Quello che posso offrire è la mia esperienza di 48 anni di convivenza con l autismo.
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- Massimiliano Vacca
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1 Sono solo una sorella. Quello che posso offrire è la mia esperienza di 48 anni di convivenza con l autismo. Un giorno una signora mi chiese aiuto. Era la mamma di due bambini, di cui una autistica ed aveva urgente bisogno di pormi una domanda: Come hai vissuto il tuo rapporto di sorella più piccola di un fratello autistico? Improvvisamente compresi che non avevo una risposta da darle. A quella domanda non avevo una risposta né per lei né per me. Per oltre quaranta anni avevo rimosso. Ma quella domanda ebbe la forza di risvegliare la mia coscienza. Decisi che era finalmente giunto il momento di cercarla quella risposta. Iniziai così la mia auto terapia che si concretizzò poi in un libro. Fu per me un percorso estremamente doloroso, ma risolutivo. Decisi che dovevo procedere secondo un solo principio. Dovevo essere autentica. Infatti, in questo libro ho parlato senza riserve: - Di tutti i miei limiti - Di tutte le mie mancanze - Di tutti i miei errori Per me dire che avevo un fratello più grande, autistico, significava esprimere una colpa: la sua e, contestualmente, esplicitare una condanna: la mia. Scrivere questo libro per me è stato assolutamente efficace perché mi ha portata a rinascere, dopo tanto dolore. Oggi so che non si è trattato solo di una auto terapia, perché oltre ad aver dato voce alla bambina rimasta chiusa per tanti anni dentro di me, sono riuscita a dar voce anche al mio fratellino, quel bambino che di voce non ne ha avuta mai. Quando c è un figlio autistico, tutta la famiglia diventa inesorabilmente autistica. Questa è stata la mia personale esperienza ed è anche la mia convinzione. Scrivo questo, perché la vita dell intera famiglia ruota tutto intorno a lui il soggetto autistico. Perché si perdono i più naturali ritmi biologici, come quelli di pasti regolari e del sonno.
2 Perché si perdono le frequentazioni e le relazioni sociali minime. Perché si è drasticamente impegnati ventiquattro ore su ventiquattro in una concreta gestione del problema autismo che è snervante dal punto di vista psicologico e faticoso dal punto di vista fisico per tutta la famiglia. Per questo oggi la mia personale battaglia è a favore di tutti questi bambini. Desidero sostenere le sorelle ed i fratelli di autistici perché, soprattutto in tenera età, sono le persone più sole ed hanno un costante bisogno di aiuto. Ora, nel mio caso, l aiuto non è stato purtroppo sempre garantito e, se me lo permettete, vorrei offrirvi la mia testimonianza. Avere rimosso per oltre quarant anni nel disperato tentativo di liberarmi di lui non mi aiutava certo nel mio intento di compiere una auto terapia efficace. Mi resi conto che non riuscivo mai a parlare di mio fratello con nessuno; tanto meno con me stessa. Non ero in grado di definire la natura del mio rapporto con Alberto. Non sapevo descrivere l involuzione e l evoluzione dei miei sentimenti per lui. Compresi allora che se volevo davvero provare a capire tutte queste cose, dovevo intraprendere un dolorosissimo viaggio dentro me stessa, nel tentativo di sciogliere tutti i nodi del nostro contorto rapporto. Nell affrontare questo duro lavoro, mi resi conto che non sapevo da che parte cominciare. Fu così che ripensai a quella bambina. Come si sentiva? Cosa provava? Ricordai che provavo una sensazione di totale smarrimento: non avevo unn posto, un ruolo, nella mia famiglia. Tanto meno nel mondo.
3 LA MIA PERSONALE ESPERIENZA, COME HA REAGITO UNA SORELLA PIU PICCOLA Lo ignoravo (soprattutto in pubblico) perché mi vergognavo di lui. Fingere che non esistesse è stata una ingenua e tenera (quanto la mia età) forma di auto difesa. Conducevo una vita parallela nel mio mondo altro, colmo di giochi fantastici. La realtà era troppo dura da sopportare; soprattutto un fratello autistico così aggressivo e problematico, che era talmente ingombrante da spingermi ogni giorno di più a desiderare di liberarmi di lui. Fu forse allora che in me avvenne il distacco psicologico dalla mia famiglia e divenni io la mia famiglia, tagliando completamente i ponti con la realtà. Soffrivo per una mostruosa solitudine. Ero sola e mi sentivo ancora più sola. Riuscivo a sopravvivere soltanto grazie alla mia fantasia. Vivevo un terribile senso di colpa Sì. Ho vissuto una serie di sentimenti laceranti per la loro contraddittorietà. La malattia di Alberto peggiorò proprio con la mia nascita ed io, per moltissimi anni, me ne sentii l unica responsabile con conseguenze pesantissime per la mia vita. Fu un pensiero talmente insopportabile che non fece che allontanarmi ancora di più dalla realtà. Questo complesso di colpa non fu privo di conseguenze: mi procurò gravi problemi fisici e minò la mia salute. Cominciai a soffrire di bulimia. Cercavo di contrastare questo insopportabile e dolorosissimo complesso di colpa, ingerendo di tutto, fino a rimettere. Vivevo costantemente una condizione di malessere. Quel che costantemente provavo era la sensazione di essere fuori posto. Mi sentivo costantemente inadeguata. Mi sentivo l ultima. Un a creatura senza sostanza (il mio livello di autostima era pari a zero) e senza importanza (a nessuno importava realmente di me, tutti vivevano ed erano concentrati totalmente su mio fratello). Vivevo in una perenne situazione di disagio.
