DIRITTO PENALE DELL IMMIGRAZIONE Lezione del 24 giugno 2011 William/Filomena

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1 DIRITTO PENALE DELL IMMIGRAZIONE Lezione del 24 giugno 2011 William/Filomena OBIETTIVO: SI INTENDE TRACCIARE UN PERCORSO DEI RAPPORTI CRITICI E PATOLOGICI CHE SI POSSONO INSTAURARE TRA LO STRANIERO (CITTADINO EXTRACOMUNITARIO E APOLIDE IN BASE ALLA DEFINIZIONE DI CUI ALL ART. 1 d.lgs. 286 /1998 Testo Unico stranieri) E LA PUBBLICA AUTORITA (FORZE DELL ORDINE, GIUDICE) AD INIZIARE, AD ESEMPIO, DA UN CONTROLLO DI ROUTINE DA PARTE DELLA POLIZIA STRADALE. IL PRIMO PROBLEMA CHE SI PONE è L IDENTIFICAZIONE DEL CITTADINO EXTRACOMUNITARIO O DELL APOLIDE. N.B.: IL PROBLEMA DELL IDENTIFICAZIONE VALE PER TUTTI, ANCHE PER I CITTADINI ITALIANI. A RICHIESTA DELL AGENTE DI PUBBLICA SICUREZZA SI HA L OBBLIGO DI ESIBIRE I DOCUMENTI ALTRIMENTI SCATTA IL REATO DI CUI ALL ART. 6 D.LGS. 286 (T.U. IMMIGRAZIONE). QUESTA NORMA STABILISCE CHE: LO STRANIERO CHE, A RICHIESTA, NON OTTEMPERA, SENZA GIUSTIFICATO MOTIVO, ALL ORDINE DI ESIBIZIONE DEL PASSAPORTO O DI ALTRO DOCUMENTO DI IDENTIFICAZIONE E DEL PERMESSO DI SOGGIONO O DI ALTRO DOCUMENTO CHE ATTESTA LA PRESENZA REGOLARE NEL TERRITORIO DELLO STATO E PUNITO CON L ARRESTO FINO A 1 ANNO E CON L AMMENDA FINO A EURO QUANDO C E UN MOTIVO PARTICOLARE CHE FA DUBITARE GLI AGENTI DI PUBBLICA SICUREZZA SULL IDENTITA PERSONALE DELLO STRANIERO, QUESTI ESSERE SOTTOPOSTO A RILIEVI FOTODATTILOSCOPICI E SEGNALETICI ( RILEVAZIONE DELLE IMPRONTE DIGITALI: CIO A DIFFERENZA DI QUANTO AVVIENE IN SEDE DI CONTROLLO DEI CITTADINI ITALIANI) l art. 495ter (Fraudolente alterazioni per impedire l identificazione o l accertamento di qualità personali) punisce <<chiunque, al fine di impedire la propria o l altrui identificazione, altera parti del proprio o dell altrui corpo utili per consentire l accertamento di identità o di altre qualità personali, è punito con la reclusione da 1 a 6 anni. Il fatto è aggravato se commesso nell esercizio di una professione sanitaria>>. IN SEDE DI VERIFICA E QUANDO VI SONO FONSATE RAGIONI L AGENTE DI P.S. PUO CHIEDERE AGLI STRANIERI INFORMAZIONI E ATTI CHE DIMOSTRANO LA DISPONIBILITA DI UN REDDITO (DA LAVORO O ALTRA FONTE LEGITTIMA) SUFFICIENTE AL SOSTENTAMENTO PROPRIO E DEI FAMILIARI CONVIVENTI NEL TERRITORIO DELLO STATO. Quando ricorre il giustificato motivo? Quando l ipotesi che la mancata esibizione del documento dipenda da un giustificato motivo, è necessario cogliere con attenzione il senso di questa locuzione, alla quale è necessario ritagliare un ambito di operatività diverso rispetto al semplice caso fortuito o forza maggiore. <<E stato specificato che l impossibilità materiale di adempiere può dipendere sia da condizioni esterne relative al contesto oggettivo, sia da un incapacità di agire relativa allo stesso agente (Fiandaca, Omissione, 552), dunque, non solamente da fattori oggettivi, ma anche da fattori soggettivi. E proprio con riferimento a questi ultimi è stata sollevata la questione relativa alla soglia minima al di sotto della quale l impossibilità di agire rende penalmente irrilevante l omissione>>. 1

2 In altre parole, possiamo affermare che <<la clausola in esame possa dirsi interpretata correttamente solo se l accertamento sia proiettato verso il caso concreto e l esigibilità soggettiva: il primo requisito avrebbe ad oggetto l accertamento delle condizioni del mancato possesso del documento; il secondo permetterebbe di tenere nel dovuto conto anche il reale condizionamento psichico esercitato dalle circostanze concrete sul soggetto che doveva adempiere il relativo obbligo>>. Cass. pen. Sez. I, sentenza 601/2010: il cittadino extracomunitario di nazionalità marocchina, che pure era in possesso di regolare permesso di soggiorno, non aveva ottemperato all invito rivoltogli dal personale della Questura di Bolzano di esibirlo, in quanto, al momento del controllo, non aveva con sì tale documento né alcuna altro documento di riconoscimento. Tale comportamento integra gli estremi del reato contestatogli per il fatto stesso di aver circolato per la città di Bolzano senza avere con sé