Canto XXIV. Dante incontra Vanni Fucci

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1 Canto XXIV Posizione VIII cerchio - Malebolge - (fraudolenti); 7ª bolgia Peccatori Ladri Pena Corrono tra i serpenti, da questi avvinghiati; alcuni subiscono mostruose metamorfosi Contrappasso In vita agirono di nascosto e furtivamente, come i serpenti; rubarono ciò che apparteneva agli altri e ora vengono derubati del loro stesso corpo Dante incontra Vanni Fucci Sequenze narrative vv 1-21 TURBAMENTO DI DANTE E CONFORTO DI VIRGILIO Nel vedere il maestro turbato, anche Dante si sconforta, ma poi si rianima quando, vicino alla frana del ponte, il volto di Virgilio ritorna sereno. È una sensazione simile a quella del pastore che, dopo essersi abbattuto nel vedere al mattino i campi coperti di brina, pensando che sia nevicato durante la notte, si riprende quando la brina si scioglie e i campi ritornano a verdeggiare. Inferno, XXIV, 91-96, miniatura ferrarese, Ms. Urb. Lat. 365, f. 63 v. Roma, Biblioteca Vaticana. vv VERSO LA SETTIMA BOLGIA La salita lungo la frana è faticosa e Virgilio aiuta amorevolmente il discepolo, giungendo infine sull argine della settima bolgia; i due poeti salgono quindi sul ponticello che la sovrasta. vv LA BOLGIA DEI LADRI Dal ponte non è però possibile vedere il fondo del fossato né distinguere le voci che vi si levano; per questo i due si spostano verso l argine successivo, da cui la bolgia appare in tutto il suo orrore. Questa è completamente ricoperta di serpenti di ogni tipo, in mezzo a cui corrono nudi i dannati, con le mani legate con serpi dietro alla schiena. Vengono qui puniti i ladri, che, per uno degli aspetti del contrappasso, non possono ora usare le mani che servirono loro in vita per rubare. vv VANNI FUCCI Un serpentello trafigge alla nuca un dannato, che subito incenerisce, ma immediatamente riprende forma umana, come la mitica Araba Fenice, che ogni cinquecento anni brucia e subito risorge, rinnovata, dalle proprie ceneri. Alla domanda di Virgilio, il dannato risponde di essere il pistoiese Vanni Fucci, che Dante ebbe modo di conoscere in vita come uomo violento e sanguinario. Per questo infatti il poeta si meraviglia di vederlo punito tra i ladri. Vanni Fucci confessa allora di trovarsi in questa bolgia a causa di un furto sacrilego, del quale erano stati ingiustamente incolpati altri. Infuriato per essere stato smascherato da Dante, gli predice per dispetto le prossime sconfitte dei Bianchi* pistoiesi e fiorentini. 211

2 Inferno Canto XXIV Temi e motivi L ardua impresa di Dante Come si era già verificato nel canto XXI, aperto dal paragone tra la bolgia dei barattieri e l arzanà de Viniziani, e come si ripeterà ancora nel canto XXX, anche in questa occasione l esordio è affidato ad un ampia similitudine*, secondo l uso retorico medievale. Si tratta di un quadro campestre di raffinata fattura letteraria che annuncia la sfida con i poeti classici esplicitamente dichiarata nel canto successivo (Inf. XXV, 94-99), ma non fine a se stesso, in quanto la ripresa di fiducia del villanello allo sciogliersi della brina scambiata in un primo momento per neve, cosa che gli avrebbe impedito di condurre il gregge al pascolo, è assimilata al mutare dello stato d animo di Dante, prima turbato nel vedere Virgilio accusare il colpo delle parole beffarde di Catalano*, rivelatrici dell inganno di Malacoda*, poi riconfortato dallo stesso maestro, rientrato prontamente nel ruolo di guida esperta e sicura che gli compete. Dopo la similitudine iniziale, intessuta di precisi echi di Virgilio*, di Stazio* e di Lucano*, il confronto con i poeti classici (i gran savi evocati al v. 106), assunto come tecnica portante per questo