OCI della Cultura. LIVIO RAPARELLI QUINDICESIMA Edizione

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1 Comune di Ozzano dell Emilia V ANNO XV OCI della Cultura LUGLIO /AGOSTO Mensile d informazione degli eventi culturali di Ozzano dell Emilia e dintorni. A cura dell' Assessorato e della CONCORSO PER Numero speciale Consulta per la Cultura POESIE E RACCONTI BREVI LIVIO RAPARELLI QUINDICESIMA Edizione Quest'anno il concorso è giunto alla 15 edizione; la grande partecipazione, sia di autori che di votanti, ha imposto l'introduzione di alcune novità nella formulazione della classifica dei vincitori. Dopo la prima selezione a cura della giuria tecnica, composta da Insegnanti ed Esperti, si è aperta, sul sito del Comune, un'apposita pagina web nella quale sono state pubblicate le prime 5 opere di ciascuna categoria e sezione, per il giudizio della giuria popolare. Vista la grande risposta della cittadinanza, si è deciso di scindere le due classifiche premiando i vincitori secondo il giudizio della giuria tecnica, oltre ad un unico componimento votato dalla giuria popolare, quello con più voti ricevuti! Nei giorni di pubblicazione dei testi (siamo al 3 anno dall'introduzione del voto online), sono arrivate circa 800 mail, un numero in crescendo negli anni; purtroppo però abbiamo notato anche voti a mò di catena di Sant'Antonio. Ricordiamo che il voto, anche se online, deve premiare il componimento più meritevole, non quello dell'autore con più amici ; è questo l'auspicio per l'edizione del prossimo anno. Anche questa edizione comunque si è svolta con successo e soddisfazione per tutti. Rivolgiamo un ringraziamento particolare al Dirigente scolastico, alle Insegnanti ed alla Bibliotecaria dell'istituto comprensivo per avere sempre creduto nel nostro concorso e per la collaborazione, all'amministrazione comunale ed al Sindaco Loretta Masotti sempre presente e partecipe alle premiazioni, alla scuola di musica di Ozzano che ha allietato la serata di premiazione dei ragazzi con le note dei suoi allievi, a Pina Randi per la professionalità e bravura nella lettura dei testi vincitori, alle scrittrici Antonella Colombi e Silvana Sandri per la partecipazione e, infine, alla giuria per il grande impegno e per l'arduo compito di selezione dei testi. Un doveroso ringraziamento anche a tutti i partecipanti, per avere avuto voglia di mettersi in gioco. E' sempre un grande piacere vedere come il nostro concorso riesca ad essere un momento di vita sociale coinvolgente quanto altre iniziative di carattere culturale e non. Come ogni anno, dedichiamo al concorso questo numero speciale di Voci della Cultura che raccoglie tutti i testi vincitori. Buona lettura e.. arrivederci alla prossima edizione. Elisa Zuffi - Biblioteca Comunale 8 marzo

2 I TESTI VINCITORI DELLA 15 EDIZIONE DEL CONCORSO " LIVIO RAPARELLI" CATEGORIA POESIA SEZIONE SCUOLA ELEMENTARE 1 classificata GIURIA TECNICA MIO FRATELLO Tu sei libero come un uccellino che svolazza nel cielo blu. Tu sei triste come la lacrima che scende dai lucenti occhi. Tu sei furbo come una volpe che si nasconde dai cacciatori. Tu sei affascinante come il sole che sorge ogni mattina. Tu sei un libro da aprire dove si celano dei sentimenti. Tu sei tenero e indifeso come una pecorella smarrita. Tu sei un mistero. Tu sei mio fratello. ARIANNA STAGNI (4 elementare) 2 classificata GIURIA TECNICA QUESTA E' ARTE! Questa è arte! Questi sono i colori che usano i pittori: giallo, azzurro, bianco, rosso... tutti mischiati a più non posso. Questo è Botero che mi piace davvero. La sua signorina con cappellino sembra mia zia con il canarino. Questa è arte! Paesaggi strani: un naso sull'albero, per aria una pera sembrano angeli e uomini di cera. Questa è arte! 2

3 Con prati e girasoli esplodono tutti i colori. Questa è arte! Linee e punti fanno venire fuori case e monti. Questa è arte! E non si trova su Marte!!! PAOLA SCARMOZZINO (3 elementare) 3 classificata GIURIA TECNICA IL VENTO Ciao ciao vento, tu sei un portento, tu sei freddo e trasparente, e vai in mezzo alla gente, tu voli nel cielo e sembri un velo. BEATRICE BENINI (2 elementare) 1 classificata GIURIA POPOLARE NINNA NANNA Ninna nanna, se penso a quante volte tu mi facevi addormentare, quasi non posso credere che ora non sappia più una delle tue fantastiche parole. Sai, ninna nanna, che dovevo godere di te fin quando ero piccola, perché da un giorno all'altro non ti avrei più sentita! Ninna nanna cara! GIULIA CARRA (4 elementare) 3

4 MENZIONE SPECIALE 20 ANNO DALLA SCOMPARSA DI LIVIO RAPARELLI AUTUNNO Gli alberi nudi di felicità ma vestiti di solitudine, continuano la loro vita triste,ricordando i tre fastidiosi sospiri del vento, che toglievano agli alberi le loro piccole amiche di avventura, cullandole dolcemente ai loro piedi, facendole diventare parte del terreno. Un sospiro del vento amico trasportava le foglioline in una nuova vita e gli alberi in una nuova speranza. ELENA ZINI (4 elementare) SEZIONE SCUOLA MEDIA 1 classificato GIURIA TECNICA E POPOLARE IL MARE La mattina di buon ora è bello camminare sulle spiagge rocciose di conchiglie, ricci e alghe odorose, mentre il sole veloce e forte distende le sue braccia calde sul mare. E piatto e luccicante: sembra quasi un diamante. E calmo e tranquillo e senza tempo. Ma quando arriva il giorno il mare si trasforma: sulle spiagge una caotica accozzaglia di bambini che schiamazzando giocano, di papà che nuotano, di mamme che leggono e si abbronzano di insetti che ronzano. Ci serve il silenzio per pensare. Allora andiamo al largo e godiamoci la quiete che solo il mare sa dare in mezzo alla vastità del suo luccicare. GIOELE BEGHELLI (1 media) 4

5 2 classificata GIURIA TECNICA ISABELLA Non parlo Non cammino Vedo le pagine di un libro, quanto mi piacerebbe sfogliarlo. Vedo i colori dell arcobaleno, quanto mi piacerebbe stenderli su tela. Vedo i bambini giocare, quanto mi piacerebbe correre con loro. Vedo soltanto il mondo che mi circonda ma non posso farne parte. Sento il cinguettio degli uccelli, quanto mi piacerebbe volare assieme a loro. Sento il fruscio delle foglie, quanto mi piacerebbe toccarle con le mani. Sento l odore della ciambella, quanto mi piacerebbe gustarne il sapore. Sento soltanto le voci delle persone ma non posso rispondere. Qui, seduta sulla mia seggiola a rotelle, posso soltanto aspettare la corsa della mia vita. ALESSIA FATTORI (3 media) 3 classificato GIURIA TECNICA L'AMICO PERDUTO Ogni sera cerco il tuo ricordo difficile d'afferrare, piango dentro il mio dolore che vorrei urlare, un dolore che mi logora lentamente fino a raggiungere la mia mente. Il mio pensiero è sospeso nel ricordo di ciò che è accaduto, perchè rifiuto di averti perduto. Mi sono ritrovato solo come un gabbiano in volo, vorrei accettare la tua assenza per colmare il vuoto che hai lasciato nella mia essenza. GIACOMO ESPOSITO (3 media) 5

