Un arsenale in fondo al mare di Franco Maria Puddu
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- Gloria Gioia
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1 Un arsenale in fondo al mare di Franco Maria Puddu Dopo due decine di secoli oggi sappiamo con certezza che i romani, prima di creare il loro Impero, pur essendo ottimi combattenti di terra, in mare non valevano granché. Ben più temibili di loro erano certo stati gli etruschi, che i greci chiamavano tyrsenoi (spesso sinonimo di pirati, dai quali mutuò il suo nome il Mare Tirreno), per non dimenticare gli antecedenti shardana (meglio dire sherden), da alcuni studiosi e ricercatori identificati come sardo nuragici, citati in alcune lettere fra Rib-Hadda di Biblo e il faraone Akhenaton, databili al 1350 a.c. circa, che li definivano temibili pirati che nessuno ha mai saputo come combattere, che arrivarono dal centro del mare navigando arditamente con le loro navi da guerra. Comunque, considerando che ancora oggi, a Roma dialettalmente si usa dire nessuno è nato imparato, i romani fecero tesoro, a proprie spese e sulla propria pelle, di questo principio, pagandone a volte durissimi scotti, ma riuscendo, alla fine, a creare una grande Marina e ad ottenere la supremazia navale su un teatro che superava di gran lunga quello che oggi viene da noi definito Mediterraneo allargato. Marzo 241 a.c., mare delle isole Egadi. Roma, e Cartagine combattono una battaglia navale decisiva per il controllo del Mediterraneo. Oggi, dopo 22 secoli, sappiamo cosa accadde esattamente in quello storico giorno All inizio di questo sviluppo di eventi, troviamo le tre lunghissime e durissime guerre puniche ( punici per i romani erano i cartaginesi), combattute tra il 264 e il 146 a.c., che si risolsero con la vittoria di Roma e la distruzione di Cartagine. Le due città, le maggiori potenze affacciate sul Mediterraneo, per secoli avevano mantenuto un atteggiamento di formale rispetto tra loro, tutelato da ben quattro trattati; ma una crisi dovuta all ingresso dapprima nell Italia meridionale delle truppe di Pirro, Re dell Epiro (Paese composto da parte della Albania meridionale e della Grecia sud occidentale) e poi in Sicilia, portava Roma ad intervenire causando la ritirata di Pirro dall Italia, interferendo però nell area sicula, e facendo crollare la garanzia che per tanto tempo aveva mantenuto l equilibrio tra Roma e Cartagine: il divieto di qualsiasi intervento di Roma in Sicilia. Grandi guerrieri ma pessimi marinai Roma non aveva mai avuto una vera Marina, e per i propri fabbisogni aveva utilizzato, pagandone i servigi, navi etrusche, greche o egiziane, ma senza poterle difendere; avendo però fortunosamente re- 11
2 Una stampa del 1900 dell illustratore americano John Steeple Davis fa capire quanto approssimativo fosse il concetto che si aveva delle navi romane: dalle dimensioni eccessive, al fatto che le navi sono in combattimento con le vele spiegate, al rostro eccessivamente affilato, al corvo che assomiglia al ponte levatoio di un castello; in apertura, la moderna ricostruzione digitale di un rostro cuperato il relitto di una o due triremi cartaginesi, aveva iniziato a fabbricarne alcune decine, copiandone il modello. Naturalmente un conto è replicare, anche se perfettamente, una nave da guerra, e un conto è disporre di equipaggi capaci di andare per mare, e di guerreggiarvi, e su questo, Roma era tanto deficitaria quanto era agguerrita Cartagine. Aggiungiamo comunque che anche in futuro, quando Roma diverrà una vera potenza navale, l omogeneità dei classiarii (gli equipaggi, da classis, flotta) sarà molto fluida (a parte i fanti di Marina), in quanto la forza imbarcata sarà composta per lo