Sophie Kinsella HO IL TUO NUMERO Traduzione di Paola Bertante

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2 Il libro Cosa accade se ti scippano il telefonino e tutta la tua vita è lì dentro? Ti senti persa, naturalmente. È quello che capita a Poppy, una scombinata fisioterapista prossima alle nozze con un affascinante docente universitario. Proprio quando il telefono le serve per una faccenda a dir poco urgente! Perché tra le altre cose, nel bel mezzo di una festa con le amiche ha appena perso il suo prezioso anello di fidanzamento, uno smeraldo come non ne ha mai visti nella sua intera esistenza. Poppy è nel panico, e mentre cerca affannosamente l anello perduto cosa vede in un cestino dei rifiuti? Un cellulare nuovo di zecca che sembra aspettare proprio lei. È un attimo. Ed è suo. Non può permettersi il lusso di rimanere scollegata, non in questo momento. Ma di chi è quel telefono? E a cosa si riferiscono gli strani messaggi che riceve? Poppy non ha il tempo di farsi troppe domande. Ha un anello da ritrovare, un matrimonio da organizzare e qualche cosuccia in sospeso con i suoi futuri suoceri. Ma non sa che quel telefono e lo sconosciuto con cui si troverà a condividerlo le metteranno a soqquadro la vita. Ancora una volta Sophie Kinsella supera se stessa in questa scoppiettante commedia degli equivoci incentrata sul telefonino, protagonista assoluto della nostra vita di tutti i giorni e di questo romanzo. E soprattutto complice in un adorabile storia romantica che diverte e fa sognare.

3 L autore Sophie Kinsella, prima di diventare una scrittrice di successo, era una giornalista economica. Per Mondadori ha pubblicato I love shopping (2000), che è diventato in breve tempo un best seller sia in Italia sia all estero, I love shopping a New York (2002), I love shopping in bianco (2002), Sai tenere un segreto? (2003), I love shopping con mia sorella (2004), La regina della casa (2005), I love shopping per il baby (2007), Ti ricordi di me? (2008), La ragazza fantasma (2009) e I love mini shopping (2010). L autrice vive a Londra con il marito e quattro figli.

4 Sophie Kinsella HO IL TUO NUMERO Traduzione di Paola Bertante

5 HO IL TUO NUMERO A Rex

6 1 La prospettiva. Devo vedere le cose nella giusta prospettiva. Non è un terremoto e neppure la strage di un pazzo armato o una fusione nucleare, no? Nella classifica delle catastrofi, la mia non è poi così tremenda. No, non così tremenda. Un giorno, quando mi ricorderò di questo momento, mi verrà da ridere e penserò: Che scema sono stata a preoccuparmi!. Smettila, Poppy. Non provarci nemmeno. Non sto ridendo, anzi mi sento male. Sto vagando nella sala da ballo dell hotel con il cuore in gola, cercando invano sulla moquette a motivi blu, dietro le sedie dorate, sotto i tovaglioli di carta usati, dove non lo troverò mai. L ho perso. Ho perso l unica cosa al mondo che non dovevo perdere. Il mio anello di fidanzamento. Dire che è un anello speciale non rende assolutamente l idea. Appartiene alla famiglia Tavish da tre generazioni. È un favoloso smeraldo con due diamanti e Magnus, prima di chiedermi di sposarlo, è dovuto andare a ritirarlo da una cassetta di sicurezza in banca. L ho messo per ben tre mesi di fila senza mai correre rischi, riponendolo religiosamente ogni sera su un apposito vassoietto di porcellana, toccandomi il dito ogni trenta secondi... E proprio oggi, il giorno in cui i suoi genitori rientrano dagli Stati Uniti, l ho perso. Proprio oggi. In questo preciso istante, i professori Antony Tavish e Wanda Brook-Tavish stanno tornando in aereo, dopo aver trascorso sei mesi sabbatici a Chicago. Me li vedo che mangiano noccioline caramellate e leggono testi accademici sui Kindle, scambiandoseli. Francamente, non so chi dei due metta più soggezione. Lui. È così terribilmente sarcastico. No, lei. Con tutti quei capelli crespi, sempre lì a chiederti che cosa ne pensi del femminismo. Sì, okay, fanno una paura tremenda tutt e due. E fra circa un ora saranno in aeroporto e, ovviamente, vorranno vedere l anello... No, non andare in iperventilazione, Poppy. Pensa positivo. Devo solo vedere la cosa da un angolazione diversa. Tipo... che cosa farebbe Poirot al mio posto? Lui non si farebbe prendere dal panico. Manterrebbe la calma e userebbe le sue celluline grigie per ricordare un minuscolo, fondamentale dettaglio in grado di svelare il mistero. Stringo forte gli occhi. Su, celluline grigie, date il meglio di voi. Non credo, però, che prima di risolvere il mistero di Assassinio sull Orient-Express, Poirot si fosse scolato tre bicchieri di champagne rosé e un mojito. «Signorina...» Un inserviente con i capelli grigi sta cercando di girarmi intorno con l aspirapolvere e io ho un sussulto di terrore. Stanno già ripulendo la sala da ballo? E se aspirano anche l anello? «Mi scusi.» Le afferro la spalla coperta da un grembiule di nylon blu. «Potrebbe darmi altri cinque minuti prima di passare l aspirapolvere?» «Sta ancora cercando l anello?» Scuote la testa perplessa, poi si illumina. «Secondo me, lo ritrova appena torna a casa. Probabilmente è sempre stato lì al sicuro!» «Forse.» Mi sforzo di annuire cortesemente, anche se dentro di me si leva un urlo di protesta. Sarò anche scema, ma non fino a questo punto! Vedo un altra inserviente dalla parte opposta della sala, impegnata a raccogliere briciole di torta e tovaglioli accartocciati e a buttarli in un sacco nero dell immondizia. Non è per niente concentrata. Non ha sentito quel che le ho detto? «Mi scusi!» Le corro incontro gridando con voce sempre più stridula. «Sta controllando che non ci sia il mio anello, vero?» «Per ora non si è visto niente, tesoro.» La donna getta nel sacco un altro mucchio di scarti rimasti sul tavolo senza degnarli di uno sguardo. «Faccia attenzione!» Prendo i tovaglioli, li riapro e li tasto in cerca di qualcosa di duro, incurante del fatto che mi sto sporcando le mani di crema pasticcera. «Cara, sto cercando di pulire.» L inserviente mi strappa i tovaglioli dalle mani. «Guardi che disastro sta combinando!» «Lo so, me ne rendo conto, mi scusi.» Frugo disperatamente fra i vassoietti dei pasticcini che ho fatto cadere a terra. «Ma lei non capisce: se non trovo quell anello, sono finita.» Vorrei prendere il sacco dell immondizia ed estrarne il contenuto per analizzarlo con un paio di pinzette come un agente della Scientifica. Vorrei delimitare la sala con del nastro adesivo e dichiararla scena del crimine. Dev essere qui, dev esserci per forza. A meno che non ce l abbia ancora qualcun altro. È l unica alternativa a cui mi sto aggrappando. Una delle mie amiche l ha ancora al dito e, chissà come, non se ne è accorta. Magari le è scivolato in borsa... o in una tasca... o forse le è rimasto impigliato nel golfino... Le ipotesi diventano sempre più improbabili, ma io non riesco a smettere. «Ha guardato nei bagni?» La donna tenta di superarmi. Certo che ci ho guardato. Ho controllato a quattro zampe ogni singola cabina, e tutti i lavandini. Due volte. Poi ho cercato di convincere il

