COLLEGIO DEI PERITI AGRARI E DEI PERITI AGRARI LAUREATI DELLA PROVINCIA DI SALERNO

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1 Prot Salerno, lì 18 Dicembre 2015 A tutti gli iscritti all Albo e nell Elenco Speciale LORO SEDI OGGETTO: Circolare n 192/2015. Libera professione. Divisione ereditaria di immobile indivisibile: la Cassazione precisa i criteri applicabili. Cassazione Civile, Sezione Seconda, Sentenza del 5 Novembre 2015, n Colleghi, con la presente, si porta a conoscenza di tutti Voi che, la sezione II^ della Corte di Cassazione, con la sentenza n del 5 Novembre 2015, ha preso posizione su un'annosa questione concernente l'individuazione delle ipotesi in cui ai Giudici di merito è concesso sfruttare il proprio prudente apprezzamento delle ragioni di opportunità e convenienza al fine di giustificare un'applicazione dell art. 720 cod. civ. in deroga alla soluzione ordinaria. L art. 720 cod. civ., rubricato Immobili non divisibili, stabilisce che nei casi in cui, a seguito di apertura di una successione, su di un bene immobile si configuri una comunione forzosa che gli eredi chiedono venga sciolta, l assegnazione dello stesso deve avvenire in favore del quotista maggiore, ovvero di più coeredi che ne facciano congiunta richiesta. La questione controversa. Cinque fratelli ereditavano un immobile di proprietà del padre all interno del quale era esercitata l attività di bar/ristorante da parte di due dei cinque germani. Una sorella (tra quelli non coinvolti nell attività commerciale) ave va acquistato le quote di altri due fratelli e, in conseguenza di ciò, chiedeva giudizialmente l assegnazione dell intero immobile mediante l applicazione letterale dell art. 720 cod. civ. dietro corresponsione, agli altri fratelli, della somma che il giudice avrebbe fissato quale eccedenza della propria quota. Il tribunale assegnò l immobile ai titolari dell esercizio commerciale, respingendo così le domande di parte attrice.

2 Al contrario, la corte d'appello dispose l'assegnazione dell'intero immobile alla maggior quotista, determinando il conguaglio economico che l assegnataria avrebbe dovuto versare agli altri fratelli ai sensi dell art. 720 cod. civ. Contro tale decisione i titolari dell esercizio commerciale proponevano ricorso in Cassazione. La decisione. I Giudici di Piazza Cavour hanno rilevato che la questione sottoposta al loro vaglio era oggetto di contrasto giurisprudenziale anche dinanzi la stessa II sezione e, per tale ragione, hanno esposto i due principali orientamenti. Il primo, più risalente, afferma che è possibile la deroga generale al criterio dell assegnazione dei beni ereditari al maggior quotista solo se vi sono ragioni di opportunità rispondenti ad esigenze comuni e motivate; il secondo, più recente, sostiene che esiste per i Giudici un potere discrezionale di deroga al criterio della preferenziale assegnazione, vincolato soltanto all obbligo dell adeguata e logica motivazione. Gli Ermellini, dopo aver espresso di voler seguire il più recente orientamento, hanno chiarito che nell alveo dei cd. seri motivi possono legittimamente essere ricompresi anche gli interessi economici ed individuali del/i richiedente/i ed ha affermato un principio nuovo riguardante il valore delle attività commerciali. Infatti, nella decisione della Corte può ravvisarsi un interpretazione dell art. 720 cod. civ. in chiave evolutiva, tesa cioè a soddisfare le esigenze dell attuale ambiente socio-economico. In particolare, la II Sezione ha evidenziato che in un momento storico in cui numerose sono le imprese che si sono trovate costrette a cessare l attività, l interesse alla continuità aziendale è ormai entrato a far parte delle priorità radicatisi nella sensibilità dei consociati. Proprio per tale novità la pronuncia in commento può essere identificata quale apripista per l utilizzo di un nuovo criterio di indagine, quello economico, il quale soprattutto oggi merita di essere valorizzato e tutelato. Lo svolgimento di una attività economico commerciale che garantisca un reddito oltre che ai titolari della stessa, anche ai soggetti in essa occupati deve, secondo la Cassazione, esser qualificato come ragione rilevante, idonea a legittimare una soluzione derogatoria al criterio della preferenziale assegnazione al condividente titolare della maggior quota. Nel caso de quo la Corte ha dunque verificato che i quotisti minoritari erano gestori di attività di bar/ristorante nei locali oggetto di comunione ereditaria e che tale esercizio

