La rassegna stampa del Centro di Doc. Rigoberta Menchù

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1 La rassegna stampa del Centro di Doc. Rigoberta Menchù Marco Travaglio intervista Barbara Spinelli, Il fatto 8 gennaio2010 ( ) Barbara Spinelli non si è mai sottratta alle regole ferree del dizionario: ha sempre chiamato "regime" il berlusconismo. Ma ora vede un altra svolta, una cesura estrema, un salto in avanti verso il baratro. Qual è precisamente questa svolta di regime nel regime? Nella testa di Berlusconi l attentato di Piazza Duomo ha creato un prima e un dopo. Dopo, cioè oggi, nulla può più essere come prima. Si sente in guerra, anche se combatte da solo. E con il dualismo amore-odio crea una situazione militare: l immagine del suo volto sfregiato e insanguinato, riproposta continuamente in tv e sui giornali, è per lui l equivalente dell attentato alle due Torri per Bush. Stessa valenza, stessa ossessività, stesso scopo ricattatorio. Con la differenza che, dietro l 11 settembre, c era davvero il terrorismo internazionale. Dietro l attentato a Berlusconi c è solo una mente malata e isolata. Qual è la conseguenza politica? L attentato al premier ha ancor di più narcotizzato la stampa italiana, che ha rapidamente interiorizzato il ricatto dell amore e dell odio. E il Pd dietro. Viene bollata come espressione di odio da neutralizzare, espellere, silenziare qualunque voce di opposizione intransigente. Cioè di opposizione. Tutti quei discorsi sul dovere del Pd di isolare Di Pietro. A leggere certi quotidiani, ci si fa l idea che il vero guaio dell Italia degli ultimi 15 anni non sia stato l ascesa del berlusconismo, ma quella dell antiberlusconismo. Quanti editoriali intimano ogni giorno all opposizione di non odiare, cioè in definitiva di non opporsi! Come se l azione isolata di un imbecille potesse e dovesse condizionare l opposizione. Un ricatto che si riverbera anche sugli articoli di cronaca. A che cosa si riferisce? Alla strana indifferenza con cui si raccontano alcune scelte mostruose, eversive della maggioranza che inasprisce il suo regime senza più critiche né opposizione. Penso alle tre o quattro leggi ad personam fabbricate in queste ore nella residenza privata del premier. Penso all orribile apposizione del segreto di Stato sugli spionaggi illegali scoperti dalla magistratura in un ufficio del Sismi e nell apparato di sicurezza Telecom. A salvare con gli omissis di Stato gli spioni accusati di avere schedato oppositori, giornalisti e magistrati sono gli stessi che un anno fa creavano il mostro Genchi, dipingendolo come una minaccia per la democrazia, trasformando il suo presunto archivio in una centrale eversiva. E Genchi operava legalmente per procure e tribunali, al contrario delle barbe finte della Telecom e del Sismi. Appunto, ma nella smemoratezza generale, facilitata dalla narcosi della stampa (per non parlare della tv), nessuno ricorda più nulla. Nessuno è chiamato a un minimo di coerenza, né di decenza. I sedicenti cultori della privacy che strillano a ogni legittima intercettazione giudiziaria tentano di controllare addirittura il cervello e i sentimenti del comune cittadino col ricatto dell odio. Fanno scandalo le intercettazioni legali, mentre lo spionaggio illegale viene coperto dal governo. Così il segreto di Stato diventa un lasciapassare preventivo a chiunque volesse tornare a spiare oppositori, giornalisti e magistrati. 'Fatelo ancora, noi vi copriremo', è il messaggio del regime. 'Le operazioni illegali diventano legali se le facciamo noi': un avvertimento per quel poco che resta di opposizione e informazione libera. E il Pd e i giornali indipendenti non dicono una parola, soggiogati dalla sindrome di Stoccolma. Che dovrebbe fare, in questo quadro, l opposizione?

2 Vediamo intanto che cosa dobbiamo fare noi con l opposizione: smettere di chiamarla opposizione. Diciamo quelli che non governano. Gli daremo la patente di oppositori quando ci diranno chiaramente che cosa intendono fare per contrastare il regime e cominceranno seriamente a farlo. Se è vero che Luciano Violante segnala addirittura al governo le procure da far ispezionare, se Enrico Letta difende il diritto del premier a difendersi 'dai' processi, se altri del Pd presentano disegni di legge per regalare l immunità-impunità a lui e ai suoi amici, chiamarli oppositori è un favore. Li aspetto al varco: voglio sapere chi sono e cosa fanno. Ellekappa li chiama "diversamente concordi". Appunto. Non si sono nemmeno accorti dello spartiacque segnato dall attentato nella testa di Berlusconi, fra il prima e il dopo. Non hanno neppure colto la portata ricattatoria dell ultimatum del premier perché le nuove leggi ad personam vengano approvate entro febbraio, altrimenti 'le conseguenze politiche non saranno indolori'. Nessuno ha nulla da dire contro questo linguaggio da mafioso ai vertici dello Stato? Perché nessuno fa dieci domande su quella frase agghiacciante? E il Partito dell Amore che si esprime così? Che dovrebbe fare l opposizione per essere tale? Rendersi graniticamente inaccessibile a qualsiasi compromesso sulle leggi ad personam. Evitare di reagire di volta in volta sui piccoli dettagli, ma alzare lo sguardo al panorama d insieme e dire chiaro e forte che siamo di fronte a una nuova svolta, a un inasprimento del regime. E respingere pubblicamente, una volta per tutte, questo discorso osceno sull amoreodio. Tabucchi invita le opposizioni a coinvolgere l Europa con una denuncia che chiami in causa le istituzioni comunitarie. Sull Europa non mi farei soverchie illusioni: basta ricordare i baci e abbracci a Berlusconi negli ultimi vertici del Ppe. Io comincerei a dire che con questo tipo di governo non ci si siede a nessun tavolo, non si partecipa ad alcuna convenzione, non si dialoga e non si collabora a cambiare nemmeno una virgola della Costituzione. Oddio, se vogliono ridurre i deputati da 630 a 500 o ritoccare i regolamenti, facciano pure: ma non è questo che interessa a Berlusconi. Come si fa a negoziare sulla seconda parte della Costituzione con chi, vedi Brunetta, disprezza anche la prima, cioè i princìpi fondamentali della nostra democrazia? Anziché dialogare con Berlusconi, quelli del Pd farebbero meglio a guardare a Fini, provando a fare finalmente politica e lavorando sulle divisioni nella destra, invece di inseguire, prigionieri stregati e consenzienti, il pifferaio magico. Spesso in questi mesi Fini s è mostrato molto più avanti del Pd, che l ha lasciato solo e costretto ad arretrare. Perché, con la maggioranza che ha, il Cavaliere cerca il dialogo col Pd? Anzitutto per un irrefrenabile pulsione totalitaria: lui vorrebbe parlare da solo a nome di tutto il popolo italiano, ecco perché l opposizione dovrebbe dirgli chiaramente che più della metà degli italiani non ci sta. E poi c è una necessità spicciola: senza i due terzi del Parlamento, le controriforme costituzionali dovrebbero passare dalle forche caudine del referendum confermativo: e l impunità delle alte cariche o della casta, per non parlare del lodo ad vitam di cui parlano i giornali, non hanno alcuna speranza di passare. Dunque è proprio sulla difesa della Costituzione e sul no a qualunque immunità che il Pd dovrebbe parlar chiaro. Invece è proprio lì che sta cedendo. L ha soddisfatta il discorso di Napolitano a Capodanno? Mi ha impressionato più per quel che non ha detto, che per quel che ha detto. Mi aspettavo che, onorando i servitori dello Stato che rischiano la vita, non citasse solo i soldati in missione, ma anche i magistrati che corrono gli stessi rischi anche a causa del clima, questo sì di odio, seminato dalla maggioranza. Invece s è dimenticato dei magistrati persino quando ha elencato i poteri dello Stato, come se quello giudiziario non esistesse più.

3 Perché, secondo lei, tutte queste dimenticanze? È una lunga storia...chi è stato comunista a quei livelli non ha mai interiorizzato a sufficienza i valori della legalità, della giustizia, dei diritti umani. Quando poi i comunisti italiani, caduto il Muro, hanno cambiato nome, sono diventati socialisti, e all italiana: cioè perlopiù craxiani. Mentre la cultura socialista europea ha sempre difeso la legalità e la giustizia, il socialismo italiano degli anni 80 e 90 era quello che purtroppo conosciamo. E chi, da comunista, è diventato craxiano oggi non può avvertire fino in fondo la violenza di quanto sta facendo il regime. Ora si apprestano a celebrare il decennale di Craxi. Mi auguro che il presidente della Repubblica non si abbandoni a festeggiamenti eccessivi. E non ceda alla tentazione di associarsi a questa deriva generale di revisionismo e di obnubilazione della realtà storica sulla figura di Craxi. Anche perché la riabilitazione di Craxi non è fine a se stessa: serve a svuotare politicamente e mediaticamente i processi a Berlusconi e a tutti i pezzi di classe dirigente compromessi con il malaffare. Riabilitano un defunto per riabilitare i vivi. Cioè se stessi. 09/01/2010 ROSARNO. INTERVISTA A LUIGI CIOTTI Don Luigi Ciotti e la «guerra» di Rosarno. «Libera», l associazione nata per combattere le mafie, ha un ruolo imp questo pezzo di Calabria dominato (in larga parte) dalle famiglie dell ndrangheta. «I miei ragazzi sono lì, queste perso «Posso dire che a Rosarno è sempre stata attiva una diffusa rete di solidarietà tra la popolazione locale e gli immigrati, le cristiane e non solo. C è una cultura molto radicata tra la gente, quella di offrire aiuto, in modo concreto...il cibo, i vestiti, i di ogni giorno. Ma ogni dettaglio dell accoglienza, la gestione del circuito perverso delle assunzioni, dei rifugi in cui ques in cerca di lavoro sono costrette a vivere è da sempre nelle mani della mafia. Il clima di violenza, la ribellione che ne «Dobbiamo dirlo nel modo più chiaro possibile, la violenza va sempre respinta, anche se chi la pratica, come in questa o ha mille buone ragioni. Sì, hanno avuto una reazione esagerata ma ora bisogna tentare di capire. Le mafia che controlla sfrutta nel modo più crudele possibile gli immigrati. E lo fa con cinismo e con una spietata determinazione. E con il sembra che le istituzioni si stiano muovendo in modo corretto, offrendo anche garanzie e una prima forma di tutela. E la Maroni ha individuato nella clandestinità dei caporali della mafia per tenere sotto controllo i lavoratori-s «Sì, perchè le menti criminali che gestiscono ogni minimo aspetto dello sfruttamento, sanno che gli stranieri irregolari no neanche tentare di ribellarsi. Sono senza documenti, senza nessuna tutela da parte dello Stato, la loro unica possibilità subire, e di lavorare, per paghe misere. Trattati peggio delle bestie, provocati sistematicamente, privi di dignità e di ogni e diritto. E quasi inevitabile che situazioni di questo genere, alla fine, generino la violenza. Lo scontro in atto con la po locale, con cui da anni s era stabilito un buon rapporto, è solo la causa diretta del modo di gestire il lavoro da p «C è una sola linea. Quella di liberare il territorio dalla criminalità organizzata, sradicare le attività gestite dagli espo famiglie dell ndrangheta. Per farlo, è necessaria un azione concorde di tutte le istituzioni dello Stato, non solo di segm della società civile. Non è una guerra, questa, che si combatte una tantum, sull onda emotiva di un fatto spiacevole o sa L eco della rivolta di Rosarno presto si spegnerà. Ecco. L azione di contrasto deve proseguire senza arrestarsi, sino a qu «Il racket, con loro, può esercitare il massimo livello di violenza e intimidazione. Anche la sparatoria che ha innescato la considerata come un messaggio preciso, per intimidire chi non vuole rassegnarsi, chi tenta di ribellarsi ai soprusi. I la difese...». Che fare, nascono da Anche le reazioni degli immigrati sono state giusta, la repressione, da sola, non d accordo? organizzazioni Come int saranno spazzati via i caporali e chi li c I lavoratori stranieri, ultimo anello della catena. Come d