più da egiziani, greci, siriani che, dopo un servizio di circa 25 anni ottenevano la cittadinanza romana. Per anni l unica attività operativa della classis, era stata il pattugliamento costiero e la caccia ai pirati che, per quanto esperti fossero, non avevano certo navi da guerra in grado di opporsi alle triremi romane; che invece a loro volta, quando dovranno confrontarsi con quelle puniche, andranno incontro a solenni smacchi, mancando le navi di adeguate tecnologie, e gli equipaggi di esperienza. Dopo un certo tempo, comunque, questi riuscirono a raggiungere un discreto livello di nauticità, ma la strategia e la tattica di combattimento rimanevano sempre appannaggio di Cartagine. Ma nel 260 a.c. si doveva verificare un evento che avrebbe dovuto essere un segnale d allarme per i cartaginesi, che però non lo compresero: le navi romane sconfissero quelle puniche a Milazzo. Fino a quel momento la classis aveva fatto scarse e infruttuose comparse, sempre battuta dai cartaginesi, subendo inoltre anche numerosi affondamenti causati dal mare, fino a che, dopo una sconfitta di fronte a Lipari nel 260, per migliorare le capacità offensive delle proprie navi, Roma le equipaggiò con un congegno d abbordaggio: il corvo. Si trattava di una passerella fissata verticalmente al ponte della nave, in grado di ruotare sul proprio asse e quindi abbattersi sull avversario da qualsiasi angolo di attacco questo si presentasse che, alzata come un bigo di carico, crollava sul ponte dello scafo nemico e lo perforava con due grossi uncini 12
3 La bellissima, anche se dalle dimensioni certamente eccessive, ricostruzione del ponte vogatori (la sala macchine ) di una trireme romana, con i rematori, gli aguzzini, due ufficiali, probabilmente della fanteria di marina approntata per il film Ben Hur agganciandolo, mentre i fanti di marina imbarcati vi sciamavano attraverso, facendo scempio degli equipaggi cartaginesi. L arma segreta di Gaio Duilio Questi furono sorpresi e sbalorditi dalla comparsa della strana attrezzatura, e terrorizzati dal non potersi misurare con l avversario affrontandolo secondo i propri parametri, ma ritrovandoselo a bordo ben armato, addestrato e in grado di imporre il suo collaudato modo di combattere. In questo modo il console Gaio Duilio, nel 260 a.c., vinse clamorosamente la battaglia di Milazzo e venne onorato, nel Foro romano, con l erezione di una colonna a lui dedicata, detta rostrata dal nome delle riproduzioni dell arma principale delle navi, il rostro, della quale parleremo tra breve. Molte di queste notizie, o almeno le più attendibili, ci vengono da Polibio, lo storico greco vissuto tra il 206 e il 124 a.c., grande, documentato e serio studioso della storia e della cultura romana. Ma la vittoria di Milazzo fu dovuta principalmente alla sorpresa sortita sui cartaginesi, perché i corvi, eccellente risorsa tattica, erano anche fonte di problemi, in quanto alzando il baricentro delle basse, sottili e leggere triremi, le rendevano instabili, causandone spesso l affondamento in caso di mare grosso. Anche per questo, la loro divenne ben presto una gloriosa leggenda, in quanto furono rapidamente ritirati dal servizio per lasciare l onore degli scontri alla rinnovata, e meritata, fiducia in se stessi dei classiarii, ma principalmente alla loro acquisita capacità di servirsi dei rostri. Tornando al rostro, arma navale per eccellenza, consisteva in un solido puntale in bronzo fissato sul tagliamare dello scafo e reso solidale al dritto di prora e alla prima sezione della chiglia, leggermente più in alto del bagnasciuga, da una ribaditura di grossi chiodi di bronzo. La sua struttura aggressiva, nei secoli, ha tratto in inganno generazioni di