6 SEZIONE ADULTI 1 classificata GIURIA TECNICA E POPOLARE MADRE Ingoiando la sconfitta ti giri e torni indietro mentre inquieta piangi lacrime di rabbia. L amore fatica a trovare spazio dove il dolore segna il passo. Poi l ira si placa e apri il cuore al ritrovato sorriso di madre sfinita. ENRICA LABANTI 2 classificata GIURIA TECNICA FIGLIO Oggi credo di non averti mai capito Non so dove finisce il dolore per dar spazio alla consapevole follia Non sento più i tuoi battiti pulsare sul mio petto Non vedo il tuo sguardo triste cercare conforto Vorrei leggere fra le righe confuse del tuo essere Vorrei provare le emozioni che tu non senti più Vorrei affondare nel mare delle tue paure per allungarti la mano per accompagnarti da lontano dove ora non credi sia possibile andare dove la mente imprigionata ti nega a un passo dai tuoi sogni a un soffio dalla felicità. SILVIA SANMARCHI 6

7 3 classificato GIURIA TECNICA VASI SANGUIGNI Una mattina in cui la rugiada imperlava le ragnatele e l'orizzonte dapprima inviolato cominciava a mostrare strisce simili alle venature dei marmi la parte più chiara di me si dilettava a cercare lontane galassie di misericordia con un telescopio di desiderio. E negli occhi disegnati la forma del perdono si mescolava a quella fine come sabbia della follia. Molte volte mi sono sentito smarrito, come una nube, come un messaggio in bottiglia, ma quando ho deciso di togliere il tappo e provare a nuotare nel sale del mare, nello zucchero del sangue, ho scoperto nel tuo corpo una forma vibrante di pace. STEFANO FORTINI 7

8 CATEGORIA PROSA SEZIONE SCUOLA ELEMENTARE 1 classificato GIURIA TECNICA LA CASA DELLA MIA NONNA Da quando ero piccolo vado a casa della mia nonna quando sono malato e non posso andare a scuola così quando sento l'odore delle medicine la penso sempre. In realtà vado spesso dalla mia nonna a mangiare e guardare la televisione, a volte anche con i miei genitori ed è molto bello perchè pranziamo tutti insieme. In quei casi mi diverto di più perchè c'è una gran confusione e tutti ridono e scherzano. Qualche volta si litiga,ma mai proprio sul serio e ci si prende un pò in giro a vicenda; la nonna è buffa perchè tratta tutti come dei bambini piccoli e continua a riempire i piatti e dare ordini... ma nessuno osa contraddirla perchè lei minaccia di prendere tutti a scapaccioni e potrebbe anche farlo. Quando arriva l'ora di tornare ognuno a casa sua mi riempie di nascosto le tasche di cioccolatini e, a volte, mi lascia anche i soldini per le figurine. Quando sono malato però è tutta un'altra cosa. Vado nello studio e posso guardare la televisione stando seduto sulla poltrona di pelle del nonno che non c'è più perchè è morto prima che io nascessi. La nonna mi concede di mettere i piedi sullo sgabello apposito e di scegliere i programmi che preferisco, posso addirittura mangiare lì... cosa inaudita e di solito vietatissima. Lo studio della nonna è una camera misteriosa e affascinante, ricorda un poco una chiesa perchè i mobili sono scuri e ci sono tante immagini della Madonnina e di Gesù appese ai muri. Si sente sempre un odore di cera appena stesa e anche l'odore sottile dei fiori freschi o secchi che la nonna tiene vicino alle fotografie. Sono fotografie di parenti e amici, ma non tutti sono ancora vivi. Sul pianoforte dove studiava la mia mamma da piccola ci sono orologi e lampade d'epoca e piccole statue e altri oggetti di una volta che fanno pensare ad un negozio misterioso e io, a volte, immagino un piccolo omino con gli occhiali di ferro e uno scialle sulle spalle che sta lì a vendere tutti quegli oggetti, anche se non vorrei che succedesse. La fotografia che mi impressiona di più è quella del fratellino di mia nonna che è morto settantasei anni fà di pertosse. E' una piccola foto in bianco e nero che mi stringe il cuore perchè si vede un bimbo di pochi mesi con un'espressione struggente... infatti l'hanno ritratto mentre stava per morire. La nonna mi ha raccontato che si faceva così perchè le foto erano rare, costose e si facevano nelle occasioni speciali come i matrimoni e i battesimi. Quando ci penso provo tristezza perchè non ho mai visto questa persona e quindi mi chiedo come sarebbe stata da grande...se avesse avuto dei figli sarebbero i cugini della mamma e forse io giocherei con i loro bambini. Sotto la lampada a forma di fiore ci sono le foto del fratello della mamma, sono tante e tutte di età diverse. Ce n'è una piccola piccola, dove lo zio è in divisa da marinaio perchè andava all'accademia navale a Livorno. La cornice è un minuscolo ramo di rose intrecciate e,a fianco,un rosario di madre perla mi ricorda di dire una preghierina perchè lo zio è morto da tanti anni in un incidente stradale. Il 8

9 suo orologio segna da allora il momento esatto della sua morte e sta lì inutile e triste in attesa di una carica che non arriverà mai. Nello studio della nonna i ricordi degli altri mi avvolgono come una ragnatela e nella pigrizia dei raffreddori invernali immagino storie di vita che non ho mai vissuto: il nonno e la nonna brindano con me il giorno del loro matrimonio da una foto marroncina sopra la scrivania, la mamma fa la prima comunione poco dietro e, a fianco, un bimbo biondo e ciccio mi saluta dallo scivolo... sono io a un anno! Ogni tanto la nonna arriva per controllare la febbre o darmi una medicina, allora io, per non prendere lo sciroppo, faccio finta di dormire. Lei si avvicina e mi aggiusta una coperta sulle gambe, mi toglie il piattino della mela pericolosamente in bilico e io sento il suo odore: un profumo leggero di biscotti e di rose, un profumo timido di baci e carezze sfiorati, un profumo sereno di promesse mantenute. LEONARDO BOSI (5 elementare) 1 classificato GIURIA POPOLARE DAL DENTISTA Non ho mai trascurato l'igiene dentale. Un giorno avevo male ad un dente, e così andai dal dentista. Nella sala d'aspetto c'erano due poltrone color nero di un tessuto che non era pelle ma cotone, c'erano tantissimi giornali, dentifrici e spazzolini. Quando chiamarono il ragazzino prima di me mi iniziarono a tremare i denti e le ginocchia e mi venne anche mal di pancia. Sentivo il dentista con tono impetuoso: Si deve stringere quella vite e quel bullone, poi cambiare la molla. Sembrava un macchinista che aggiustava una macchina. Poco dopo chiamarono me ed entrai. C'erano dentiere, strani cacciaviti, trapani, specchietti, spazzolini e arnesi vari. Mi sdraiai su una soffice poltrona color verde acqua e tutto intorno a me odorava di pulito e dentifricio alla menta. Tra me e me dissi: Sì, dai non è il paradiso ma neanche l'inferno. Mi mise le mani in bocca e così guardai meglio il dentista, o meglio i suoi occhi, dato che era l'unica cosa che si poteva vedere perchè portava una strana cuffia e una mascherina verde. Finalmente il dentista si tolse la maschera e potei vederlo in faccia. Si rivolse alla mamma con una voce sottile, non era la voce che avevo sentito dalla sala d'aspetto, e disse: In bocca va tutto bene a parte una piccolissima carie nella parte destra in basso, inpoche parole il molare destro. Lo vidi trafficare nei suoi arnesi e dopo un po' mi disse di aprire la bocca ma io mi confusi e invece di aprirla la chiusi con energia morsicando il dito del dentista. Aveva un sapore strano, non riesco a descriverlo precisamente, sapeva di metallo e forse plastica, comunque non era una cosa squisita. Mi trapanò la carie ma non sentii niente. Appena finito ci portò nel suo studio e diede il conto a mia mamma che impallidì e con mano tremante lo prese e pagò il dentista. Usciti dallo studio del dentista ho dovuto consolare la mamma...e pensare che ero io quella a cui era stato trapanato il dente! AURORA BERGAMINI (5 elementare) 9