canto e per il successivo, prosegue attraverso la descrizione del terribile ambiente infestato di rettili, in cui la precisione realistica (di ordine geografico e zoologico) si fonde con il fascino del favoloso e dello strano (riferimenti ad animali mitici come l Araba Fenice*), e della prima metamorfosi di un dannato, che subito dopo si presenterà come il pistoiese Vanni Fucci*. La sfida è rivolta in particolare a Lucano, che nella Farsaglia aveva descritto gli orrori del deserto libico, e a Ovidio*, poeta delle Metamorfosi, che Dante non si accontenta di imitare, ma cerca anche di superare quanto a tecnica descrittiva, come risulterà evidente nel canto successivo (Inf. XXV, 94-97). Vanni Fucci Al centro dell episodio (tra la fine del canto XXIV e l inizio del canto XXV) si colloca l incontro con l individuo che incarna il peccato nel modo più empio e bestiale: il pistoiese Vanni Fucci*, guelfo di parte Nera*, ladro e omicida, uno dei grandi protagonisti delle lotte interne alla propria città. Con una protervia superiore a quella dello stesso Capaneo* (cfr. Inf. XIV), il peccatore confessa compiaciuto i propri reati e, vedendosi scoperto tra i ladri a causa del furto sacrilego alla cappella di S. Iacopo nel duomo di Pistoia (di cui furono ingiustamente incolpati altri), sfoga la propria rabbia predicendo la rovina dei Bianchi* e dello stesso Dante, con la precisa volontà di ferirlo (v. 151). Su questa vendicativa affermazione termina il canto, ma la scena continuerà in quello successivo, che si aprirà con il gesto osceno rivolto dal peccatore a Dio in segno di sfida, che si rivelerà tanto blasfemo e arrogante quanto vano, destinato ad essere immediatamente stroncato dalla divina giustizia. In quella parte del giovanetto anno che l sole i crin sotto l Aquario tempra 3 e già le notti al mezzo dì sen vanno, quando la brina in su la terra assempra l imagine di sua sorella bianca, 6 ma poco dura a la sua penna tempra, lo villanello a cui la roba manca, si leva, e guarda, e vede la campagna 9 biancheggiar tutta; ond ei si batte l anca, vv 1-21 TURBAMENTO DI DANTE E CONFORTO DI VIRGILIO Nel periodo (parte) iniziale (giovanetto) dell anno in cui il sole rende più tiepidi (tempra) i propri raggi (crin) nella costellazione (sotto) dell Acquario e le notti già si avviano (sen vanno) a durare la metà del giorno (al mezzo dì), quando la brina riproduce (assempra) sulla (in su) terra l immagine della neve (sua sorella bianca), ma la tempera (tempra) della sua penna (con cui la brina riproduce la neve) dura poco, il pastorello (villanello) che non ha foraggio per le pecore (a cui la roba manca), si alza, guarda e vede tutta la campagna biancheggiare; per cui egli (ond ei) si rammarica (si batte l anca), 212

3 Canto XXIV Inferno ritorna in casa, e qua e là si lagna, come l tapin che non sa che si faccia; 12 poi riede, e la speranza ringavagna, veggendo l mondo aver cangiata faccia in poco d ora, e prende suo vincastro 15 e fuor le pecorelle a pascer caccia. Così mi fece sbigottir lo mastro quand io li vidi sì turbar la fronte, 18 e così tosto al mal giunse lo mpiastro; ché, come noi venimmo al guasto ponte, lo duca a me si volse con quel piglio 21 dolce ch io vidi prima a piè del monte. Le braccia aperse, dopo alcun consiglio eletto seco riguardando prima 24 ben la ruina, e diedemi di piglio. E come quei ch adopera ed estima, che sempre par che nnanzi si proveggia, 27 così, levando me sù ver la cima d un ronchione, avvisava un altra scheggia dicendo: «Sovra quella poi t aggrappa; 30 ma tenta pria s è tal ch ella ti reggia». Non era via da vestito di cappa, ché noi a pena, ei lieve e io sospinto, 33 potavam sù montar di chiappa in chiappa. E se non