detto documento; non assume alcun rilievo, ai fini della sussistenza del reato né che l imputato abbia fornito le esatte sue generalità né che era fornito di tale documento, pur avendolo lasciato nella sua abitazione. Per quanto attiene all applicazione della norma in discorso, il punto critico è rappresentato proprio dalla qualifica del soggetto attivo, sul quale si sono lungamente confrontati due opposti filoni giurisprudenziali. - Secondo l orientamento estensivo, autore del reato può essere tanto lo straniero presente regolarmente sul territorio nazionale, quanto l irregolare, il quale non è perciò solo privo di documenti utili a identificarlo. La condizione di clandestino, infatti, non potrà integrare di per sé il giusto motivo della mancata esibizione del documento. - Secondo l orientamento più restrittivo, invece, la disposizione può essere applicata solo agli stranieri regolari e ciò sulla base di un duplice ordine di considerazioni: da un lato, l irrilevanza penale del solo ingresso illegale e dall altro lato la collocazione topografica della contravvenzione all interno del testo unico. Chi opta per quest ultima opzione interpretativa considera, infatti, irrazionale che il legislatore, decidendo di non punire penalmente l ingresso illegale, punisca pii l essere privi di documenti ed inoltre tende a valorizzare la collocazione del 3 comma nell articolo che regola il permesso di soggiorno sotto la rubrica facoltà ed obblighi inerenti al soggiorno, quasi a sottintendere si tratti dello statuto dello straniero regolare. Con sentenza 45801/2003 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, valorizzando la natura plurioffensiva del reato (per cui esso era da considerarsi posto a tutela non solo dell ordine pubblico ma anche del controllo dell immigrazione regolare) hanno stabilito che questa contravvenzione era applicabile sia agli stranieri regolari sia agli stranieri irregolari (clandestini) perché qualsiasi straniero per il solo fatto di avere un rapporto fisico col territorio nazionale, a prescindere dal suo status di immigrato regolare o meno, ha l obbligo di munirsi di uno dei documenti di identificazione indicati nel testo della norma. In pratica, con tale decisione Le Sezioni unite adottano una interpretazione intermedia tra i due orientamenti: <<la ratio della norma ( ) non è quella di consentire agli ufficiali o agli agenti di pubblica sicurezza di verificare, illico et immediate, attraverso la esibizione di uno di quei documenti, la regolarità o meno della presenza dello straniero in territorio nazionale (se così fosse sarebbe improduttiva di ogni effetto al riguardo la mera esibizione del passaporto o di altro documento di identificazione), ma solo quella di procedere alla sua esatta e compiuta, documentale, identificazione: l interesse protetto dalla norma, quindi, non è quello, a tale momento, della verifica della regolarità della presenza dello straniero in territorio nazionale, ma la attività di pubblica sicurezza volta alla identificazione dei soggetti stranieri presenti nel territorio dello Stato, con la connessa necessità di identificare compiutamente, documentalmente, il soggetto, sia, poi, egli in regola o meno con le norme di soggiorno, accertamento, quest ultimo, che ben può avvenire in un 2

3 momento successivo, susseguente e perciò estraneo alla condotta dovuta al momento della richiesta di esibizione di uno di quei documenti>> (Cass. pen,, Sez. Unite, , Mesky, DPP, 2004, 162). Le Sezioni Unite creano un discrimen in base all oggetto materiale del reato: nella sentenza in esame la Corte stabilisce che occorre distinguere in base al tipo di documento di cui è omessa l esibizione, nel senso che, nei confronti degli stranieri entrati clandestinamente in Italia il reato può configurarsi solo nel caso di mancata esibizione, senza giustificato motivo, del passaporto o di altro documento di identificazione: e, infatti, se il reato venisse configurato anche nel caso di mancata esibizione del permesso di soggiorno, ciò significherebbe, in sostanza, colpire con sanzione penale la stessa condizione di clandestinità <<la esibizione di un