10 2 classificata GIURIA TECNICA LA MIA PASSIONE PER... La mia passione per gli astri risale all'agosto di due anni fa. Mi piaceva starmene seduta su uno scoglio vicino alla riva del mare a sentire lo sciabordio delle onde che si infrangevano contro la ruvida parete della scogliera e guardare il cielo con il naso all'insù. Oppure inerpicarmi per sentieri sconnessi, pieni di rovi e piante selvatiche, graffiandomi e sbucciandomi in tutti i punti i piedi scalzi. L'amore per le stelle, però, mi portava a sopportare pure quello e, alla fine, un pò malinconica, arrivavo sulla cima del promontorio che cadeva a strapiombo sul mare. Mi sedevo per terra e qualche volta allungavo la mano come per afferrare una stella ma, come al solito, non riuscivo a prenderne neanche un pezzetto. Un giorno ero scesa in spiaggia prima del solito, le ombre della sera non erano ancora calate ma in cielo brillava già una stellina: era molto piccola, la luce che emanava era molto fioca. Io me ne restavo a guardarla con occhi lucidi, mi sembrava che quella stella fosse fatta apposta per me. La guardai e le dissi con un filo di voce: Vorresti diventare la mia stella?. Seguì un momento di silenzio. Anche i gabbiani che stavano stridendo qualche minuto prima sopra la mia testa tacquero. Non c'era stato nessun cenno di approvazione, ma io capii che aveva risposto di si. Non mi aveva parlato con le parole ma in un linguaggio segreto che potevamo capire solo io e lei. Da quel giorno siamo diventate amiche inseparabili. Un'amicizia un pò strana lo so, l'amicizia però non ha confini. MATILDE NICOLOSI (4 elementare) 3 classificato GIURIA TECNICA UN'INCREDIBILE AVVENTURA Questo racconto è ambientato nella parte occidentale della Siria a nord di Damasco, paese spaccato in due dalla guerra civile e dalle continue carneficine. Qui in questa nazione, vivevano Manuel e Naria, due fratelli di quindici e tredici anni. Manuel era un ragazzo sveglio, pensava a tutta la famiglia portando ogni giorno da mangiare in casa, a volte facendo lavori disonesti, come aiutare i ribelli, oppure lavorando nei campi e trasportando carichi pesanti. I genitori, però, guidati dalla preoccupazione che non ci fosse futuro nel loro paese, un giorno decisero di mandarli via di casa. I bambini opposero resistenza, non volevano lasciarli per nessun motivo, ma se ne andarono costretti dai genitori che, subito dopo, vennero uccisi nel bel mezzo di una carneficina. Racimolarono un po di provviste e si ripararono in una locanda per la notte. Per ristorarsi e per dormire occorrono soldi, quello che i due ragazzi non avevano. Manuel era uno di poche parole e illustrò sbrigativo il piano alla sorella: Naria, stammi a sentire, adesso quando andiamo al bancone della locanda per pagare devi far finta di guardare nella sacca e poi scappare. E infatti quando dovettero pagare il locandiere, come già concordato nel piano, Manuel e Naria iniziarono a correre a perdifiato battendo sul tempo il locandiere. Purtroppo nei giorni seguenti, i due ragazzi per salvarsi la vita dovettero arrangiarsi a fare i ladri. Il loro piano era quello di approdare sulle vicine coste turche per incominciare una nuova vita. I problemi però non erano ancora finiti; dopo alcuni giorni di cammino, giunti al confine tra la Siria e la Turchia, videro quattro uomini armati e, anche se non sapevano che cos era la dogana, 10

11 capirono che quella non era un dogana vera dove bisognava pagare il dazio, ma in cui bisognava passare con la forza. Intanto dall altra parte del confine Samir, un ambasciatore turco dell Unicef, era pronto ad andare in Siria, come aveva già fatto per altre missioni. Appena vide i due ragazzi, sussurrò per non farsi sentire dai soldati: Cosa ci fate qui al confine, tutti soli? Gli raccontarono la loro storia, i genitori, i furti, la fatica del viaggio. Non abbiamo più nessuno a casa concluse Manuel, mentre Naria stava piangendo. Aiutaci. Aiutaci, ti prego ripeté Naria. Samir, vedendoli così disperati, si mosse a compassione e li portò con sé in Turchia dove furono adottati da una famiglia del posto. La Turchia fece il possibile per aiutare i due fratelli e molti altri bambini siriani e, alleandosi con altre nazioni, pose fine alla guerra civile in Siria. ENRICO SIMONETTI (5 elementare) SEZIONE SCUOLA MEDIA 1 classificata GIURIA TECNICA ALL'OMBRA DEL MELO Stavo raggomitolato all'ombra di un melo, il melo sotto il quale mi ero sempre rifugiato per giocare da solo, estraniandomi completamente dal mondo. Davanti a me si estendeva la valle con il suo elegante vestito punteggiato di primule. La vista di quelle delicate creature che venivano piegate al suolo dalla brezza primaverile mi toccava il cuore. Dalle mie narici saliva il forte profumo dei pini e delle lavande che mi circondavano e in quei pochi istanti in cui contemplavo quel luogo mi sentivo veramente felice, come se fosse quella casa mia. Il rumore di passi felpati che si avvicinavano mi riportò velocemente alla realtà e poco dopo mi accorsi che accanto a me si era seduta mia sorella. Anton mi disse, fissandomi negli occhi, quei suoi grandi occhi verde smeraldo, talmente verdi che mi ricordavano la valle. Mamma e papà hanno deciso di lasciare la Macedonia e andare a sposarsi in Francia per stabilirsi lì. Partiamo domani l'altro. Adesso i suoi occhi brillavano e una lacrima le scese lungo la guancia. Poi si alzò e imboccò un vialetto, scomparendo dalla mia vista. Ripensai alle sue parole. Ero confuso. Perché mi avevano lasciato all'oscuro di tutto? In quel Paese avrei scovato un posto tranquillo e incantevole come questo? Avrei trovato un amico? Mi piaceva spesso rimanere da solo, immerso nelle mie fantasie e nei miei pensieri. Quando giocavo col mio cuginetto di quattro anni, nel giro di poco tempo mi annoiavo e tornavo a rifugiarmi sotto il mio melo, dove nessuno sarebbe venuto a disturbarmi. Adesso invece ero costretto ad abbandonare quel paradiso per andare in un Paese di cui non conoscevo niente e nessuno. Sentii una lacrima attraversarmi la guancia e provai una fitta al cuore; così singhiozzando mi allontanai. In casa non fu facile affrontare la situazione; cercavo di nascondere la mia tristezza agli occhi dei miei genitori. Non avevo voglia di parlare con loro di come avrei affrontato la situazione, avevo solamente voglia di piangere in solitudine. E infatti appena mi chiesero se approvavo la loro idea, annuii silenziosamente. 11

