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CASSAZIONE, Sez. trib., Pres. Adamo, Est. Tricomi - Sent. n. 14072, del 19 maggio 2014, dep. il 20 giugno 2014 Ritenuto in fatto 1. A seguito di una verifica fiscale compiuta dall Agenzia delle Entrate di Bologna venne notificato a C.L., quale titolare della ditta Fast Line, in data 21.07.06 un processo verbale di constatazione. Quindi in data 09.10.06 l Agenzia delle Entrate gli notificò l avviso di accertamento n. (OMISSIS), per l anno di imposta 2004, avente ad oggetto sia le imposte sui redditi (IRPEF, Add. Reg. Add. Com.), sia l IVA. Tale avviso conteneva una pretesa fiscale a titolo di maggiori imposte pari ad Euro 797.478,74 e sanzioni pari a Euro 1.542.601,50, così per complessivi Euro 2.340.080,24, avendo riguardo sia ad IVA recuperata per indebita detrazione che ad IVA non riconosciuta a rimborso. Con tale avviso l Amministrazione finanziaria accertava induttivamente un maggior reddito quantificato nella misura del 10% delle fatture emesse, non riconosceva in deduzione alcun costo relativo ai suddetti ricavi, in quanto riteneva che fosse stata posta in essere un attività illecita integrante gli estremi di reato di cui alla L. n. 537 del 1993, art. 13, comma 14 bis. 2. L atto impositivo veniva impugnato dal contribuente dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Ravenna che accoglieva il ricorso con la sentenza n. 109/04/07. La CTP, accertata sotto il profilo oggettivo la frode consumata dalle società AGORÀ ed ABIPI, riteneva che non fosse stata dimostrata la partecipazione attiva di C., quale titolare della ditta individuale Fast Line, nelle operazioni truffaldine. A parere della CTP era apparso poco verosimile che il detto imprenditore avesse rischiato di dover pagare al Fisco somme così elevate per ottenere un guadagno modesto, per cui non sarebbe stato legittimo procedere nei suoi confronti ricorrendo all accertamento induttivo D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2, lett. d). 3. L appello proposto dall Agenzia delle Entrate dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Emilia Romagna veniva accolto con la sentenza n. 65/20/08, depositata il 21.07.08 e non notificata. Con tale decisione il giudice di seconde cure riteneva che, essendo stato già riconosciuto dalla sentenza di primo grado il meccanismo truffaldino posto in essere dalle società ABIPI ed AGORÀ, rispettivamente fornitore ed acquirente della Fast Line di mangimi animali, non se ne poteva ritenere estraneo C.L., che era ben in grado di valutare la situazione della società acquirente, senza nascondersi dietro la dichiarazione di intento dalla stessa presentata sulla base di una serie di elementi, puntualmente indicati, a sua conoscenza.

4. Per la cassazione della sentenza della CTR della Emilia Romagna ha proposto ricorso C.L. affidato a due motivi. Resiste l intimata Agenzia delle Entrate con controricorso. C.L. deposita memoria ex art. 378 c.p.c., con la quale ribadisce i motivi di ricorso e chiede l applicazione del D.L. n. 16 del 2012, art. 8. Considerato in diritto 1.1. Nel caso in esame, è stata esaminata nella sentenza impugnata una c.d. frode carosello, cioè una combinazione fraudolenta posta in essere per far sì che delle operazioni, mediante strumentali interposizioni anche di cosiddette società filtro o di imprenditori individuali, passino attraverso una catena di soggetti che si avvalgono in vario modo del mancato versamento dell IVA da parte di un cedente. Nella frode carosello possono riscontrarsi, nei vari passaggi, sia fatturazioni per operazioni oggettivamente inesistenti, sia fatturazioni per operazioni solo soggettivamente inesistenti. Nel presente giudizio questi passaggi riguardano le società ABIPI ed AGORÀ e la ditta Fast Line, soggetti interposti fittiziamente tra il reale venditore della merce (produttore tedesco) ed il reale acquirente finale (italiano) i quali provvedevano direttamente alla consegna della merce, senza che questa transitasse per le altre ditte coinvolte. Con ampia motivazione la CTR, riformando la sentenza di primo grado, ha ritenuto provata la partecipazione attiva del C. alla frode. Con il primo motivo di ricorso C.L. lamenta la insufficiente e comunque illogica motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4. A parere del ricorrente tuttavia la CTR aveva omesso di tenere conto di una serie di fatti alcuni dei quali, a suo dire, mai contestati. 1.2. Il primo motivo è inammissibile. Osserva il Collegio che non è stato formulato il c.d. quesito di fatto, poiché manca la conclusione a mezzo di apposito momento di sintesi, con il quale la Corte deve essere posta in condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, l oggetto della doglianza (Cass. Sent. n. 24255/2011) e la sua rilevanza ai fini del decidere. Nell articolazione del motivo peraltro sono molti i fatti considerati, per cui non è possibile, in assenza del momento di sintesi, individuare lo specifico oggetto della doglianza e la sua rilevanza. Il motivo peraltro difetta anche di autosufficienza in quanto non fornisce l indicazione degli atti, né ne riporta il contenuto, dai quali dedurre la tempestiva introduzione dei fatti stessi nel giudizio ed in ragione dei quali coglierne l effettiva rilevanza. Mancano inoltre indicazioni circa la decisività degli stessi, atteso che lo stesso ricorrente il qualifica come evidenti indizi a discolpa del contribuente (fol. 7 del ricorso).