4 spostano da un territorio all altro, seguendo i cicli delle stagioni e delle raccolte. E per questo sono ancora più indifesi, ver ultimi. Accettano ogni tipo di condizione, anche la più iniqua, pur di sopravvivere. Potranno liberarsi dalla mafia solo at bonifica di questi vasti territori. Distruggere il male alle radici. Togliere una volta per tutte alle cosche il controllo de economiche. Altro non c è». Karima Moual. Siamo come la peste, Il Sole24 Ore 9 gennaio 2010 Non avrei mai immaginato di fare questa fine qui in Italia si sfoga Mounir - trattati peggio delle bestie, sfruttati e con una precisa certezza: da questa situazione non riusciremo mai ad uscirne, perché vicino a noi non c'è nessuno, siamo come la pe ste. E con la paga che prendiamo non potremmo mai riscattarci per fuggire». Giovani, magrebini o provenienti dall'mrica sud sahariana. Ma a Rosarno, come Foggia o Caserta, c'entra poco la loro provenienza. Sono le loro braccia che si vuole. Più forti che mai, destinati a svolgere un lavoro duro e faticoso. Le loro braccia, per la consuetudine a un lavoro che agli italiani ormai piace poco. Giovani, uomini, soli e preferibilmente clandestini. Questo è. un primo identikit dei braccianti fantasma, che si sono nuovamente ribellati, al degrado e allo sfruttamento,per non dire schiavitù, nel quale riversano. Una guerriglia urbana è scattata dopo che due di loro sono stati feriti da sconosciuti con alcuni colpi di carabina ad aria compressa. Sfruttamento dell'immigrazione clandestina in conflitto con il caporalato. Ma la guerriglia che si è accesa ci fa ricordare ancora una volta dell'esistenza di quegli "invisibili" che vengono ricercati dai caporali all'alba, caricati in camioncini o in autobus, per scomparire nei campi, e, fare ritorno nelle loro baracche i solo a tarda sera, dopo 12 ore o più di lavoro a 20 euro. Arrivano in Italia attraversando il deserto e il mare, perché qui per loro c'era l'ultima speranza di "vivere". Fuggire per loro significava reagire alle guerre, alla fame o alla povertà, che tormentano i loro paesi, e i loro cari. Loro sono anche quell'ultima speranza, per la famiglia lasciata nel paese d'origine, come racconta Mounir, 24 anni marocchino di Beni Mellal. È in Italia da 4, ma è ancora clandestino. «La Inia famiglia in Marocco è molto povera - racconta - ho cinque fratelli più piccoli, Inio padre è morto e io sono il figlio più grande. Mia madre si èindebitata per farini arrivare qui. e adesso devo lavorare per sdebii tarci e mantenere la famiglia. i Per loro rappresento quell'ultima opportunità per poter cambiare la loro vita». «È stata davvero dura per me - continua Mounir - ho rischiato di morire durante l'attraversata nel mare e non posso mai dimenticare il mio amico, Mohammed. Lui nell'attraversata ha perso una mano, e con lei anche ogni possibilità di poter lavorare. Il suo viaggio le sue aspettative e i suoi sogni si sono fermati in Sicilia. Dovevamo venire insieme qui, per fare i braccianti e invece le nostre strade si sono divise nella tragedia». «Lui ha perso un braccio, e di questo suo destino neanche la sua famiglia lo sa continua Mounir - ma noi qui anche se siamo con le nostre braccia, abbiamo perso lo stesso, la speranza di poter un giorno sentirei vivi, esseri umani come gli altri. È come se si volesse che noi rimanessimo così, invisibili alle istituzioni, ma ben visibili e appetibili per il lavoro nero». Dalla testimonianza diretta di Mounir, ma anche di molte altre, raccolte invece dai Medici senza frontiere, isoli presenti nel territorio in questi anni, e che seguono questo fenomeno da vicino avviando progetti di assistenza medico sanitaria, le condizioni di queste persone sono drammatiche, per cui sono diffusissimi i problemi di depressione. Il degrado abitativo e lavorativo in cui vivono è inoltre la causa di infezioni respiratorie e problemi osteo-muscolari e gastroenterici, vivendo in fabbriche abbandonate e in edifici senza elettricità e senz'acqua. Il prezzo pagato per la calndestinità, lo pagano soprattutto queste persone, l'ultima ruota del carro, perché soli nel vero e proprio senso della parola. Non hanno una rete familiare in Italia che li accoglie, e perciò una volta arrivati con i migliori presupposti, si trovano ad essere sfruttati peggio che in un paese del terzo mondo. La rete se la fanno tra di loro, ma è comunque una rete fragile è lasciata in solitudine. Perché rappresentano il fallimento di quelle politiche sull'immigrazione clandestina, che ancora non si vuole vedere con realismo e alla quale non si danno ancora risposte precise se non per slogan. «Se noi lavoriamo tutto il giorno e perché il lavoro c'è continua Mounir - siamo persone oneste, ed è per questo che piuttosto che andare a delinquere sacrifichiamo più delle nostre forze per un una paga non degna di un paeseeivile. Ci troviamo in un vicolo ceco perché per

5 farei uscire dalla nostra condizione basterebbe riconoscerei come lavoratori e regolarizzarci, rendendo il nostro lavoro legale, salvandoci così dagli sfruttatori criminali. «Tutti sanno chi siamo - conclude Mounir - quanto siamo, dove siamo e dove lavoriamo. Nessuno però, vuole decidere a riconoscerei come persone». Il parroco, il missionario e gli immigrati- Da famiglia Cristiana «Caro padre Marcello, pensavo e speravo che almeno i missionari saveriani non diventassero "codini sinistri", politicamente corretti! Vedo che non è così. E via, aju:he voi con le solite "lagne" contro il Governo che non accoglie, che elude il problema, che è miope; mentre dovremmo imitare l'esempio degli altri Paesi europei... Il Governo e anche il sottoscritto, come molti cittadini italiani, non vogliono i clandestini. Voi, forse, li volete? lo e molti cattolici pensiamo che ognuno dovrebbe stare a casa propria. E che si dovrebbero instaurare politiche ed economie che risolvano i problemi nei Paesi dai quali si fugge. È scoprire l'acqua calda? Sì, ma perché voi missionari, Caritas, Famiglia Cristiana e compagnia bella non parlate mai di una politica e di un'economia più equa a livello mondiale? E perché, sempre voi, non dite che, invece, l'europa se ne frega del problema dei migranti e lascia sola la nostra Italia a risolverlo? Insomma, voi riviste missionarie e cattoliche perché non fate meno sociologia e ci parlate un po' più di Cristo e di missione? Grazie». DON SERGIO «Caro don Sergio, con te posso parlare col cuore in mano, da prete a prete. E anche da coscritto, con i nostri 40 anni di vita sacerdotale. Il tuo messaggio mi ha lasciato mezzo tramortito. Metti insieme, in un fascio, una gran "bella compagnia". E tu resti fuori a giudicare; Non so con quali criteri d fai diventare "codini sinistri". E tu dove ti piazzi? E Cristo dove lo metteresti, tra i "codini destri" o "quelli sinistri"? Sarà meglio, per te e per me, pensare a dove ci sbatterà Cristo: alla sua destra tra i "benedettj' oppure alla sua sinistra, caproni "maledettj' perché non l'abbiamo accolto. O perché gli abbiamo detto: "prima vattene a casa tua, poi l'europa provvederà a instaurare una politica che risolva il problema tuo e di tanti altri miserabili come te': È un vezzo antico. Ne parla anche l'apostolo Giacomo (un altro bel "codino sinistro"?): "Se dici, 'andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi senza dar loro il necessario, a cosa serve? Insensato, vuoi capire che la fede senza le opere non ha valore?". Come missionario, io non mi metto in coda a nessqn altro se non a Cristo, per mantenere il dono della libertà evangelica e cercar di vedere le cose con i suoi occhi. Ricordi Emmaus? Anche tu, sulle strade di Arcevia, prova a raggiungere tutti coloro che il Padre Celeste mette sul tuo cammino, per accoglierli e amari i come soia lui sa amare. Senza badare a colori e provenienze, per interessarti ai loro problemi e aspirazioni, riscaldarne il cuore con l'annundo di Cristo e farti invitare a "casa loro". Anche la sera. Fallo ad Arcevia, fino agli estremi confini della terra, perché tu sei prete per tutti. Se no, che senso dai alla Messa quando ripeti le parole di Cristo: "Prendete e mangiatene tutti... prendete e bevetene tutti. "? Caro don Sergio, ti ho parlato un po' di Cristo e di missione, come volevi. A volte, noi preti siamo "stolti e lenti di cuore"". PADRE MARCELLO Se questi sono uomini BARBARA SPINELLI Il futuro in cui siamo già immersi comincia nella piana di Gioia Tauro: a Rosarno in provincia di Reggio Calabria (un autentica guerriglia urbana è ancora in corso), come a Castel Volturno e a Reggio stessa, dove la ndrangheta ha voluto intimidire i magistrati con un attentato alla procura generale. Il futuro comincia a Rosarno perché i principali problemi della nostra civiltà si addensano qui: le fughe di intere popolazioni dalla povertà e dalle guerre (guerre spesso scatenate dagli occidentali, generatrici non di ordine ma di caos); le vaste paure che s insediano come nebbie, intossicando la vita degli immigrati e dei locali; le cruente cacce al diverso; il dilagare di una mafia esperta in controllo mondializzato.