7 concierge a chiudere i bagni e a far controllare tutte le tubature, ma lui si è rifiutato. Ha detto che se fossi stata sicura di averlo perso lì, allora sarebbe stato un altro paio di maniche anche la polizia, ne era certo, sarebbe stata d accordo con lui, ma visto che c erano altre persone in attesa, non potevo cortesemente spostarmi dal banco? La polizia. Bah. Avevo immaginato che dopo la mia telefonata sarebbe arrivata una squadra di auto a sirene spiegate, e invece mi hanno detto di andare a denunciare lo smarrimento in commissariato. Non ho tempo per fare denunce! Devo trovare il mio anello! Torno di corsa al tavolo rotondo a cui eravamo sedute questo pomeriggio, mi accuccio e passo la mano sulla moquette per l ennesima volta. Come ho potuto permettere che succedesse? Come ho fatto a essere tanto stupida? L idea di prenotare un tavolo per il Marie Curie Champagne Tea era partita dalla mia vecchia compagna di scuola Natasha. Non potendo venire alle terme per il weekend del mio addio ufficiale al nubilato, aveva pensato a un ritrovo alternativo. Eravamo in otto e stavamo bevendo allegramente champagne e rimpinzandoci di torta quando, appena prima dell inizio dell estrazione dei numeri della lotteria, una delle mie amiche ha detto: Dài, Poppy, facci provare l anello. Adesso non riesco neanche a ricordarmi chi fosse. Annalise, forse? Abbiamo frequentato insieme l università e ora lavoriamo tutte e due alla First Fit Physio insieme a Ruby, un altra compagna di studi di fisioterapia. C era anche lei al tè, ma non sono sicura che si sia provata l anello. O forse sì? Non posso credere di essere così negata. Come faccio a seguire le orme di Poirot se non riesco neppure a ricordare i fatti basilari? La verità è che se lo sono provate tutte, l anello: Natasha, Clare ed Emily (ex compagne di scuola a Taunton), Lucinda (la mia wedding planner, ormai quasi un amica) e la sua assistente Clemency, oltre a Ruby e ad Annalise (che non sono soltanto ex compagne di studi e colleghe, ma anche le mie due migliori amiche. Mi faranno persino da damigelle d onore). Lo ammetto: mi beavo di tutta la loro ammirazione. Mi sembra ancora impossibile che un oggetto così bello e straordinario appartenga proprio a me. Il fatto è che tutto mi sembra impossibile. Sono ufficialmente fidanzata! Io, Poppy Wyatt. Con un giovane docente universitario alto e bello, che ha scritto un libro e ha persino lavorato in tivù. Appena sei mesi fa, la mia vita amorosa era un vero disastro. Era un anno che non mi succedeva niente di significativo e, mio malgrado, mi stavo ancora chiedendo se dare un altra possibilità a quel tizio con l alito cattivo conosciuto su E adesso mancano solo dieci giorni al matrimonio! Ogni mattina mi sveglio, guardo la schiena liscia e lentigginosa di Magnus che dorme accanto a me e, con una punta di incredulità, penso: Il mio fidanzato, il dottor Magnus Tavish, membro del King s College di Londra. 1 Poi mi giro dall altra parte e, con un altra punta di incredulità, guardo il prezioso anello che brilla sul mio comodino. Che cosa dirà Magnus? Mi si stringe lo stomaco e deglutisco. No. Non pensarci. Forza, celluline grigie, al lavoro. Ricordo che Clare si è tenuta l anello per un bel po di tempo. Non se lo voleva proprio togliere. Poi Natasha ha cercato di strapparglielo dal dito, dicendo: Adesso tocca a me!. E ricordo di averle detto: Trattalo con delicatezza!. Insomma, non è che io sia stata irresponsabile. L ho sempre tenuto d occhio mentre faceva il giro del tavolo. A un certo punto, però, mi sono un po distratta perché la lotteria è cominciata e i premi erano favolosi. Una settimana in una villa in Italia, un taglio di capelli in un salone superlusso e un buono di Harvey Nichols... La sala da ballo brulicava di persone che tiravano fuori i loro biglietti, dal palco venivano annunciati i numeri e ogni tanto qualcuno saltava su gridando: Sono io!. Ed è questo il momento in cui ho toppato. È questo il momento per cui adesso mi mangio le mani. Se potessi tornare indietro nel tempo, fermerei questo preciso istante e mi direi in tono severo: Poppy, pensa alle priorità. Ma il fatto è che quando accade non te ne rendi conto, vero? Il momento arriva, tu commetti il tuo errore madornale, e poi passa e tu non ci puoi più fare nulla. Insomma, è successo che Clare ha vinto dei biglietti per Wimbledon. Le voglio un bene dell anima, ma è sempre stata una ragazza un tantino debole di carattere. Sarebbe lei stessa la prima ad ammetterlo. Innanzitutto, non ha controllato i suoi numeri con la dovuta prontezza, poi, quando alla fine si è resa conto di aver vinto, non è saltata su urlando: Io! Yeeeeh!, ma si è limitata ad alzare la mano di pochi centimetri e a dire: Sì! con una vocina flebile. Neppure le sue compagne di tavolo si sono accorte che aveva vinto. Proprio nel momento in cui mi è balenato il dubbio che Clare stesse sventolando in aria un biglietto della lotteria, la presentatrice sul palco ha detto: Se non ci sono vincitrici, penso che pescheremo di nuovo.... Grida più forte! Le ho dato una spinta e ho agitato freneticamente la mano: È qui! La vincitrice è qui!. Il nuovo numero è Con mio grande disappunto, una ragazza bruna seduta all altro capo della sala si è messa a strepitare brandendo un biglietto. Non è lei la vincitrice! ho esclamato indignata. Sei tu! Non importa. Clare si stava già tirando indietro. Davvero. Certo che importa! ho gridato d istinto, e tutte le ragazze al tavolo sono scoppiate a ridere. Vai, Poppy! ha urlato Natasha. Lanciati, intrepido cavaliere! Pensaci tu!

8 Vai! È una vecchia gag. Solo perché quell unica volta, a scuola, avevo organizzato una petizione per salvare i criceti, tutti avevano cominciato a chiamarmi intrepido cavaliere. A quanto pare, il mio motto preferito sarebbe: Certo che importa!. 2 Be, comunque, nel giro di due minuti ero sul palco insieme alla ragazza bruna, a discutere con la presentatrice del fatto che il biglietto della mia amica era più valido dell altro. So che non mi sarei mai dovuta allontanare dal tavolo. Che non avrei mai dovuto abbandonare l anello, neppure per un istante. Mi rendo conto di aver fatto una stupidaggine. A mia discolpa, però, devo dire che non potevo sapere che sarebbe scattato l allarme antincendio, no? È stata una scena surreale. Un attimo prima erano tutte lì a mangiare e a bere allegramente e poi, di punto in bianco, è scoppiato il finimondo: sono scattate in piedi e si sono messe a correre verso le uscite di sicurezza. Ho visto Annalise, Ruby e le altre afferrare le loro borsette e dirigersi verso il retro della sala. Un uomo in giacca e cravatta è salito sul palco per scortare me, la ragazza bruna e la presentatrice verso la porta laterale, impedendoci di andare nella direzione opposta. La nostra priorità è la vostra sicurezza continuava a ripetere. 3 Non è che fossi preoccupata neppure in quel momento. Non pensavo che l anello potesse essere sparito. Immaginavo che una delle mie amiche l avesse preso e che me l avrebbe restituito non appena ci fossimo ritrovate fuori dall albergo. Inutile dire che all esterno c era un caos terribile. All hotel, oltre al nostro tè, si teneva anche un importante convegno d affari, e i partecipanti sbucavano da tutte le porte affollando la strada. Il personale dell albergo cercava di fare annunci con i megafoni, gli automobilisti pigiavano sui clacson e io ci ho impiegato un secolo a trovare Natasha e Clare nella calca. Avete voi il mio anello? ho domandato immediatamente, cercando di non assumere un tono accusatorio. Chi ce l ha? Tutte e due mi hanno guardato con aria perplessa. Non so ha risposto Natasha alzando le spalle. Non ce l aveva Annalise? Così mi sono buttata nella ressa in cerca di Annalise, ma neppure lei l aveva, anzi pensava che l avesse Clare, la quale era convinta che l avesse preso Clemency, che a sua volta ha ipotizzato che potesse averlo Ruby, ma non era già andata via? Il panico ha un modo tutto suo di montarti dentro lentamente. C è un momento in cui sei ancora relativamente calma e ti dici: Ma figurati, è assurdo, non puoi averlo perso, poi, d un tratto, gli incaricati del Marie Curie Champagne Tea annunciano che, a causa di circostanze impreviste, l evento si conclude e cominciano a distribuire gli omaggi per gli ospiti. Tutte le tue amiche sono sparite per andare a prendere la metropolitana. Il tuo dito è ancora nudo. E una voce nella tua testa strilla: Oh, mio Dio! Lo sapevo! Nessuno avrebbe mai dovuto affidarmi un gioiello antico! Che errore! Che errore madornale!. Ed è così che un ora dopo ti ritrovi sotto un tavolo a tastare l orrenda moquette di un albergo, invocando disperatamente un miracolo. (Anche se il padre del tuo fidanzato ha scritto un bestseller sul fatto che i miracoli non esistono e sono pura superstizione, e che la stessa espressione Oh, mio Dio! è indice di debolezza di pensiero.) 4 All improvviso mi accorgo che il cellulare lampeggia e lo afferro con mani tremanti. Ho tre messaggi e li faccio scorrere speranzosa. Trovato? Annalise xx Mi spiace tesoro, non l ho visto. Non ti preoccupare, non spiffero niente a Magnus. N xxx Ciao Pops! Cavolo, che brutta cosa perdere un anello del genere! Veramente, mi sembra di averlo visto... (altro testo in arrivo) Fisso il cellulare galvanizzata. A Clare sembra di averlo visto? Dove? Sbuco da sotto il tavolo e agito il telefono, ma il testo mancante non vuole arrivare. Il segnale all interno dell hotel fa proprio schifo. Chi gliele ha date, le cinque stelle? Devo per forza uscire. «Salve!» dico, avvicinandomi all inserviente con i capelli grigi, alzando la voce per farmi sentire sopra il rumore dell aspirapolvere. «Esco un attimo per leggere un messaggio, ma se per caso trovasse l anello mi chiami, la prego. Il mio numero di cellulare gliel ho dato: io sono qui fuori...» «D accordo, cara» mi risponde paziente. Attraverso la hall di corsa, schivando gruppi di partecipanti al convegno, e rallento appena un po quando passo davanti alla reception. «Ha ricevuto qualche...?» «Non mi hanno consegnato ancora niente, signora.» Fuori c è un arietta profumata con un sentore d estate, anche se siamo solo a metà aprile, il che è un bene perché il mio vestito da sposa è scollato sulla schiena e io conto su una bella giornata. Davanti all albergo ci sono degli scalini ampi e bassi e io continuo a fare su e giù, agitando il telefonino nel vano tentativo di intercettare il segnale. Alla fine vado sul marciapiede, scuoto il cellulare con più violenza, lo alzo sopra la testa e mi sporgo su Knightsbridge Street immersa nel silenzio, tenendolo fra le dita tese.