documento presuppone che lo stesso esista nel mondo fenomenico o che, quanto meno, possa esistere per la previa attivazione in tal senso del soggetto interessato ed abilitato a farlo, nella condizione data>>. La situazione si complica a seguito dell entrata in vigore della l. 94 del 2009 che introduce, con l art. 1, comma 16 lett. a), il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato (meglio noto come REATO DI CLANDESTINITA ). Secondo un primo orientamento interpretativo, il legislatore ha previsto un doppio binario: l uno per gli stranieri regolarmente soggiornanti sul territorio (onerati della esibizione, a richiesta, dei documenti indicati nell art. 6); l altro per gli stranieri clandestini sanzionati in via gradatamente più grave, con le previsioni di cui all art. 10bis, 14 commi 5ter e quater, e art. 13, comma 13, T.U. immigrazione. Stando a questo ragionamento, alle condotte di violazione dell art. 6, commesse prima dell 8 agosto 2009, contestate a stranieri totalmente sprovvisti (in quanto non titolari) di permesso di soggiorno o di altro titolo equipollente, deve ritenersi intervenuta una abolitio criminis. Per contro, per le condotte perpetrate dopo l entrata in vigore della l. 94, la mancata esibizione di un permesso di soggiorno o di altro titolo attestante la regolare presenza sul suolo dello Stato, comporterà l integrazione della fattispecie di cui all art. 10bis d.lgs. 286, sempre che non risulti integrata altra più grave fattispecie di reato, della medesima specie, quale ad esempio quella di cui all art. 14, comma 5ter o quater, nel quale caso la prima risulterà assorbita. In altre parole, punire un clandestino perché privo del permesso di soggiorno equivarrebbe ad un inaccettabile bis in idem sostanziale (=punire due volte una persona per il medesimo fatto di reato) con la nuova fattispecie di ingresso e soggiorno illegale di cui all art. 10bis T.U. imm. Mutamenti di status: a) Per cause oggettive. Può accadere che un soggetto, straniero all atto di commettere un reato proprio, cessi di esserlo in un momento successivo per una sopravvenuta modifica normativa ricollegabile, ad esempio, all annessione allo Stato italiano del territorio di provenienza del soggetto od all ingresso dello Stato di provenienza tra i Paesi membri dell Unione Europea. Se la prima ipotesi appare oggi improbabile, la seconda, alla luce del progressivo processo di allargamento dell Unione Europea, rappresenta un eventualità di grande attualità. L ingresso, nel gennaio del 2007, della Romania nell Unione Europea ha offerto alla Corte di Cassazione l occasione di misurarsi ancora una volta con il tema della modificazione mediata della fattispecie incriminatrice. Il caso è il seguente: nel 2006 il sig Magera cittadino rumeno viene imputato del delitto previsto dall art. 14, comma 5ter, T.U. imm., con il quale si incrimina lo straniero che si trattenga nel territorio dello Stato in violazione dell ordine impartito dal questore ai sensi dell art. 5bis T.U. imm. Nel corso del processo la Romania entra a far parte dell Unione europea, pertanto il sig. Ma gesta diventa cittadino dell Unione e cessa di essere straniero 3

4 Sul punto si sono pronunciate le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza , n. 2451, Magera, DPP, 2008, 307): il tema oggetto della pronuncia delle Sezioni Unite si iscrive nel più ampio problema legato alla disciplina applicabile alla successione nel tempo di norme extrapenali richiamate dalla fattispecie incriminatrice. Preliminarmente la corte esclude che possa trattarsi di un caso di abrogatio sine abolitione poiché <<il 4 comma dell art. 2 c.p., come si desume dal suo contenuto dispositivo e si ritiene generalmente, riguarda la modificazione delle incriminazioni e non la loro abolizione, riguarda cioè l ipotesi in cui, in seguito a una successione di leggi penali, il fatto continua a costituire reato ma è trattato in modo diverso, e pone la regola che in tale ipotesi deve applicarsi al disposizione più favorevole salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile >>. Nel caso in esame occorre invece stabilire se l incriminazione