artisti che lo hanno immortalato come uno sperone a triplice punta: in realtà la sua forma era rettangolare come una grossa putrella, dal momento che non doveva perforare, ma sconquassare il fasciame dello scafo attaccato, vincolandosi ad esso i pochi minuti necessari alla fanteria per invadere la nave, per poi liberarsi da quello che, altrimenti, sarebbe risultato un abbraccio mortale. La battaglia di Giuda Ben Hur Un bellissimo esempio di ricostruzione dell uso del rostro lo troviamo in uno dei massimi esempi della filmografia dello scorso secolo, Ben Hur. Memorabile è infatti la scena nella quale i forzati ai remi, ritmati da uno strumento a percussione (non un tamburo che i romani non conoscevano) scandito dall hortator, il sottufficiale alla voga, partecipano ad un combattimento navale. La scena venne girata nel Lazio, nel mare di Anzio utilizzando due sezioni di navi romane, e nelle piscine di Cinecittà, a Roma, con dei modelli in scala ridotta. 13
4 Una copia della colonna rostrata dedicata a Gaio Duilio dopo la sua vittoria di Milazzo e innalzata nel Foro Romano; attualmente la riproduzione di trova nel Museo della Civiltà Romana, nella capitale Come spesso succede nei film, la pellicola, anche se bella, non manca di errori e inesattezze (dalle dimensioni da corazzata della nave, al fatto che i vogatori fossero dei forzati e altro ancora), ma nel complesso ha il merito della buona ricostruzione di mezzi e costumi e soprattutto di rendere reale l idea di cosa dovesse accadere su una nave, quando un rostro nemico le sfondava la chiglia. Comunque, la battaglia che porterà Roma a prevalere su Cartagine, sarà combattuta il 10 marzo 241 a.c. alle Isole Egadi, e vinta dalla flotta romana guidata del console Quinto Lutazio Catulo. A questo proposito la storiografia per lungo tempo ha dato in maniera piuttosto vaga l indicazione di dove fosse lo specchio di mare nel quale si svolse la battaglia. D altronde è pur vero che delle primitive carte nautiche che romani, greci e fenici dovevano per forza avere, a noi non è giunto niente. La prima carta nautica nota è la cosiddetta carta pisana del XIII secolo. Lo stesso Polibio, pur esatto e veritiero nelle sue cronache, più in là di tanto non poteva andare. L unica cosa certa era che la flotta si era ridossata per nascondersi e, al momento opportuno, mollare gli ormeggi per avventarsi su quella punica. I due comandanti, il cartaginese Annone e il romano Lutazio Catulo, dopo aver calcolato accuratamente il campo, le maree e i venti, avevano preso le loro decisioni. Annone, che si trovava a Marettimo con oltre un centinaio di navi da guerra e altrettante onerarie e triremi utilizzate come tali, per portare rifornimenti ad Amilcare Barca che si batteva contro i romani all interno di Catania, aveva portato la flotta ad ancorarsi all isola Sacra, (oggi Marettimo) in attesa di appressarsi alla Sicilia dove, scaricando le navi, avrebbe potuto ripristinare la manovrabilità della sua flotta. Ma gli speculatores (le spie) dell intelligence romana informarono della situazione Lutazio Catulo che, il 9 marzo a.c., portò la flotta ad Egussa (Favignana), dove dispose circa 200 triremi lungo la costa della vicina Levanzo, a ridosso di Capo Grosso, occultate da questo al mare aperto. Arrivò così il 10 marzo fatidico. Annone, con la sua forza di circa 130 triremi e circa altrettante onerarie stracolme di rifornimenti, facendo conto sul vento favorevole mollò gli ormeggi e iniziò la navigazione, ma Lutazio Catulo lo prevenne; fece tagliare i cavi delle ancore per far prima e, spiegandosi in linea di fianco, piombò sui punici che dovettero accettare battaglia. 14