9 Dài, su, forza lo incito mentalmente. Ce la puoi fare. Fallo per Poppy. Ricevi il messaggio. Deve pur esserci un po di campo, da qualche parte... ce la puoi fare... «Aaaaah!» Sento il mio grido di orrore prima ancora di capire che cosa sia successo. Ho un dolore lancinante alla spalla, le dita graffiate. Un uomo si sta allontanando in bicicletta, pedalando all impazzata verso la fine della strada. Prima che giri l angolo, faccio appena in tempo a scorgere una vecchia felpa grigia con il cappuccio alzato e un paio di jeans neri striminziti. La mia mano è vuota. Ma che cavolo... Mi guardo il palmo incredula, stordita. Sparito. Quel tizio mi ha rubato il telefono. Me l ha rubato, accidenti a lui. Il cellulare è la mia vita. Non posso esistere senza di lui. È un organo vitale. «Signora, sta bene?» Il portiere corre giù dalle scale. «È successo qualcosa? Quell uomo le ha fatto male?» «Mi ha... scippato» riesco a balbettare chissà come. «Mi ha rubato il telefonino.» Il portiere annuisce con aria comprensiva. «Sono dei delinquenti. Bisogna stare attenti in zone come questa...» Non lo ascolto. Comincio a tremare tutta. Non mi sono mai sentita tanto persa e spaventata. Che cosa faccio senza il mio telefonino? Come faccio a funzionare? Continuo a cercarlo automaticamente in tasca, dove lo metto di solito. Il mio unico impulso è mandare un SMS a qualcuno e scrivere: Oh, mio Dio! Ho perso il telefonino!, ma come posso farlo senza uno stramaledetto telefonino? Il cellulare è tutto per me. I miei amici. La mia famiglia. Il mio lavoro. Il mio mondo. Tutto. È come se qualcuno mi avesse tolto da sotto i piedi la base su cui poggia la mia intera esistenza. «Vuole che chiami la polizia, signora?» Il portiere mi guarda ansioso. Sono troppo scioccata per rispondere. L angoscia mi assale di nuovo: l anello. Ho dato il mio numero di cellulare a tutti: alle inservienti, agli addetti alle pulizie dei gabinetti, agli incaricati del Marie Curie Champagne Tea, a chiunque. E se qualcuno di loro lo trova? E se qualcuno l ha trovato e proprio in questo momento sta cercando di chiamarmi, ma nessuno risponde perché un tizio incappucciato ha già gettato la mia scheda SIM nel fiume? Oddio! 5 Devo parlare con il concierge. Bisogna che gli dia il mio numero di casa. No, che stupidaggine. Se lasciano un messaggio, magari lo sente Magnus. 6 Okay, allora... Gli do il mio numero del lavoro. Sì. Il problema è che in questo momento non c è nessuno al centro di fisioterapia. Non posso andare lì ad aspettare per ore nell eventualità che qualcuno chiami. Sto cominciando ad andare fuori di testa. Sta andando tutto a rotoli. Come se non bastasse, quando torno di corsa nella hall dell hotel, il concierge è occupato. Il suo banco è circondato da una massa di partecipanti al convegno che parlano di prenotazioni di ristoranti. Cerco di intercettare il suo sguardo, nella speranza che mi faccia passare davanti per una questione di priorità, ma lui fa di tutto per ignorarmi, e io mi sento offesa. È vero che gli ho fatto perdere un bel po di tempo questo pomeriggio, ma è possibile che non capisca in che situazione orribile mi trovo? «Signora.» Il portiere mi ha seguito nella hall con un espressione preoccupata. «Possiamo offrirle qualcosa per alleviare lo shock? Arnold!» Chiama sbrigativamente un cameriere. «Un brandy per la signora, per piacere. Offre la casa. Se parla con il concierge, l aiuterà a chiamare la polizia. Desidera sedersi?» «No, grazie.» Mi sforzo di sorridere. D un tratto mi viene un idea. «Magari dovrei chiamare il mio numero! Telefonare al ladro! Gli potrei chiedere di tornare in cambio di una ricompensa... Che cosa gliene pare? Mi presterebbe il suo cellulare?» Allungo la mano e il portiere fa quasi un salto indietro. «Signora, secondo me sarebbe un gesto davvero sconsiderato» dice in tono severo. «E sono certo che anche la polizia glielo sconsiglierebbe. Dev essere proprio sotto shock. Per cortesia, si sieda e cerchi di rilassarsi.» Non riesco a sedermi, sono troppo agitata. Per tentare di calmarmi i nervi, comincio a girare e rigirare in tondo, con i tacchi che risuonano sul pavimento di marmo. Passo davanti al grosso ficus in vaso... al tavolino con i giornali... a un cestino scintillante... e di nuovo al ficus. È un piccolo, consolante circuito da cui posso tenere costantemente d occhio il concierge, in attesa che si liberi. La hall è ancora brulicante di manager provenienti dal convegno. Attraverso le porte di vetro vedo che il portiere è tornato sui gradini, impegnato a fermare taxi e intascare mance. Vicino a me, un giapponese tarchiato in completo blu circondato da uomini apparentemente europei sbraita in una lingua tipo giapponese furioso, gesticolando all indirizzo di chiunque porti il pass del convegno con il cordoncino rosso intorno al collo. Lui è così basso e gli altri sembrano talmente nervosi che mi viene da sorridere.

10 Il brandy arriva su un vassoio, e io mi fermo un attimo per ingollarlo in un sorso, dopo di che torno al mio monotono circuito. Ficus in vaso... tavolino con i giornali... cestino della spazzatura... ficus in vaso... tavolino con i giornali... cestino della spazzatura... Adesso che mi sono calmata un pochino, comincio a elaborare pensieri omicidi. Quel tipo incappucciato si rende conto di aver devastato la mia vita? Si rende conto di quanto sia essenziale un cellulare? È il furto peggiore che una persona possa subire. Il peggiore. Il mio, per giunta, non era niente di particolare. Era anche bello vecchiotto. Che provi pure, l incappucciato, a scrivere la B in un SMS o a collegarsi a Internet. Spero che lo faccia e non ci riesca. Allora sì che si pentirà. Ficus... giornali... cestino... ficus... giornali... cestino... E mi ha pure fatto male alla spalla. Bastardo. Forse posso chiedergli un risarcimento milionario. Sempre che lo trovino, cioè mai. Ficus... giornali... cestino... Cestino. Aspetta. Che cos è quello? Mi blocco e guardo dentro il cestino, chiedendomi se sia uno scherzo o un allucinazione. È un telefono. Proprio lì, nel cestino. Un cellulare. 1 È specializzato in simbolismo culturale. Dopo il nostro secondo incontro ho dato una scorsa al suo libro, La filosofia del simbolismo, e ho cercato di fargli credere che l avevo letto secoli fa, casualmente, per mio diletto. (Lui, a essere sinceri, non se l è bevuta neanche per un secondo.) Sta di fatto, però, che l ho letto. E la cosa che mi ha colpito di più è questa: è pieno di note a piè di pagina. Mi ci sono appassionata. Sono utili, vero? Ne schiaffi una dove ti pare e fai subito una gran bella figura. Magnus dice che parlano di argomenti marginali rispetto al tema centrale del libro, ma comunque interessanti. Be, questa è la mia nota a piè di pagina sulle note a piè di pagina. 2 In realtà, non lo dico mai. Del resto, neppure Humphrey Bogart ha mai detto: Suonala ancora, Sam. È una leggenda metropolitana. 3 L albergo, naturalmente, non stava andando a fuoco. L allarme era andato in tilt. L ho scoperto dopo, anche se non è stata una gran consolazione. 4 Poirot avrà mai detto: Oh, mio Dio!? Scommetto di sì. O Sacre Bleu!, che poi è la stessa cosa. Questo non basta forse a contraddire la teoria di Antony, visto che è risaputo che nessuno ha mai avuto celluline grigie formidabili come quelle del famoso detective? Un giorno, magari, lo farò notare a Antony. Un giorno in cui mi sentirò particolarmente coraggiosa. (Cioè mai, se per caso ho perso davvero l anello.) 5 Debolezza di pensiero. 6 Mi posso concedere almeno una possibilità di ritrovarlo senza che lui lo sappia, no?