12 Quando attraversai la piccola cucina vidi mia sorella distesa lungo il tavolo, il viso rigato di lacrime. Anche a lei dispiaceva lasciare questo posto, dove era nata e cresciuta e dove custodiva tutti i suoi ricordi. Parigi. E' questa il luogo dove i miei genitori si sarebbero sposati. Non è come me l'aspettavo; anzi, è completamente diversa, molto raffinata. Girando per la città, ho scoperto diversi punti molto tranquilli dove rifugiarmi, nessuno però si può comparare al mio melo, a quell'albero sulla cima della collina che mi permetteva di ammirare l'intera valle. Continuo ad essere un ragazzo solitario. Nella nuova scuola mi sento molto diverso rispetto agli altri ragazzi e fatico a comunicare con loro e con gli insegnanti. Nulla è cambiato, finché un giorno, una mia compagna di classe, Marie, mi si avvicina e gentilmente comincia a chiedermi come mi trovo nella nuova città. In un primo istante rimango perplesso e non rispondo alle sue domande; ma poiché insiste decido di accontentarla. Comincio a raccontarle lentamente della mia città nativa e dell'incantevole spettacolo che la valle, con le sue primule, mi offriva. La mia voce fa lunghe pause prima di formulare nuove frasi, ma la ragazza rimane incantata dalle mie parole, le orecchie tese e gli occhi che fissa immobili i miei. Sento il cuore battere sempre più forte man mano che procedo con il racconto e il mio sguardo vaga, disperso nel vuoto. Però Marie continua a sorridermi, un sorriso ampio e rassicurante, come se mi incitasse a proseguire. Non era mai accaduto che qualcuno mi rivolgesse tanta attenzione. Nei giorni successivi torno a casa insieme con Marie, ma per la maggior parte del tragitto resto in silenzio ad ascoltare con avidità i suoi racconti vivaci. Descrive con passione alcuni luoghi di quella città, e i suoi negozi, i parchi, la scuola, gli insegnanti. Un giorno all'improvviso, mentre stiamo tornando a casa, mi afferra il braccio e mi trascina in un intricato e sconosciuto vialetto; la guardo senza capire, ma lei insiste ad andare avanti, così taccio. Il vialetto porta a una vasta radura. Allo spettacolo che segue rimango senza fiato: il cuore mi martella nel petto, assieme a mille emozioni. Ho pensato che ti sarebbe piaciuto, e così dicendo mi indica, con un ampio gesto del braccio, il paesaggio che si apre davanti ai miei occhi. Accarezzate dal vento primaverile, ecco le primule; le sfioro, ne colgo qualcuna e poi mi getto in quella delicata distesa che mi ricorda tanto la mia valle, con il viso inondato di lacrime di gioia. Finalmente dopo tanto tempo mi sento veramente felice, chiudo gli occhi e per un istante rivedo il mio Paese, ma la vera felicità sta nell'aver trovato un'amica. CHIARA MAZZANTI (2 media) 1 classificato GIURIA POPOLARE IL REPERTO Un giorno di luglio decisi di andare a fare un giro in bicicletta verso Osteria Grande. Mentre pedalavo, mi fermai un attimo a osservare gli scavi archeologici vicino casa mia e, spinto dalla curiosità, mi avvicinai. Non c'era nessuno in giro. Andai vicino alla recinzione per osservare meglio, ma mi sembrava non ci fosse niente di speciale se non zolle di terra, foglie secche e cocci di ceramica. Poi, mentre tornavo indietro, notai che nel sito a fianco, abbandonato da tempo, c'era qualcosa che luccicava, proprio in mezzo alla terra, facendo uno strano gioco di luci e di colori. Scesi dalla bici e incuriosito mi inoltrai nel campo per vedere cosa fosse il misterioso oggetto. Lo 12

13 presi tra le mani e, dopo averlo un po' spolverato, dedussi che era di metallo. Era spezzato a metà e molto graffiato, ma non c'era ruggine. Anche se mi sembrava strano, forse era un reperto sfuggito agli archeologi. Decisi di portarmelo a casa e me lo misi in tasca. Andai in camera mia e presi un libro sui romani, perché il sito abbandonato era un luogo un tempo occupato da una cittadina romana, provando a confrontare il misterioso oggetto con delle immagini di ciondoli o collane in metallo. A un certo punto notai che il pezzo ritrovato era abbastanza simile ad un medaglione che il grande imperatore Augusto dava ai suoi fidati generali. Nella mia mente già immaginavo la scena della consegna della medaglia, dove i generali avevano l'onore di ricevere un premio così prezioso dall'imperatore in persona. Ero emozionatissimo. Avevo trovato un reperto importante e di elevato valore. Non stavo più nella pelle, saltavo per la stanza come un pazzo. Decisi che il giorno dopo sarei andato dagli archeologi per dare loro il pezzo, attribuendomi così il merito della scoperta di quest'ultimo. Il giorno dopo presi di nuovo la bici e andai allo scavo per consegnare il pezzo. Arrivato là gli archeologi lo guardarono un attimo e anche se le loro facce non erano molto convinte, mi dissero che avrebbero fatto delle analisi approfondite per vedere se era veramente un reperto. Lasciai loro la mia mail per avere notizie del mio medaglione. Controllavo ogni ora la mail per sapere i risultati e, finalmente, dopo due giorni arrivò il tanto atteso verdetto. Ero così sicuro del risultato che stavo per dirlo ai miei genitori, quando però lessi la mail: Gentile sig. Diego, ci dispiace molto ma dalle analisi abbiamo dedotto che il pezzo ritrovato da lei e scambiato per un reperto è in realtà un semplice pezzo di latta appartenente ad un'autodegli anni 90', finito lì per caso. Grazie comunque, gli Archeologi del campo di Claterna Le forze mi abbandonarono e quasi caddi per terra; non volevo crederci. Dopo tutte le fantasticherie che mi ero fatto non mi aspettavo una delusione così grande. Pazienza, diventerò famoso un'altra volta. DIEGO CISBANI (3 media) 2 classificata GIURIA TECNICA L'INCREDIBILE STORIA DI MEREDITH DUSSENDORF Erano appena le sei della mattina, all improvviso la suoneria country del mio cellulare suonò e mi fece sobbalzare dal letto. Era la voce del mio caporedattore che mi ordinava di prendere il prossimo aereo in partenza per Cracovia per intervistare una signora anziana tedesca per un articolo del quotidiano di Boston. Arrivai a destinazione per l ora di cena e la mattina seguente verso le otto ero già in partenza; in meno di un ora fui alla sua residenza. Un enorme e imponente villa mi apparve davanti, convincendomi che sarebbe stata una di quelle noiose e monotone interviste. Mi si presentò davanti una donna dall aria semplice, umile che non aveva niente a che fare con l immagine che pensavo di incontrare. Quando entrai, l ambiente mi parve molto classico e tipico di una signora 13