6 A ciò si aggiunga l impossibilità di arrestare migrazioni divenute inarrestabili, perché da tempo non si trovano italiani e cittadini di Paesi ricchi disposti a fare, allo stesso salario, i lavori fatti da africani. Si aggiunga l ipocrisia di chi crede che la risposta consista in un identità monoculturale da ritrovare. E la menzogna di chi non sopporta lo sguardo inquieto e assicura: abbiamo già praticamente vinto le mafie, Gomorra appartiene al passato, è «un vecchio film in bianco e nero», come dice Maroni. Non per ultimo, si aggiunga lo Stato che perde il controllo del territorio e il monopolio della violenza: i neri a Rosarno combattono contro ronde private di locali, infiltrate da ndrangheta e armate di fucili. Il pensiero della Lega è egemonico e le rivolte vengono associate, dal ministro Maroni, non alle mafie ma all immigrazione clandestina che si promette di azzerare sanando ogni male. È inganno anche questo. Quando in Francia s infiammarono le banlieue, nel novembre 2005, Romano Prodi disse che il fenomeno, mondiale, non avrebbe risparmiato l Italia. Fu deriso e non creduto. Non era menzogna invece. È vero che l Italia ha da anni una reputazione cupa, e impaura a tal punto immigrati e fuggitivi da suscitare, nei loro animi, il senso di schifo di cui parla Balotelli. Gran parte dell Europa ha una cupa reputazione, ma questo non scusa i nostri misfatti e silenzi: il silenzio del sindacato soprattutto, abituato a proteggere pensionati e operai delle grandi industrie (ormai dei privilegiati) e del tutto afasico sull intreccio mafia, immigrati, sfruttamento. Il massimo della spudoratezza è raggiunto quando i nostri ministri citano Zapatero o Sarkozy, quasi che gli errori altrui nobilitassero i nostri. Quasi che non esistesse, in Italia, quel sovrappiù che è il potere malavitoso. Le rivolte di questi giorni discendono dal fallimento dello Stato e lo rivelano. È la conclusione cui giunge il prezioso libro di Antonello Mangano, scritto sui ventennali disastri di Rosarno e Castel Volturno. Il titolo è: Gli africani salveranno Rosarno - E, probabilmente, anche l Italia (Terrelibere.org 2009). Le rivolte odierne hanno infatti una storia alle spalle, occultata dai politici e da molti giornali. Coloro che a Rosarno hanno reagito con ira distruttiva a un ennesima aggressione contro i lavoratori neri (due feriti a colpi di carabina, giovedì) sono gli stessi che nel dicembre 2008 si ribellarono alla ndrangheta. Erano stati feriti quattro immigrati, e gli africani fecero qualcosa che da anni gli italiani non fanno più. Scesero in piazza, chiedendo più Stato, più giustizia, più legalità. Contribuirono alle indagini dei magistrati con coraggio, rompendo l omertà e rischiando molto. Denunciarono gli aggressori a volto scoperto, pur non essendo protetti da permessi di soggiorno. È vero dunque: gli africani salveranno Rosarno e forse l Italia, come scrive anche Roberto Saviano. Poco prima della rivolta a Rosarno si erano ribellati gli africani a Castel Volturno, il 19 settembre 2008, rispondendo a una sparatoria di camorristi che aveva ammazzato sei immigrati. Quel che è accaduto dopo è una sciagura prevedibile, e per rendersene conto basta vedere come vivono, gli africani dell antimafia. Sono eloquenti più di altri i video di Medici senza Frontiere, che parlano di crisi umanitaria nella piana di Gioia Tauro. Il rapporto che Msf ha redatto nel 2008 ha un titolo ominoso: «Una stagione all inferno», come il poema di Rimbaud. Difficile descrivere altrimenti gli africani che vivono in stabilimenti industriali abbandonati, come la cartiera «La Rognetta» a Rosarno, o l oleificio dismesso presso Gioia Tauro. Dentro l oblò del silos per l olio: giacigli di stracci. Tutt intorno, fuochi e soprattutto rifiuti, montagne di rifiuti tra cui vagano, tristi ombre, esseri umani che si costruiscono alloggi di cartone o tende senza sanitari. Vedere simili paesaggi ricorda Gaza, gli slum pachistani: non è vita primitiva ma l osceno connubio tra architetture industriali moderne, indigenza estrema e apartheid. Un africano dice sorridendo a Medici senza Frontiere: «Tra l una e le quattro di notte inutile provare a dormire. Troppo freddo». Ci nutriamo volontariamente di menzogne, come il protagonista nel poema di Rimbaud, quando diciamo che quest oscenità nasce dall eccessiva tolleranza verso i clandestini. Abbiamo chiamato noi gli africani a raccogliere aranci, consci che nessuno lo farà a quel prezzo e per tante ore (25 euro per un giorno di ore; 5 euro vanno a caporali mafiosi e autisti di

7 pullman). E la tolleranza denunciata da Maroni non è verso i clandestini ma verso le condizioni in cui vivono clandestini o regolari. Dopo aver tollerato tutto questo, e versato nella regione milioni di euro finiti in tasche sbagliate, ogni stupore è fuori luogo. I tumulti odierni non sorprendono: se questi africani non son uomini, come s intuisce nei video, impossibile che non sboccino, prima o poi, i Frutti dell Ira di John Steinbeck. Scritto nel 39 durante la Grande depressione, il libro Furore poteva sperare, almeno, nel New Deal di Roosevelt che noi non abbiamo. Ne abbiamo tuttavia bisogno, di un New Deal, che metta fine all apartheid e non si limiti a spostare immigrati come mandrie da un posto all altro. Perfino i poliziotti, spiega Antonello Mangano, dicono che la risposta non può essere solo punitiva, che gli africani sono una comunità mite, che le migrazioni continueranno. Con l estendersi delle catastrofi climatiche saranno enormi, gli esodi. Non è vero che la questione della cittadinanza viene per ultima. Le grandi crisi si affrontano con grandi scommesse iniziali, fondatrici di nuove solidarietà. Non è vero neppure che i liberal e la Chiesa sono retrogradi, come scrive Angelo Panebianco sul Corriere. Pensare in grande l integrazione è preparare oggi il futuro. Dicono che l identità stiamo smarrendola, a forza di rinunciare alle nostre radici e di convivere con diversi che ci condannano al meticciato. Anche questa è menzogna. In realtà siamo già cambiati: non perché incomba il meticciato tuttavia, ma perché la nostra identità non è più quella curiosa, accogliente, porosa che fu nostra quando emigravamo in massa e incontravamo violenza. È un ottimo viatico l ultimo libro di Gian Antonio Stella (Negri Froci Giudei - L eterna guerra contro l altro, Rizzoli 2009): si scoprirà che la mutazione già è avvenuta, nel linguaggio della Lega e nella disinvoltura con cui si accettano segregazioni che trasformano l uomo in non uomo. L identità che abbiamo perduto, la recuperiamo solo se non tradiamo quella vera inventandone una falsa. Solo se sblocchiamo le memorie e ricordiamo che le sommosse antimafia dei neri prolungano le rivolte italiane condotte, sempre in Calabria, da uomini come Peppe Valarioti e Giannino Losardo, i dirigenti comunisti uccisi dalle ndrine nel Solo se scopriremo che il nostro problema irrisolto non è l identità italiana, ma l identità umana. Le scuole non hanno bisogno delle quote del ministro Gelmini (non più di tre alunni su dieci per classe in tutta Italia, come se Gesù avesse imposto quote di accesso alla stalla di Betlemme: non più di tre Magi). Hanno bisogno di insegnare il mondo che muta. Altrimenti sì, è l inferno di Rimbaud: «L Inferno antico: quello di cui il Figlio dell Uomo aperse le porte». Il dolore degli uomini Gian Antonio Stella, Corriere della Sera «Volevamo braccia, sono arrivati uomini», sospirò trent anni fa lo scrittore svizzero Max Frisch spiegando perché troppi connazionali fossero così ostili agli immigrati italiani contro cui avevano scatenato tre referendum. Ostilità antica. Anche i nostri nonni furono portati in salvo come i neri di Rosarno. Le autorità furono costrette a organizzare dei treni speciali per sottrarli nel 1896 al pogrom razzista scatenato dai bravi cittadini di Zurigo. E altri gendarmi e altri treni avevano sottratto i nostri nonni, tre anni prima, ad Aigues Mortes, alla furia assassina dei francesi che accusavano i nostri, a stragrande maggioranza «padani», di rubare loro il lavoro. L abbiamo già vissuta questa storia, dall altra parte. Basti ricordare, come fa Sandro Rinauro ne «Il cammino della speranza», che secondo il Ministero del Lavoro francese «alla fine del 1948 dei italiani presenti nel dipartimento agricolo del Gers, ben il 95% era irregolare o clandestino». Come «irregolari» sono stati almeno quattro milioni di nostri emigrati. C è chi dirà: erano altri tempi e andavano dove c erano posto e lavoro per tutti! Falso. Perfino l immenso Canada, spiega Eugenio Balzan sul «Corriere» nel 1901, era pieno di disoccupati e a migliaia i nostri «s aggiravano in pieno inverno per Montréal stendendo le mani ai passanti». Tutto dimenticato, tutto rimosso. Basti leggere certi commenti, così