11 2 Sbatto le palpebre un po di volte e guardo di nuovo, ma è ancora lì, seminascosto da un paio di programmi del convegno e da un bicchiere di Starbucks. Che cosa ci fa un cellulare in un cestino della spazzatura? Mi guardo intorno per accertarmi che nessuno mi stia osservando, poi allungo la mano con cautela e lo tiro fuori. Ha qualche goccia di caffè sopra, ma per il resto sembra in perfetto stato. È anche un bel telefono. Un Nokia. Nuovo. Mi volto con circospezione e scruto la hall affollata. Nessuno sta facendo minimamente caso a me. Nessuno mi sta correndo incontro urlando: Ecco dov era il mio telefonino!. Mi aggiro in questa zona della sala da dieci minuti ormai. Chiunque abbia gettato il cellulare nel cestino deve averlo fatto un po di tempo fa. Sul retro c è un adesivo con una scritta piccolissima, White Globe Consulting Group, e un numero. Vuol dire che appartiene al White Globe Consulting Group? Qualcuno l ha buttato via? È rotto? Lo accendo e il display si illumina. Mi sembra in perfetto stato. Una vocina interiore mi dice che dovrei consegnarlo all hotel. Portarlo alla reception e dire: Mi scusi, mi sa che qualcuno ha perso questo telefonino. Proprio così: dovrei andare immediatamente alla reception, come una cittadina civile e responsabile... I miei piedi non si muovono di un millimetro. Le mani stringono protettive il telefono. Il fatto è che ne ho bisogno. Scommetto che il White Globe Consulting Group, qualunque cosa sia, avrà milioni di cellulari. E non è che l abbia trovato per terra o in un bagno, no? Era in un cestino. Gli oggetti gettati lì dentro sono spazzatura. Sono a disposizione di tutti. Sono stati abbandonati. È così che funziona. Guardo di nuovo nel cestino e intravedo un cordoncino rosso identico a quelli che portano al collo i partecipanti alla conferenza. Do una rapida occhiata al concierge per accertarmi che non mi stia osservando, poi allungo la mano e tiro fuori un pass con la fototessera di una ragazza davvero stupenda; sotto la foto c è scritto: Violet Russell, White Globe Consulting Group. Inizio a formulare un ipotesi decisamente solida. Potrei essere Poirot. Questo è il telefono di Violet Russell e l ha gettato via. Mmh... Ci sarà una... ragione. Be, è colpa sua. Non mia. All improvviso il telefono comincia a vibrare e io sobbalzo. Oh, merda! È vivo. La suoneria parte al massimo volume, ed è Single Ladies di Beyoncé. Schiaccio subito il tasto per rifiutare la chiamata, ma un attimo dopo la musica riattacca, potente e inequivocabile. Non ce l ha la regolazione del volume, questo arnese? Un paio di donne vicino a me si sono girate a guardare, e io sono talmente agitata da schiacciare il tasto di risposta anziché rifiutare la chiamata. Le due donne mi stanno ancora fissando, perciò porto il telefono all orecchio e mi giro. «L utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile» dico, cercando di simulare una voce robotica. «La invitiamo a lasciare un messaggio dopo il segnale acustico.» Così me lo tolgo dalle scatole, chiunque sia. «Dove cavolo sei?» Una voce suadente, da uomo raffinato, comincia a parlare, e io per poco non lancio un gridolino di stupore. Ha funzionato! Mi ha preso per una segreteria telefonica! «Ho appena parlato con Scottie. Ha un contatto e pensa di potercela fare. Sarà come un intervento di chirurgia laparoscopica. È un ottimo metodo. Non lasceranno tracce.» Non oso respirare. E neppure grattarmi il naso, che all improvviso mi prude in modo terribile. «Okay» continua l uomo. «Qualunque altra cosa tu intenda fare, fai attenzione, cazzo.» Chiude la chiamata e io fisso il cellulare sbalordita. Non credevo che qualcuno lasciasse veramente dei messaggi. Adesso mi sento un po in colpa. È un messaggio personale in piena regola, e Violet non l ha sentito. Okay, non è colpa mia se ha gettato via il telefono, ma comunque... D impulso, rovisto nella borsetta in cerca di una penna, e l unico pezzo di carta che trovo è un programma teatrale. 7 Scrivo: Scottie ha un contatto, chirurgia laparoscopica, niente tracce, fai attenzione, cazzo. Solo Dio sa a cosa si riferisca. Una liposuzione, forse? In ogni caso, non importa. Ciò che conta è che, se per caso incontro questa Violet, potrò riferirglielo. Prima che il telefono suoni di nuovo, corro dal concierge, che nel frattempo si è miracolosamente liberato. «Salve» dico con il fiatone. «Sono di nuovo io. Qualcuno ha trovato il mio anello?» «Signora, mi permetta di assicurarle» mi risponde lui con un sorriso gelido «che se l avessimo trovato, l avremmo già informata. Abbiamo il suo numero di cellulare.» «No, non è vero!» lo interrompo in tono quasi trionfante. «Questo è il problema! Il numero che vi ho dato adesso è... come dire... morto. Fuori uso. Sì, insomma, più o meno.» Ci mancherebbe solo che il concierge telefonasse all incappucciato e gli parlasse di un anello con uno smeraldo di valore inestimabile. «La prego di non chiamare quel numero. Può usare questo, invece?» Copio attentamente il numero dal retro del cellulare della White Globe Consulting. «Senta, posso fare una prova, per ogni evenienza?» Prendo il telefono dell hotel e compongo il numero. Un attimo dopo Beyoncé riattacca a strepitare. Okay. Finalmente posso rilassarmi un pochino. Ho un numero di telefono.

12 «Signora, ha altro da dirci? Perché siamo molto occupati...» Il concierge sembra piuttosto scocciato, e dietro di me si sta formando la coda. Così lo ringrazio di nuovo e, carica di adrenalina, mi dirigo verso un divano. Ho un telefono e un piano d azione. Ci metto solo cinque minuti a copiare il mio nuovo numero di cellulare su venti foglietti con il logo dell hotel, aggiungendo la scritta in stampatello grande: POPPY WYATT ANELLO DI SMERALDO, CHIAMATEMI, VI PREGO!!!. Mi accorgo irritata che le porte della sala da ballo sono state chiuse a chiave (anche se sono sicura che le inservienti siano ancora dentro, perché le sento), quindi sono costretta a girare per i corridoi, la sala da tè, i bagni delle signore e persino la spa, consegnando il mio numero di cellulare a ogni membro dello staff dell albergo che incontro sulla mia strada e raccontando da capo tutta la storia. Chiamo la polizia per comunicare il mio nuovo recapito telefonico. Mando un SMS a Ruby, di cui ricordo il numero a memoria: Ciao! Mi hanno rubato il telefonino. Questo è il mio nuovo numero. Puoi passarlo a tutti gli altri? Notizie dell anello??? Poi, esausta, mi lascio cadere sul divano. Mi pare di aver trascorso tutta la giornata in questo maledetto albergo. Dovrei chiamare anche Magnus per dargli il nuovo numero, ma non me la sento ancora di parlargli. Ho la strana sensazione che sarebbe in grado di captare l assenza dell anello semplicemente dal tono della mia voce. Di percepire la nudità del mio dito appena gli dico: Ciao. Anello, ti prego, torna indietro. Ti prego, TI PREGO, torna indietro. Mi abbandono contro lo schienale, chiudo gli occhi e cerco di inviare un messaggio telepatico attraverso l etere. Ecco perché quando Beyoncé riattacca a cantare scatto come una molla. Forse ha funzionato! L anello! Qualcuno l ha trovato! Non controllo neppure il display prima di premere il tasto di risposta e dire eccitata: «Pronto?». «Violet?» Una voce maschile mi colpisce il timpano. Non è la stessa di prima, è più profonda. Il tizio sembra di pessimo umore, sempre che davvero lo si possa capire sulla base di tre sole sillabe. 8 Ha pure il respiro affannoso, quindi delle due l una: o è un maniaco, o sta facendo uno sforzo fisico. «Sei nell atrio? Il contingente giapponese è ancora lì?» Mi guardo intorno automaticamente. Ci sono un bel po di giapponesi vicino alle porte. «Sì, sono ancora qui» rispondo «ma io non sono Violet. Questo cellulare non appartiene più a lei. Non è che potrebbe dire in giro che ha cambiato numero?» Devo togliermi dai piedi gli amici di Violet. Non posso rispondere alle loro chiamate ogni cinque secondi. «Ma, un attimo... chi parla?» domanda l uomo. «Perché risponde a questo numero? Dov è Violet?» «Questo telefonino è in mio possesso» ribatto, più sicura di quanto non sia in realtà. Infatti è vero. Possesso vale titolo. 9 «In tuo possesso? Che cavolo...? Oh, maledizione.» Sento altre imprecazioni e un vago rumore di passi. Sembra che stia correndo giù per le scale. 10 «Dimmi solo una cosa, se ne stanno andando?» «I giapponesi?» Do una sbirciata al gruppo. «Mah, forse... Non saprei.» «C è un tizio basso? Sovrappeso? Con i capelli folti?» «Quello con il completo blu? Sì, è proprio davanti a me. Sembra contrariato. Adesso si sta mettendo l impermeabile.» Un collega ha appena passato un Burberry al giapponese tarchiato che se lo infila con sguardo truce, mentre dalla sua bocca continuano a fluire torrenti di rabbiose parole giapponesi e i suoi accompagnatori annuiscono nervosamente. «No!» Il grido dell uomo all altro capo della linea mi coglie di sorpresa. «Non può andarsene.» «Be, invece se ne sta proprio andando, mi dispiace.» «Devi fermarlo. Vai da lui e impediscigli di uscire dall albergo. Vacci subito. Fermalo a qualunque costo.» «Eh?» Rimango a fissare il telefono. «Senti, scusa, ma io non ti ho mai visto in vita mia.» «Neanch io ho mai visto te» ribatte l uomo. «A proposito, chi sei? Un amica di Violet? Mi puoi spiegare esattamente perché ha deciso di abbandonare il suo lavoro nel bel mezzo del convegno più importante dell anno? Crede che all improvviso io non abbia più bisogno di un assistente?» A-ha. Quindi Violet è la sua assistente. I conti tornano. E l ha piantato in asso! Be, c è da capirla, con un capo così prepotente... «Non fa niente.» Si interrompe. «Il problema è che io sono sulle scale, al nono piano, e l ascensore è bloccato. Sarò al piano terra in meno di tre minuti, e tu devi trattenere Yuichi Yamasaki fino al mio arrivo. Chiunque tu sia.» Che faccia tosta.