14 sola. Salve Meredith, sono qui per l intervista riguardo la sua carriera da soldato nel campo di concentramento di Birkenau esitai a dire e lei mi rispose con voce malinconica Si, ho chiamato personalmente il suo caporedattore per far conoscere la mia storia. Ero giovane, ma la mia vita non fu semplice poiché pur essendo la figlia di un importante uomo d affari del Fuhrer, fui costretta ad assistere ad uno degli eventi più terribili che mai riuscirò a dimenticare: lo sterminio degli ebrei. Al campo mi occupavo della sezione femminile e del reparto dei bambini, la prima volta che vidi quei poveri fanciulli salire su quel carro, rabbrividii e mi si riempirono gli occhi di lacrime. La loro vita era finita ancor prima di cominciare. Ma io non potevo soffrire per tutte quelle innocenti persone, non ne avevo il diritto, io dovevo essere un loro nemico e non una spalla su cui piangere e consolarsi. Una mattina d inverno, mi fu ordinato di preparare le donne appena arrivate e anticipare loro che cosa avrebbero dovuto fare, a chi avrebbero dovuto prestare attenzione e illustrare il regolamento che prevedeva il campo. Non avevo marito, ma ne vedevo molti abbandonare le proprie mogli, non avevo bambini, ma ne vedevo troppi morire, non avevo una famiglia, ma ne vedevo tante disfarsi. Poi, un giorno accadde un fatto che avrebbe cambiato la mia vita. Una mattina, quando ero di turno all alba, andai a visitare le baracche delle donne. Entrai e feci un giro all interno e ad un tratto scorsi da sotto una brandina una signora sulla trentina che portava fra le braccia un bambino che doveva essere nato da poco, lo cullava dolcemente e io, spinta da un desiderio di maternità e di pietà, le dissi che mi sarei occupata del fanciullo. Lo presi fra le mie braccia e all improvviso fu come se tutto quello che ci circondava sparisse, lasciando spazio alla serenità, alla gioia e all amore. Eravamo solo io e lui, due anime apparentemente lontane, ma vicine con il cuore e il destino. Diversi anni più tardi, terminata la guerra, venni a sapere, tramite la lettura di un giornale, che un importante imprenditore ebreo, era alla ricerca del figlio di circa vent anni, proprio l età che all epoca aveva Erik, il bambino che avevo salvato. Sentivo nel mio cuore, che quel ragazzo poteva essere Erik, a cui avevo già confessato di non essere la vera madre. Perciò scrissi a quel giornale e dopo poco tempo, bussò alla mia porta un uomo. Il suo sguardo, di un blu profondo era uguale a quello del mio ragazzo. Si conobbero e dal primo attimo insieme, erano in perfetta sintonia e si vedeva chiaramente il legame parentale che li univa. Oramai vivevamo tutti insieme e nel maggio del 1965, il padre di Erik mi chiese di sposarlo. Io, accettai perché intesi che era giusto sia per il ragazzo che per me, mantenendo la promessa che avevo fatto alla madre. Era una storia straordinaria e commovente che mi lasciò a bocca aperta, non avevo mai sentito nulle di simile, nulla di così incredibile ALESSIA FATTORI (3 media) 3 classificata GIURIA TECNICA LA MIA STORIA Cara Savannah, volevo scusarmi se, alla festa di Julia, ti sono sembrato troppo introverso e distante, ma il fatto è che sono ancora scosso dalle mie recenti avventure, che fino ad ora non sono riuscito a comunicare a nessuno ma con te è diverso... sono pronto a raccontarti ogni singolo dettaglio della mia storia. La mia nonna paterna è di origini spagnole e, molti anni fa, andò in Angola per una vacanza; lì incontrò mio nonno del quale si innamorò e, con lui, decise di stabilirsi più a nord, in Marocco dove, a Rabat, nacque mio padre ed in seguito io. Ho otto fratelli maggiori che mi sostengono e mi vogliono bene. 14

15 Ma un giorno mio padre tornò a casa e ci disse che aveva purtroppo perduto il lavoro e che, in quel periodo di crisi, sarebbe stato difficile trovarne uno nuovo. Mi sentii a pezzi. Non lo fece intendere ma gli si leggeva la paura negli occhi e si capiva che, dovevamo trovare una soluzione che ci avrebbe cambiato la vita per sempre. Nei giorni successivi sentivo i miei genitori discutere sul da farsi e vedevo mia madre sempre più spaventata e di notte tante volte la sentivo versare lacrime silenziose, affranta, senza alcuna prospettiva di vita. Noi, nelle nostre stanze, stavamo svegli a pregare per loro, ma una sera mio padre ci comunicò la sua decisione di lasciarci e di partire per la Spagna e la mattina successiva dovemmo salutarlo e affidarlo alla sorte dei mari. Presto, circa tre settimane dopo, arrivò il nostro turno di preparare i bagagli per raggiungerlo a Siviglia dove aveva trovato lavoro come tassista abusivo.. Non volevo cominciare una vita diversa in un altro luogo del quale non conoscevo né la lingua né gli abitanti, io amavo la mia terra tuttavia capivo che era per il bene della mia famiglia ed il giorno dopo partimmo in un barcone pieno di clandestini come noi che cercavano fortuna in terre lontane. Il viaggio fu molto lungo, circa dieci giorni con poche risorse e con i venti forti che sballottavano l'imbarcazione di qua e di là; non so come riuscimmo a sopravvivere eppure approdammo a Siviglia sani e salvi solo un po' storditi dal viaggio. Giorno dopo giorno riuscivo sempre meno a vivere in quel luogo così diverso dalla mia terra nativa. Non smettevo di pensare agli amici ma soprattutto ai miei nonni che in Marocco mi facevano compagnia tutti i giorni mentre i miei genitori erano a lavoro. Ci svegliavamo tutti insieme all'alba, correvamo verso il campo a raccogliere datteri, fichi ma anche squisite banane. Poi tornavamo a casa e, mentre io andavo a sfamare gli animali nel recinto, lei preparava gli ingredienti per un'altra favolosa invenzione culinaria, ogni giorno diversa. Pranzavamo tutti insieme nel giardino e, quando il sole allentava la sua morsa di calore, la nonna ci mandava fuori a giocare a mosca cieca o a ruba bandiera con il nonno, mentre lei e la mamma pulivano la cucina. La sera diventava così buio che non si vedeva un palmo dal naso e, non avendo la luce elettrica, dovevamo stare intorno al fuoco. In quei momenti ci raccontavamo storie di tempi passati o immaginavamo avventure future, ognuna incantevole a modo suo, poi andavamo a dormire consapevoli che il giorno seguente sarebbe stato un giorno migliore. Ma ora che ho sedici anni e che ho passato buona parte della mia vita qui, ancora non riesco a sentirmi a mio agio in Spagna. Probabilmente perché sono cresciuto creando legami profondi con la famiglia e gli amici, senza badare al fatto di essere povero ma imparando a godere delle gioie della vita, sereno e tranquillo. Qui a Siviglia, trovo ragazzi che implorano i propri familiari di comprar loro video games, computer nuovi o ancor più, cellulari alla moda, da cambiare ogni anno perché ne producono sempre più di sofisticati e prestanti, che costano almeno un quarto, se non di più, dello stipendio dei genitori. Io questo comportamento non lo capisco e credo proprio che non lo accetterò mai. Mi mancano la mia famiglia, i miei affetti. Ho nostalgia della mia vera casa. Eccoti svelata la tristezza che, ogni tanto, prende il sopravvento sulla mia solita vivacità e allegria. E' difficile cancellare le proprie radici ma so che un giorno, grazie al tuo aiuto, troverò il coraggio di andare avanti. Con affetto... José GIULIA SANGIORGI (2 media) 15

