REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE. - Presidente - - Relatore - SENTENZA

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1 38134/15 REPUBBLICA ITALIANA In nome del Popolo Italiano LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE TERZA SEZIONE PENALE Composta da Aldo Fiale Vito Di Nicola Vincenzo Pezzella Alessio Scarcella Enrico Mengoni - Presidente - - Relatore - Sent. n. sez. UP - 7/7/2015 R.G.N /2014 ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da Marino Maria Chiara, nata a Catania il 27/6/1987 avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello di Messina in data 9/7/2014; visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni; sentite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Gabriele Mazzotta, che ha chiesto il rigetto del ricorso RITENUTO IN FATTO 1. Con sentenza del 9/7/2014, la Corte di appello di Messina confermava la pronuncia emessa il 14/11/2012 dal locale Tribunale, con la quale Maria Chiara Marino era stata ritenuta colpevole del delitto di cui all'art. 181, comma 1-bis, d. Igs. 22 gennaio 2004, n. 42, e condannata alla pena di un anno di reclusione; alla stessa era contestato di aver realizzato interventi edilizi senza il preventivo nulla osta della Soprintendenza dei Beni culturali, con accertamento nell'agosto 2009.

2 2. Propone ricorso per cassazione la Marino, a mezzo del proprio difensore, deducendo cinque motivi: - erronea applicazione dell'art. 181 cit.. La Corte di appello avrebbe confermato la condanna pur a fronte di un intervento edilizio del tutto inidoneo a ledere il bene tutelato, poiché eseguito su un cortiletto totalmente invisibile dall'esterno; un'inidoneità valutabile già in astratto, e del tutto evidente; - erronea applicazione dello stesso art. 181, d. Igs. n. 42 del 2004, carenza di motivazione. La sentenza avrebbe condannato la Marino pur a fronte di un parere favorevole rilasciato dalla Soprintendenza di Messina, in ordine al quale, peraltro, non avrebbe formulato alcuna considerazione. Al riguardo, peraltro, il gravame conferma che le opere erano del tutto precarie, come tale ritenute dal provvedimento medesimo; - inosservanza dell'art. 47, commi 1 e 3, cod. pen.. La Corte di merito avrebbe confermato la condanna pur a fronte di un evidente errore su legge diversa da quella penale, nel quale sarebbe incorsa la Marino; la stessa, infatti, aveva presentato regolare istanza alla Soprintendenza, e da questa aveva ricevuto parere favorevole. Da qui, la piena buona fede, incompatibile con il dolo richiesto per il reato; - inosservanza dell'art. 5 cod. pen., alla luce di quanto appena richiamato; - mancanza di motivazione in ordine al diniego delle circostanze attenuanti generiche; la sentenza non conterrebbe idonea indicazione dei motivi, invero necessaria specie alla luce della giovane età della Marino all'epoca dei fatti (22 anni), la mancanza di dimestichezza la burocrazia, il comportamento processuale e l'assoluta tenuità del fatto. CONSIDERATO IN DIRITTO 3. Il ricorso è manifestamente infondato. Con riguardo al primo motivo, osserva la Corte che, per costante indirizzo di legittimità, la punibilità del reato di pericolo previsto dall'art. 181, d. Igs. n. 42 del 2004, non è subordinata alla sussistenza di un effettivo pregiudizio per l'ambiente, ma discende dalla realizzazione ex se di una qualsivoglia opera abusiva in area vincolata, potendo essere escluso l'illecito soltanto nell'ipotesi di interventi di "minima entità", e cioè di quelli inidonei, già in astratto, a porre in pericolo il paesaggio e a pregiudicare il bene paesaggistico - ambientale (Sez. 3, n del 16/4/2013, Ciacci, Rv ; Sez. 3, n del 20/10/2009, Soverini, Rv ). Orbene, la Corte di appello ha fatto buon governo di questo principio, come emerge dal complessivo tenore della pronuncia che evidenzia la natura non 2