13 «Perché sennò?» ribatto. «Sennò un anno di delicate trattative va a rotoli, e solo per uno stupido equivoco. L accordo più importante dell anno va a farsi benedire. Un team di venti persone perde il lavoro.» Parla con voce implacabile. «Senior manager, segretarie, tutto il team. Solo perché non riesco a scendere abbastanza in fretta e una persona non vuole collaborare, anche se potrebbe farlo.» Oh, porca miseria. «E va bene!» dico, furente. «Farò quel che posso. Com è che si chiama quel tizio?» «Yamasaki.» «Mi scusi!» grido, attraversando la hall di corsa. «Mi scusi, signor Yamasaki... Potrebbe fermarsi un attimo?» Il signor Yamasaki si gira con un espressione interrogativa, e un paio di suoi portaborse si fanno avanti, affiancandolo protettivi. Ha una faccia larga, ancora deformata dall ira, e un grosso collo taurino avvolto da una sciarpa di seta. Ho la vaga sensazione che non sia il tipo da dilungarsi in chiacchiere amene. Non so proprio che cosa dirgli. Non parlo giapponese, non so niente dell economia e della cultura nipponica, a parte il sushi. Ma non è che posso andare da lui e dire: Sushi!, così, di punto in bianco. Sarebbe come andare da un importante uomo d affari americano e dirgli: Bistecca con l osso!. «Sono una sua grandissima ammiratrice!» esordisco, improvvisando. «Del suo lavoro. Posso avere un autografo?» Sembra perplesso, e un collega gli bisbiglia una traduzione nell orecchio. Subito distende la fronte e mi fa un inchino. Ricambio con cautela la riverenza e lui schiocca le dita, impartendo un ordine secco. Un attimo dopo gli viene aperto davanti uno splendido portablocco di pelle e lui ci scrive sopra qualcosa di elaborato in giapponese. «È ancora lì?» D un tratto la voce dello sconosciuto salta fuori dal telefonino. «Sì» mormoro. «Ancora per poco. A che punto sei?» Sfodero un sorriso smagliante all indirizzo del signor Yamasaki. «Quinto piano. Trattienilo. A tutti i costi.» Il signor Yamasaki mi porge il foglio, mette il cappuccio alla penna, si inchina di nuovo e fa per andarsene. «Aspetti!» grido disperatamente. «Le posso... mostrare una cosa?» «Il signor Yamasaki è molto impegnato.» Uno dei suoi colleghi, con un paio di occhiali con la montatura d acciaio e la camicia più bianca che abbia mai visto in vita mia, si gira verso di me. «Contatti cortesemente il nostro ufficio.» Si stanno allontanando di nuovo. Cosa faccio? Non posso mica chiedergli un altro autografo. Non posso placcarlo come un giocatore di rugby. Devo riuscire ad attirare la sua attenzione... «Ho un annuncio speciale da fargli!» grido, correndogli dietro. «Devo recapitargli un telegramma cantato! È un messaggio da parte dei numerosi ammiratori del signor Yamasaki. Non ascoltarmi sarebbe una grave scortesia nei loro confronti.» A quanto pare, la parola scortesia li ha immobilizzati. Si stanno scambiando sguardi accigliati e confusi. «Un telegramma cantato?» chiede sospettoso l uomo con gli occhiali d acciaio. «Ha presente il gorillagramma?» butto là. Non sono sicura di aver chiarito granché. L interprete sta parlando a raffica nell orecchio del signor Yamasaki, e un attimo dopo mi dice in tono perentorio: «Prego». Il signor Yamasaki si volta, seguito a ruota da tutti i suoi colleghi che si schierano in fila con le braccia incrociate sul petto, in attesa. Alcuni fra gli uomini e le donne d affari sparsi a gruppi nell atrio dell albergo si girano, interessati. «Dove sei?» mormoro disperatamente nel telefono. «Terzo piano» dice la voce maschile un attimo dopo. «Mezzo minuto. Non lasciarlo andare.» «Cominci pure» dice seccamente l uomo con gli occhiali d acciaio. Altri ospiti dell hotel si sono voltati a guardare. Oddio. Come ho fatto a cacciarmi in questo guaio? Primo, non so cantare. Secondo, che cosa canto a un uomo d affari giapponese che non ho mai visto in vita mia? Terzo, perché mi è venuta l idea del telegramma cantato? Ma se non mi do una mossa, venti persone potrebbero perdere il lavoro. Faccio un profondo inchino, tanto per guadagnare un po di tempo, e tutti i giapponesi ricambiano.

14 «Cominci» ripete l uomo con gli occhiali d acciaio, con una scintilla minacciosa nello sguardo. Inspiro a fondo. Su, forza, non importa quel che faccio. Devo tenere duro soltanto per un altro mezzo minuto, poi posso darmela a gambe, e questa gente non mi rivedrà mai più. «Signor Yamasaki...» inizio un po titubante, intonando la melodia di Single Ladies. «Signor Yamasaki, Yamasaki, Yamasaki...» Agito i fianchi e le spalle come Beyoncé. 11 «Signor Yamasaki, Yamasaki, Yamasaki...» A dire il vero, è abbastanza facile. Non ho bisogno di un testo, basta che continui a ripetere Signor Yamasaki. Pochi istanti dopo, alcuni giapponesi si mettono a cantare con me, dando delle pacche sulla spalla a Yamasaki. «Signor Yamasaki, Yamasaki, Yamasaki!» Lo indico con il dito e gli strizzo l occhio. «Ooh, ooh, ooh... ooh-ooh-ooh...» È ridicolo com è contagiosa questa canzone. Adesso stanno cantando tutti i giapponesi, a parte lo stesso Yamasaki, che se ne sta lì fermo con aria gongolante. Alcuni partecipanti al convegno si sono uniti al coro e sento uno di loro che dice: «Che cos è? Una specie di flash mob?». «Signor Yamasaki, Yamasaki, Yamasaki... Dove sei?» mormoro nel telefonino senza smettere di sorridere radiosa. «Sto assistendo.» «Eh?» Alzo la testa di scatto e mi guardo intorno nella hall. I miei occhi si fermano di colpo su un tizio in disparte rispetto agli altri, a una ventina di metri da me. Ha un completo scuro, folti capelli neri arruffati e il cellulare premuto contro l orecchio. Persino a questa distanza vedo che sta ridendo. «Da quant è che sei qui?» domando furente. «Sono appena arrivato. Non volevo interromperti. A proposito, complimenti» aggiunge. «Mi sa che hai definitivamente conquistato Yamasaki alla nostra causa.» «Grazie» rispondo sarcastica. «Sono felice di aver contribuito. Adesso è tutto tuo.» Faccio un inchino plateale a Yamasaki, poi giro sui tacchi e mi fiondo verso l uscita, ignorando le grida di disappunto dei giapponesi. Ho cose ben più importanti a cui pensare che a un manipolo di spocchiosi sconosciuti e ai loro stupidi affari. «Aspetta!» La voce dell uomo mi segue attraverso il ricevitore. «Il cellulare... è della mia assistente.» «Be, allora non avrebbe dovuto gettarlo via» ribatto io, aprendo la porta di vetro. «Chi lo trova, se lo tiene.» Da Knightsbridge alla casa dei genitori di Magnus nella zona nord di Londra ci sono dodici fermate, e appena riemergo in superficie controllo il telefono. È pieno di nuovi messaggi, una decina di SMS e venti mail, ma solo cinque SMS sono per me e nessuno contiene notizie sull anello. Uno è della polizia: lo apro con il cuore palpitante di speranza, ma è solo la conferma della mia denuncia. Mi si chiede anche se desidero ricevere la visita di un agente del servizio di sostegno alle vittime di reati. Gli altri sono SMS e mail per Violet. Mentre li faccio scorrere, noto che in buona parte dei messaggi compare il nome di un certo Sam. Tornando a indossare i panni di Poirot, controllo il registro delle chiamate e, come volevasi dimostrare, l ultima proviene da Sam cellulare. Quindi è lui. Il capo di Violet, il tizio con i capelli scuri arruffati. Lo conferma anche l indirizzo di posta elettronica di Violet: samroxtonpa@whiteglobeconsulting.com. Così, per pura curiosità, apro una delle mail. Proviene da jennasmith@grantlyassetmanagement.com e l oggetto è: Re: Cena?. Grazie, Violet. La pregherei di non farne parola con Sam. Adesso sono un po in imbarazzo! Oh. Chissà perché è in imbarazzo? Prima di riuscire a trattenermi, ho già cliccato sulla mail precedente, inviata ieri. Jenna, veramente devo dirle una cosa: Sam è fidanzato. Saluti, Violet È fidanzato. Interessante. Mentre rileggo il testo, ho una piccola, strana reazione che non riesco bene a definire: sono sorpresa, forse? Ma perché dovrei esserlo? Non lo conosco nemmeno, quel tizio. Bene, adesso devo sapere tutto. Perché Jenna è imbarazzata? Che cos è successo? Guardo fra le mail più vecchie e, dopo qualche altro scambio di messaggi, trovo finalmente una lunga mail introduttiva di Jenna, che a quanto pare ha conosciuto questo Sam Roxton a un incontro d affari, ha perso la testa per lui e due settimane fa lo ha invitato a cena, ma lui non ha risposto alle sue chiamate.... ho provato di nuovo ieri... forse ho sbagliato numero... mi hanno detto che è famoso per questo genere di cose e che il modo migliore per arrivare a lui è contattare la sua assistente... mi spiace disturbarla... mi faccia sapere, eventualmente, se c è un altro modo... Povera donna. Mi sento indignata a nome suo. Perché non le ha risposto? Che cosa costa mandare una breve mail solo per dire: No, grazie? E alla fine salta fuori che è persino fidanzato, santo cielo. Be, non fa niente... All improvviso mi rendo conto che sto ficcando il naso nella posta elettronica di un altra persona mentre avrei un sacco di cose ben più importanti di cui occuparmi. Le priorità, Poppy. Devo comprare del vino per i genitori di Magnus, e un biglietto su cui scrivere: Bentornati a casa!. E, se non riuscirò a trovare l anello nei prossimi venti minuti... un paio di guanti.