5 L agguato romano Dopo Milazzo non avevano capito che i romani avevano fatto un grosso salto di qualità, quindi assunsero la formazione di combattimento, ma in quel momento il vento cambiò a loro sfavore precludendone una fuga verso la Sicilia e, prima ancora di rendersene conto, persero 120 navi, tra affondate e arrese. Se non altro, il vento, nuovamente favorevole ai superstiti, fra i quali si trovava Annone, consentì loro di fare vela verso l Isola Sacra. I classiari, recuperati i relitti per riutilizzarli (come era uso), ripresero la navigazione alla volta di Misenum, base della prima classis, e così ciascuno raggiunse il posto che gli competeva: chi il fondo del mare, chi il mercato degli schiavi e chi la gloria del trionfo. Era la fine di Cartagine sul mare, la nascita di Roma come potenza navale e il termine della prima guerra punica. Due splendidi rostri visti uno nell esposizione museale, l altro sul fondo del mare prima del recupero Da allora, per secoli, si è continuato a disquisire di rostri, triremi, corvi, manovre di attacco, senza peraltro sapere esattamente come fossero fatte le navi da guerra romane. Le loro stesse dimensioni le rigennaio-febbraio
6 Il frontale finemente lavorato di uno dei rostri romani recuperati alle Egadi. Il fatto che su dodici rostri fino ad ora uno solo sia cartaginese è indicativo del furore con il quale le navi di Lutazio Catulo si scagliarono nella mischia caviamo dalle notizie degli storici ma non sappiamo quanto esse siano esatte; si consideri, ad esempio, che in Grecia, il braccio detto pigon equivaleva a 20 dita pari a 38,5 cm circa, il braccio detto cubitus a 24 dita ossia due spanne (44,3 cm circa), mentre il braccio reale persiano o egiziano, o cubitus basilèios, a 52,5 cm circa; bastava un errore di chi aveva trascritto dal greco al latino giunto a noi o anche un incertezza e i metri diventavano decametri. Il fatto che recentemente in Grecia sia stata ricostruita una trireme perfettamente funzionante significa solo che funziona, ma non è detto che lo faccia come quelle originali, e le navi lusorie lacustri di Caligola non servono ai nostri fini. Il Mediterraneo è pieno di relitti ben conservati, di navi greche, romane, cartaginesi, ma si tratta di onerarie, affondate in tempeste per il pesante carico che ne aveva mantenuto la forma sul fondale. I rottami delle navi da guerra invece, realizzati in legno fresco, appena essiccato, niente a che vedere con la quercia stagionata per anni degli scafi del Wasa o del Victory, con poca zavorra, anche dopo l affondamento, restavano in semiaffioramento e venivano recuperati, altrimenti quanto andava perso si disgregava: solo se nella mischia una nave, nello schianto dell impatto, perdeva il dritto di prora, questo veniva trascinato a fondo dal peso del rostro, per giungere a noi. Tutto questo fino al 1980 quando ad Athlit, a sud di Haifa, in Israele, venne fortunosamente recuperato in meno di cinque metri d acqua, sepolto nella sabbia, un rostro in splendide condizioni, lungo 2,30 metri e alto 80 centimetri, del peso di quasi mezzo quintale. Di stupenda fattura, recava quattro rilievi: il tridente di Poseidone, un elmetto sormontato da una stella, una testa d aquila e il caduceo di Hermes. Dai test al carbonio 14 risultava datato tra il 400 e il 130 a.c., e si ritiene parte di una quadrireme, o una trireme, della flotta di Tolomeo IV, faraone egiziano regnante dal 222 al 204 a.c.; poi più niente, unica testimonianza tangibile di queste armi marre di piombo Ma nel 1984 Sebastiano Tusa, allora Soprintendente del mare della Regione Siciliana, sentì il racconto di un vecchio subacqueo di Favignana, che parlava di almeno 150 marre d ancora da lui trovate nel mare a est di Capo Grosso, la punta più settentrionale