8 ferocemente asettici, di questi giorni. «Chi non lavora, sciò!» Anche quelli che erano a Rosarno dopo aver perso per primi il lavoro nelle fabbriche del Nord consentendo un elasticità altrimenti più complicata e cercano di sopravvivere in attesa della ripresa? Sciò! Anche quelli che fanno lavori che i nostri ragazzi si rifiutano di fare? Sciò! Anche quelli che lavorano in nero per un euro l ora? Sciò! Mai come stavolta è chiaro come l abbinamento clandestino = spacciatore è spesso un indecente forzatura. A parte il fatto che moltissimi a Rosarno avevano il permesso di soggiorno, c è un solo spacciatore al mondo disposto a lavorare dall alba alla notte per 18 euro, ad accatastarsi al gelo senza acqua e luce tra l immondizia, a contendere gli avanzi ai topi? Dice il rapporto Onu 2009 che chi lascia l Africa per tentare la sorte in Occidente vede in media «un incremento pari a 15 volte nel reddito» e «una diminuzione pari a 16 volte nella mortalità infantile» dei figli. Questo è il punto. Certo, non possiamo accogliere tutti. Ma proprio per questo, davanti al dolore di tanti uomini, ci vuole misura nell usare le parole. Anche la parola «legalità». Tanto più che, ricordava ieri mattina «La Gazzetta del Sud», l Inps scheda come «braccianti agricoli metà dei disoccupati della Piana». Un andazzo comune a tutto il Sud: 26 falsi braccianti agricoli smascherati nel 2008 in Veneto, 146 in Lombardia, 26 mila in Campania, 14 mila in Sicilia, 16 mila in Puglia, 10 mila in Calabria. Dove secondo i giudici antimafia buona parte delle false cooperative agricole che poi magari usano i neri in nero sono legate alla ndrangheta. Dio sa come il nostro Paese abbia bisogno di rispetto della legge: ma quali sono le priorità della tolleranza zero? Permesso di soggiorno: irregolari anche i ritardi Gian Antonio Stella Lo Stato ha il dovere di fare rispettare le leggi, di fare rispettare le regole», ha detto e ripetuto più volte, anche in questi giorni, Roberto Maroni. Parole d'oro. Ma valgono per tutti o solo per gli immigrati? La domanda è obbligatoria. il testo unico sull'immigrazione nella versione modificata prima dalla Legge Bossi-Fini, poi dal pacchetto sicurezza del 2008 e infine dalla legge 94 del 15 luglio 2009 dice infatti, nero su bianco, che «il permesso di soggiorno è rilasciato, rinnovato o convertito entro venti giorni dalla data in cui è stata presentata la domanda». Sì, ciao! Violando quotidianamente quella legge che il grintoso ministro degli Interni dichiara ogni giorno di volere far rispettare, gli uffici pubblici italiani impiegavano mediamente l'anno scorso, per dare i documenti a chi ne aveva diritto, 291 giorni. Dati ufficiali, del prefetto Rodolfo Ronconi, della Direzione centrale d'immigrazione al Viminale. il che significa che in diversi casi il tempo di attesa sfondava i dodici, tredici mesi. Con punte estreme, soprattutto in alcune aree del Paese, ancora più inaccettabili. E secondo gli operatori l'andazzo, a causa del superlavoro imposto dalla sanatoria per le badanti, si è ulteriormente aggravato. Cosa significhi per un immigrato in regola con tutte le carte vedersi negato questo diritto (diritto: non è una graziosa concessione) lo spiega ad esempio Shukri Said, una somala da molti anni a Roma, cittadina italiana, attrice con una particina in Don Matteo (faceva la parte di una «carabiniera» di colore) segretaria dell'associazione Migrare: «Quando gli immigrati vanno a chiedere il rinnovo del permesso di soggiorno alle Poste, si vedono ritirare il documento e ricevono in cambio una ricevutina che non tutti gli italiani accettano di riconoscere come un documento equivalente al permesso di soggiorno. Anzi. Mentre la pratica del rinnovo gira per gli uffici, per mesi e mesi, lo straniero ha difficoltà a prendere in affitto un appartamento perché, con il pacchetto sicurezza, non si può affittare agli irregolari; trova difficoltà a cambiare il medico di famiglia, trova difficoltà a chiedere la patente di guida; trova difficoltà negli ospedali, a riconoscere un figlio o a iscriverlo a scuola. Un inferno». In qualche caso, aggiunge Pietro Soldini, responsabile immigrazione della Cgil, «nell'attesa dellinnovo perde addirittura il lavoro». Per questo, da molti giorni, è partito su iniziativa di Gaoussou Ouattara, membro della Giunta dei Radicali, uno sciopero della fame che finora, compresa Shukri Said, ha visto la partecipazione in tutta Italia di oltre tre-cento immigrati. Spazio sui giornali per la protesta? Poco o niente. Attenzione da parte dei politici? Men che meno. Mica portano voti, gli extracomunitari... G.A.Stella, Negri, Froci, Giudei &Co. L eterna guerra contro l altro, Rizzoli

9 Tammurriata nera. Gli italiani e il razzismo di Giulia Galeotti, L'Osservatore Romano gennaio 2010 Oltre che disgustosi, gli episodi di razzismo che rimbalzano dalla cronaca ci riportano all'odio muto e selvaggio verso un altro colore di pelle che credevamo di aver superato. Per una volta, la stampa non enfatizza: un viaggio in treno, una passeggiata nel parco o una partita di calcio, non lasciano dubbi. Non abbiamo mai brillato per apertura, noi italiani dal Nord in giù. Né siamo stati capaci di riscattarci, quando il "diverso" s'è fatto più vicino, nel mulatto, a prescindere dalle diversissime cause per cui ciò è avvenuto. Sia stato il risultato di un atto d'amore o, invece, di uno stupro, ben difficilmente abbiamo considerato quel bambino come nostro, al pari dei nostri. Anzi, la doppia appartenenza è sembrata (e continua a sembrare) una minaccia ulteriore. In questo, davvero a nulla è servito l'esempio americano: l'obamamania che imperversa trasversalmente, dalla politica all'arte, dallo stile al linguaggio, non ha invece fatto breccia alcuna nel dimostrare il valore dell'incontro tra razze diverse. Le esperienze coloniali del Regno d'italia di problemi ne avevano posti diversi da subito. Integrando di fantasia, già Pirandello aveva raccontato - in Novelle per un anno, Zafferanetta - di una Norina Rua della Sabina, che accettò di sposare il giovane Sirio Bruzzi, pur sapendo della figlia di cinque anni che gli aveva "laggiù", a Mokàla in Congo. E accettò anche, la poverina, che l'uomo facesse salire in Italia "quel fiore selvaggio della sua vita avventurosa" a vivere con loro. Titti, alias Zafferanetta (come la ribattezza la cameriera) arriva quando la Norina è già incinta di un mese, e l'incontro tra la donna e la "pupattola ramata" non promette nulla di buono (presagendo quel che sarà). Sirio "le entrò in camera con le braccia e le gambe di quel mostriciattolo avviticchiate al collo e al petto. Non vide dapprima che queste gambe e queste braccia, gracili, color zafferano, e i capelli ricci, gremiti, piuttosto lunghi, soffici e quasi metallici. Quand'egli alla fine riuscì a sviticchiarla da sé, parlandole in quello strano linguaggio infantile, ed ella potè vederle la faccia, anch'essa color zafferano, con quel casco di capelli ricci d'ebano quasi soprammessi, la fronte ovale, protuberante, gli occhioni densi, truci, fuggevoli, smarriti, il nasino a pallottola e i labbruzzi divaricati, non tumidi, un po' lividi, si sentì gelare: istintivamente compose il volto a una espressione di pena e di raccapriccio". Né, dopo la prima impressione, le cose migliorano. "Teneva le labbra serrate e le manine rattratte, e vibrava tutta ad ogni minimo rumore. (...) Doveva essere invasa dallo sgomento quell'animuccia selvaggia. Norina stava a mirarla in silenzio, quando Sirio non c'era; e, mirandola, s'accorgeva che veramente (...) non era poi tanto brutta: solo la tinta, quella tinta ramata, incuteva ribrezzo. E Zafferanetta, immobile, seduta su una sediola di bambù, si lasciava mirare". Con Mussolini l'avversione al mulatto assume una veste inedita. Nel 1938, per esempio, un processo per procurato aborto vede alla sbarra la giovane nubile che vi s'è sottoposta, insieme con l'infermiera che l'ha praticato. Se la corte sarà reggimentalmente severa con quest'ultima ("bisogna stroncare questa forma di attività che a scopo di lucro è così esiziale alla integrità della stirpe e agli interessi vitali della Nazione che sono legati alla potenza demografica"), nei confronti della giovane il tono è, evidentemente, ben diverso. "Merita grande pietà per un particolare intimo venuto in luce in udienza, e cioè che avendo avuto rapporti con un negro, autista della delegazione di Cuba, maggiore sarebbe stato il suo disonore se il prodotto del concepimento fosse venuto alla luce". Il clima post bellico, per evidenti ragioni, coinvolge anche i mulattini. Se ne parlò già in Assemblea costituente, tra gli altri, il 21 aprile 1947, durante un intervento del repubblicano Aldo Spallacci (medico-chirurgo). "Dovremmo noi restare indifferenti a quegli incroci tra razza bianca e razza nera, che hanno tanto preoccupato la nazione inglese? Lungi da noi il pensiero di razza inferiore o razza superiore. Questi incroci tra razze, che hanno scarsa affinità, non sono fatti per migliorare il nostro tipo umano. I mulatti sono scarsamente resistenti al logorio ambientale dei nostri climi e molto vulnerabili al dente delle malattie. Su queste creature noi ci curviamo con la stessa trepidazione con cui ci curviamo sopra tutte le culle, come davanti a un punto interrogativo del mistero della vita. E pensiamo, col rossore sul volto, che questo colore italo-nero nelle guance di questi bimbi rappresenta il senso di abiezione della patria; e questo senso di tristezza lo sentiamo tutti quanti nel cuore, come senso angoscioso di responsabilità per tutti. A un dato momento questa ondata di corruzione è