15 Disastro. Disastro. Ho scoperto che non si vendono guanti in aprile. Gli unici che ho trovato erano nello stanzino sul retro di Accessorize. Erano in un vecchio stock natalizio, disponibili solo nella misura small. Non ci posso credere: sto veramente pensando di presentarmi dai miei futuri suoceri sfoggiando un paio di minuscoli guanti di lana rossi con tanto di renna. E frangette. Ma non ho scelta: o con quelli, o a mani nude. Mentre mi appresto a salire la collina che porta a casa loro, comincio a sentirmi male sul serio. Non è solo per l anello. È l idea terrificante di incontrare di nuovo i miei futuri suoceri. Giro l angolo: le finestre della casa sono tutte illuminate. Sono tornati. Mai in vita mia ho visto una casa tanto simile alla famiglia che ci vive quanto quella dei Tavish. È la più antica e maestosa della via e guarda tutte le altre dall alto della sua posizione sopraelevata. In giardino ci sono tassi e un pino del Paraná. I muri sono ricoperti di edera e le finestre hanno ancora gli infissi originali di legno del Le pareti all interno sono rivestite di tappezzerie di William Morris risalenti agli anni Sessanta, e sul pavimento di legno ci sono ovunque tappeti turchi. Solo che in realtà non si vedono, perché sono ricoperti in gran parte di vecchi documenti e manoscritti che nessuno si preoccupa mai di raccogliere. I Tavish non sono molto bravi a tenere la casa in ordine. Una volta ho trovato un uovo alla coque fossilizzato nel letto di una stanza degli ospiti, ancora nel suo portauovo e con la sua brava fetta rinsecchita di pane tostato. Doveva essere lì da almeno un anno. E la casa è piena di libri. Ammassati su scaffali in tre file, impilati a terra e sui bordi di ogni vasca da bagno macchiata di calcare. Antony scrive libri, Wanda scrive libri, Magnus scrive libri e suo fratello maggiore Conrad scrive libri. Persino la moglie di quest ultimo, Margot, scrive libri. 12 Che è una gran bella cosa. Insomma, è meraviglioso che ci siano così tanti intellettuali di genio in una sola famiglia. Solo che ti fa sentire un tantino, appena un pochino, inadeguata. Non fraintendetemi, io mi ritengo una donna piuttosto intelligente. Voglio dire, per essere una persona normale che è andata a scuola e all università e si è trovata un lavoro e via dicendo. Loro, però, non sono persone normali, appartengono a una categoria diversa. Sono dei supercervelloni. Sono la versione accademica degli Incredibili. 13 Ho incontrato poche volte i genitori di Magnus quando erano di passaggio a Londra perché Antony doveva sempre tenere una qualche importante conferenza, ma mi è bastato per capire tutto. Mentre Antony era impegnato con la sua lezione di teoria politica, Wanda presentava uno scritto sull ebraismo femminista presso un istituto di ricerca, dopo di che hanno partecipato insieme al Culture Show, assumendo posizioni opposte su un documentario che parlava dell influenza del Rinascimento. 14 Questo, insomma, è stato lo scenario del nostro incontro. Nessuna pressione né altro. Nel corso degli anni sono stata presentata a un bel po di genitori di fidanzati, ma l esperienza con i Tavish è stata di gran lunga la peggiore. Ci eravamo appena stretti la mano, scambiando qualche parola di circostanza, e io stavo dicendo con orgoglio a Wanda dove avevo studiato, quando Antony ha alzato lo sguardo dalle sue lenti a mezzaluna e, puntandomi addosso i suoi occhi luminosi e freddi, ha detto: Una laurea in fisioterapia. Molto divertente. Mi ha annientato all istante. Sono rimasta senza parole. Ero talmente agitata che ho dovuto lasciare la stanza per andare in bagno. 15 Quell episodio, naturalmente, mi ha raggelato. Sono stati tre giorni tristissimi. Più la conversazione diventava intellettuale, più io ammutolivo e mi imbarazzavo. Il secondo momento più brutto: quando ho pronunciato Proust nel modo sbagliato e tutti si sono scambiati occhiate eloquenti. 16 Il momento peggiore in assoluto: quando abbiamo guardato tutti insieme alla televisione University Challenge in salotto, e hanno cominciato a fare domande sulle ossa. Erano il mio punto di forza! Le ho studiate benissimo! Conosco i nomi latini e tutto il resto! Ma non ho fatto in tempo ad aprire bocca per rispondere alla prima domanda che Antony mi aveva già preceduto. La volta dopo sono stata più veloce, ma lui mi ha battuto comunque. È stata una specie di gara, e ne sono uscita sconfitta. Alla fine mi ha guardato chiedendomi: Ma non insegnano anatomia alla scuola di fisioterapia, Poppy? e io sono rimasta mortificata. Magnus dice che lui ama me, non il mio cervello, e mi invita a ignorare i suoi genitori. E Natasha mi ha detto di concentrarmi sull anello, sulla casa di Hampstead e sulla villa in Toscana. È fatta così, la mia amica Natasha. La mia soluzione, invece, è stata quella di non pensare mai a loro, punto e basta. Finora ha funzionato. Erano a Chicago, a migliaia di chilometri di distanza. Ora però sono tornati. Oddio! Ho ancora dei dubbi sulla pronuncia di Proust (Pruust? Prost?). E non ho ripassato i nomi latini delle ossa. E ho addosso un paio di guanti con le renne sopra in aprile. Con tanto di frangette. Mi tremano le mani mentre suono il campanello. Mi tremano sul serio. Mi sembra di essere lo spaventapasseri del Mago di Oz. Sto per crollare a terra, e Wanda mi incenerirà appena saprà che ho perso l anello. Calmati, Poppy. Va tutto bene. Nessuno avrà il minimo sospetto. La scusa è che mi sono bruciata la mano. Ecco la mia scusa. «Ciao, Poppy!» «Ah, Felix! Ciao!» Sono talmente contenta che sia venuto lui ad aprire che il saluto mi esce come un debole rantolo. Felix è il più piccolo della famiglia: ha solo diciassette anni e va ancora a scuola. Per questo, mentre i suoi genitori erano via, io e Magnus abbiamo abitato insieme a lui in quella casa, come delle specie di baby-sitter. Non che ne abbia bisogno. È un ragazzo totalmente indipendente, legge dalla mattina alla sera e non ti accorgi neppure che è in casa. Una volta ho cercato di fargli un amichevole discorsetto sulla droga. Mi ha

16 corretto cortesemente su ogni punto e ha detto di aver notato che bevevo Red Bull al di là della quantità consigliata, domandandomi se non pensassi di aver sviluppato una dipendenza. È stata l ultima volta che ho provato a calarmi nei panni della sorella maggiore. Be... Adesso che Antony e Wanda sono tornati dagli Stati Uniti è tutto finito. Abito di nuovo nel mio appartamento e abbiamo cominciato a cercare una casa in affitto. Magnus voleva a tutti i costi rimanere dai suoi. Secondo lui avremmo potuto continuare a occupare la stanza degli ospiti e il bagno all ultimo piano. Sarebbe stato comodo, no? Così avrebbe potuto consultare in ogni momento la biblioteca di suo padre. È fuori di testa? Io non vivrò mai sotto lo stesso tetto dei Tavish. Seguo Felix in cucina, dove Magnus, comodamente adagiato su una sedia, indica la pagina di un dattiloscritto e dice: «Per me, la tua argomentazione qui non regge. Secondo paragrafo». In qualunque modo si sieda, qualsiasi cosa faccia, riesce sempre a essere elegante. Ha le scarpe fatte a mano appoggiate su una sedia, una sigaretta fumata a metà fra le dita 17 e i capelli fulvi che gli ricadono sulla fronte a mo di cascata. I Tavish sono tutti dello stesso colore, come una famiglia di volpi. Persino Wanda si tinge con l henné. Magnus, però, è il più bello di tutti, e non lo dico solo perché sto per sposarlo. Anche se ha la pelle coperta di lentiggini, si abbronza facilmente, e la sua capigliatura rosso scuro sembra uscita dalla pubblicità di un prodotto per capelli. Ecco perché li tiene lunghi. 18 In effetti, è piuttosto vanitoso, quando si tratta dei suoi capelli. Inoltre, pur essendo un accademico, non è il classico tipo che ha fatto la muffa a furia di starsene tutto il giorno al chiuso a leggere libri. Scia benissimo, e insegnerà a sciare anche a me. Anzi, proprio per questo ci siamo conosciuti. Si era slogato il polso sciando ed era venuto a fare qualche seduta di fisioterapia, dopo che il suo medico gliel aveva consigliato. Aveva un appuntamento con Annalise, ma lei aveva rinunciato per ricevere uno dei suoi pazienti abituali, e lui alla fine era venuto da me. La settimana successiva mi ha chiesto di uscire con lui e un mese dopo mi ha fatto la proposta di matrimonio. Un mese! 19 Magnus alza lo sguardo e si illumina in viso. «Amore! Come sta la mia splendida ragazza? Vieni qui.» Mi fa segno di avvicinarmi per un bacio, poi mi prende il viso fra le mani, come fa sempre. «Ciao!» Mi sforzo di sorridere. «Allora, i tuoi genitori sono tornati? Come è andato il viaggio? Non vedo l ora di incontrarli.» Faccio del mio meglio per assumere un tono entusiasta, anche se le mie gambe vogliono solo fuggire, uscire dalla porta e scendere di corsa giù da quella collina. «Ma non hai ricevuto il mio SMS?» Magnus sembra perplesso. «Quale SMS? Ah.» D un tratto mi torna tutto in mente. «Per forza, ho perso il cellulare. Ho un numero nuovo, adesso te lo do.» «Hai perso il cellulare?» Magnus mi fissa. «Che cosa è successo?» «Niente!» rispondo allegramente. «L ho perso e basta e me ne sono dovuta procurare uno nuovo. Niente di che, non è una tragedia.» Ho deciso che per il momento meno gli dico, meglio è. Non voglio mettermi a discutere su come mai mi sia attaccata disperatamente a un telefono qualsiasi trovato nell immondizia. «Be, che cosa mi dicevi nel messaggio?» mi affretto a chiedergli, cercando di cambiare discorso. «Il volo dei miei genitori è stato deviato. Sono atterrati a Manchester. Non saranno qui prima di domani.» Deviato? Manchester? Oh, mio Dio. Sono salva! Ho avuto un differimento della pena! Le mie gambe non riescono a stare ferme. Vorrei cantare l Alleluja! Ma-an-chester! Ma-an-chester! «Dio, che cosa terribile.» Mi sforzo di fare una smorfia di delusione. «Poverini. Manchester. È a un bel po di chilometri di distanza! Non vedevo davvero l ora di incontrarli, che peccato.» Credo di apparire abbastanza convincente. Felix mi guarda con un aria strana, ma Magnus si è già riseduto e ha ripreso in mano il dattiloscritto. Non ha fatto commenti sui miei guanti. Neppure Felix. Forse posso rilassarmi un secondo. «Allora... ragazzi.» Do una rapida occhiata alla stanza. «Come la mettiamo con la cucina?» Magnus e Felix avevano detto che avrebbero fatto le pulizie nel pomeriggio, ma sembra di essere in un campo di battaglia. Il tavolo è coperto di scatole di cibo d asporto, e ci sono libri impilati sulla piastra di cottura e persino in una pentola. «I vostri genitori tornano domani. Non sarebbe il caso di darsi una mossa?» Magnus rimane imperturbabile. «Non ci baderanno.» È facile dirlo per lui. Ma sono io la nuora (quasi) che ha abitato qui, e daranno la colpa a me.

