guerriera e, soprattutto, virile. L antico stereotipo della donna virile, capace di ergersi al di sopra della naturale imbecillitas sexus e dunque degna di onori e di celebrazioni pari a quelli tributati a imperatori ed eroi, ritornava anche per Cristina. E certamente, anche la sua ben nota verginità, se poteva rafforzarne l immagine maschile, ne elevava la condizione e l autorevolezza sopra le altre donne. Particolarmente curata fu l entrata a Loreto, che la regina volle fare penitenzialmente a piedi e a testa scoperta, nonostante il maltempo, in devoto pellegrinaggio al celebre santuario. Alla Vergine, secondo alcune fonti, avrebbe fatto dono della corona e dello scettro reali, d oro e tempestati di diamanti, quali doni votivi a ricordo della sua conversione. A Macerata furono allestiti ben due archi trionfali, ricchi di figure allegoriche, emblemi e iscrizioni celebrative della regina e della religione: in particolare, Cristina vi era paragonata alla regina Caterina di Bosnia, fuggita a Roma dopo l invasione del suo regno da parte dei turchi, nel 1463, e che nella città santa era vissuta fino alla morte (nel 1478) come terziaria francescana e in fama di santità. Dopo Tolentino, il corteo raggiunse l Umbria, dove la tappa principale fu naturalmente Assisi e la chiesa di San Francesco; passò poi per Spoleto, attraversò il Tevere e giunse a Caprarola, ove fu splendidamente ospitata nel celebre palazzo del Vignola di proprietà del duca di Parma, Ranuccio II Farnese. Questi sperava di ottenere la mediazione politica della neoconvertita nel conflitto che ancora lo opponeva alla Santa Sede per il ducato di Castro, nonostante che nel 1649, a seguito di una guerra la guerra di Castro, il feudo fosse stato incamerato dallo Stato pontificio. Siamo oramai al termine del viaggio e Roma è quasi alle porte. Mentre Cristina si fermava una decina di miglia prima, nella tenuta dell Olgiata, dalla città si muovevano, con nutrito corteo di sessanta carrozze e molti nobili cavalieri, i due cardinali legati scelti dal papa per venirle incontro e accompagnarla fino all entrata trionfale nell Urbe. Ma in realtà gli ingressi a Roma furono due: prima di quello pubblico e solenne del 23 dicembre ce ne fu infatti uno privato, nella notte del 20 dicembre, attraverso l accesso secondario di Porta Pertusa. L «ingresso in incognito» in realtà non fu affatto tale, sia per l interminabile corteo che entrava in città sia per la mobilitazione curiosa di tutto il popolo accorso a vederlo. Condotta subito nel Palazzo vaticano, la regina si accinse all agognato incontro con il pontefice, incedendo con atteggiamento devoto e dimesso: braccia in croce e occhi bassi, quando fu davanti ad Alessandro VII si inginocchiò tre volte e gli baciò il piede e la mano. Dopo il breve, emozionante, incontro, Cristina venne accompagnata nell appartamento nella Torre dei Venti destinatole per trascorrere due notti: era la prima donna alloggiata nel Palazzo vaticano dopo il concilio di Trento e ciò avvenne non senza discussioni e preoccupazioni da parte dei cerimonieri e membri della Curia. Riaccompagnata con il medesimo corteo di nuovo fuori Roma, dove la raggiunsero ancora una volta i due legati, il 23 ebbe inizio l ingresso ufficiale sopra descritto. L arrivo di Cristina era stato calcolato anche in relazione al vicino Natale alle cui funzioni il pontefice teneva che ella presiedesse, quale allegoria incarnata della ri-nascita in seno al cattolicesimo. Nel giorno di Natale, sabato 25 dicembre, ebbe luogo la cresima della regina, amministrata personalmente da Alessandro VII: e anche questa coincidenza cronologica di eventi servì a esaltare le glorie della religione. Del resto, la cresima è il sacramento che conferma la definitiva appartenenza del battezzato al corpo della Chiesa e che imprime il carattere indelebile di cristiano: un sacramento che era diventato peculiare della Chiesa cattolica da quando la dottrina luterana non lo annoverava tra i soli due riconosciuti. In questa occasione, in cui si poteva aggiungere un altro nome a quello del battesimo, la regina volle

Un amazzone fra i prelati 519 assumere quello di Alessandra, a espressione della riconoscenza e dell affetto «verso il nuovo suo padre, ch era il pontefice». Questi le suggerì di far precedere al suo nome quello della Vergine: nasceva così, nel giorno di Natale, Cristina Maria Alessandra. La lunga, più che trentennale, e talvolta imbarazzante presenza di Cristina a Roma e le impreviste, frequenti occasioni di incontro con il papa imposero fin dal suo arrivo l elaborazione ex novo di nuove regole del cerimoniale pontificio che costituirono, da allora in poi, il precedente normativo di riferimento su cui modellare altri arrivi di donne reali nell Urbe: ad esempio, le visite e le udienze papali concesse all ex regina di Polonia Maria Casimira Sobieska e, nel 1768, alla regina di Napoli Maria Carolina, o il passaggio nello stato, nel 1738, della regina Maria Amalia, sposa di don Carlos di Borbone. Una monarchia senza