3 commerciale vantava un avviamento reale e quantificabile; inoltre, ha valorizzato quanto palesato dai ricorrenti, ovvero che alla perdita dei locali avrebbe potuto far seguito l impossibilità di proseguire l attività economica e, certamente, la perdita dell avviamento. A fortiori, se il Legislatore ha inteso evitare il frazionamento del bene in tutti i casi in cui l'operazione reca pregiudizio alla pubblica economia, non si può certo ritenere che egli stesso, nell attribuire il bene ad un condividente in luogo di un altro, ammetta la possibilità che si concretizzi quello stesso nocumento che si è proposto di scongiurare introducendo l art. 720 cod. civ. Per tali ragioni i Giudici di Piazza Cavour hanno accolto il ricorso dei germani imprenditori ed hanno contemporaneamente ammonito la Corte territoriale poiché questa non aveva adeguatamente valutato l interesse alla continuità aziendale e, soprattutto, aveva omesso di effettuare la necessaria ed indispensabile comparazione tra intenti. La sentenza, dunque, permette di elevare l interesse economico, inteso quale interesse al mantenimento in vita di un esercizio commerciale, a motivo serio, idoneo a giustificare l applicazione dell art. 720 cod. civ. in deroga al generale criterio di assegnazione L occasione è gradita per porgere a tutti Voi più distinti saluti. F.to IL PRESIDENTE Per. Agr. Antonio LANDI SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Sentenza 7 luglio 5 novembre 2015, n Considerato in fatto Con atto di citazione notificato il 10 febbraio 1990 C.G. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma i propri germani L., A.M., S. ed U.A.L. (quest'ultimo d'ora innanzi più semplicemente citato come C.U.) chiedendo lo scioglimento della comunione, paritaria ed indivisa, dell'immobile sito in (omissis). Costituitisi in giudizio i convenuti aderivano alla domanda di divisione, chiedendo l'assegnazione congiunta del bene. Con sentenza non definitiva del 3/28 giugno 1997 l'adito Tribunale dichiarava cessata la materia del contendere tra l'attore ed i convenuti C.L. e S., che avevano ceduto al primo i propri diritti pari ad un quinto ciascuno sul bene in comunione.

4 All'esito del disposto prosieguo del giudizio il Tribunale di prima istanza, con sentenza definitiva del 23 novembre 2000/11 aprile 2002, disponeva lo scioglimento della comunione attribuendo l'immobile de quo congiuntamente ad C.U. ed A.M. e determinando in L. 360 milioni il conguaglio in favore di C.G., subordinando l'esecuzione del trasferimento immobiliare al versamento della suddetta somma e con compensazione delle spese di lite. Avverso la detta sentenza definitiva di primo grado interponeva appello il C.G. chiedendo la riforma dell'impugnata decisione, in particolare quanto all'attribuzione dell'intero immobile agli appellati. Resistevano all'avversa impugnazione C.U. ed A.M. chiedendo il rigetto dell'avverso appello e proponendo, a loro volta, appello incidentale relativo alla quantificazione, ritenuta da essi eccessiva, del disposto conguaglio. Con sentenza n. 5017/2008 l'adita Corte di Appello, in parziale riforma dell'impugnata decisione, assegnava per intero a C.G. l'immobile e determinava in Euro ,65 il conguaglio in favore di C.U. e A.M., il tutto con riferimento al criterio della maggior quota ex art. 720 c.c. e non ravvisando la possibilità di ricorso ad altro alternativo criterio di attribuzione, ritenendo precluso il giudizio sull'appello incidentale implicitamente condizionato alla conferma dell'attribuzione dell'intero compendio alle parti appellanti incidentalmente. Per la cassazione della detta decisione della Corte distrettuale ricorrono C.U. ed A.M., con atto fondato su un unico complesso motivo. Resiste con controricorso C.G. Nell approssimarsi dell'udienza, a suo tempo già fissata, del 17 febbraio 2015 il C.U. si costituiva con nuovo difensore a seguito di conferimento di mandato sottoscritto con autentica notarile e depositava memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.. Disposto, quindi, il rinvio a nuovo ruolo - come da ordinanza interlocutoria - per consentire la regolare comunicazione dell'avviso di fissazione di udienza a tutte le parti in causa, veniva fissata l'odierna udienza di discussione. Ritenuto in diritto 1.