17 Magnus e Felix si mettono a discutere di certe note a piè di pagina 20 e io, allora, mi avvicino ai fornelli e comincio a riordinare in fretta. Non oso togliermi i guanti, ma per fortuna i ragazzi non mi degnano di uno sguardo. Almeno so che le altre parti della casa sono a posto. Ieri ho fatto un controllo generale, ho sostituito i vecchi, schifosissimi flaconi di bagnoschiuma e ho comprato delle tende nuove per il bagno. Non solo, ho recuperato un mazzetto di anemoni da mettere nello studio di Wanda. Lo sanno tutti che adora quei fiori. Ha persino scritto un articolo sugli anemoni nella letteratura. (È tipico di questa famiglia: una cosa non può semplicemente piacerti. No, devi per forza diventare il più grande esperto accademico in materia.) Quando finisco il mio lavoro, Magnus e Felix sono ancora assorti nella loro discussione. La casa è in ordine. Nessuno mi ha fatto domande sull anello. Me ne vado finché sono in tempo. «Be, allora torno a casa» dico con noncuranza e bacio Magnus sulla testa. «Rimani pure qui a tenere compagnia a Felix. Salutami i tuoi genitori.» «Resta qui a dormire!» Magnus mi trattiene afferrandomi per la vita. «Avranno voglia di vederti!» «No, salutali tu da parte mia. Mi farò viva domani.» Sfodero un sorriso radioso perché non si noti troppo che sto indietreggiando lentamente verso la porta, con le mani dietro la schiena. «C è tutto il tempo.» «Be, non posso certo biasimarti» dice Felix, alzando lo sguardo per la prima volta da quando mi ha fatto entrare in casa. «Come, scusa?» dico, leggermente perplessa. «Non puoi biasimarmi per che cosa?» «Per non aver voglia di restare.» Alza le spalle. «Penso che tu abbia dato prova di grande ottimismo, vista la loro reazione. Sono settimane che volevo dirtelo. Sei proprio una brava persona, Poppy.» Di cosa sta parlando? «Non saprei... in che senso?» Guardo Magnus in cerca di aiuto. «No, niente» dice lui, un po troppo in fretta. Felix però sta fissando il fratello maggiore, e una luce comincia a balenargli negli occhi. «Oddio, non gliel hai detto?» «Felix, sta zitto.» «Non gliel hai detto, vero? Non è esattamente corretto da parte tua, Mag.» «Che cosa non mi hai detto?» Continuo a fare avanti e indietro con lo sguardo da una faccia all altra. «Che cosa?» «Non è nulla.» Magnus ha un tono irritato. «È solo che...» Alla fine mi guarda. «Okay. I miei genitori non hanno fatto esattamente i salti di gioia quando hanno saputo che ci eravamo fidanzati. Tutto qui.» Per un attimo non so come reagire. Rimango a fissarlo interdetta, cercando di elaborare quel che ho appena sentito. «Ma tu mi avevi detto...» Non riesco quasi a parlare. «Mi avevi detto che erano contentissimi! Entusiasti!» «Lo saranno» dice seccamente. «Quando torneranno in sé.» Lo saranno? Tutto il mio mondo vacilla. Era già abbastanza brutto pensare che i genitori di Magnus fossero due geni che intimidivano la gente. E invece? Sono addirittura contrari al nostro matrimonio? «Non ti avevano detto che non potevano immaginare una nuora più dolce e incantevole di me?» Sto tremando tutta. «Che mi mandavano un saluto speciale da Chicago? Erano tutte bugie?» «Non volevo che ti arrabbiassi!» Magnus fulmina Felix con lo sguardo. «Ascolta, non è niente di che. Si ricrederanno. Semplicemente, pensano che abbiamo corso un po troppo... Non ti conoscono bene... Sono due idioti» conclude imbronciato. «Gliel ho anche detto.» «Hai litigato con i tuoi genitori?» Lo fisso sconvolta. «Perché non mi hai detto niente?» «Non è stato un litigio vero e proprio» dice, sulla difensiva. «È stata più che altro una divergenza.» Una divergenza? Una divergenza? «Una divergenza è peggio di un litigio!» mi lamento orripilata. «È mille volte peggio! Oddio, avrei preferito che me lo dicessi... Adesso che cosa faccio? Come li affronto?» Lo sapevo. I professori non mi giudicano all altezza. Sono come quella ragazza dell opera che lascia il suo amante perché si sente inadeguata e poi si prende la tubercolosi e muore, ed è meglio così, perché è stupida e inferiore. Probabilmente, neppure lei sapeva pronunciare Proust nel modo giusto. «Calmati, Poppy!» dice Magnus irritato. Si alza in piedi e mi afferra saldamente per le spalle. «È proprio per questo che non te l ho detto. Sono stupidaggini familiari che non c entrano niente con noi. Io ti amo. Noi ci sposiamo. Io vado fino in fondo, checché ne dicano gli altri, genitori,

18 amici... chiunque. Questa è una cosa che riguarda noi e basta.» Parla con voce così ferma che comincio a rilassarmi. «In ogni caso, appena trascorreranno un po più di tempo insieme a te, si ricrederanno. Ne sono certo.» Non posso fare a meno di sorridere mio malgrado. «Sei la mia meravigliosa ragazza.» Magnus mi abbraccia forte, e io mi aggrappo a lui, cercando di credergli con tutte le mie forze. Mentre si ritrae, lo sguardo gli cade sulle mie mani e mi osserva perplesso. «Amore... perché porti i guanti?» Sono sull orlo di una crisi di nervi. Non sto scherzando. Per poco non è saltato fuori tutto il disastro dell anello. Anzi, sarebbe successo di sicuro, se non fosse stato per Felix. Stavo raccontando la mia scusa ridicola e inconsistente della mano bruciata, con la paura che Magnus potesse insospettirsi, quando Felix ha sbadigliato e ha detto: Andiamo al pub?. Magnus si è ricordato all improvviso di dover mandare una mail e tutti si sono dimenticati dei miei guanti. Io ho approfittato dell occasione per filarmela. A gambe levate. Sono seduta sull autobus, lo sguardo perso nel buio della notte, e sento un gran freddo dentro. Ho perso l anello. I Tavish non vogliono che sposi Magnus. Il mio cellulare è sparito. Mi sento come se mi avessero tolto tutte le mie certezze. Il telefono nella mia tasca riattacca con Beyoncé. Lo prendo senza farmi troppe illusioni. Ovviamente, non è un amica che chiama per dirmi: L ho trovato!, e neppure la polizia né il concierge. È lui. Sam Roxton. «Sei sparita di corsa» mi dice senza preamboli. «Ho bisogno di quel telefono. Dove sei?» Che stile. Neppure un Grazie infinite per avermi aiutato a firmare l accordo d affari con il giapponese. «Non c è di che» replico. «Sempre a disposizione.» «Ah.» Per un attimo sembra confuso. «Già, grazie. Ti devo un favore. Allora, come pensi di fare per restituirmi il cellulare? Potresti lasciarmelo in ufficio, o magari ti mando un corriere. Dove sei?» Taccio. Non ho alcuna intenzione di riportarglielo. Ho bisogno di questo numero. «Pronto?» «Sì, sono qui.» Stringo la presa sul cellulare e deglutisco. «Il fatto è che mi serve. Lo tengo solo per un po, in prestito.» «Oh, maledizione.» Lo sento sospirare. «Ascolta, temo sia una cosa che non si può prestare. Appartiene all azienda, e io ne ho bisogno. O forse per te prendere in prestito significa rubare? Perché, credimi, posso rintracciarti e non ho intenzione di darti cento sterline per il disturbo.» Ah, è questo che pensa? Che io stia cercando di spillargli del denaro? Che sia una specie di ladra di telefonini? «Non voglio rubarlo!» esclamo indignata. «Ne ho bisogno solo per qualche giorno. Ho dato il numero a tutti, ed è veramente un emergenza...» «Hai fatto cosa?» sembra sbalordito. «E perché mai?» «Ho perso il mio anello di fidanzamento.» Quasi non ce la faccio a dirlo ad alta voce. «È un gioiello antico e di grande valore. Poi mi hanno rubato il cellulare e io ero disperata. Sono passata davanti a un cestino e ho visto il cellulare. Nella spazzatura» aggiungo, rimarcando bene il concetto. «La tua assistente l ha buttato via. Gli oggetti che finiscono nell immondizia appartengono a tutti. Chiunque può reclamarne il possesso.» «Stronzate» ribatte lui. «Chi l ha detto?» «È una cosa... risaputa» rispondo cercando di darmi un tono. «In ogni caso, perché la tua assistente se n è andata gettando via il telefonino? Non dev essere un granché come assistente, lasciamelo dire.» «No, infatti. Non è esattamente un assistente, ma più che altro la figlia di un amico che non avremmo mai dovuto assumere. Lavorava per me da tre settimane. Pare che oggi a mezzogiorno abbia ottenuto un ingaggio come modella, e un minuto dopo se n è andata. Non si è neanche preoccupata di avvertirmi.» Sembra parecchio arrabbiato. «Senti, signorina... come ti chiami?» «Wyatt. Poppy Wyatt.» «Okay, Poppy, adesso lasciamo perdere gli scherzi. Mi spiace per il tuo anello e ti auguro di ritrovarlo, ma questo cellulare non è un giochino che puoi tenerti per motivi tuoi. È un telefono aziendale su cui arrivano in continuazione messaggi e mail di lavoro. Roba importante. La mia assistente gestisce tutta la mia vita. Ho bisogno di quei messaggi.» «Te li inoltro» gli propongo in fretta. «Ti inoltro tutto. Che cosa ne dici?» «Ma che cavolo...?» Borbotta qualcosa fra sé e sé. «Okay, hai vinto tu. Ti regalo un cellulare nuovo. Dammi il tuo indirizzo. Te lo mando con un fattorino in bicicletta.» «Mi serve questo qui» dico testarda. «Mi serve questo numero.»