16 SEZIONE ADULTI 1 classificata GIURIA TECNICA TUTTO CAMBIA RIMANENDO SE STESSO Lara si osservava tutte le mattine allo specchio, stava lì, fissandosi per lunghi minuti, con il viso stanco, i capelli color fango, aridi e scompigliati, le occhiaie e le labbra secche, poi gettava lo sguardo su ciò che la circondava, i pupazzi e i giochi della sua infanzia, le foto della sua perfetta famiglia dove solo lei stonava e in ogni secondo di quella sua osservazione si ripeteva quanto fosse inutile. Ogni sua giornata scorreva con lo stesso ritmo circolare, come quelle canzoni che per interminabili minuti insistono sulla stessa melodia, la sua vita era così, il perpetuo suono della medesima nota. Seconda di tre figli, e seconda di due sorelle, il gradino inferiore del podio familiare toccava sempre lei, non eccellente a scuola, non una campionessa nello sport, con quella mediocre bellezza insipida e trasparente in casa veniva dopo ogni altro membro. Fuori dalle mura domestiche nulla di diverso, qualche amica, compagne di classe più che altro e poi il nulla, la scuola, la pallavolo, una vita media che l avrebbe portata ad un esistenza monotona, chiusa in un appartamento pieno di gatti con la televisione accesa senza essere guardata, stecche di cioccolato fondente nel frigorifero e una bottiglia di vino rosso di seconda scelta sempre aperta. Lara si era già disegnata il suo futuro, viveva sopravvivendo a questa sua dura convinzione. Sino al 25 giugno. L estate che iniziava, il caldo torrido, la scuola finita e forse i pantaloncini corti che aveva indossato negli ultimi giorni le avevano permesso di far notare quel suo fisico snello e già colorato dal sole che le era valso un messaggio il giorno prima; un suo compagno di classe le aveva scritto, grande novità dopo quattro anni di superiori, circa millequattrocento sessanta giorni in cui nessun esemplare umano di sesso opposto al suo l aveva degnata di un ciao, una parola, neanche i compiti a lei chiedevano, nemmeno gli auguri sui social, ma la sera precedente l sms fu chiaro ed esplicito. Era il giorno. Si era preparata per bene si dalle 14, si sarebbe dovuta trovare due ore dopo nella piazza del suo paese, era agitata, nervosa, le sudavano le mani e per la prima volta aveva scelto con cura cosa indossare. Aveva deciso di tentare con una bella gonna a fiori, corta, inusuale per lei, un po di trucco, che non amava, si era profumata e aveva sconvolto sua madre che per la prima volta da quando Lara aveva memoria aveva alzato lo sguardo dai fornelli o dai lunghi ricci biodi di sua sorella per dirle quanto fosse bella e quanto così curata sembrasse un altra persona. Mandando giù il sottile complimento decise di uscire un po prima e si ritrovò a girare per le vie più recondite del paese per poi alle 16 spaccate essere in piazza, dove forse per il caldo, forse per l aria di vacanze che aleggiava non si trovava che qualche anziano in canottiera seduto su una panchina a fissare il cielo. Il centro spopolato e del suo spasimante neanche l ombra. Attese le senza scrivergli, concedendogli l elegante ritardo, poi sfilò il cellulare dalla tasca e compose un messaggio, alle finalmente la risposta. Lara dopo vent anni ogni mattino si sveglia, va davanti allo specchio guarda i suoi capelli secchi e ormai ingrigiti, le rughe sotto gli occhi, il doppio mento, sente dalla cucina Massimiliano Ossini su raiuno e avverte Gigia, la sua gatta che si truscia avvolgendosi ai suoi piedi, e tutti i giorni ripensa al messaggio del 25 giugno: Scusami non so neanche chi tu sia, un mio amico ha fatto il coglione. Ciao. ILARIA GRASSETTI 16

17 1 classificato GIURIA POPOLARE FACCE DA CUP (DIETRO LO SPORTELLO) Lo riconosci da lontano. Arriva di gran fretta. Scusi un informazione Devo fare una prenotazione!. In realtà, mentre sta parlando, è ancora a dieci metri dallo sportello. Neanche Superman ha un udito cosi potente. Senza contare il fatto che ci sono già delle persone in attesa. Cosi, quando finalmente si avvicina, gli dici: Buongiorno anche a lei. Posso esserle utile? Ha bisogno? Ha preso il numero? Il numero non l'ho preso perché tanto non c'è nessuno. E poi cos'è? Samo in banca? O alle poste? Ti verrebbe da fargli notare che le persone sedute nella sala non sono la rappresentazione del presepe vivente del prossimo Natale. Ma non puoi. E nemmeno puoi chiedergli: Faccia da Cup, mi stai dicendo che c'è differenza fra una fila fatta in banca o in posta rispetto ad una fatta al Cup? Così ti limiti a sorridere: Signore deve prendere il numero e, quando arriva il suo turno facciamo tutto. Lui ti guarda indispettito, sbuffa e inizia a frullare per la sala impaziente. La fila scorre ed..eccolo. Non vedi già l'ora di liberarti di questo rompipalle. Perché sai che quello che hai davanti è un rompipalle, nonché una tipica faccia da Cup. Infatti, nel momento esatto in cui si presenta, gli suona il telefono. Ed è li che realizzi che è finita. Tutta la sala dovrà ascoltare la sua conversazione. Perché la faccia da Cup non risponde: Scusa, sono impegnato, ti richiamo. No, attacca a parlare. Parlare e parlare. Comunque, esprimendoti a gesti, riesci farti dare le ricette che custodisce gelosamente tra le mani e pensi: Dai, non va male. Mentre è al telefono, inserisco i dati e poi gli chiedo conferma. Ma non è così semplice Una volta terminato il lavoro, spieghi: il primo posto disponibile per la visita è al 24 ottobre alle 18. E' un martedì e finalmente, alla domanda le va bene?, intuisce che forse è il caso di interrompere la conversazione telefonica. Anche perché ormai tutta la sala sa che lui e Gigi non si sentivano da tanto e che dovrebbero rivedersi. Tutti si stanno anche chiedendo: Perché Gigi dovrebbe rivedere un simile rompipalle? E per quale cazzo di motivo Gigi ha telefonato proprio in quel momento? Loro non sanno che è un evento inevitabile. Perché, per ogni Signor Faccia da Cup, esiste un Gigi pronto a telefonare nell'esatto istante in cui lui si presenta allo sportello. E la natura, è il destino. Dategli il nome che vi pare, ma è cosi. Comunque oggi il nostro amico è comprensivo e riaggancia. Poi ti guarda con aria strafottente e - se non esclama: A fag in temp a murì! - alza le spalle e annuisce. Tu a quel punto verifichi se ha capito e ripeti. Le va bene allora martedì 24 ottobre alle 18?. Ma non c'è un posto prima? Non perdere la pazienza, pensi, é una classica faccia da Cup. Ne hai affrontati tante, puoi affrontare anche questa. Respiri: Purtroppo, come ho detto, questo è il primo posto disponibile. Eh, se questo è il primo posto disponibile allora prendiamo questo. Mentre spingi F5 per confermare la prenotazione, arriva l'imprevisto. Ti si avvicina allo sportello una signora: Scusi, sto cercando Paolo Rossi. E ricoverato al quarto piano. Sa dove posso trovarlo?. Di nuovo non puoi risponderle come vorresti: Signora bella, se è ricoverato al quarto piano mi dispiace, ma qui non lo trova di sicuro. Provi ad andare al quarto piano. Cosi adotti la vecchia tattica che viene tramandata da sportellista a sportellista: Signora, non lo so. Chieda in portineria. Errore gravissimo. Perché la seconda faccia da Cup a quel punto esclama risentita: Eh, se non lo sa lei che lavora qui! Certo, io conosco il nome e l'ubicazione di tutti i pazienti e le loro storie. So perché sono ricoverati e perché lei è venuta a trovare il signor Rossi proprio oggi. Io sono del Cup. Io so tutto. Le ripeti di rivolgersi alla portineria e lei se ne va borbottando, mentre ancora stai parlando. La tua rabbia monta. Ma non hai tempo per litigare. Devi concentrarti sulla faccia da Cup numero uno per liberartene. Hai appena dato il comando per stampare la conferma che ecco il dubbio. Scusi che giorno è il 24 ottobre?. Ti si gela il sangue, ma cerchi di mantenere la calma: E' un martedì. 17