fosse che da quel precinto più che da l altro era la costa corta, 36 non so di lui, ma io sarei ben vinto. Ma perché Malebolge inver la porta del bassissimo pozzo tutta pende, 39 lo sito di ciascuna valle porta che l una costa surge e l altra scende; noi pur venimmo al fine in su la punta 42 onde l ultima pietra si scoscende. La lena m era del polmon sì munta quand io fui sù, ch i non potea più oltre, 45 anzi m assisi ne la prima giunta. rientra in casa e ogni tanto (qua e là) si lamenta (si lagna), come un poveretto ( l tapin) che non sa che fare (per rimediare qualcosa) (che si faccia); poi esce di nuovo (riede) e riguadagna (ringavagna) la speranza, nel vedere (veggendo) la terra (mondo) aver cambiato (cangiata) aspetto (faccia) in poco tempo (in poco d ora), e prende il suo bastone (vincastro) e spinge (caccia) fuori le pecorelle a pascolare (pascer). Allo stesso modo mi fece stupire (sbigottir) il maestro quando lo vidi corrucciare (turbar) la fronte e altrettanto rapidamente (così tosto) giunse il rimedio (lo mpiastro) allo sconforto (mal); dal momento che (ché), appena giungemmo al ponte franato (guasto), la guida si rivolse a me con quell espressione (piglio) dolce che avevo visto la prima volta ai piedi (a piè) del colle (nella selva oscura). vv VERSO LA SETTIMA BOLGIA Aprì le braccia e, valutata (eletto) tra sé (seco) la scelta migliore (alcun consiglio) dopo aver osservato bene (riguardando ben) le condizioni della frana (ruina), mi afferrò (diedemi di piglio) (per aiutarmi a salire). E come colui che agisce (adopera) e allo stesso tempo riflette (sul da farsi) (estima), in modo che sembra (par) sempre provvedere (si proveggia) in anticipo all azione successiva ( nnanzi), così, spingendomi (levando me sù) verso (ver ) l estremità (cima) di un masso (ronchione), adocchiava (avvisava) un altra sporgenza rocciosa (scheggia) dicendo: «Aggrappati poi a (Sovra) quella; ma prima (pria) prova (tenta) se essa è in grado (s è tal) di reggerti (ti reggia)». Non era un cammino (via) adatto a chi indossa vestiti ampi e pesanti (da vestito di cappa), poiché a malapena (a pena) noi, Virgilio (ei) leggero (lieve, in quanto spirito) ed io sospinto da lui, potevamo salire (sù montar) da un masso all altro (di chiappa in chiappa). E se il pendio (costa) da quella parte dell argine (da quel precinto) non fosse stato più corto dell altro, non so Virgilio (di lui), ma di sicuro (ben) io sarei stato sopraffatto dalla fatica (vinto). Ma poiché Malebolge declina (pende) sensibilmente (tutta) verso (inver ) l apertura (porta) del pozzo più basso (bassissimo), la conformazione (sito) di ciascuna bolgia (valle) è tale (porta) che un argine (l una costa) è più alto (surge) e l altro più basso (scende); noi raggiungemmo finalmente (al fine) la sommità dell argine (punta) da cui (onde) sporge (si scoscende) l ultimo masso del ponte crollato. Quando fui in cima (sù), il fiato (lena) mi era stato spremuto (munta) dai polmoni a tal punto (sì) che io non ero più in grado di procedere (non potea più oltre), e così (anzi) appena arrivato (ne la prima giunta) mi misi a sedere (m assisi). 213

4 Inferno Canto XXIV «Omai convien che tu così ti spoltre», disse l maestro; «ché, seggendo in piuma, 48 in fama non si vien, né sotto coltre; sanza la qual chi sua vita consuma, cotal vestigio in terra di sé lascia, 51 qual fummo in aere e in acqua la schiuma. E però leva sù; vinci l ambascia con l animo che vince ogne battaglia, 54 se col suo grave corpo non s accascia. Più lunga scala convien che si saglia; non basta da costoro esser partito. 