sia stata o meno abolita in seguito alla modificazione della legge extrapenale, e una risposta affermativa non può non comportare anche il superamento delle eventuali sentenze irrevocabili di condanna di cui, a norma dell art. 2, comma 2, c.p. dovrebbero cessare l esecuzione e gli effetti penali. In proposito, la Corte prende in considerazione tre orientamenti: a) il primo accoglie nella fattispecie, oltre alla norma incriminatrice propriamente intesa, tutte le altre norme - anche extrapenali necessarie per la sua applicazione, le quali avrebbero sempre natura integratrice. Spostando questa interpretazione, ne deriva necessariamente l applicabilità dell art. 2, comma 2, c.p. in quanto l ingresso in Europa della Romania determinerebbe un abolitio criminis parziale escludendo dai potenziali soggetti attivi del reato i cittadini rumeni, prima inclusi. b) Un secondo orientamento ritiene, all opposto, che la modifica di ogni legge diversa da quella penale sia irrilevante, degradando a meri presupposti di fatto. c) Infine, si colloca in posizione intermedia tra i primi due, un orientamento più moderato che distingue un po come accade in riferimento all art. 47, comma 3, c.p. tra leggi extrapenali integratrici e non integratrici della fattispecie. Le Sezioni Unite, dopo aver scartato la seconda opzione perché troppo formalistica, accolgono la terza e criticano aspramente la prima. In definitiva, a giudizio della Suprema Corte avrà rilevanza ai sensi dell art. 2, comma 2, c.p. con effetto parzialmente abolitivo, solo la modifica delle norme definitore e delle disposizioni normative cui rimandano le norme penali in bianco: queste sono le uniche due categorie da considerarsi integratrici del precetto penale. Di conseguenza, <<l essere rumeno o albanese significa oggi essere o non essere cittadino dell Unione Europea, perciò, ai fini del reato in questione, l ingresso di uno Stato nell Unione, così come in ipotesi la sua esclusione, non dà luogo a una successione di leggi riconducibile all art. 2, comma 2, c.p., non modifica, sia pure in modo mediato, la fattispecie penale, ma costituisce un mero dato di fatto, anche se frutto di un attività normativa>>. Nel caso di specie, l esclusione dei cittadini rumeni dal novero degli stranieri ai sensi dell art. 1 T.U. imm. lascia la fattispecie di ci all art. 14, comma 5ter, immutata, mentre <<diversa a quanto pare dovrebbe essere la conclusione se a cambiare fosse proprio la definizione di straniero contenuta nell art. 1 d.lgs. 286/1998. Se dalla categoria venisse escluso il cittadino di uno Stato in attesa di adesione all Unione sarebbe la stessa fattispecie penale a risultare diversa e a vedersi sottrarre una parte della sua sfera di applicazione, secondo lo schema tipico dell abolizione parziale riconducibile all art. 2, comma 2, c.p.. In una caso del genere dall ambito della precedente fattispecie verrebbe esclusa una sottoclasse, quella relativa ai cittadini dei Paesi candidati all ingresso nell Unione Europea, e rispetto a questa sottoclasse si potrebbe parlare di abolitio criminis, come avviene quando in una vicenda di successione di leggi penali una fattispecie più ampia viene sostituita con una più limitata (si pensi alla modificazione del reato di abuso d ufficio o di quello di false comunicazioni sociali, dei quali la giurisprudenza ha avuto occasione di occuparsi ampiamente), facendo venire meno la punibilità dei fatti che, pur integrando precedentemente il reato, non rientrano nella nuova fattispecie>>. 4