18 Ma a che ora sarebbe? E' alle 18. Opsssss. Cosa? domandi giustamente allarmato dal quell opssss. Non posso. Il martedì ho il calcetto. Faccia un giovedì alle 16. Immediatamente ti si affaccia alla mente la risposta, quella che non puoi dare: Certo, fisso un giovedì alle 16. La faccio venire a prendere da un nostro mezzo, poi la accompagno in ambulatorio io personalmente, tra le mie braccia. E quando ha finito la visita le faccio trovare un rinfresco. Io posso fare tutto. Sono del Cup, io!. Così ti limiti a richiamare la prenotazione appena effettuata e ti accorgi che veramente esiste un posto alle 16 del giovedì. Pensi di avere avuto fortuna e fissi per il 26 ottobre alle 16. Quand'ecco che senti di nuovo uscire dalla sua bocca: Opssss. Cooosaaa? Il 26 ottobre è il compleanno di Gigi non posso. Faccia il martedì. Non vado al calcetto. Te l'aspettavi, in fondo. Così rifai tutto da capo, mentre auguri a Gigi ogni cattiveria. Gigi ti ha condizionato sin dal principio. Finalmente concludi quella che doveva essere una semplice prenotazione e..se ne va. Ora la sala è piena e ti affretti a chiamare un altro numero. Appena identifichi la persona nella sala, senti squillare un telefono. Antonio che piacere sentirti! Da quanto tempo?? Eh si si... No, no non disturbi, sono qui al Cup. L'ennesima faccia da Cup della tua giornata si sta presentando allo sportello. DAVIDE SARTI 2 classificata GIURIA TECNICA LA BANCA DEL TEMPO In quella casa, di quel quartiere popolare, di quella città padana, c'era un gran movimento di gente in attesa. Tutti correvano, non come erano soliti fare precipitandosi giù per le scale verso la cantina al primo urlo di sirena, ma da una stanza all'altra, allorquando Ina smarrita si affacciò da un pertugio. Gli astanti esultarono accogliendola con corale ovazione:"finalmente!" Ana, primogenita, l'aspettava da nove anni ed ora si avvicinava curiosa e timorosa per osservarla e toccarla; papà Melburno, la strinse al petto, progettando di darle al più presto martellino, tavoletta e chiodi, mentre mamma Mara sorrideva compiaciuta alla vista di quella testolina piena di riccioli neri, pensando a come avrebbe potuto raccoglierli con i nastri ricamati da lei stessa. La piccola manifestò subito la sua innata propensione a giocare col tempo e già si affannava a rincorrerlo, sgambettando e poppando con frettolosa avidità. A poco più di un anno correva con i suoi scarponcini alti alle caviglie, necessari per correggere un piedino storto, traballando ed agitando le braccia per mantenere l'equilibrio, salvo poi cadere a volo d'angelo seduta per terra; subito si rialzava corrucciata con il fiocco dei capelli scomposto, ma in cuor suo sorrideva, sognando di indossare scarpette da ballerina. Era tanto vivace da essere soprannominata Mercuria o Argento vivo e con la sua iperattività voleva depistare un animaletto, il tarlo del tempo, che ogni dì la provocava. Ina crebbe nel rigore post bellico del secondo 900, ma con quella carica emotiva insita nella ricostruzione. Nelle strade del quartiere circolavano poche automobili, qualche motorino, tante biciclette e carretti. Di frequente dalla nebbia mattutina compariva un grande carro "fumante", trainato da cavalli, guidato dal"ruscàrol"(netturbino) il quale provvedeva alla raccolta delle immondizie (il 18