57 Se tu mi ntendi, or fa sì che ti vaglia». Leva mi allor, mostrandomi fornito meglio di lena ch i non mi sentia, 60 e dissi: «Va, ch i son forte e ardito». Su per lo scoglio prendemmo la via, ch era ronchioso, stretto e malagevole, 63 ed erto più assai che quel di pria. Parlando andava per non parer fievole; onde una voce uscì de l altro fosso, 66 a parole formar disconvenevole. Non so che disse, ancor che sovra l dosso fossi de l arco già che varca quivi; 69 ma chi parlava ad ire parea mosso. Io era vòlto in giù, ma li occhi vivi non poteano ire al fondo per lo scuro; 72 per ch io: «Maestro, fa che tu arrivi da l altro cinghio e dismontiam lo muro; ché, com i odo quinci e non intendo, 75 così giù veggio e neente affiguro». «Altra risposta», disse, «non ti rendo se non lo far; ché la dimanda onesta 78 si de seguir con l opera tacendo». Noi discendemmo il ponte da la testa dove s aggiugne con l ottava ripa, 81 e poi mi fu la bolgia manifesta: «Ormai è necessario (convien) che tu ti liberi dalla pigrizia (ti spoltre) con simili sforzi (così)», disse il maestro; «perché adagiandoti sulle piume (seggendo in piuma) o stando a letto (sotto coltre) non si raggiunge (non si vien) la fama; chi spreca (consuma) la propria vita senza la fama (la qual), lascia in terra la stessa (cotal) traccia (vestigio) di sé che (qual) lascia il fumo (fummo) nell aria o la schiuma nell acqua. Perciò (però) alzati (leva sù); supera (vinci) la fatica (l ambascia) con la forza di volontà (l animo) che vince ogni difficoltà (battaglia), se non si lascia abbattere (s accascia) a causa del peso del corpo (col suo grave corpo). È necessario (convien) salire (che si saglia) una scala [la salita alla cima del Purgatorio] ancora più lunga; non è sufficiente (non basta) esserti allontanato (partito) dai peccatori (costoro). Se ben comprendi il senso delle mie parole (Se tu m intendi), fa dunque (or) in modo (fa sì) che ti giovi (ti vaglia)». Allora mi alzai in piedi (Leva mi), mostrandomi dotato (fornito) di forza (lena) maggiore (meglio) di quanto realmente non mi sentissi (ch i non mi sentia), e dissi: «Va pure, che ora io sono forte e coraggioso (ardito)». Ci incamminammo (prendemmo la via) lungo (Su per) il ponte (scoglio), che era pieno di sporgenze rocciose (ronchioso), stretto e malagevole, e assai più ripido (erto) di quello precedente (quel di pria). vv LA BOLGIA DEI LADRI Avanzavo (andava) parlando per non sembrare (parer) stanco (fievole); per cui (per il fatto che parlavo) (onde) dall altra bolgia (fosso) si levò (uscì) una voce, incapace (disconvenevole) di articolare (formar) parole comprensibili. Non so che cosa disse, benché (ancor che) fossi già sulla sommità (sovra l dosso) dell arco che in quel punto (quivi) sormonta la bolgia (varca); ma chi parlava sembrava sollecitato (mosso) a camminare (ad ire). Io ero rivolto (vòlto) verso il basso, ma gli occhi, appartenenti a un vivo (vivi), non potevano (poteano) giungere (ire) fino al fondo della bolgia a causa (per) dell oscurità (lo scuro); per cui dissi: «Maestro, fa in modo di arrivare (fa che tu arrivi) sull argine successivo (cinghio) e vediamo di scendere (dismontiam) il ponte (muro); perché di qui (quinci), così come odo e non intendo (intendo), guardo (veggio) giù ma non distinguo (affiguro) nulla (neente)». «Non ti do (rendo) altra risposta», disse, «se non l agire (lo far); poiché la richiesta (dimanda) legittima (onesta) si deve (si de ) soddisfare con l azione (con l opera) senza parlare (tacendo)». Scendemmo il ponte fino all estremità (testa) in cui si congiunge (s aggiugne) con l argine dell ottava bolgia (ripa), e quindi mi fu possibile distinguere (mi fu manifesta) la bolgia: 214