5 Da un punto di vista generale la sentenza Magera resta nel solco tracciato dalla pronuncia a Sezioni Unite del 26 marzo 2003, n , Giordano, che, per valutare il ricorrere o meno di un ipotesi di abolitio criminis in relazione al reato di falso in bilancio, ha bandito tutti i criteri fondamentali sul fatto concreto o sulla continuità del tipo di illecito, in favore del criterio di specialità basato sui rapporti strutturali fra fattispecie astratte. In particolare, si deve dare atto alla Suprema Corte di aver fatto chiarezza sulla fondamentale circostanza che il concetto di abolitio criminis non può che essere, sotto il profilo teorico generale, il medesimo: sia nelle ipotesi di modificazioni immediate sia in quelle mediate della fattispecie. Se gran parte della dottrina ha valutato positivamente il dictum della Corte, non è mancato chi ne ha criticato aspramente l interpretazione conservatrice che ha impedito di valorizzare un altro filone giurisprudenziale in base al quale anche le norme <<non ricompresse nel precetto costituzionale ne costituiscono, tuttavia, l indispensabile presupposto o concorrono, comunque, a determinarne il contenuto >> (Cass. pen. Sez. III, , n. 9482, Putrella, CP, 2006, 425). In particolare, non convince la scelta, giudicata troppo timida, di circoscrivere il novero delle disposizioni integratrici alle sole norme penali in bianco ed a quelle definitore, in quanto non si è tenuto conto di alcune recenti sentenze delle sezioni semplici, che hanno enormemente dilatato il concetto di norma integratrice. b) Per cause soggettive Non è infrequente che tra il tempus commissi delicti e la data di emissione della sentenza definitiva l imputato straniero acquisti la cittadinanza italiana, magari a seguito di matrimonio con un cittadino o di adozione da parte di quest ultimo. È sin troppo chiaro che i mutamenti di status indipendenti da modifiche legislative non possano operare retroattivamente rispetto a fattispecie penali già perfezionatesi, altrimenti ciò equivarrebbe a rimettere la punibilità delle condotte legale alla qualità di straniero esclusivamente alla volontà del reo. L idea di far dipendere la punibilità di un reato o l attenuazione di pena dal comportamento dell autore successivamente al fatto non è estranea all ordinamento penale italiano: si collocano, infatti all interno di questo alveo le circostanze attenuanti generiche (soprattutto dopo la novella del 2008), le ipotesi legale al risarcimento del danno o a condotte ripristinatore o dissociative, la disciplina in tema di collaboratori di giustizia. In tutte le ipotesi elencate, però, a fronte di un vantaggio per l autore del reato si richiede un agere intrinsecamente utile, sia esso a beneficio della vittima o dell autorità inquirente. Di contro, nel caso di specie il matrimonio contratto dallo straniero o il fatto che lo stesso risiede da più di dieci anni non rappresentano condotte postfattuali caratterizzata da alcuna utilità in relazione al reato commesso: <<nessuna rilevanza può pertanto attribuirsi all acquisto della cittadinanza italiana, per matrimonio con un cittadino, da parte della autrice del fatto, successivamente all infrazione, se pur tale acquisto sia avvenuto prima della trasmissione della denuncia all autorità giudiziaria>> (Cass. pen. Sez.I, , n. 9543, Pinzent, rv ). Se il cittadino straniero: A) dichiara o attesta al pubblico ufficiale false informazioni sull identità, lo stato o altre qualità della propria o dell altrui persona è punito con la reclusione da uno a sei anni. La reclusione non è inferiore a due anni: se si tratta di dichiarazioni in atti dello stato civile; se la falsa dichiarazione sulla propria identità, sul proprio stato o sulle proprie qualità personali è resa all autorità giudiziaria da un imputato o da una persona sottoposta ad indagini, ovvero se, per effetto della falsa dichiarazione, nel casellario giudiziale, una decisione penale viene iscritta sotto falso nome (art. 495 c.p.) 5

6 Giurisprudenza bizzarra: un cittadino marocchino di 35 anni è stato arrestato a Tarquinia (Viterbo) in quanto, palesemente ubriaco vagava senza meta nella cittadina: fermato dalla polizia e invitato a fornire le proprie generalità per l identificazione, l uomo asserì più volte di essere Gesù. B) fa mendaci dichiarazioni a un pubblico ufficiale od ad un incaricato di pubblico servizio, nell esercizio delle funzioni o del servizio, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, quando viene interrogato sulla identità, lo stato o altre qualità della propria o altrui persona (art. 496 c.p.). Secondo Cass., sez. V., , il reato, che opera fuori dei casi indicati dagli articoli precedenti, è integrato anche con la sostituzione di una sola lettera del cognome. C) Art. 494 c.p. Sostituzione di persona: <<Chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, induce taluno in errore, sostituendo illegittimamente la propria all altrui persona, o attribuendo a sé o ad altri un falso nome, o un falso stato, ovvero una qualità a cui la legge attribuisce effetti giuridici, è punito, se il fatto non costituisce un altro delitto contro la fede pubblica, con la reclusione fino ad un anno>>. Art. 349 Identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e di altre persone. 