- Con l'unico motivo del ricorso si censura il vizio di violazione dell'art. 720 c.c. in punto di mancata attribuzione del compendio con adozione di criterio diverso da quello della maggiore quota di comproprietà sotto i profili della violazione dell'art. 360, n. 3 c.p.c. e del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5 c.p.c. Il motivo è assistito, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., dalla formulazione di quesiti di diritto. Con il motivo, nella sostanza, si pone la questione - espressamente indicata- del fatto controverso costituito dal "superiore interesse di continuare l'azienda ristorante-bar e, quindi, dall'opportunità di attribuzione immobile a C.U. e A.M. ". Tanto anche alla stregua della invocata possibilità (già ritenuta da Cass. n /2001) del ricorso al criterio del "prudente apprezzamento di ragioni di opportunità" come quella, nella fattispecie, della anzidetta continuità di esercizio di attività di ristorazione dei ricorrenti. La soluzione da dare alla fattispecie portata all'esame di questa Corte col complesso motivo in esame postula necessariamente una ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali nella specifica materia

5 dell'attribuzione dei beni ereditari non divisibili in caso di pluralità di richieste; e, più specificamente, una serie di valutazioni in ordine al criterio preferenziale per l'attribuzione, alla possibilità di deroga ed all'obbligo di fornire adeguata e logica motivazione. La Corte territoriale, nel procedere all'assegnane dei beni ereditari, ha, nella fattispecie, privilegiato il "criterio, preferito dall'art. 720 c.c." dell'assegnazione al maggior quotista ovvero al C.G., richiamandosi a quanto già affermato da questa Corte con le sentenze n.ri 7716/1990, 7588/1995 e 22906/2006. Deve al riguardo osservarsi e rammentarsi quanto segue. La giurisprudenza meno recente (quale quella innanzi citata e su si basa l'impugnata sentenza) riteneva possibile la deroga al generale criterio dell'assegnazione dei beni ereditari al maggior quotista solo se vi erano ragioni di opportunità rispondenti ad esigenze comuni ed adeguatamente motivate. Giova, al riguardo, citare l'emblematico dictum proprio di Cass. 25 ottobre 2006, n , secondo cui, "in caso di scioglimento della divisione ereditaria od ordinaria, fine primario della divisione è la conversione del diritto di ciascun condividente alla quota ideale in diritto di proprietà esclusiva di beni individuali, sicché quado in presenza di un immobile indivisibile o non comodamente divisibile vi è una pluralità di richieste di assegnazione benché è possibile l'assegnazione anche ai titolari di quota minore, laddove ciò corrisponda all'interesse comune delle parti". La citata pronuncia riprendeva, in sostanza, un datato orientamento già risalente a Cass. 13 luglio 1983, n ed a Cass. 20 agosto 1991, n. 8922, secondo il quale il principio ispiratore della norma di cui all'art. 720 c.c. ovvero il "favor divisionis" implicava preferenzialmente l'assegnazione de qua al maggior quotista salvo esclusivamente "ragioni di opportunità ravvisabili nell'interesse comune dei condividendi". Senonché un più recente orientamento di questa stessa Corte (e di questa stessa Sezione) ha affermato un "potere discrezionale di deroga al criterio della preferenziale assegnazione" vincolato alla solo obbligo della "adeguata e logica motivazione". Più specificamente è stato affermato, con la citata decisione, che "in tema di divisione ereditaria, nel caso in cui uno o più immobili non risultino comodamente divisibili, il giudice ha il potere discrezionale di derogare al criterio, indicato dall'art. 720 c.c., della preferenziale assegnazione al condividente titolare della quota maggiore, purché assolva all'obbligo di fornire adeguata e logica motivazione della diversa valutazione di opportunità adottata (nel caso di specie la Corte confermava la sentenza del Giudice di secondo grado con riguardo all'attribuzione dell'immobile non divisibile assumendo come criterio discriminante quello dell'interesse personale prevalente dell'assegnatario, privo di un'unità immobiliare da destinare a casa familiare, rispetto al titolare di quota maggiore che disponeva di altra abitazione)". Pur nella consapevolezza della possibilità di deroga al criterio preferenziale di assegnazione al maggio quotista (laddove si è riconosciuta la sussistenza di un potere discrezionale al riguardo, ancorché vincolato all'obbligo di motivazione ed a sostanziali e seri motivi), l'impugnata sentenza non ha, tuttavia, valutato e tenuto in adeguato conto - nell'ipotesi dedotta in giudizio - la sussistenza di motivi che potevano e possono giustificare una soluzione derogatoria differente rispetto a quella ordinaria.