5 Canto XXIV Inferno e vidivi entro terribile stipa di serpenti, e di sì diversa mena 84 che la memoria il sangue ancor mi scipa. Più non si vanti Libia con sua rena; ché se chelidri, iaculi e faree 87 produce, e cencri con anfisibena, né tante pestilenzie né sì ree mostrò già mai con tutta l Etïopia 90 né con ciò che di sopra al Mar Rosso èe. Tra questa cruda e tristissima copia corrëan genti nude e spaventate, 93 sanza sperar pertugio o elitropia: con serpi le man dietro avean legate; quelle ficcavan per le ren la coda 96 e l capo, ed eran dinanzi aggroppate. Ed ecco a un ch era da nostra proda, s avventò un serpente che l trafisse 99 là dove l collo a le spalle s annoda. Né O sì tosto mai né I si scrisse, com el s accese e arse, e cener tutto 102 convenne che cascando divenisse; e poi che fu a terra sì distrutto, la polver si raccolse per sé stessa 105 e n quel medesmo ritornò di butto. Così per li gran savi si confessa che la fenice more e poi rinasce, 108 quando al cinquecentesimo anno appressa; erba né biado in sua vita non pasce, ma sol d incenso lagrime e d amomo, 111 e nardo e mirra son l ultime fasce. E qual è quel che cade, e non sa como, per forza di demon ch a terra il tira, 114 o d altra oppilazion che lega l omo, quando si leva, che ntorno si mira tutto smarrito de la grande angoscia 117 ch elli ha sofferta, e guardando sospira: dentro vi vidi (vidivi) una terribile moltitudine (stipa) di serpenti, e di così orribile (sì diversa) natura (mena) che il ricordo (memoria) ancora mi guasta (scipa) il sangue. Non si vanti più la Libia col suo deserto sabbioso (rena); poiché se essa produce chelidri, iaculi e faree, e cencri con anfisibene, non mostrò mai, insieme all Etiopia e alle terre a nord del Mar Rosso (ciò che di sopra al Mar Rosso èe), tanti serpenti velenosi (tante pestilenzie) e tanto nocivi (ree). In mezzo (Tra) a quella crudele (cruda) e malvagia (tristissima) abbondanza di rettili (copia) correvano (corrëan) dannati (genti) nudi e spaventati, senza speranza di trovare ripari (pertugio) o pietre miracolose (contro il morso dei serpenti) (elitropia): avevano le mani legate dietro la schiena con serpi; e queste spingevano (ficcavan) il capo e la coda lungo le reni dei dannati (per le ren), e si andavano ad attorcigliare sul ventre (ed eran dinanzi aggroppate). vv VANNI FUCCI All improvviso (Ed ecco) contro un dannato (un), che si trovava presso l argine su cui eravamo noi (ch era da nostra proda), si avventò un serpente che lo trafisse nel punto in cui (là dove) il collo si congiunge (s annoda) alle spalle. Non si scrisse mai così rapidamente (sì tosto) O o I come quegli (el) prese fuoco (s accese) e bruciò (arse) e fatalmente (convenne che) cadendo a terra (cascando) incenerì (cener divenisse); e subito dopo (poi che) essersi completamente incenerito (sì distrutto) a terra, la cenere (polver) si radunò (si raccolse) da sola (per sé stessa) e riprese immediatamente (di butto) l originaria forma umana ( n quel medesmo). Allo stesso modo dai poeti e dai sapienti (per li gran savi) è attestato (si confessa) che l araba fenice muore (more) e subito dopo (poi) rinasce, quando si avvicina (appressa) al compimento del cinquecentesimo anno di vita; per vivere non si ciba (non pasce) di erbe e di biade (biado), ma solo di gocce (lagrime) di incenso e di amomo, e il suo nido di morte (l ultime fasce) è imbevuto (son) di nardo e di mirra. E come colui (l indemoniato o l epilettico) che stramazza al suolo senza rendersene conto (e non sa como), a causa (per forza) di un demonio che lo trascina (tira) a terra, o di un altra ostruzione (oppilazion) che gli blocca le funzioni fisiologiche (che lega l omo), e quando si rialza (si leva) si guarda (si mira) intorno ancora frastornato (tutto smarrito) per la grave crisi (de la grande angoscia) che ha subito (sofferta), e guardando intorno sospira; 215