19 rusco), oltre a ripulire, con scopa di saggina e paletta, le strade dal pattume e dagli escrementi degli operosi cavalli. Di tanto in tanto il suono di una trombetta stonata annunciava l'arrivo trionfante, su di un ciclo/carro, del "sulfanèr" che raccattava ferro, roba vecchia dalle cantine e vendeva scope, battipanni, piumini. Ogni dì bimbi festosi accoglievano il carrettino del "giazàrol": schiamazzando lo accerchiavano per raccogliere e succhiare schegge di ghiaccio, poi ne prendevano un pezzo più grande, necessario per la conservazione dei cibi, da portare a casa avvolto in un canovaccio per non "bruciarsi". Curiosamente disinvolta la bimbetta dagli scarponcini alti si muoveva nel quartiere ed ogni passo era una scoperta, una conquista; non sapeva né leggere né scrivere, ma imparò precocemente a fare i conti. In assenza di frigorifero, quotidianamente Ina "giocava"a far la spesa: entrava ed usciva dal fornaio, lattaio, fruttivendolo, macellaio, munita di lista e di soldini necessari per pagare, attenta a riportare a casa le provviste ed il resto del denaro corrispondente al conto, senza sbagliare. La tappa alla bottega del "cavallaio" si presentava un po' problematica: dall'alto di un bancone di marmo, protetto da un vetro, un uomo gigante fischiava, intento ad affilare un grande coltello ed a tagliare tranci di carne su un ceppo di legno, la nostra piccola non riusciva a porgergli il biglietto, ma era fiduciosa che, al suo turno, gentili signore l'avrebbero aiutata. Bambini vociferanti correvano nei grandi cortili delle "case di risanamento" per nascondersi tra lenzuola e panni stesi o negli anfratti e porte delle abitazioni circostanti ed Ina non mancava mai all'appuntamento con i coetanei. Altre volte scarabocchiava fogli con matite colorate "Giotto" accanto al papà che, nel tempo libero, dipingeva grandi cartelloni pubblicitari e scolpiva legno, oppure lo aiutava a modellare statue o bassorilievi, raccogliendo secchielli di fango dal greto dei fiumi, all'epoca balneabili e ben attrezzati con lidi e balere per gite domenicali. Nel chiosco sotto casa, la "cinna"a sette anni si divertiva a confezionare gelati in cambio di ottimi frappé, granite, ghiaccioli (cof), caramelle di tamarindo e liquerizia (more) ed ovviamente cialde o tavolette di gelato in quantità. A dieci anni Mercuria, dopo ore trascorse sui banchi scolastici con buoni risultati, si scatenava a scorrazzare con gli amici su e giù per i vagoni fermi nella vicina stazione ferroviaria. Poi si adoperava a vendere latte travasandolo con mestoli ed imbuti dai grandi bidoni in alluminio alle bottiglie in vetro portate dai clienti. Ormai grandicella, anziché bere troppo latte, Ina pensò di accettare un compenso in denaro, così, senza pesare sul misurato bilancio familiare, avrebbe potuto spenderlo, per entrare al mitico cinema Vittoria e sgranocchiare a volontà brustolini (semi di zucca), burdigoni (caramelle nere di liquerizia raffiguranti animaletti) ecc.ecc, durante la visione del film. Il locale era dotato di una sala invernale scarsamente riscaldata, mentre in estate la pellicola veniva proiettata su un grande schermo in un cortile adiacente, circondato da case i cui abitanti, appoggiati alle balaustre delle terrazze, si vedevano lo spettacolo gratis in cambio del disagio sonoro e delle repliche. Seguì il periodo dei bambolini di celluloide, presi nudi da una vicina fabbrica e portati a casa dove Ina impegnava tutta la famiglia a cucire sottanine col punto a filza e ad attaccar bretelle, poi li riportava vestiti all'opificio e ritirava il lauto compenso di 2 lire al pezzo. Crescendo, la fanciulla si industrializzò, imparando ad usare la macchina da cucire, confezionava coppette di reggiseni a 10 lire al pezzo; il tutto sempre in subordine alla scuola. Accaddero poi tragici eventi che cambiarono il corso della vita della ragazzina: la morte del papà la costrinse ad interrompere gli studi per lavorare a tempo pieno. Lei non si spaventò, era già "abituata", si trattava di invertire l'ordine dei fattori, ma il risultato cambiò assai! Passarono gli anni Ina si sposò, nacquero figli, mentre il tarlo del tempo continuava ad insinuarsi ogni dì tra il lavoro fuori casa e quello domestico. Dopo parecchie stagioni, un autunno, la nostra donna decise di frequentare una scuola privata serale (dalle ore 20 alle 24), per recuperare quattro anni scolastici. Per nove mesi, finito l'orario di lavoro, studiò in ogni momento "libero" rubando tempo al sonno ed alle soste, finché a luglio, superato l'esame di stato con 50/sessantesimi, conseguì il diploma magistrale. L'entusiasmo esplose, Ina mise le ali ai piedi, trasformò le corse in voli pindarici, non privi di turbolenze, tempeste ed uragani e proseguì il suo 19

20 viaggio di educazione permanente, anche dopo la laurea, spinta dall'innata curiosità, ma anche dalla consapevolezza socratica acquisita (sapere di non Sapere). Quando il pubblico presente si ridusse ad un'esigua platea, Ina si accorse che la sfida col tempo sarebbe stata impari: lui era più veloce. Per anni si era affannata a correre, arrivando puntualmente in ritardo! Il vecchio tarlo, seppur grasso per aver rosicchiato tante energie, si accingeva a vincere la competizione finale cantandole ogni dì un ritornello <Correre, correr, corre, cor... correrai dietro la bara gridando: "Aspettami sto arrivando"!>. Allora capì che era arrivato il momento di nascondere calendari, agende, orologi ed ascoltarne il tic tac, senza contare, né scandire ore e giorni; doveva continuare a giocare, ma fermando la moviola al presente. Portò la mano raggrinzita e storta sulla punta del proprio naso e facendola vibrare sussurrò al tarlo obeso: "Non avere fretta, arriverò quando sarà il mio momento, non riuscirai più a mangiarmi il presente." Ti metterò a dieta Qui ed Ora! Aprì la cassapanca dei ricordi, liberò dallo scrigno dell'eternità l'eco della voce degli assenti, che neppure l'ultimo respiro aveva ridotto al silenzio e volse lo sguardo al tempo perduto, come scrisse Proust, per crogiolarsi in ricordi materializzati, in odori e colori di un'infanzia serena, di un'adolescenza non consumata e di una gioventù passata troppo in fretta. Si era appena fermata per abbandonarsi ad un tempo dilatato, scandito da armonie Musicali, in cui la Lettura potesse essere la sua attività primaria, illuminata dalla luce del sole e non soffocata nel buio della notte; in cui la Scrittura fosse lasciata al fluire di parole misurate da ritmi biologici, senza imporsi di allinearle frettolosamente mozzandone spesso la coda; si stava cullando nell'illusione di risvegliare tra i giovani, con i suoi racconti, valori assopiti o non conosciuti come solidarietà, fiducia, determinazione, nella speranza di restituire loro il desiderio della scoperta e conquista, usurpato e soffocato da eccessive ed inadeguate offerte di protezione, quando... Leonardo, in procinto di uscire, si alza dalla sedia, saluta la nonna e le chiede: "Stai bene? E' un periodo che sei spesso in casa inchiodata al pc! A proposito, ora vado all'allenamento di rugby, rientrerò verso le 18, avrei bisogno del computer, pensi sarà disponibile o dovrò fermarmi in mediateca?". "Veramente ho qualche problema al metatarso, risponde la nonna, stavo solo cercando alcune informazioni sulla Banca del Tempo, tu ne sai qualcosa?" Poi, mentre l'accompagna alla porta, Ina butta l'occhio allo scarpone n. 44 del nipote e ripensando ai suoi scarponcini n. 20, immagina quanta strada lui potrà fare camminando più lentamente; infine si solleva sulla punta dei piedi, si allunga per abbracciarlo e sorride sbirciando l'immagine riflessa nello specchio dell'ingresso. CARLA ZAPPATA 3 classificato GIURIA TECNICA MADRI E FIGLIE Marta fissa il tabellone sospirando. Dopo aver ruotato rapidamente su sé stesse, le lettere si fermano indicando il nuovo orario di arrivo del treno. Valentina, invece, sembra essere completamente estraniata, come il suo solito. Non ha alzato lo sguardo, neppure quando il ritardo è stato ripetuto dall'altoparlante. Rimane ipnoticamente concentrata sull'iphone, con le dita che scorrono con meccanica rapidità sullo schermo. Almeno il rumore della stazione copre la musica che esce dalle cuffiette, pensa spazientita Marta. Vorrebbe riprendere la figlia per come se ne sta stravaccata sulla panca, ma si trattiene. 20

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