10 passata sul nostro Paese, perché, oltre alle violenze delle truppe saccheggiatrici, liberatrici, ossessionate dal sensualismo, c'è stata anche la prostituzione e la corruzione. Noi ci volgiamo a questi illegittimi collo stesso sguardo con cui guardiamo tutti gli altri nostri bambini". Uno sguardo di cui, in realtà, in pochissimi furono capaci. Tra questi, un uomo alto ed elegante, don Carlo Gnocchi e la sua fondazione Pro Juventute, da lui creata proprio per dare cura, assistenza e formazione - tese profeticamente all'integrazione sociale - a "orfani di guerra, mutilatini, mulattini, tutte vittime innocenti della barbarie umana". Con ottica ben distante, nel 1949 il deputato Silvio Paolucci aveva presentato una proposta di legge volta ad aggiungere all'articolo 235 del Codice civile, che regolava il disconoscimento di paternità, una nuova ipotesi: quella in cui il figlio risultasse di razza diversa da quella del marito della madre. Un tempismo quasi obbligato: proprio nel 1949 aveva suscitato enorme scandalo la decisione dei giudici di Firenze di rigettare la domanda di un padre toscano che aveva chiesto di disconoscere il figlio di colore. Per fortuna, comunque, ci aveva pensato Napoli, dove nel 1945 Edoardo Nicolardi - all'epoca dirigente di un ospedale cittadino - aveva scritto la celeberrima Tammurriata Nera. Nel vivace botta e risposta con la gente del vicolo, il protagonista-spettatore commenta un fatto "strano", la nascita di un bambino nero da una ragazza partenopea. Nella canzone lo stupore per un fenomeno nuovo ("io nun capisco 'e vvote che succede / e chello ca se vede nun se crede / è nato nu criaturo è nato niro") e diffuso ("sti cose nun so' rare se ne vedono a migliare"), viene spiegato in modo affascinante e singolare: "'e vvote basta solo 'na guardata / e 'a femmina è rimasta sott''a botta impressionata". Interviene quindi il parularo: poco importa che sia dalla pelle bianca o nera, rimane una creatura. "Addó pastíne 'o ggrano, 'o ggrano cresce: riesce o nun riesce, sempe è ggrano chello ch'esce!". Nel 2010, invece, siamo ancora all'odio. Ora muto, ora scandito e ritmato dagli sfottò, ora fattosi gesto concreto. Italia: Amnesty International, "Tutti i migranti devono essere protetti dagli attacchi e dallo sfruttamento" ( ) Il ministro dell'interno, Roberto Maroni, ha attribuito i disordini alla precedente mancanza di controlli sull'immigrazione. Pur sottolineando che chiunque si renda responsabile di atti di violenza dev'essere sottoposto a indagine e processato, Amnesty International teme che le cause di fondo dei fatti di Rosarno risiedano da un lato nel massiccio sfruttamento dei migranti impiegati nell'agricoltura e dall'altro nell'assenza di misure concrete, da parte delle autorità nazionali e locali, per contrastare la xenofobia in crescita in tutto il paese. La tratta e lo sfruttamento dei migranti ha fatto sì che migliaia di persone nella zona di Rosarno e in molte altre parti d'italia lavorino per due euro all'ora e vivano in dormitori senza elettricità, acqua potabile e riscaldamento. In precedenza, Amnesty International si era detta preoccupata per il fatto che la criminalizzazione dei migranti irregolari prodotta dal recente "pacchetto sicurezza" avrebbe reso questi ultimi ancora più vulnerabili allo sfruttamento, limitando il loro accesso all'impiego, all'alloggio e ai servizi essenziali e, contemporaneamente, scoraggiandoli dal denunciare gli abusi che subiscono. L'aumento della xenofobia in Italia si riflette nella crescente retorica anti-migranti e anti-rom da parte di esponenti politici nazionali e locali e nell'incremento del numero di attacchi a sfondo razziale segnalati dalla stampa negli ultimi 18 mesi. ( ) Amnesty International sottolinea inoltre il rischio che molti dei migranti sfollati da Rosarno possano subire ulteriori violazioni dei diritti umani. La polizia italiana ha reso noto che 828 migranti sono stati trasferiti in due centri per stranieri a Crotone e Bari. Molti dei migranti che vivevano e lavoravano a Rosarno erano regolarmente residenti in Italia, ma molti altri migranti sfollati si trovano in Italia senza autorizzazione, Amnesty International teme che possano andare incontro a lunghi periodi di detenzione senza che siano state prese in considerazione possibili alternative o che possano essere espulsi senza un effettivo accesso a procedure e meccanismi che potrebbero metterli in grado di chiedere asilo o altre forme di protezione o di ricorrere contro un ordine d'espulsione.

11 Molti migranti allontanati da Rosarno dalle autorità o costretti a lasciare la città non potranno farvi rientro sia per mancanza di sicurezza, sia per la distruzione dei luoghi in cui dimoravano. Il trasferimento forzato di persone dalle proprie dimore senza una giusta procedura che comprenda anche la disponibilità di una sistemazione alternativa adeguata, si configura come uno sgombero forzato e dunque come una violazione del diritto internazionale. Anche se il trasferimento è stato deciso come misura temporanea di emergenza a causa della minaccia di violenza, se queste persone non possono rientrare nelle loro abitazioni perché sono state demolite, sulla base del diritto internazionale le autorità italiane sono obbligate a fornire una sistemazione alternativa adeguata e un rimedio efficace. ( ) Roma, 12 gennaio 2010 ROSARNO: MSF, NOSTRI OPERATORI TESTIMONI DELLE TERRIBILI CONDIZIONI DEI MIGRANTI (IRIS) - ROMA, 12 GEN - "Dopo i recenti fatti di Rosarno in Calabria, che hanno posto la situazione degli immigrati stagionali al centro dell attenzione, Medici Senza Frontiere (MSF) denuncia il continuo stato di abbandono e lo sfruttamento di questa popolazione in Italia meridionale". E' quanto si legge in una nota della stessa organizzazione. "I siti in cui gli immigrati stagionali vivevano nella Piana di Gioia Tauro sono ora totalmente vuoti, dopo le violenze. La maggior parte delle persone sono state portate dalle autorità nei Centri per immigrati di altre città italiane (Bari e Crotone), abbandonando le proprie cose negli edifici in cui vivevano, racconta Medici Senza Frontiere. Alcune persone non erano convinte di andarsene, perchè non avevano ancora ricevuto la paga per le giornate di lavoro compiute, altre temevano di essere detenute o deportate. Ma gli immigrati erano così spaventati da non aver altra scelta che quella di andarsene, spiega Alessandra Tramontano, coordinatore medico dei progetti sull immigrazione di MSF Italia. MSF ha anche visitato i sette immigrati che sono stati ricoverati negli ospedali locali dopo essere stati vittima degli attacchi. I recenti episodi di violenza e di ostilità sono un sintomo estremo del perenne abbandono in cui versano gli immigrati impiegati come stagionali in Sud Italia, dice Loris De Filippi, responsabile dei progetti di MSF Italia. Costituiscono una forza lavoro cruciale nell agricoltura italiana e al contempo sono facili prede dello sfruttamento. Gli immigrati stagionali impiegati in agricoltura in molte regione dell Italia meridionale vivono in condizioni estremamente dure: in edifici abbandonati ed esposti alla pioggia e al freddo in inverno. I siti presentano pessime condizioni igienico-sanitarie e l accesso all assistenza sanitaria è limitato. Le nostre equipe mediche - prosegue Msf - hanno evidenziato che proprio le disastrose condizioni di vita e di lavoro hanno conseguenze drammatriche sulla salute di queste persone, che presentano infezioni respiratorie, patologie osteo-muscolari e gastroenteriche. MSF ha fornito assistenza umanitaria agli immigrati stagionali in alcune regioni italiane (Calabria, Puglia, Sicilia, Campania) dal L ultimo progetto nella Piana di Gioia Tauro in Calabria, in continuità con i progetti svolti negli anni precedenti nella stessa zona, è stato avviato lo scorso dicembre, quando gli immigrati aumentano in occasione della stagione del raccolto delle arance. Con una clinica mobile, un team di MSF ha visitato i principali siti della Piana in cui vivevano gli stagionali. Tra il 21 e il 23 dicembre i volontari di MSF hanno distribuito kit contenenti fra le altre cose, coperte, secchi e saponi, per assistere 2mila immigrati della zona durante questa fredda stagione invernale.

12 In questi anni MSF ha denunciato le scandalose condizioni degli stagionali e ha fatto pressione sulle autorità per migliorare la situazione umanitaria degli immigrati stagionali in Sud Italia. Con i due rapporti Una stagione all inferno" (2008) e I frutti dell ipocrisia (2005), MSF ha mostrato le drammatiche condizioni di migliaia di immigrati che lavorano durante tutte le stagioni dell anno nell agricoltura del Sud. Quasi nulla è cambiato per le migliaia di immigrati stagionali da quando noi abbiamo cominciato nel Ogni anno i nostri operatori umanitari - continua Loris de Filippi - tornano negli stessi posti e sono testimoni delle stesse terribili condizioni, che cerchiamo di alleviare fornendo assistenza medico-umanitaria. E ormai tempo che le autorità italiane provvedano a migliorare le condizioni degli stagionali e ad aumentare il loro accesso all assistenza sanitaria, ma nel rispetto della dignità della persona. MSF, seguendo il proprio mandato medico-sanitario e la propria indipendenza, continuerà anche in futuro a fornire assistenza a questa parte di popolazione vulnerabile come fa in altri paesi europei e in molti altri contesti in tutto il mondo.. Free Gaza, in a number of senses Di Amira Hass (Haaretz, 8 gennaio 2010) ( ) Portare Gaza al Cairo Se non potremo andare a Gaza, porteremo Gaza al Cairo, diceva un attivista pacifista americano. E davvero, per una settimana intera più di mille cittadini/e stranieri, la grande maggioranza proveniente dai paesi occidentali, corrono qua e là per la capitale egiziana a cercare vie e posti per manifestare contro il blocco di Gaza. "Le manifestazioni al Cairo sono la prova definitiva che Israele ha fatto pressioni sull Egitto per non permettere l entrata a Gaza", diceva un cittadino egiziano (che come altri egiziani, non osava partecipare alle manifestazioni, per paura di punizioni). "Perché l Egitto deve prendersi questo mal di testa? Sarebbe stato più facile e più semplice mandarli tutti a Gaza e lasciarli perdere". Non essendo arrivati gli autobus, gli attivisti francesi sistemano tende e sacchi a pelo fuori dell ambasciata. Alle 2 di notte, scoprono che il camping è stato circondato da una recinzione e da un fitto cordone di polizia antisommossa. Tende, una barriera di poliziotti, restrizioni di movimento, e un area sotto assedio. Senza averlo programmato, replicavano la situazione di Gaza in particolare e la situazione palestinese in generale. Resistere alle condizioni di assedio diventa scopo e sfida. Durante i due o tre giorni successivi, il cordone si intensifica, da una fila di poliziotti a tre. Di ora in ora, gli attivisti discutono di come andare avanti; è la democrazia diretta in azione. Senza segreti, senza ordini dall alto, senza gerarchie. Un operazione simile si dispiega in vari posti attorno al Cairo. Alcuni attivisti scoprono che la polizia circonda i loro hotel, bloccandoli all uscita. Parecchi dimostrano di fronte alle loro rispettive ambasciate e sono immediatamente circondati dai poliziotti antisommossa. I più violenti sono quelli assegnati all ambasciata americana. Di chi è la colpa? Un gruppo numeroso si è installato sotto gli uffici dell UNDP (United Nations Development Program). "Con la nostra presenza qui, noi diciamo che non diamo la colpa all Egitto. La