6 E tanto in contraddizione rispetto non solo al su riportato e più recente orientamento di Cass. n /2008, ma anche rispetto ai pur considerati criteri delle precedenti citate pronunce (per tutte, Cass. n /2006). Inoltre (ed ancor più decisivamente) la Corte territoriale non ha correttamente v alutato la possibilità e la sussistenza, in concreto, di "motivi seri" idonei a giustificare la deroga al generale principio di assegnazione. Più specificamente è errato ritenere che la valutazione di quei "seri motivi...non può ancorarsi ad una valutazione dell'interesse economico ed individuale di uno dei richiedenti", non essendo mai stata del tutto esclusa un tal tipo di valutazione anche dalle meno recenti pronunce di legittimità in tema (che si limitavano solo a privilegiare l'interesse comune). È stata inoltre erroneamente ritenuta con la gravata decisione una "mancata configurazione di tali motivi" da non poter consentire l'adozione di un criterio diverso da quello della maggior quota. Senonché proprio a tenore di quanto esposto e riportato nell'atto di appello incidentale gli odierni ricorrenti (quotisti minoritari, ma gestori di attività commerciale nel bene comune indivisibile) avevano ben fatto presente il valore conseguito dall'azienda e la rilevante circostanza (della quale comunque andava dat o conto), per cui "la perdita dei locali per una qualsiasi ragione determina altresì la perdita dell'avviamento commerciale" e, potrebbe qui aggiungersi, la stessa possibilità della sua prosecuzione e continuazione. In sostanza ed in definitiva è mancata del tutto una comparazione degli interessi e, più specificamente, una valutazione dell'interesse alla continuità aziendale quale possibile "serio motivo" atto a poter giustificare il ricorso ad altro criterio derogatorio di assegnazione dei beni comuni rispetto a quello ordinario. Il motivo, in quanto fondato, va dunque accolto. 2.- Conseguentemente va accolto il ricorso e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, affinché la stessa decida la controversia uniformandosi ai principi di diritto sopra enunciati. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.

7 SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE SECONDA CIVILE Sentenza 7 Luglio 5 Novembre 2015, n Considerato in fatto Con atto di citazione notificato il 10 febbraio 1990 C.G. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma i propri germani L., A.M., S. ed U.A.L. (quest'ultimo d'ora innanzi più semplicemente citato come C.U.) chiedendo lo scioglimento della comunione, paritaria ed indivisa, dell'immobile sito in (omissis). Costituitisi in giudizio i convenuti aderivano alla domanda di divisione, chiedendo l'assegnazione congiunta del bene. Con sentenza non definitiva del 3/28 giugno 1997 l'adito Tribunale dichiarava cessata la materia del contendere tra l'attore ed i convenuti C.L. e S., che avevano ceduto al primo i propri diritti pari ad un quinto ciascuno sul bene in comunione. All'esito del disposto prosieguo del giudizio il Tribunale di prima istanza, con sentenza definitiva del 23 novembre 2000/11 aprile 2002, disponeva lo scioglimento della comunione attribuendo l'immobile de quo congiuntamente ad C.U. ed A.M. e determinando in L. 360 milioni il conguaglio in favore di C.G., subordinando l'esecuzione del trasferimento immobiliare al versamento della suddetta somma e con compensazione delle spese di lite. Avverso la detta sentenza definitiva di primo grado interponeva appello il C.G. chiedendo la riforma dell'impugnata decisione, in particolare quanto all'attribuzione dell'intero immobile agli appellati. Resistevano all'avversa impugnazione C.U. ed A.M. chiedendo il rigetto dell'avverso appello e proponendo, a loro volta, appello incidentale relativo alla quantificazione, ritenuta da essi eccessiva, del disposto conguaglio. Con sentenza n. 5017/2008 l'adita Corte di Appello, in parziale riforma dell'impugnata decisione, assegnava per intero a C.G. l'immobile e determinava in Euro ,65 il conguaglio in favore