regine, quella papale, che paradossalmente, almeno a partire dal trionfale arrivo a Roma di Cristina di Svezia, nel 1655, fino a tutto l Ottocento, fu costretta a fare i conti con la continua presenza, talvolta ingombrante, talvolta utile, di sovrane straniere e sole. E fu il modello di Cristina quello costantemente seguito, sia dalle ospiti che dai funzionari curiali. I problemi posti ai maestri di cerimonia relativamente alle procedure da seguire nell entrata della regina a Roma, nei colloqui con il pontefice, nelle visite dei cardinali, nello stabilire i posti durante i banchetti e le feste, furono brillantemente risolti con altrettante innovazioni. Appositamente per Cristina furono disegnate e realizzate da Bernini e dalla sua scuola non solo la splendida carrozza destinata all entrata trionfale ma una sedia, di velluto cremisi guarnita d oro, del tutto speciale né sgabello, come avrebbe richiesto il cerimoniale per una testa non più coronata, ma nemmeno poltrona con braccioli. Si costruì così una sorta di ingegnoso ibrido, studiato da Bernini e dai cerimonieri sulla base delle complesse alchimie dell etichetta. Il giorno successivo a quello della cresima, il 26 dicembre, venne invitata a un sontuoso banchetto alla presenza del pontefice, con un privilegio assai raro perché il cerimoniale romano vietava che una donna, fosse stata anche una regina, una imperatrice o una consanguinea, potesse mangiare alla stessa tavola del papa. Anche questa complicazione del cerimoniale venne superata con un altra astuta invenzione, approntando per lei una tavola separata, alla destra di Alessandro VII, ma affiancata a quella del papa e soprattutto collocata un poco più in basso, pur sotto il medesimo baldacchino. La soluzione delle due tavole affiancate e a differente altezza aggirava così il precetto cerimoniale che non ammetteva alla mensa del papa alcuna donna ed era destinato a essere ripreso in occasioni simili successive, contribuendo a creare e a confermare nel tempo una sorta di inedito cerimoniale al femminile. Il «trattamento assai singolare» come scriveva nel suo diario il cerimoniere monsignor Servanzio riservato a Cristina, con il suo arrivo a Roma, costituì il precedente e il riferimento normativo da cui non si poté più prescindere. Nella prospettiva ecclesiastica e apologetica, con Cristina romana, regale immagine della vittoria della fede cattolica sul luteranesimo e visibile argomento contro ogni polemica anticattolica e antigiubilare, la città e il papa esibivano a tutta Europa e ai forestieri che giungevano da ogni paese i loro caratteri di sacralità. Attraverso la glorificazione della illustre regina, l Europa protestante del Nord era rappresentata come vinta, almeno sul piano spirituale, e umiliata ai piedi del capo del cattolicesimo, vero trionfatore della giornata del 23 dicembre. In realtà, il carattere della regina era assai più complesso di quello disegnato dalla letteratura celebrativa o da quella pettegola e pruriginosa fiorite contemporaneamente intorno a lei: non troppo devota e obbediente ma neppure ascrivibile al libertinismo erudito entro cui ancor oggi gli storici la collocano, ripetendo uno stereotipo della libellistica seicentesca, Cristina era una convinta sostenitrice della monarchia assoluta pontificia: «Dieu a donné son infaillibilité au pape», ella scriveva. Studiosa di questioni dottrinali, era pervasa da una religiosità reale, attenta alla mistica, ma tollerante, antibigotta e perfino non conformista e autonoma, come dimostra la protezione accordata all esponente del quietismo Miguel Molinos, perseguito per le sue dottrine dal tribunale dell Inquisizione e arrestato nel 1685. Regina di Roma, vale a dire della capitale di una monarchia elettiva e teocratica, priva di un monarca dinastico e dunque con una corte senza sovrana, Cristina lo fu davvero, per tre decenni e quattro pontificati. La sua spesso arrogante presenza, che implicava quella di una corte personale, d impronta regale, riuscì a creare uno spazio, simbolico ma molto concreto, parallelo, concorrente, laico e femminile, che interrompeva il carattere univoco, maschile e prelatizio delle già parcellizzate corti romane e dell esercizio del potere: di conseguenza, non mancarono conflitti, rivalità di ruolo e tensioni con i cardinali e con gli ambasciatori. L impatto di Cristina sulla socialità romana, politica e intellettuale, fu fortissimo, con effetti che andarono ben al di là della sua pur intensa, prepotente e visibilissima partecipazione ai riti e agli intrattenimenti della vita mondana e alle cerimonie religiose della città. La sua dimora, a palazzo Riario alla Lungara dove trasferì la propria ricchissima biblioteca aperta al pubblico degli studiosi, divenne un centro di cultura e di mecenatismo frequentato da artisti, scienziati e anche alchimisti, come l avventuriero Francesco Giuseppe Borri. Ma soprattutto è anche a lei che si deve la valorizzazione di quello strumento fondamentale della socialità intellettuale e della circolazione eu-