19 «Oh, insomma...» «Può funzionare!» Le parole mi escono a raffica. «Appena mi arriva qualcosa te lo giro immediatamente. Non cambierà niente! Cioè, per te è uguale, no? Se hai perso l assistente, a che cosa ti serve il suo telefonino? Anzi, così è meglio. E poi mi devi un favore per aver fermato il signor Yamasaki» non posso fare a meno di ricordargli. «L hai detto tu stesso.» «Non intendevo questo, e lo sai benissimo...» «Ti arriverà tutto, te lo prometto!» lo interrompo. «Ti inoltro ogni singolo messaggio. Guarda, adesso ti faccio vedere, dammi solo due secondi...» Chiudo la chiamata, faccio scorrere tutti i messaggi arrivati da stamattina e li mando subito a uno a uno al numero di cellulare di Sam. Le mie dita si muovono fulminee. SMS di Vicks Myers : inoltrato. SMS di Sir Nicholas Murray : inoltrato. Ci vogliono soltanto pochi secondi a inoltrarli tutti. E le mail possono essere girate all indirizzo samroxton@whiteglobeconsulting.com. Mail di HR Department : inoltrata. Mail di Tania Phelps : inoltrata. Mail di Papà... Esito un attimo. Con questo devo andarci cauta. È il padre di Violet o di Sam? L indirizzo del mittente della mail è davidr452@hotmail.com, e questo non risolve la questione. Con la scusa che è per una buona causa, apro la mail per darle una scorsa. Caro Sam, è un bel po che non ci sentiamo. Ti penso spesso e mi domando che cosa tu stia facendo. Un giorno o l altro mi piacerebbe scambiare quattro chiacchiere con te. Non hai sentito i messaggi che ti ho lasciato sulla segreteria? Non importa. So che sei un ragazzo molto impegnato. Se per caso ti capita di passare da queste parti, sai che puoi sempre fare un salto qui a casa. Avrei una cosetta da dirti molto bella, per giunta ma, come dicevo, non c è fretta. Con affetto, Papà Quando finisco di leggere, sono un po scioccata. So che quest uomo è un perfetto sconosciuto e che non sono affari miei, ma... Voglio dire... Sarebbe il caso di rispondere ai messaggi di un genitore. Che cosa costa trovare una mezz oretta per scambiare due parole? Suo padre, poi, sembra un uomo così dolce e mite. Povero vecchio, costretto a mandare una mail all assistente di suo figlio. Avrei voglia di rispondergli io. Di andarlo a trovare nella sua casetta. 21 Be, comunque. Non è la mia vita. Premo il tasto inoltra e la mail se ne va insieme a tutte le altre. Un attimo dopo, Beyoncé riattacca a cantare: è di nuovo Sam. «L SMS di Sir Nicholas Murray quando è arrivato esattamente?» domanda di punto in bianco. «Mmh...» Controllo sul telefonino. «Circa quattro ore fa.» Le prime parole del testo compaiono sullo schermo, quindi non c è niente di male se lo apro, no? Oltretutto, non è che sia così interessante. Violet, per cortesia di a Sam di chiamarmi. Ha il telefono spento. Un caro saluto, Nicholas «Merda. Merda.» Sam rimane in silenzio per un attimo. «Okay, se ti scrive di nuovo avvisami subito, d accordo? Telefonami.» Apro la bocca automaticamente per dire: E a tuo padre? Perché a lui non telefoni mai?, poi la chiudo di nuovo. No, Poppy. Pessima idea. «Ah, prima qualcuno ha lasciato un messaggio in segreteria» ricordo all improvviso. «Parlava di una liposuzione o qualcosa di simile, credo. Non era per te?» «Liposuzione?» ripete incredulo. «Che io sappia, no.» Può evitare di essere così sarcastico. Era solo una domanda. Il messaggio doveva essere per Violet, anche se è improbabile che abbia bisogno di una liposuzione, se è andata a fare la modella. «Allora... siamo d accordo? Affare fatto?» Per un attimo non risponde: me lo vedo mentre fissa irritato il suo cellulare. Non mi pare propriamente entusiasta della mia proposta, ma che alternative ha? «Farò girare la posta indirizzata alla mia assistente sulla mia casella» dice rabbiosamente, quasi tra sé. «Parlerò con i tecnici domani. Gli SMS continueranno ad arrivare a te, però. Se non me li mandi tutti...» «No, non succederà! Ascolta, so che per te non è il massimo» dico, cercando di ammansirlo «e mi dispiace molto. Ma sono veramente disperata. Tutto lo staff dell albergo ha questo numero... tutte le inservienti... è l ultima speranza che mi rimane. Solo per qualche giorno. E ti prometto che ti girerò ogni singolo messaggio. Parola di Brownie.» «Brownie cosa?» Pare confuso.

20 «È un giuramento! Hai presente le Brownie Guides? Tipo gli scout... Alzi una mano, fai il segno e giuri... Aspetta, ti faccio vedere...» Chiudo la chiamata. Sull autobus davanti a me c è uno specchio lercio. Mi metto in posa sollevando il telefonino con una mano e facendo il segno delle Brownies con l altra, poi sfodero il mio migliore sorriso della serie non sono fuori di testa. Scatto una foto e la mando a Sam. Cinque secondi dopo arriva un messaggio. Potrei mandarla alla polizia e farti arrestare. Oh, adesso sì che mi sento un po risollevata. Ha detto: Potrei. Significa che non lo farà. Molto gentile, davvero! Grazie :) :) :) gli scrivo. Ma non ricevo risposta. 7 Il Re Leone. Natasha aveva i biglietti gratis. Credevo che fosse un noioso spettacolo per bambini, e invece è stato fantastico. 8 Secondo me sì. 9 Non ho mai saputo che cosa significhi di preciso questa espressione. 10 Allora forse non è un maniaco. 11 Okay, non proprio come Beyoncé. Come me che imito Beyoncé. 12 E non di quelli con una trama, ovviamente. Libri con note a piè di pagina. Libri che parlano di argomenti tipo la storia, l antropologia e il relativismo culturale nel Turkmenistan. 13 Mi chiedo se assumano tutti olio di pesce. Devo ricordarmi di domandarglielo. 14 Non chiedetemi niente. Anche se ho ascoltato molto attentamente, non sono riuscita a capire su che cosa fossero in disaccordo. Secondo me, neppure il conduttore era in grado di seguirli. 15 Dopo Magnus mi ha detto che stava scherzando. Ma non sembrava per niente uno scherzo. 16 Non ho mai letto i libri di Proust. Non so perché mi sia venuto in mente di tirarlo in ballo. 17 Lo so. Gliel ho detto un milione di volte. 18 Non tanto lunghi da farsi la coda, che sarebbe volgare. Della lunghezza giusta. 19 Non credo che Annalise me lo abbia perdonato. Dentro di sé pensa che ora, se non avesse scambiato gli appuntamenti, sarebbe lei a sposarsi, non io. 20 Visto? Le note a piè di pagina sono sempre al centro di tutto. 21 Sempre che abiti davvero in una casetta. Ho questa impressione. Tutto solo, magari, con l unica compagnia di un cane fedele.

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