13 responsabilità del vergognoso e osceno assedio israeliano di Gaza è interamente dei nostri paesi", ha spiegato uno degli organizzatori. Questo suona come una risposta a un accusa espressa perlopiù dai sostenitori di Fatah e dell Autorità palestinese a Ramallah: con l incoraggiamento di Hamas, la pressione popolare internazionale in particolare araba viene diretta all indirizzo sbagliato l Egitto, anziché Israele. Alcuni degli organizzatori hanno detto che avevano davvero l impressione che Hamas non fosse affatto interessato a manifestare al varco di Erez verso Israele, che è quasi sigillato, ma piuttosto al valico di Rafah verso l Egitto. Il sogno era di avere decine di migliaia di persone in marcia verso il punto di attraversamento di Beit Hanun/Erez al primo anniversario dell offensiva delle Forze di Difesa di Israele (IDF), al fine di chiedere che Israele e il mondo tolgano l assedio. Gli aspiranti partecipanti sono un gruppo molto vario: vi sono attivisti e attiviste di sinistra da decenni, mentre altri e altre si sono uniti solo durante la stessa campagna di Gaza. Studenti e pensionati/e, docenti universitari, poveri, persone giovani e anziane. Fra gli attiviste e attivisti più anziani vi è Hedy Epstein, 85 anni, una cittadina americana tedesca di nascita a che ebbe salva la vita quando i suoi genitori ebrei la mandarono in Inghilterra quando aveva quattordici anni. Più tardi morirono a Auschwitz. Lei si è seduta su una sedia sotto il palazzo che ospita gli uffici dell UNDP, con quelli in sciopero della fame, per protesta contro la proibizione di entrare a Gaza. Degli hippy ultracinquantenni e ultrasessantenni saltellano nelle vicinanze, gli italiani cantano "Bella Ciao," e gli attivisti sudafricani spiegano uno striscione che chiede sanzioni per Israele e cita Nelson Mandela: "La nostra libertà è incompleta senza la libertà dei palestinesi". Madri ebree "Penso di fare qualcosa per Israele, per il suo futuro," dice un giovane barbuto di Boston, che è stato volontario in un villaggio palestinese in Cisgiordania. Sua madre, che è ebrea, lo ha accompagnato in uno dei suoi voli a Israele per dare uno sguardo alla sua nuova vita. Quando sono atterrati, hanno appreso che il suo nome era su una lista del Controllo di frontiera all aeroporto, e madre e figlio sono stati tenuti in stato di fermo e interrogati per otto ore. "Lei è venuta fuori di lì che era una radicale", dice ridendo il giovane, il quale ha scoperto un anno e mezzo fa il discorso alternativo circa la sua "seconda patria". Un regista di documentari venezuelano dice: "l ottanta per cento dei partecipanti che ho intervistato a caso sono ebrei". Ottanta per cento è probabilmente una esagerazione, benché una buona percentuale delle persone presenti sia di ebrei. La folla colorata include anche palestinesi che sono cittadini di paesi occidentali, alcuni di loro di Gaza che sperano di vedere i parenti per la prima volta da anni. Ci sono anche religiosi cristiani e musulmani. Alcuni degli slogans sono estremamente ambiziosi, come "Siamo venuti a liberare Gaza". Ma nell insieme, questo complesso variegato echeggiava un messaggio di pacifismo e femminismo militante, le teorie della liberazione e molta fede nell effetto positivo, cumulativo, dell azione popolare, non gerarchica, e nella sua capacità di portare a un cambiamento. È un peccato, pensavo tra me. Gli egiziani ci impediscono di vedere che cosa succede quando questa democrazia diretta, trasparente incontra il regime di Hamas. Il lunedì sera, i dimostranti apprendono che, su richiesta della moglie del presidente, Suzanne Mubarak, 100 persone avranno il permesso di entrare nella Striscia di Gaza. Molti considerano questo un modo per spezzare la solidarietà dei dimostranti e diminuire le pressioni sull Egitto. Alla fine, il 30 dicembre, si mettono in viaggio con gli autobus circa 80 persone, tra cui vari giornalisti che non sono toccati dal dilemma.

14 A mezzanotte, circa 12 ore dopo aver lasciato Il Cairo, arriviamo a un hotel di Gaza. Lì ci aspetta la prima sorpresa: un funzionario della sicurezza di Hamas in abito civile piomba su un amico che è venuto a prendermi per una visita, annunciando che gli ospiti non possono stare in case private. La storia gradualmente si chiarisce. Gli organizzatori internazionali della marcia l hanno coordinata con la società civile, le varie organizzazioni non-governative, che dovevano anche coinvolgere il Comitato Popolare per Rompere l Assedio, una organizzazione semiufficiale affiliata a Hamas. Molti attivisti europei hanno relazioni di lunga data con le organizzazioni di sinistra della Striscia di Gaza. Quelle organizzazioni, in particolare il relativamente grande Fronte Popolare, avevano organizzato la sistemazione per centinaia di ospiti in case private. Quando il governo di Hamas è venuto a saperlo, ha proibito il trasferimento. "Per ragioni di sicurezza. Che altro? Ancora "per motivi di sicurezza," evidentemente, il giovedì mattina gli attivisti scoprono un cordone di duri uomini della sicurezza di Hamas dalla faccia arcigna che li bloccano all uscita dall albergo (che è di proprietà di Hamas). I funzionari della sicurezza accompagnano gli attivisti nelle visite nelle case e alle organizzazioni. Durante la marcia stessa, quando i gazani che stanno a guardare dai lati cercano di parlare con i visitatori, i duri uomini della sicurezza dalla faccia arcigna li bloccano. "Non vogliono che parliamo con la gente comune," conclude una donna. Dirottati o poco organizzati? La marcia non è stata quello che gli organizzatori avevano sognato durante i nove mesi di preparazione. Il giorno prima del viaggio a Gaza, sapevano già che le organizzazioni non governative si erano tirate indietro. Alcune persone hanno detto che i rappresentanti del governo di Hamas avevano ritenuto che le ONG non avessero un programma chiaro, organizzato per gli ospiti, e perciò avevano preso l iniziativa. Un attivista palestinese insiste: "Quando abbiamo sentito che sarebbero stati solo 100, abbiamo cancellato tutto". Un altro dice, "Fin dall inizio, Hamas ha posto condizioni: non più di 5000 marciatori, nessun avvicinamento al muro e alla recinzione, come fare i discorsi, quanto lunghi dovevano essere i discorsi, chi vuole fare discorsi. In breve, Hamas ha dirottato da noi l iniziativa e noi abbiamo ceduto". Hamas, o il suo Comitato Popolare, hanno portato 200 o 300 persone a marciare. La marcia si è trasformata in niente di più che un rituale, un opportunità per i ministri del governo di Hamas di avere una decente copertura mediatica in compagnia dei manifestanti occidentali. Particolarmente fotogenici erano quattro americani del gruppo ebraico ultraortodosso antisionista Neturei Karta, che si erano uniti al viaggio solo a Al Arish. Non ci sono donne palestinesi fra i marciatori uno schiaffo alle molte organizzatrici e partecipanti femministe, uomini e donne. Dopo la marcia, gli ospiti hanno dato voce alle proteste con alcuni degli organizzatori palestinesi ufficiali. "Siamo venuti per manifestare contro l assedio, e abbiamo scoperto che noi stessi eravamo sotto assedio," hanno detto. I loro variegati colori e la trasparenza del loro comportamento non si confacevano alla disciplina militare che gli ospiti ufficiali hanno cercato di imporre. I funzionari hanno ascoltato, e dopo che le redini si sono un po allentate, ho potuto andare in visita a casa di amici. Là le persone mi hanno descritto la persistente paura del furioso assalto israeliano. Sabato, alle del mattino. l ora dei primi bombardamenti aerei rimane oggi un ora sensibile per molti bambini. Così come i temporali, o le interruzioni dell elettricità (un fatto quotidiano) o un drone persistente che vola in alto causano angoscia ed evocano ricordi d incubo. Ad alcune delle persone in marcia è stato ora permesso di andare fori da soli, con i conoscenti

15 di Gaza che in precedenza avevano conosciuto solo per telefono e per . Alcuni, in particolare i parlanti arabo, lamentano che "un ombra sotto forma di un uomo della sicurezza" continuava ad accompagnarli. In rapidi tour "safari" dei quartieri bombardati, attraverso le finestre dei bus, vedono le macerie non ancora sgombrate, come il complesso degli edifici governativi distrutti dai bombardamenti che sono ancora in piedi brutti scheletri di cemento con stanze vuote e senza pareti, come bocche urlanti. Negli incontri senza gli uomini della sicurezza, molti attivisti e attiviste hanno l impressione che i residenti non-hamas vivano nella paura, e abbiano timore di parlare o di identificarsi per nome. "Ora capisco che l appello 'Libertà per Gaza' ha un altro significato", mi dice un giovane uomo. I partecipanti trascorrono il giovedì e il venerdì nella Striscia di Gaza. Venerdì, 1 gennaio, è il 45 anniversario della fondazione di Fatah. Il governo di Hamas non permette alla organizzazione rivale di riunirsi, esattamente come l AP non permette a Hamas di riunirsi in Cisgiordanaia. Il leader di Hamas Ismail Haniyeh si congratula con Fatah nel suo anniversario, ma nello stesso tempo i servizi di sicurezza di Hamas fanno tutto il possibile per scoraggiare gli attivisti e le attiviste del movimento dal pensare anche solo a una celebrazione. Centinaia di attivisti di Fatah vengono fermati dalla polizia e tenuti in semi-detenzione per parecchie ore, fino alla sera. Funzionari della sicurezza entrano nelle case in cui vi sono candele accese o sventolano bandiere di Fatah per marcare l anniversario. In una casa, i funzionari della sicurezza cercano di arrestare due persone, e la madre tenta di bloccarli. Un poliziotto l avrebbe colpita e lei ha un attacco di cuore e muore. Mi chiedo: le restrizioni sono state un ordine dall alto, o una incauta interpretazione da parte dei ranghi inferiori? Hamas pensa di poter impedire del tutto ai pochi visitatori chiaramente pro-palestinesi di sentire le versioni non ufficiali? Non si rendono conto coloro che danno gli ordini di che cattiva immagine creavano? O c era veramente una preoccupazione per la sicurezza? Qualcuno che, a dir poco, non è un fan di Hamas, mi ha spiegato che i giovani uomini che abbandonano Iz al-din al-qassam per l amorfa milizia Jaljalat sono un vero mal di testa. Sono una scusa conveniente per restringere i contatti con chiunque", ma la paura che possano cercare di recare danno ai visitatori per danneggiare Hamas è reale. Questi sono giovani devoti che, ufficialmente, criticano Hamas perché non impone la legge religiosa islamica nella sua interezza. Tuttavia, come dice il critico, "in modo inconsapevole, a causa delle loro vite perdute, delle nostre vite perdute, sono arrabbiati con il mondo intero". Poscritto: dopo due giorni tutti i visitatori, compresi i giornalisti, hanno dovuto lasciare Gaza. Secondo Hamas, è stata una esplicita richiesta egiziana. Ufficiali egiziani l hanno confermato. Attaccando Roma Mubarak giustifica il suo muro a Gaza, Cecilia Zecchinelli, Il Corriere 13 gennaio Farida Al Naqqash è una dei leader storici della sinistra laica egiziana. Membro del direttivo politico del partito Tagammu' (Raggruppamento), compare spesso in tv e partecipa al dibattito sui giornali, nonostante il semimonopolio governativo dei media. Attualmente è direttore del settimanale Al Ahali, dopo aver guidato per anni la Federazione delle donne progressiste egiziane. Le abbiamo chiesto come si spiega la pesante dichiarazione nei confronti dell1talia rilasciata ieri dal ministro degli Esteri egiziano AhmedAbul Gheit. «La ragione va cercata soprattutto nella nostra politica intèrna - risponde dalla capitale egiziana -. Nelle ultime due settimane la decisione del governo Mubarak di costruire un muro al confine con la Striscia di Gaza ha suscitato fortissime reazioni, qui e negli altri Paesi arabi. Qualcuno, è vero, la difende sostenendo che la priorità dell'esecutivo dev'essere la sicurezza del Paese, ma molti pensano che ormai Mubarak si stia comportando come gli israeliani, che i palestinesi siano stati traditi. In altri termini, precisa Al Naqqash, «con quel messaggio all'italia il nostro governo sta in realtà cercando di dirci: "vedete, ogni Paese ha problemi di sicurezza con le. sue minoranze, con chi cerca di entrare illegalmente dai suoi confini. Non siamo i soli ed è inevitabile"». Un