4 DISAGIO: è una parola che oggi va molto di moda, ma non per questo è sminuita della propria valenza. E una parola molto forte che a mio avviso reca in sé un dolore profondo, spesso inespresso, perché impossibile da esprimersi, come per me all epoca. Mi venne diagnosticato anche un lieve ritardo mentale, dovuto a tutta quella situazione. Provavo anche tantissima rabbia. Rabbia perché io non lo accettavo. Per la bambina che ero lui non era affatto malato, era perfettamente sano come me stava solo scherzando Ero rabbiosa per la sua cattiveria, per tutti i dispetti che continuamente mi faceva per questo un giorno arrivo addirittura a cercare di ucciderlo, se non fosse stato per un tempestivo intervento di mia madre... Ecco perché ho rimosso Ecco perché mi sono ammalata di bulimia Ecco perché ancora oggi, che ho quasi cinquant anni, la mia memoria personale è talmente compromessa Lo odiavo di un odio profondo Dimmi che scherzi oltre ad essere il titolo del libro ne è anche il leitmotif. Io credevo fermamente che Alberto scherzasse. Ero soltanto una bambina e come tale giudicavo la realtà mi circondava, con i miei occhi di bambina (che non mentivano) : Lui era sano! Lui era esattamente come me! Camminava, saltava e correva. Aveva due gambe, due braccia. Aveva occhi sani per guardare, orecchie per sentire e una bocca per parlare. E avrebbe potuto parlare con me, ma no, lui non lo faceva. Era l ennesimo dispetto A suo comodo, lui decideva pure di non ascoltare, di non guardare e di non parlare, questo semplicemente perché gli conveniva. Voleva le attenzioni di entrambi i genitori tutte per sé ed io lo odiavo profondamente per questo. Lui lo faceva apposta! - Vedi? Mi dicevo. Vedi che scherza! Se papà lo chiama per uscire a passeggio, lui ci sente benissimo, ma se lo chiamo io per venire a giocare con me, non mi considera neanche Lui stava scherzando. Non riuscivo a non crederlo. Il suo comportamento oltre che destabilizzante per me era soprattutto disorientante.
5 Non ero capace, all epoca, di andare oltre. Di vedere al di là dell apparenza, di ricercare dei significati diversi. Era ciò che più intimamente speravo. Volevo che scherzasse, lo volevo con tutte le mie forze perché mi rifiutavo di credere che fosse veramente malato ed io facevo di tutto per smascherarlo. Lui scherzava così per rovinare la mia vita. Mi odiava a tal punto ne ero fermamente convinta. E ricambiavo tutto il suo odio. Ma perché? Perché Alberto stava scherzando così? Crescendo cominciai a domandarmelo sempre più spesso. A questa domanda non sono mai stata in grado di trovare una risposta. I vantaggi che ne traeva, crescendo, mi sembravano sempre meno convenienti dopo essersi perso l infanzia e l adolescenza ora si stava perdendo anche la gioventù, la libertà che pure come qualsiasi giovane desiderava ardentemente
6 I GENITORI DI ALBERTO I miei genitori erano completamente soli. Erano gli anni 60. La loro reazione all autismo di Alberto fu profondamente diversa. Mia madre da subito si rimboccò le maniche e prese ad assistere amorevolmente mio fratello 24 ore su 24. Mio padre di ci mise un po ad accettare la malattia di suo figlio. Ricordo una frase che amava ripetere spesso a mia madre e che rifletteva perfettamente la loro condizione: Cara, io e te siamo una coppia dispari. Al contrario di me, loro non si vergognarono mai di Alberto. Egli era sempre con loro e loro cercavano di condurre con lui una vita quanto più possibile normale. Andavano al cinema, in vacanza, a passeggio, in gita e Alberto era sempre con loro. Nel corso della loro vita intrapresero più di mille battaglie per vedere riconosciuti i basilari diritti di Alberto. Mio fratello era il loro obiettivo. Veder riconosciuta la sua dignità sempre, il diritto ad un suo posto nel mondo come qualsiasi umana persona. E per questo non si risparmiarono mai perché credevano fermamente nell importanza della socializzazione. E che la socializzazione, non necessariamente dovesse avvenire secondo il codice della comunicazione linguistica. Negli anni 60, ma anche 70 nel corso delle loro personali crociate, nulla si rivelò scontato. Tanto meno dovuto. La scuola per Alberto fu un diritto conquistato a caro prezzo. Anch io restai a casa da scuola e quando i Carabinieri vennero a chiedere ai miei genitori spiegazioni, loro risposero che di figli ne avevano due e che la scuola dell obbligo doveva essere un eguale diritto per entrambi.
7 ALBERTO MI HA INSEGNATO AD AMARE Sono orgogliosa di poter dire che è proprio Alberto che mi ha insegnato ad amare. Grazie a lui ho potuto comprendere che la natura dell amore esula da qualsiasi definizione in cui noi la vogliamo richiudere. Alle volte la sua piena espressione avviene per via di forme inconsuete, ma se riusciamo a liberarci da ogni pregiudizio, saremo finalmente liberi di viverlo con l intera nostra natura. Alberto è capace di un amore senza riserve. Lui a modo suo mi ha sempre amata, solo che io ci ho messo molto tempo a comprenderlo. In fondo quando ho deciso di scrivere questo libro, ciò che mi premeva maggiormente comunicare era proprio questo: che a tutti gli Alberto del mondo venisse conferito il diritto al riconoscimento della propria dignità: riconoscere che sono persone con un Anima in grado di amare, forse, anche più di noi. Alberto mi ha insegnato ad amare, proprio quando ho superato le mie resistenze ed ho compreso che non stava affatto scherzando. Che era stato profondamente infelice anche a causa mia, mentre per anni era stato il mio unico alibi per tutti i miei personali insuccessi sociali e fallimenti scolastici. Maria Linda Morsiani
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