1. la polizia giudiziaria procede alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini e delle persone in grado di riferire su circostanze rilevanti per la ricostruzione dei fatti. 2. Alla identificazione della persona nei cui confronti vengono svolte le indagini può procedersi anche eseguendo, ove occorre, rilievi dattiloscopici, fotografici e antropometrici nonché altri accertamenti. 2bis. Se gli accertamento indicati dal comma 2 comportano il prelievo di capelli o saliva e manca il consenso dell interessato, la polizia giudiziaria procede al prelievo coattivo nel rispetto della dignità personale del soggetto, previa autorizzazione scritta, oppure resa oralmente e confermata per iscritto, del pubblico ministero. 3. Quando procede alla identificazione, la polizia giudiziaria invita la persona nei cui confronti vengono svolte le indagini a dichiarare o a eleggere il domicilio per le notificazioni a norma dell art Osserva inoltre le disposizioni dell art Quanto si può essere trattenuti per accertamenti?ci si può opporre all identificazione? Con quali conseguenze? Se taluna delle persone indicate nel comma 1 rifiuta di farsi identificare ovvero fornisce generalità o documenti di identificazione in relazione ai quali sussistono sufficienti elementi per ritenere la falsità, la polizia giudiziaria la accompagna nei propri uffici e ivi la trattiene per il tempo strettamente necessario per la identificazione e comunque non oltre le 12 ore ovvero, previo avviso anche orale al pubblico ministero, non oltre le 24 ore nel caso che l identificazione risulti particolarmente complessa oppure occorra l assistenza dell autorità consolare o di un interprete, ed in tal caso con facoltà del soggetto di chiedere di avvisare un familiare o un convivente. 5. Dell accompagnamento e dell ora di cui questo è stato compiuto è data immediata notizia al pubblico ministero il quale, se ritiene che non ricorrono le condizioni previste dal comma 4, ordina il rilascio della persona accompagnata. 6. Al pubblico ministero è data altresì notizia del rilascio della persona accompagnata e dell ora in cui essa è avvenuto. Art. 341bis OLTRAGGIO AL PUBBLICO UFFICIALE Chiunque, in luogo pubblico o aperto al pubblico e in presenza di più persone, offende l onore ed il prestigio di un pubblico ufficiale mentre compie un atto d ufficio ed a causa o nell esercizio delle sue funzioni è punito con la reclusione fino a tre anni. 6

7 La pena è aumentata se l offesa consiste nell attribuzione di un fatto determinato. Se la verità del fatto è provata o se per esso l ufficiale a cui il fatto è attribuito è condannato dopo l attribuzione del fatto medesimo, l autore dell offesa non è punibile. Ove l imputato, prima del giudizio, abbia riparato interamente il danno, mediante risarcimento di esso sia nei confronti della persona offesa sia nei confronti dell ente di appartenenza della medesima, il reato è estinto. L art. 341bis richiede, quali necessari presupposti per la configurabilità del reato: - la pubblicità del luogo; - la presenza di più persone; - la contestualità tra l offesa e il compimento dell atto di ufficio; - il nesso tra l offesa e le funzioni del pubblico ufficiale il delitto di oltraggio è descritto nella norma incriminatrice attraverso l indicazione del risultato che la condotta deve produrre, cioè l offesa all onore e al prestigio di un pubblico ufficiale: si tratta pertanto di un reato a forma libera. Con riferimento alla precedente disposizioni di cui all art. 341, è stato precisato che la condotta tipica è contraddistinta dal carattere offensivo della stessa e dalla sua univocità