16 secondò motivo dell'inedita sortita di Abul Gheit, ritiene Al Naqqash, può essere visto nell' «orrore e preoccupazione» espressi solo pochi giorni fa dal ministro degli Esteri Franco Frattini, dopo la strage di fedeli copti nel Sud dell'egitto. «Il messaggio all'italia potrebbe essere una risposta a quella dichiarazione», anche se poi si dice perplessa per il fatto che «il presidente Hosni Mubarak ha sempre tenuto molto agli "ottimi rapporti" che corrono tra lui e Silvio Berlusconi, ostendandoli ad ogni occasione». E lascia perplessi, aggiunge, che ad accusare altri Paesi sia proprio l'egitto, viste le violenze contro la sua minoranza più importante, la comunità cristiana. «I copti d'egitto - dice - sono' discriminati, su questo non ci sono dubbi. La recente strage, su cui le autorità sostengono di non aver ancora concluso le indagini, è stata gravissima ma ogni anno il Dipartimento di Stato Usa condanna nei suoi rapporti le violenze e le angherie contro i cristiani, purtroppo non è una novità». Ma non sono gli unici ad essere discriminati in Egitto: «Ci sono le donne, e ci sono i poveri, sempre più colpiti dalla crisi internazionale ed interna. Anche la classe media è in difficoltà, la sua relativa solidità si è deteriorata. E il potere politico, tutti i poteri politici sono in crisi. Perfino i Fratelli Musulmani si sono scissi recentemente tra conservatori e riformisti. Il partito di Mubarak ha forti divisioni interne». «La gente - conclude - non ne può più di un regime che continua ad imporci le leggi speciali varate nel Quel messaggio all'italia ha almeno due destinatari: il vostro governo e la nostra gente». Cecilia Zecchinelli Direttrice Farida AI Naqqash dirige il settimanale AI Ahali VENTIMILA FIRME CONTRO I CACCIA }SF. MA IL GOVERNO STA PER CHIUDERE L'AFFARE Adista 1-9 gennaio 2010 ROMA-ADISTA Oltre ventimila firme di cittadini e cittadine italiane che dicono il loro "no" all'acquisto dei 131 cacciabombardieri Joint strike fighter da parte dell'italia, per una spesa di oltre 14 miliardi di euro (v. Adista n. 40/09): gli attivisti della Rete italiana per il Disarmo e della campagna Sbilanciamoci le avrebbero volute consegnare al governo, lo scorso 21 dicembre, ma non sono stati ricevuti dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta. "E allora gliele spediremo per posta", dicono. Una mobilitazione iniziata la scorsa primavera dal portale di informazione GrilloNews, che promosse la Campagna di indignazione nazionale (v. Adista n. 46/09), e poi da Rete Disarmo e Sbilanciamoci - che lanciarono una petizione e una serie di controproposte per un diverso impiego dei soldi destinati all'acquisto dei cacciabombardieri: dalla costruzione di 3mila asili nido, alla messa in sicurezza di mille scuole, alla ristrutturazione dell'intero centro storico della città de L'Aquila distrutta dal terremoto (v. Adista n. 58/09) -, a cui si sono unite oltre 100 associazioni di area cattolica, pacifista e del volontariato sociale. "Secondo il ruolino di marcia del progetto Jst entro la fine dell'anno il governo italiano, dopo aver chiesto ed ottenuto qualche mese fa un parere al Parlamento in poco tempo e senza praticamente dibattito, dovrebbe chiudere il contratto per i cacciabombardieri Joint Strike Fighters che impegneranno il nostro Paese fino al 2026", spiegano Rete Disarmo e Sbilanciamoci. "Si tratta di una decisione irresponsabile sia per la politica di riarmo che tale scelta rappresenta, sia per le risorse che vengono destinante ad un programma sovradimensionato nei costi sia per la sua incoerenza (si tratta di un aereo di attacco che può trasportare anche ordigni nucleari) con le autentiche missioni di pace del nostro Paese"; e di una scelta "immorale, vista la situazione economica e sociale del nostro Paese e dell'intero mondo. In un momento di grave crisi economica in cui non si riescono a trovare risorse per gli ammortizzatori sociali per i disoccupati e vengono tagliati i finanziamenti pubblici alla scuola, all'università e alle politiche sociali, destinare tutti questi miliardi di euro alla costruzione di 131 cacciabombardieri è una scelta sbagliata e incompatibile con la situazione attuale del nostro Paese". Le associazioni e i 20mila firmatari delle due petizioni chiedono quindi al governo "di non procedere alla prosecuzione del programma", destinando le risorse a programmi di riconversione civile dell'industria bellica e ad interventi di natura sociale: si possono "costruire 3mila nuovi asili nido, realizzare 8 milioni di pannelli solari, dare a tutti i collaboratori a progetto la

17 stessa indennità di disoccupazione dei lavoratori dipendenti, allargare la cassa integrazione a tutte le piccole imprese". Il governo - chiedono le associazioni - faccia "una scelta di pace e di solidarietà, blocchi la prosecuzione del programma destinando le risorse così liberate alla società, all'ambiente, al lavoro, alla solidarietà internazionale". "Sarebbero regali natalizi più graditi agli italiani asili, pannelli solari e sussidi", dicono Giulio Marcon di Sbilanciamoci e Massimo Paolicelli della Rete Disarmo. "Chi è stato recentemente oggetto di violenza fisica come il presidente Berlusconi dovrebbe capire meglio il dramma legato allo spreco di così tante risorse nella costruzione di macchine che sono il più perfetto e tecnologicamente avanzato modo di portare violenza su grande scala. Senza dimenticare che anche quando non sparano le armi creano impatri negativi perché drenano risorse ad usi più socialmente positivi". (L k.) Beatificazione di Pio XII- Intervista a Daniele Menozzi, docente di storia contemporanea presso la Normale di Pisa- Adista 9 gennaio 2010 I silenzi" di Pio XII sulla Shoah sono presunti o reali? Cosa dice la ricerca storica? Pio XII è intervenuto solo a livello diplomatico, facendo presente al governo di Hitler che la Santa Sede non condivideva le persecuzioni contro gli ebrei, ma non ha mai assunto una posizione pubblica di condanna durante la guerra. Nel magistero pontificio del periodo bellico la parola "ebreo" non viene mai usata. Pio XII la pronuncerà solo molti anni dopo, a guerra finita, per dire che non si poteva fare nulla di più di quello che è stato fatto, in una sorta di autoassoluzione. Non è esatto affermare, come alcuni fanno, che fu l'opera teatrale di Rolf Hochhuth, Il Vicario, a dare inizio alla "leggenda nera" circa i silenzi del papa: di questi silenzi si aveva la consapevolezza, anche in Vaticano, già a partire dal periodo bellico. Faccio due esempi: c'è una testimonianza di Angelo Roncalli, futuro Giovanni XXIII, che nei suoi Diari, scrive: "Papa Pacelli mi chiede che impressione facciano i suoi silenzi". Inoltre, negli anni '50, quando vengono ripubblicati i discorsi di Pio XII, l'allocuzione tenuta al Sacro Collegio nel dicembre 1940 subisce una significativa modificazione: il termine "non ariani" presente nel testo originale viene sostituito con l'espressione "di stirpe ebraica". Non mi pare solo la manifestazione della volontà di eliminare una testimonianza di acquiescenza al linguaggio del razzismo fascista dell'epoca, ma l'espressione della consapevolezza di un "silenzio" cui si voleva retrospettivamente rimediare. Ma che tipo di informazione aveva Pio XII di quello che stava avvenendo in Europa? Fino a quando gli archivi di Pacelli non saranno resi disponibili, non si potrà avere una conoscenza esatta di quanto è accaduto in quegli anni. Tuttavia abbiamo già ora degli elementi che è difficile mettere in discussione, perché sono ricavabili dalla pubblicazione voluta da Paolo VI degli Actes et documenti du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre Mondiale proprio in reazione alla rappresentazione de Il Vicario. Alcuni storici gesuiti sono potuti entrare negli archivi e hanno reso noti una serie di documenti per dimostrare quello che aveva fatto la Santa Sede. E proprio da questi documenti, pubblicati nell'ottica di difendere Pacelli, emerge che già dalla fine del 1942 in Vaticano arrivarono testimonianze di privati cittadini, sacerdoti e anche rappresentanti diplomatici, soprattutto dei Paesi dell'est, che parlavano dei treni carichi di ebrei in partenza verso una "destinazione di morte". La Santa Sede quindi era informata ma, come sembra emergere da qualche notazione a margine, queste informazioni sono state sottovalutate. La ragione pare abbastanza evidente: l'antisemitismo presente nella cultura cattolica dell'epoca portava a minimizzare tali notizie perché, in fondo, quello che riguardava gli ebrei era meno importante di quello che riguardava i cristiani. Poi c'è la questione dell'enciclica sul razzismo che Pio XI non riuscì a pubblicare e che fu accantonata da Pacelli... Pio XI, circondato da una certa diffidenza e sospetto da parte della Curia romana, a partire dal 1937, prende posizioni che sempre di più vanno nella direzione di mostrare che il razzismo e l antisemitismo sono direttamente contrari alla fede cristiana, assumendo anche espressioni molto dure. In questo quadro affida ad un gesuita, che aveva condotto una battaglia contro la segregazione razziale negli Stati Uniti, p. La Farge, la redazione di un'enciclica. Si arriva ad una serie di testi preparatori, fra cui uno che conosciamo, perché è stato pubblicato, in cui si legge un'esplicita condanna dell'antisemitismo, in termini assolutamente nuovi per il