6 Inferno Canto XXIV tal era l peccator levato poscia. Oh potenza di Dio, quant è severa, 120 che cotai colpi per vendetta croscia! Lo duca il domandò poi chi ello era; per ch ei rispuose: «Io piovvi di Toscana, 123 poco tempo è, in questa gola fiera. Vita bestial mi piacque e non umana, sì come a mul ch i fui; son Vanni Fucci 126 bestia, e Pistoia mi fu degna tana». E ïo al duca: «Dilli che non mucci, e domanda che colpa qua giù l pinse; 129 ch io l vidi uomo di sangue e di crucci». E l peccator, che ntese, non s infinse, ma drizzò verso me l animo e l volto, 132 e di trista vergogna si dipinse; poi disse: «Più mi duol che tu m hai colto ne la miseria dove tu mi vedi, 135 che quando fui de l altra vita tolto. Io non posso negar quel che tu chiedi; in giù son messo tanto perch io fui 138 ladro a la sagrestia d i belli arredi, e falsamente già fu apposto altrui. Ma perché di tal vista tu non godi, 141 se mai sarai di fuor da luoghi bui, apri li orecchi al mio annunzio, e odi. Pistoia in pria d i Neri si dimagra; 144 poi Fiorenza rinova gente e modi. Tragge Marte vapor di Val di Magra ch è di torbidi nuvoli involuto; 147 e con tempesta impetüosa e agra sovra Campo Picen fia combattuto; ond ei repente spezzerà la nebbia, 150 sì ch ogne Bianco ne sarà feruto. E detto l ho perché doler ti debbia!». tale era il dannato (peccator) dopo essersi rialzato (levato poscia). Quanto è severa la potenza di Dio, che vibra (croscia) colpi così forti (cotai) come giusta punizione (vendetta)! Allora (poi) la mia guida gli (il) chiese chi fosse; per cui egli rispose: «Dalla Toscana precipitai (piovvi), poco tempo fa, in questa bolgia (valle) crudele (fiera). Mi piacque condurre una vita più da bestia che da uomo, degna di quel bastardo (sì come a mul) che sono stato; sono Vanni Fucci detto bestia, e Pistoia fu la mia degna tana». Ed io al maestro: «Digli (Dilli) che non cerchi di scappare (non mucci), e chiedigli quale colpa lo ( l) fece sprofondare (pinse) in questa bolgia (qua giù); perché io lo conobbi (vidi) come uomo sanguinario (omo di sangue) e rissoso (di crucci)». E il peccatore, che udì le mie parole ( ntese), non cercò di fingere (non s infinse), ma rivolse (drizzò) verso di me il volto e l animo, e arrossì (si dipinse) di vergogna irosa (trista vergogna); poi disse: «Mi addolora (duol) di più il fatto che tu mi abbia colto nella miserabile condizione (miseria) in cui mi vedi, che non il momento (quando) in cui sono stato costretto a lasciare la vita terrena (fui de l altra vita tolto). Non posso negarti ciò che mi chiedi; sono collocato (messo) più in basso (di quanto credevi) nell Inferno (in giù... tanto) per il fatto che rubai (fui ladro) il tesoro (belli arredi) di una sacrestia, e il furto venne erroneamente (falsamente) attribuito (apposto) a un altro (altrui). Ma affinché tu non gioisca (non godi) di vedermi qui (di tal vista), se mai uscirai (sarai di fuor) dall oscurità infernale (da luoghi bui), apri le orecchie alla mia profezia (annunzio), e ascolta bene. Dapprima (in pria) Pistoia si spopolerà (si dimagra) dei (d i) Neri; poi sarà Firenze a dover cambare partito (rinova gente) e abitudini (modi). Marte sta già traendo (Tragge) dalla Lunigiana (Val di Magra) un fulmine (vapor) avvolto (involuto) in dense (torbidi) nuvole; e con una bufera violenta (impetüosa) e crudele (agra) si combatterà (fia combattuto) presso Pistoia (sovra Campo Picen); per cui il fulmine (ond ei) disperderà (spezzerà) improvvisamente (repente) la nebbia, così che ogni Bianco ne rimarrà ferito (feruto). E ho detto tutto ciò perché tu ne provi dolore (doler ti debbia)!». 216

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