offensiva. La condotta è offensiva quando esprime la negazione di una delle qualità personali assunte a contenuto dell onore e del prestigio tutelati; l univocità dell offesa va invece riferita sia all inequivoco significato dell espressione usata sia alla sua direzione nei confronti di un destinatario determinato. Art VIOLENZA O MINACCIA A UN PUBBLICO UFFICIALE Chiunque usa violenza o minaccia a un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio, per costringerlo a dare un atto contrario ai propri doveri, o ad omettere un atto dell ufficio o del servizio, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. La pena è della reclusione fino a tre anni, se il fatto è commesso per costringere alcuna delle persone anzidette a compiere un atto del proprio ufficio o servizio, o per influire, comunque, su di essa. Per la sussistenza della condotta minacciosa non occorre una minaccia diretta e personale, avente ad oggetto la sorte della persone del P.U., essendo sufficiente qualsiasi coazione, anche morale o indiretta, purchè influisca sulla libera determinazione del destinatario: in quest ottica, sono state qualificate come integranti la violazione della disposizione anche la minaccia di suicidio ovvero di atti autolesionistici dell agente al fine di coartare la libertà di azione del P.U.. Non integra gli estremi del reato in questione la minaccia di esercitare un proprio diritto o comunque di compiere atti che, senza essere illeciti, possono comunque cagionare in capo al P.U. conseguenze nefaste- in tal senso, la dottrina, ha escluso la sussistenza del delitto, allorquando l agente minacci al p.u. di riferire ad un superiore fatti che l esponente assume essere accaduti. Per questa ragione, non costituisce minaccia idonea a coartare la volontà del pubblico ufficiale la pronuncia della frase se mi fate il verbale, poi vediamo, proferita all indirizzo di agenti di polizia da conducente di motoveicolo rifiutatosi di esibire i documenti che ne comprovassero la proprietà (Cass., sez. VI ). Art. 337 RESISTENZA AL PUBBLICO UFFICIALE Chiunque usa violenza o minaccia per opporsi a un pubblico ufficiale, o ad un incaricato di pubblico servizio, mentre compie un atto d ufficio o di servizio o a coloro che, richiesti, gli prestano assistenza, è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni. 7

8 Differenze: in rapporto al reato di violenza o minaccia al pubblico ufficiale bisogna sempre fare la seguente considerazione preliminare: se la violenza o minaccia precede il compimento dell atto del pubblico ufficiale si versa nell ipotesi delittuosa di cui all art. 336 ( violenza o minaccia a pubblico ufficiale); se invece, usata durante il compimento dell atto di ufficio, per impedirlo, si ha resistenza ai sensi dell art. 337 c.p.. Non integrano il delitto di resistenza le espressioni di minaccia che non rivelano alcuna volontà di opporsi allo svolgimento dell atto d ufficio, ma rappresentano piuttosto una forma di contestazione della pregressa attività svolta dal pubblico ufficiale. Integra il delitto di resistenza al pubblico ufficiale il privare dello sfollagente e lo strattonare un agente di polizia intervenuto per un tentativo di furto, a nulla rilevando, ai fini della ravvisabilità della desistenza volontaria, l avvenuta restituzione dello sfollagente, poiché rale contegno è ritenuto successivo alla consumazione del reato. DISOBBEDIENZA se essa si concreta nel semplice rifiuto di ottemperare alle richieste del pubblico ufficiale, c.d.resistenza passiva, secondo la dottrina assolutamente maggioritaria è irrilevante penalmente in quanto, in tal caso, al più il compito del pubblico ufficiale risulterà maggiormente difficoltoso, ma certo non si è in presenza di un impedimento dell atto d ufficio (Cass, sez. VI, ). Nella mera disobbedienza rientra anche la c.d. violenza impropria, quando si estrinseca in condotte come l aggrapparsi ad appigli per evitare di essere condotti via dalla forza pubblica, il gridare per attirare l attenzione della folla, ed in generale tutte le condotte ostruzionistiche sì positive, ma comunque non aventi contenuto di violenza, perché manifestanti