18 magistero. Mettere nelle mani dei vescovi, dei sacerdoti, dei religiosi e dei fedeli un documento in cui esplicitamente si diceva che non era ammissibile per un cattolico l'antisemitismo, avrebbe significato dare uno strumento di analisi e di giudizio che la Chiesa di Roma non aveva ancora fornito e che in quel frangente avrebbe potuto scuotere le coscienze di fronte alla tragedia in atto. Ma Pio XI muore senza fare in tempo a pubblicare l'enciclica, e il suo successore decide di non riprendere quel testo. Nella sua prima enciclica, la Summi Pontificatus, Pacelli non fa nessun riferimento al problema dell'antisemitismo, del razzismo e del nazionalismo, ma ripropone semplicemente e genericamente il tema della "unità del genere umano", che non era altro che il titolo dell' enciclica mancata di Pio XI (Humani generis unitas). Alcuni storici maggiormente vicini alle posizioni della Santa Sede sostengono che il silenzio di Pio XII fosse tattico, per consentire alla Chiesa di poter aiutare gli ebrei in segreto, per esempio nascondendoli nei conventi. Cosa ne pensa? È la stessa spiegazione che Pio XII, dopo la fine della guerra, ha dato del suo atteggiamento nel periodo bellico. La ricerca non può però assumere le categorie con cui gli attori giustificano i loro comportamenti, perché il giudizio storico può tenere conto delle intenzioni, ma deve basarsi sui fatti e sui risultati. E i risultati sono che i silenzi di Pio XII non hanno evitato lo sterminio degli ebrei, anzi hanno fatto parte del contesto storico in cui esso si è verificato e che in fondo l'ha permesso. Senza dubbio constatare il silenzio di Pacelli sulla Shoah non vuol dire che non ne fosse intimamente inorridito, né che non la condannasse e nemmeno che non cercasse di limitarne, tramite la via diplomatica, le spaventose conseguenze. Significa solo che non prese pubblica posizione su di essa. E ovviamente la cosa non è irrilevante: la guida di una istituzione avviene con atti pubblici. Nel 2000 sono stati beatificati Pio IX e Giovanni XXIII, ora si riconoscono le "virtù eroiche" di Pio XII e Giovanni Paolo II: quattro papi in dieci anni. Come mai? Per secoli la Chiesa di Roma non ha santificato dei papi. Poi, a partire dalla seconda metà del '900, proprio con Pio XII, si è iniziato a canonizzare pontefici, soprattutto quelli del XX secolo, avviando una prassi, interrotta solo da Giovanni XXIII e Paolo VI, per cui i papi vengono fatti santi. Mi pare si possa dare una spiegazione: un papato che si sente in difficoltà in una società contemporanea che sfugge al suo controllo tende a rafforzarsi santificando se stesso, in modo da rispondere all'indebolimento sociale con una richiesta di venerazione interna. Da BoccheScucite n gennaio 2010 (La newsletter di Pax Christi, per intero viene mandata a richiesta per chi vuole riceverla, leggerla) "Non dividerò mai Gerusalemme con i palestinesi, e non tornerò ai confini del '67". (Primo Ministro Netanyahu) Cosa pensa delle costruzioni illegali che Israele continua a progettare e realizzare? Ian Kelly, portavoce del Dipartimento di Stato, ha risposto: "Incutono sgomento". Javier Solana, ancora responsabile dell'unione Europea per il medio oriente: "I palestinesi devono decidersi a fare passi in avanti, concreti, per andare, gradualmente, verso la creazione di uno Stato. Ma non credo sia questo sia il momento di parlarne". "Lungo i più di quarant'anni di occupazione e oppressione, il 90% della lotta palestinese è stata nonviolenta e la grande maggioranza dei palestinesi ha sostenuto questo metodo di lotta. Dopo sessant'anni di ingiustizie ancor'oggi i palestinesi prendono parte alla resistenza nonviolenta, come cultura e impegno collettivo. Sono azioni che compie chiunque, uomo, donna o bambino. Il movimento nonviolento si sta sviluppando nei villaggi di Jayyous, Bilin e Naalin, dove il muro di separazione israeliano minaccia di cancellare la vita produttiva. C'è un momento in cui non si può più subire l'ingiustizia. E per i palestinesi questo momento è giunto". Mustafa Barghouthi

19 "Sotto gli occhi di centinaia di milioni di arabi, di 1 miliardo 300 mila musulmani, l'egitto partecipa direttamente al blocco di Gaza. Nello stesso Egitto milioni di persone si vergognano del fatto che il loro paese prenda parte all'annientamento dei loro fratelli arabi. Ma perché lo fa? Il governo egiziano riceve un cospicuo sussidio americano ogni anno 2 miliardi di dollari, per gentile concessione di Israele. Inoltre, Mubarak ce l'ha con Hamas, perchè rifiuta di fare quello che vuole lui. E poi l'egitto è in una brutta situazione. Per questo Mubarak non ha altra scelta che ottemperare al diktat degli USA, che è in realtà il diktat di Israele. Così si spiega la sua partecipazione al blocco che distrugge la vita di un milione e mezzo di esseri umani, uomini, donne, vecchi e bambini. Sembra che il popolo egiziano sia disposto ad accettare qualunque cosa. Dal tempo degli antichi faraoni sino a quello attuale, i governanti non sono stati costretti ad affrontare una grande opposizione. Ma verrà il giorno in cui l'orgoglio nazionale avrà ragione di questa pazienza. Io intanto, in quanto israeliano, protesto contro il blocco israeliano. Se fossi egiziano protesterei contro il blocco egiziano. Come cittadino di questo pianeta, protesto contro entrambi." (Uri Avnery) Boicottare l apartheid in Palestina Action for Peace > dicembre, Barack Obama ha annunciato un aiuto di 2.8 miliardi di dollari per Israele, parte di quei 30 miliardi di dollari che icontribuenti negli Stati Uniti daranno per la loro economia colpita in > questo decennio. L'ipocrisia adesso è ben compresa negli Stati Uniti. La campagna "Bellezza rubata" persegue adesso i cosmetici Ahava, che sono prodotti nelle colonie illegali della Cisgiordania; lo scorso autunno ha costretto l'azienda a mollare la sua "ambasciatrice" Kristin Davis, una stella di Sex and the City. In Gran Bretagna, Sainsbury's e Tesco sono sotto pressione affinché identifichino i prodotti provenienti dagli "insediamenti", la cui vendita contravviene le condizioni sui diritti umani nell'accordo di asociazione UE-Israele. > In Australia, un consorzio diretto da Veolia ha perso la sua offerta per una fabbrica di desalinizzazione da due miliardi di dollari, in seguito ad una campagna che metteva in luce un piano, che coinvolgeva anche la azienda francese, per costruire una metropolitana leggera di collegamento tra Gerusalemme e gli "insediamenti". In Norvegia, il Fondo pensioni del Governo, ha ritirato il suo investimento nella azienda israeliana ad alta tecnologia Elbit Systems, che ha aiutato a costruire il muro attraverso la Palestina. E questo è il primo boicottaggio ufficiale da parte di un paese occidentale. > Nel 2005, L'associazione dei docenti universitari britannici, ha votato di boicottare le istituzioni Accademiche per complicità nell'oppressione dei palestinesi. L'Associazione è stata obbligata a tornare indietro quando la lobby di Israele scatenò una bufera violenta con accuse di antisemitismo. Lo scrittre e attivista Omar Barghouti ha chiamato questo "terrore intellettuale": una perversione della moralità e della logica che dice che essere contro il razzismo anti palestinese trasforma in antisemiti. Tuttavia, l'assalto israeliano su Gaza il 27 dicembre 2008 ha cambiato quasi tutto. Si è formata la Campagna US per il boicottaggio accademico e culturale di Israele, con Desmond Tutu nel suo Consiglio Consultivo. Nel 2009 in Gran Bretagna il TUC ha votato per un boicottaggio dei consumatori. Non c'è più "il tabù Israele". AIUTA I SOPRAVVISUTI DEL TERREMOTO DI HAITI A seguito del devastante terremoto del 12 gennaio ad Haiti Terre des hommes si è subito attivata per portare soccorso ai bambini e alle comunità delle zone più colpite. La somma stanziata per il primo intervento è di euro. Nelle prossime ore l'impegno di Terre des hommes dovrebbe arrivare a 1 milione di euro. Sul posto stanno già lavorando senza sosta 57 operatori, di cui 5 espatriati esperti di salute, nutrizione infantile e logistica che saranno entro poche ore raggiunti dal nostro team di specialisti in aiuti d'emergenza.

20 In collaborazione con alcune organizzazioni locali, Terre des hommes ha pianificato la distribuzione di beni di prima necessità al fine di rispondere ai bisogni immediati delle migliaia di persone colpite dal terremoto. Terre des hommes sta già distribuendo razioni alimentari, kit igienici, cisterne d'acqua e tende e nelle prossime ore presenterà un piano articolato di interventi per la seconda fase dell'emergenza. Grazie alla lunga presenza a alla collaborazione ventennale con le comunità locali del paese Terre des hommes si concentrerà soprattutto sui bisogni sanitari e nutrizionali dei bambini e delle loro famiglie. Per farlo abbiamo assoluto bisogno del tuo aiuto. Ecco come puoi aiutarci: Causale: emergenza Haiti bonifico bancario IBAN IT53Z c/c postale carta di credito e paypal: SMS solidale 48541(da cellulari Tim e Vodafone e da rete fissa Telecom), per sostenere AGIRE, coordinamento di ONG di cui fa parte anche Terre des hommes. In un giorno abbiamo già raccolto euro, ma con il vostro aiuto contiamo di raddoppiare questa cifra entro le prossime 24 ore. Grazie di cuore

Manifesto TIDE per un Educazione allo Sviluppo accessibile

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