di C.U. e A.M., il tutto con riferimento al criterio della maggior quota ex art. 720 c.c. e non ravvisando la possibilità di ricorso ad altro alternativo criterio di attribuzione, ritenendo precluso il giudizio sull'appello incidentale implicitamente condizionato alla conferma dell'attribuzione dell'intero compendio alle parti appellanti incidentalmente. Per la cassazione della detta decisione della Corte distrettuale ricorrono C.U. ed A.M., con atto fondato su un unico complesso motivo. Resiste con controricorso C.G. Nell approssimarsi dell'udienza, a suo tempo già fissata, del 17 febbraio 2015 il C.U. si costituiva con nuovo difensore a seguito di conferimento di mandato sottoscritto con autentica notarile e depositava memoria ai sensi dell'art. 378 c.p.c.. Disposto, quindi, il rinvio a nuovo ruolo - come da ordinanza interlocutoria - per consentire la regolare comunicazione dell'avviso di fissazione di udienza a tutte le parti in causa, veniva fissata l'odierna udienza di discussione. Ritenuto in diritto 1.- Con l'unico motivo del ricorso si censura il vizio di violazione dell'art. 720 c.c. in punto di mancata attribuzione del compendio con adozione di criterio diverso da quello della maggiore quota di comproprietà sotto i profili della violazione dell'art. 360, n. 3 c.p.c. e del vizio di motivazione ex art. 360, n. 5 c.p.c. Il motivo è assistito, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., dalla formulazione di quesiti di diritto.

8 Con il motivo, nella sostanza, si pone la questione - espressamente indicata- del fatto controverso costituito dal "superiore interesse di continuare l'azienda ristorante-bar e, quindi, dall'opportunità di attribuzione immobile a C.U. e A.M. ". Tanto anche alla stregua della invocata possibilità (già ritenuta da Cass. n /2001) del ricorso al criterio del "prudente apprezzamento di ragioni di opportunità" come quella, nella fattispecie, della anzidetta continuità di esercizio di attività di ristorazione dei ricorrenti. La soluzione da dare alla fattispecie portata all'esame di questa Corte col complesso motivo in esame postula necessariamente una ricostruzione degli orientamenti giurisprudenziali nella specifica materia dell'attribuzione dei beni ereditari non divisibili in caso di pluralità di richieste; e, più specificamente, una serie di valutazioni in ordine al criterio preferenziale per l'attribuzione, alla possibilità di deroga ed all'obbligo di fornire adeguata e logica motivazione. La Corte territoriale, nel procedere all'assegnane dei beni ereditari, ha, nella fattispecie, privilegiato il "criterio, preferito dall'art. 720 c.c." dell'assegnazione al maggior quotista ovvero al C.G., richiamandosi a quanto già affermato da questa Corte con le sentenze n.ri 7716/1990, 7588/1995 e 22906/2006. Deve al riguardo osservarsi e rammentarsi quanto segue. La giurisprudenza meno recente (quale quella innanzi citata e su si basa l'impugnata sentenza) riteneva possibile la deroga al generale criterio dell'assegnazione dei beni ereditari al maggior quotista solo se vi erano ragioni di opportunità rispondenti ad esigenze comuni ed adeguatamente motivate. Giova, al riguardo, citare l'emblematico dictum proprio di Cass. 25 ottobre 2006, n , secondo cui, "in caso di scioglimento della divisione ereditaria od ordinaria, fine primario della divisione è la conversione del diritto di ciascun condividente alla quota ideale in diritto di proprietà esclusiva di beni individuali, sicché quado in presenza di un immobile indivisibile o non comodamente divisibile vi è una pluralità di richieste di assegnazione benché è possibile l'assegnazione anche ai titolari di quota minore, laddove ciò corrisponda all'interesse comune delle parti". La citata pronuncia riprendeva, in sostanza, un datato orientamento già risalente a Cass. 13 luglio 1983, n ed a Cass. 20 agosto 1991, n. 8922, secondo il quale il principio ispiratore della norma di cui all'art. 720 c.c. ovvero il "favor divisionis" implicava preferenzialmente l'assegnazione