il mero intento del soggetto di non collaborare con il compimento dell azione doverosa. La giurisprudenza riconosce invece valenza penale alla c.d. violenza impropria, ritenendo lecita solo la resistenza passiva intesa come negazione di ogni violenza o minaccia (Cass., sez. VI, ; sez. VI ; Sez. VI, ). FUGA In merito non è possibile fornire una risposta in senso generale occorrendo verificare, come assunto dalla stessa giurisprudenza, le modalità in cui la condotta di fuga si è estrinsecata. La fuga intesa come mero allontanamento dal luogo ove si trova il pubblico ufficiale, onde evitare lo stesso, non realizza il reato in discorso, essendo necessario che a tale comportamento si accompagnino manovre che impediscono o contrastino l azione dell appartenente alla Pubblica Amministrazione (Cass., sez. VI, ; Cass., sez. I, ). Diversa, invece, la conclusione quando, onde darsi alla fuga, il privato assuma un comportamento idoneo ad opporsi all atto che il pubblico ufficiale o l incaricato di pubblico servizio sta compiendo o di accinge a compiere. Sono le ipotesi, tutte ritenute penalmente rilevanti dalla giurisprudenza, in cui il soggetto: - tenti la fuga in macchina mettendo in pericolo, a cagione della guida spericolata, la vita di terze persone (Cass., sez II, , n , Sez. VI, ; Cass., sez. VI, ) - o compie una serie di manovre finalizzate a impedire l inseguimento, così inducendo nell inseguitore una percezione di pericolo per la propria incolumità (Cass., sez. II, , n ) - o si dia alla fuga recidendo la cima con la quale la propria barca era stata agganciata a quella dei pubblici ufficiali intervenuti per un controllo (Cass., sez. VI, ) - o si dirige con la propria auto contro i pubblici ufficiali (cass., sez. II, ; Cass. sez. IV, ) 8

9 Integra il delitto di resistenza al pubblico ufficiale anche la condotta di chi si frapponga fisicamente tra forze dell ordine postesi all inseguimento di un pregiudicato per catturarlo e quest ultimo (Cass., sez. V, ). SCRIMINANTE Ai sensi dell art. 4 d.lgs. 14 settembre 1944, n. 288 <<Non si applicano le disposizioni degli artt. 336, 337, 338, 339, 341, 342, 343 c.p. quando il pubblico ufficiale o l incaricato di pubblico servizio ovvero il pubblico impiegato abbia dato causa al fatto preveduto negli stesso articoli, eccedendo con atti arbitrari i limiti delle sue attribuzioni>>. IDENTIFICAZIONE E NOMINA DI DIFENSORE DI FIDUCIA O, IN MANCANZA, SI PROCEDE ALLA NOMINA DI UN DIFENSORE D UFFICIO - CONTRASTARE LA PRASSI DI ARBITRARIA ASSEGNAZIONE DI FIDUCIA DICHIARARE SE COMPRENDONO LA LINGUA ITALIANA ART. 143 (NOMINA DELLINTEPRETE) 1. l imputato che non conosce la lingua italiana ha diritto di farsi assistere gratuitamente da un interprete al fine di potere comprendere l accusa contro di lui formulata e di seguire il compimento degli atti cui partecipa. La conoscenza della lingua italiana è presunta fino a prova contraria per chi sia cittadino italiano. 2. Oltre che nel caso previsto dal comma 1 e dall art. 119, l autorità procedente nomina un interprete quando occorre tradurre uno scritto in lingua straniera o un dialetto non facilmente intelligibile ovvero quando la persona che vuole o deve fare una dichiarazione non conosce la lingua italiana. La dichiarazione può anche essere fatta per iscritto e in tal caso è inserita nel verbale con la traduzione eseguita dall interprete. 3. L interprete è nominato anche quando il giudice, il pubblico ministero o l ufficiale di polizia giudiziaria ha personale conoscenza della lingua o del dialetto da interpretare. 4. La prestazione dell ufficio di interprete è obbligatoria. La Suprema Corte ha ritenuto inoltrem che non vi è l obligo di nominare un interprete all atto dell arresto in flagranza di uno straniero (Cass., sez. I, , Aiyububie in Mass. Uff., ). Si è, inoltre, dichiarato che non vi sia obbligo di traduzione dell atto che dispone una misura cautelare reale. Le difficoltà di comprensione dell atto, tuttavia, influiscono sulla decorrenza dei termini per impugnare (Cass., sez. III, , Kryczka, Mass. Uff., ). ELEZIONE DOMICILIO 9

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