Soccorre nel caso di specie alla declaratoria di inammissibilità anche il seguente principio In tema di ricorso per cassazione, per effetto della modifica dell art. 366-bis cod. proc. civ., introdotta dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero delle ragioni per le quali l insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti, dovendosi configurare in senso storico o normativo, e potendo rilevare solo come fatto principale ex art. 2697 cod. civ. (costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o anche fatto secondario (dedotto in funzione di prova determinante di una circostanza principale). (Cass. Sent. n. 16655/2011). Con la formulazione del primo motivo in buona sostanza il ricorrente sembra richiedere una complessiva rivalutazione nel merito dei fatti, inammissibile in sede di legittimità. 2.1. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 8 e 54, in relazione all art. 360 c.p.c., comma 1 n. 3. C.L. si duole del fatto che la CTR abbia ritenuto legittimo l accertamento induttivo, sul presupposto che un ristretto numero di fatture emesse dallo stesso fossero ideologicamente false, e che le fatture, non erano complete, vere ed esatte, come sostenuto dal ricorrente, ma che a conferma della inesistenza soggettiva delle operazioni non vi era neppure coincidenza tra le indicazioni riportate nelle fatture ABIPI/Fast Line ed in quelle Fast Line/AGORÀ. Formula il seguente quesito Dica la Corte se il soggetto che vende i beni in sospensione di imposta, avendo ricevuto dichiarazione di intenti di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, possa limitarsi a riscontrare la conformità alle disposizioni di legge di dette dichiarazioni di intenti, dovendo rimanere la responsabilità di eventuali falsità delle attestazioni totalmente a carico dell emittente, ovvero se tale soggetto è tenuto ad effettuare ulteriori controlli nei confronti del cessionario, quali l entità del fatturato, l adempimento degli obblighi fiscali e dichiarativi, l affidamento del trasporto a vettori più o meno qualificati, la eventuale destinazione dei beni compravenduti ad usi non compatibili con il beneficio fiscale. 2.2. Il secondo motivo è infondato. Come già affermato da questa Corte In tema di IVA, per avvalersi della speciale ipotesi di sospensione dal pagamento dell imposta, prevista per le cessioni all espor-tazione dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 8, lett. c) (e cioè cessioni, anche tramite commissionari,

di beni e prestazioni di servizi rese a soggetti che si avvalgono della facoltà di acquistare beni e servizi senza pagamento dell imposta), non basta l assunzione di responsabilità, attraverso la c.d. dichiarazione di intenti, da parte di un qualsiasi soggetto, ma è necessario che questi abbia i requisiti previsti dalle precedenti lett. a) e b) del medesimo art. 8 e, soprattutto, che l operazione sia oggettivamente destinata all esportazione. (Cass. sent. n. 12774/2011): da tale principio si desume anche la necessità che l operazione sia effettiva. Al contrario appare del tutto inconferente la sentenza n. 12199/2008 richiamata dal ricorrente nel suo atto, avente ad oggetto fattispecie diversa dalla c.d. frode carosello. Peraltro nel caso in esame la CTR, con condivisibile motivazione, ha rimarcato alcuni elementi significativi della natura fraudolenta della operazione e cioè che la AGORÀ aveva sede legale presso la abitazione del legale rappresentante, che operava principalmente nel settore dell edilizia e secondariamente svolgeva attività di pulizie, che nonostante le rilevanti transazioni in esame vertessero sulla commercializzazione di mangimi, aveva presentato l unica dichiarazione dei redditi nell anno 2000, elementi di cui il C. doveva essere a conoscenza, avendo dichiarato di avere preso visione di una copia del bilancio al 31.12.2001 (l unico depositato al 2004) da cui risultava il settore nel quale operava detta impresa prima di attivare nel 2004 l operazione commerciale ABIPI/AGORÀ, elementi incompatibili con la dichiarazione di esportatore abituale munito dei requisiti per poter emettere fatture in regime di non imponibilità ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 e sui quali il ricorrente nulla esprime. Il quesito infatti è privo di riferimenti alle circostanze fattuali concrete e si limita a formulare un astratto quesito che, come già detto, non può avere risposta positiva. 3.1. La richiesta di applicazione della normativa del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, formulata nella memoria ex art. 378 c.p.c., va respinta in quanto non vi è prova dei costi che il ricorrente assume aver sopportato per le operazioni soggettivamente inesistenti e non vi è prova che la richiesta di detrazione dei costi per tali operazioni sia stata avanzata dal C., nel corso delle precedenti fasi di merito del giudizio. 4. Conclusivamente il ricorso va rigettato, perchè inammissibile il primo motivo ed infondato il secondo. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano, come da dispositivo, a carico del ricorrente C.L.. La Corte di cassazione: rigetta il ricorso; P.Q.M.

condanna C.L. alla refusione delle spese di lite a favore dell Agenzia delle Entrate che liquida nel compenso di Euro 10.500,00, oltre spese prenotate a debito.