de qua al maggior quotista salvo esclusivamente "ragioni di opportunità ravvisabili nell'interesse comune dei condividendi". Senonché un più recente orientamento di questa stessa Corte (e di questa stessa Sezione) ha affermato un "potere discrezionale di deroga al criterio della preferenziale assegnazione" vincolato alla solo obbligo della "adeguata e logica motivazione". Più specificamente è stato affermato, con la citata decisione, che "in tema di divisione ereditaria, nel caso in cui uno o più immobili non risultino comodamente divisibili, il giudice ha il potere discrezionale di derogare al criterio, indicato dall'art. 720 c.c., della preferenziale assegnazione al condividente titolare della quota maggiore, purché assolva all'obbligo di fornire adeguata e logica motivazione della diversa valutazione di opportunità adottata (nel caso di specie la Corte confermava la sentenza del Giudice di secondo grado con riguardo all'attribuzione dell'immobile non divisibile assumendo come criterio discriminante quello dell'interesse personale prevalente dell'assegnatario, privo di un'unità immobiliare da destinare a casa familiare, rispetto al titolare di quota maggiore che disponeva di altra abitazione)". Pur nella consapevolezza della possibilità di deroga al criterio preferenziale di assegnazione al maggio quotista (laddove si è riconosciuta la sussistenza di un potere discrezionale al riguardo, ancorché vincolato all'obbligo di motivazione ed a sostanziali e seri motivi), l'impugnata sentenza non ha, tuttavia, valutato e tenuto in adeguato conto - nell'ipotesi dedotta in giudizio - la sussistenza di motivi che potevano e possono giustificare una soluzione derogatoria differente rispetto a quella ordinaria.

9 E tanto in contraddizione rispetto non solo al su riportato e più recente orientamento di Cass. n /2008, ma anche rispetto ai pur considerati criteri delle precedenti citate pronunce (per tutte, Cass. n /2006). Inoltre (ed ancor più decisivamente) la Corte territoriale non ha correttamente valutato la possibilità e la sussistenza, in concreto, di "motivi seri" idonei a giustificare la deroga al generale principio di assegnazione. Più specificamente è errato ritenere che la valutazione di quei "seri motivi...non può ancorarsi ad una valutazione dell'interesse economico ed individuale di uno dei richiedenti", non essendo mai stata del tutto esclusa un tal tipo di valutazione anche dalle meno recenti pronunce di legittimità in tema (che si limitavano solo a privilegiare l'interesse comune). È stata inoltre erroneamente ritenuta con la gravata decisione una "mancata configurazione di tali motivi" da non poter consentire l'adozione di un criterio diverso da quello della maggior quota. Senonché proprio a tenore di quanto esposto e riportato nell'atto di appello incidentale gli odierni ricorrenti (quotisti minoritari, ma gestori di attività commerciale nel bene comune indivisibile) avevano ben fatto presente il valore conseguito dall'azienda e la rilevante circostanza (della quale comunque andava dato conto), per cui "la perdita dei locali per una qualsiasi ragione determina altresì la perdita dell'avviamento commerciale" e, potrebbe qui aggiungersi, la stessa possibilità della sua prosecuzione e continuazione. In sostanza ed in definitiva è mancata del tutto una comparazione degli interessi e, più specificamente, una valutazione dell'interesse alla continuità aziendale quale possibile "serio motivo" atto a poter giustificare il ricorso ad altro criterio derogatorio di assegnazione dei beni comuni rispetto a quello ordinario. Il motivo, in quanto fondato, va dunque accolto. 2.- Conseguentemente va accolto il ricorso e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma, affinché la stessa decida la controversia uniformandosi ai principi di diritto sopra enunciati. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa l'impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte di Appello di Roma.

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