Narrativa Aracne 193

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1 Narrativa Aracne 193

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3 Aristide Emanuele Casucci Amore e picche!

4 Copyright MMXI ARACNE editrice S.r.l. via Raffaele Garofalo, 133/A B Roma (06) isbn I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell Editore. I edizione: maggio 2011

5 Premessa Buon giorno, sono Aris (abbreviativo di Aristotele: mi domando se i miei genitori, quando mi misero quel nome, guardassero un documentario storico o avessero esagerato con l aperitivo) Castelli. Fino alle medie ho avuto una vita da favola (magari!): i miei genitori erano divorziati, mia madre non era mai a casa, perché lavorava dalle cinque di mattina alle dieci di sera (anche il sabato s intende), e la domenica andava al bar da Francis, mi raccomando, puntate!, e giocava d azzardo a poker; a scuola ero minacciato da un bullo e mi ero innamorato. Insomma, dovevo sempre cavarmela da solo e le cose andavano di male in peggio, finché nella mia vita approdò un cappello parlante. Che successe poi?. Lo racconterò in questo libro. 5

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7 Capitolo I Mi svegliai, mi stiracchiai e, quando ripresi conoscenza, mi alzai e sbadigliai fuori dalla finestra, amplificando la mia voce col megafono: era questo il mio modo di dare il buon giorno al vicinato. Andai in cucina e misi il pentolino col latte sul fuoco. Come ogni mattina, mia madre era già al lavoro da circa un ora, e, vi ripeto, non sarebbe tornata fino alle dieci di quella sera. Feci colazione con latte e fette biscottate, mi vestii e mi preparai per andare a scuola. Mentre stavo per uscire, mi ricordai che quel giorno a scuola c era un assemblea sindacale, e che si sarebbe entrati in terza ora. Allora posai lo zaino e scesi a fare una passeggiata. Passeggiai per la solita strada, che faceva il giro di tutto l isolato. Quando passai vicino al bidone dell immondizia, mi guardai attorno e mi misi a frugarci dentro, perché spesso ci trovavo delle cose interessanti. Una volta, per esempio, ci trovai un piccolo robot giocattolo un po scolorito. Mi bastò com- 7

8 8 Aristide Emanuele Casucci prare dal ferramenta una bomboletta di vernice e il robot tornò come nuovo, e, adesso, quel robot è diventato il mio giocattolo preferito. Questa volta, nel bidone, ci trovai un berretto a visiera nero, con sopra disegnata una fiamma rossa a stile geometrico e, in mezzo alla fiamma, c era il segno delle picche quello stampato sulle carte da gioco francesi. Dato che era un po impolverato lo portai a casa presi la spazzola per il lucido da scarpe e lo pulii. Poi me lo misi in testa e andai a scuola, perché stava per aprire. Da quel momento la mia vita cambiò (tranquilli: non è morto nessuno ).

9 Capitolo II Mentre stavo per arrivare (entravo sempre in orario, perché la scuola era a due isolati di distanza da casa mia), tirai fuori i compiti che dovevo consegnare al bullo della mia classe, Marco Mandrèoli. Lui aveva sedici anni, mentre io dodici, ma frequentavamo entrambi la terza media. A volte mi chiedevo perché alle elementari avevo fatto la primina. Quando mi vide, Marco Mandreoli mi ripeté con la sua solita voce roca: «Mi hai fatto i compiti? Se non me li hai fatti, io ti», tenendo l enorme pugno in aria. Mandreoli era alto il doppio di me e forte il triplo, quindi gli consegnai i compiti senza protestare. Avevo già assaggiato uno dei suoi pugni, proprio il primo giorno di scuola (sembrava fatto apposta per inaugurare l anno scolastico); all uscita della scuola mi portò in un angolo e, presomi per la collottola, mi ordinò: «Da oggi in poi tu mi farai i compiti». Io gli risposi: «Ma neanche per sogno! Chi ti credi di essere? Fatteli da solo i co», ma non 9

10 10 Aristide Emanuele Casucci finii la frase perché mi arrivò un pugno nell occhio e il bullo mi chiese: «Allora?». «Sì», risposi impaurito, e tornai a casa con l occhio nero. Dopo avergli consegnato i compiti, feci per andarmene, ma Mandreoli mi fermò e disse: «Che bel cappello», mentre allungava la mano per prenderlo. Io, allora, corsi all entrata più veloce che potevo, e me lo lasciai alle spalle. Entrai in classe alla solita ora e appesi il cappello all attaccapanni. Più tardi arrivarono i miei compagni e il prof., e cominciò la lezione. Il prof. iniziò a fare l appello, e quando chiamò: «Aristotele Castelli», risposi subito: «Presente!». Ogni volta che sentivo quel nome, mi passava tutta la mia vita davanti agli occhi: la mia prima bicicletta, i miei genitori che divorziano, il primo giorno di scuola Il prof. odiava gli alunni della sua classe, e di tutte le altre classi. Quest odio proveniva da un fatto traumatico: tredici anni prima sua moglie era morta e, dopo aver visto per l ultima volta la bara prima della sepoltura, si allontanò dal cimitero. Mentre si avviava, scorse un gruppo di ragazzi che gettava palline di carta nella fossa, in segno di disprezzo. Il prof., allora, in preda alla collera, gli si avvicinò e gli gridò dietro: «Maleducati! Non rispettate un morto! Incivili! Vandali!...».

11 Amore e picche! 11 Durante le lezioni sentivo un po di mal di testa, come se qualcuno me la sondasse. All ora di pranzo tornai a casa, pranzai e iniziai a fare i compiti. Posai la cartella e il cappello sul letto. All improvviso sentii una voce.