di Levanzo. Secondo i racconti del tempo si diceva che la battaglia delle Egadi aveva avuto luogo presso Cala Rossa (per il sangue cartaginese) di Favignana, ma Tusa pensò che le marre (sciaguratamente recuperate e fuse per farne piombi per le reti da pesca) identificavano il vero luogo dove la flotta romana si era appostata per cogliere di sorpresa i cartaginesi. Poi nel 2002 venne alla luce un rostro, trovato da un pescatore, e via via tutti gli altri, identificati dalle attrezzature di alta profondità della RPM Nautical Foundation diretta dall archeologo Jeffrey Royal e, in questi ultimi anni, dalla GUE Global Ungennaio-febbraio 2018
7 Alcuni degli elmi recuperati alle Egadi: sullo sfondo è visibile un rostro dalle dimensioni decisamente contenute. L elmo singolo, del tipo detto Montefortino, caratteristico della fanteria di Marina, è un modello accuratamente restaurato derwater Explorer in accordo con la Soprintendenza del Mare della Regione Siciliana. Quest ultima, l 11 agosto del 2017, ha recuperato a 80 metri di profondità, nei fondali a nord ovest di Levanzo, il 12 rostro pertinente la Battaglia delle Egadi, che è andato a incrementare questo vero e proprio arsenale sommerso. A pochi metri dal rostro è stato ritrovato un elmo in bronzo del tipo detto Montefortino, impiegato della fanteria di Marina, che si va ad aggiungere agli altri otto ritrovati e recuperati, con numeroso vasellame e altre testimonianze, nelle precedenti campagne di ricerca effettuate in area. Anche se si considera che le navi catturate vennero inglobate nella classis e che un buon numero delle 50 affondate venne recuperato e non comportò quindi la perdita del rostro, resta il fatto che il futuro ci riserva certamente molti altri ritrovamenti interessanti, come quelli dei reperti che recavano 17
8 Nell immagine grande il rostro di Athlit con Elisha Linder, padre dell archeologia subacquea israeliana, scomparso tre anni fa. Il rostro venne casualmente trovato da un suo studente; nell altra foto uno dei rostri delle Egadi con i componenti della squadra di ricerca della soprintendenza del mare della Regione Siciliana; notare la differenza di dimensioni fra i due rostri inciso il nome della famiglia nobiliare che aveva finanziato la costruzione dell unità che lo portava a prora (Roma, ridotta al lastrico dalla lunga e dura guerra non aveva più la possibilità di gravare troppo sull erario e si rivolgeva ai privati); o come quello del rostro, questa volta cartaginese ma parimenti sfortunato, che recava inciso Possa quest arma distruggere la nave del nemico. Non ebbe fortuna. Sorvoliamo poi su quel rostro che venne recuperato dai Carabinieri, dopo una soffiata, nel gabinetto di un dentista di Trapani, che, sicuramente in perfetta buona fede, spergiurò che stava giusto per portarlo nella caserma dell Arma, confermando comunque che era stato trovato a poche miglia a nord ovest di Capo Grosso. Se non altro ebbe una sua utilità perché sulla base della testimonianza iniziò un piano organico di ricerca che portò poi ai numerosi altri ritrovamenti. Un ultima curiosità: lo splendido rostro di Athlit era gigantesco in confronto ai 12 ritrovati alle Egadi dai ricercatori, come si vede dalle immagini; non è chiaro se la cosa possa dipendere dalle maggiori dimensioni della nave ellenistica, ma sembrerebbero eccessive, o da una diversa concezione di quelle che combatterono alla Egadi, romane o cartaginesi. Il che farebbe pensare a scafi più snelli e piccoli, specie di torpediniere, ma non abbiamo sufficienti elementi por avanzare tali supposizioni. Il tempo, comunque, si sa, è galantuomo, e sicuramente ce lo farà sapere lui. n 18
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