3 irrilevante degli interventi eseguiti; a fronte della quale, peraltro, la doglianza in oggetto - secondo cui, nella vicenda in esame, non si sarebbe realizzata alcuna lesione del paesaggio - contiene l'esplicita richiesta di una valutazione in punto di fatto (in specie, circa il carattere "interno" degli interventi), che questa Corte non è legittimata a compiere, potendo valutare soltanto la coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l'oggettiva tenuta sotto il profilo logicoargornentativo, e restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, Sez. 3, n del 19/3/2009, Campanella, n , Rv ). 4. Con riguardo, poi, al secondo, terzo e quarto motivo, da esaminare congiuntamente, ritiene la Corte che gli stessi siano parimenti del tutto infondati. La sentenza di appello ha dato conto dell'avvenuto rilascio dell'autorizzazione paesaggistica da parte della Soprintendenza competente, ma - con motivazione adeguata e fondata su riscontri istruttori - ha altresì individuato gli errati presupposti di fatto in forza dei quali il provvedimento medesimo era stato emanato; in particolare, quello, «tratto dalla documentazione prodotta a corredo dell'istanza, che trattasi di "interventi di piccola entità che riguardano opere pertinenziali con struttura precaria" e senza valutare che "i pilastrini sono all'interno annegati nella struttura", come chiarito davanti a questa Corte dal funzionario della Sovrintendenza responsabile del procedimento». Questa considerazione, poi, si lega strettamente alle precedenti, con le quali il Collegio di merito ha escluso la natura precaria e pertinenziale degli interventi; ciò, in particolare, alla luce della difficile amovibilità delle strutture (evidenziata anche dal perito d'ufficio), «dal momento che sono stati utilizzati profilati in acciaio scatolare saldati tra loro e collegati alle strutture murarie senza piastre o altri idonei sistemi di fissaggio poiché "direttamente annegate alle murature"». Quel che ha condotto la Corte - con solido argomento logico-giuridico, peraltro nient'affatto confutato dal presente ricorso - ad affermare che la Marino aveva realizzato un vero e proprio ampliamento della superficie utile abitabile, in ottica tutt'altro che precaria (ampliamento del vano lavanderia, trasformazione del vano cucina in locale bagno, realizzazione di una struttura scatolare a copertura del vano scale); sì da aderire al costante indirizzo di legittimità in forza del quale la natura precaria delle opere di chiusura e di copertura di spazi e superfici, per le quali l'art. 20 della legge Regione Sicilia n. 4 del 2003 (applicata dal primo Giudice quanto al reato urbanistico) non richiede concessione e/o autorizzazione, va intesa secondo un criterio strutturale, ovvero nel senso della facile rimovibilità dell'opera, e non funzionale, ossia con riferimento alla temporaneità e provvisorietà dell'uso, sicché tale disposizione, di 3

4 carattere eccezionale, non può essere applicata al di fuori dei casi ivi espressamente previsti (Sez. 3, n del 17/9/2014, Gulizzi, Rv ; Sez. 3, n del 16/3/2010, Pennisi, Rv ). Facile rimovibilità esclusa dalla Corte, in ragione delle pacifiche conclusioni del perito di ufficio. Dal che l'affermazione - logica ma priva di effetti - per cui il Tribunale non avrebbe dovuto assolvere la Marino dall'imputazione di cui all'art. 44, lett. c), d.p.r. 6 giugno 2001, n. 380, attesa la configurazione del reato. Orbene, in forza di queste diffuse e congrue considerazioni, la Corte di merito ha quindi affermato la sussistenza del delitto pur a fronte del rilascio dell'autorizzazione paesaggistica; rilascio avvenuto su un presupposto - la già richiamata natura precaria degli interventi - poi verificatosi inesistente. Quel che ha condotto lo stesso Collegio a confermare l'indirizzo per cui il rilascio della valutazione paesaggistica all'esito della menzionata procedura non determina automaticamente la non punibilità in ordine al reato contestato, dovendo essere sempre accertata dal giudice la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti la "sanatoria" (per tutte, Sez. 3, n. 889 del 29/11/2011, Falconi+2, non massimata). Le considerazioni che precedono e la solida struttura argomentativ4 che le sostiene consentono poi di rigettare anche le doglianze in punto di elemento soggettivo del reato e di errore ex art. 47 cod. pen.. Al riguardo, osserva ancora il Collegio che la motivazione della sentenza risulta del tutto logica e fondata su obiettive risultanze, quale l'avvenuta presentazione - ad opera della ricorrente, nel febbraio di una domanda di sanatoria (ancora pendente) che riguardava plurimi interventi, compreso l'ampliamento del vano lavanderia di cui trattasi; sì da indurre la Corte di appello ad affermare che la ricorrente fosse ben consapevole dell'abuso che andava realizzando, tanto da volerlo sanare. 5. Da ultimo, le circostanze attenuanti generiche. Costituisce costante indirizzo di questa Corte quello per cui, nel motivare il diniego della concessione delle circostanze ex art. 62-bis cod. pen., non è necessario che il Giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione (per tutte, Sez. 3, n del 19/3/2014, Lule, Rv ). Orbene, il Collegio di merito ha aderito a questa lettura, sottolineando l'insufficienza, al riguardo, dello stato di incensuratezza della Marino, come rappresentato nell'atto di appello, e l'assenza di adeguate ragioni giustificative. 4

5 Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativannente fissata in euro 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 7 luglio 2015 nsigliere estensore _ t# ' ico. Meng IV / Il Presidente Aldo Fiale z/3 4,-,posLt. DEPOSITATA N CANCELLERIA 5

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