- Carattere lesivo - Immediata impugnabilità.

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1 LAZIO senz'altro ricompresa, per la finalità sociale che la connota, in quella dei servizi pubblici - la giurisdizione del giudice amministrativo non è configurabile nella fase successiva al provvedimento di assegnazione, giacché detta fase è segnata dall'operare della P.A. non quale autorità che esercita pubblici poteri, ma nell'ambito di un rapporto privatistico di locazione, tenuto conto che i provvedimenti adottati, variamente definiti di revoca, decadenza, risoluzione, non costituiscono espressione di una ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato, ma si configurano come atti di valutazione del rispetto da parte dell'assegnatario di obblighi assunti al momento della stipula del contratto, ovvero si sostanziano in atti di accertamento del diritto vantato dal terzo al subentro sulla base dei requisiti richiesti dalla legge. Rientra, pertanto, nella giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della controversia avente ad oggetto l'opposizione avverso il decreto di rilascio emesso nei confronti di occupante abusivo dell'alloggio, fondata sulla deduzione della qualità di ospite dell'assegnatario e sulla negazione che quest'ultimo avesse abbandonato l'alloggio (1). L'applicazione dell'art. 33, d.lg. n. 80 del 1998, risultante dalla pronuncia additiva del giudice delle leggi (sentenza n. 204 del 2004) alla materia dell'edilizia residenziale pubblica comporta la necessità di verijicare, ai fini della giurisdizione, con riferimento alla fase successiva al provvedimento di assegnazione, se la P.A. eserciti o meno un potere autoritativo, secondo la nozione che ne fornisce la teoria generale, nei confronti del quale sia accordata tutela al cittadino dinanzi al giudice amministrativo. Un potere siffatto non è certamente ravvisabile nella fase successiva all'assegnazione, segnata dall'operare dell'amministrazione non quale autorità che esercita pubblici poteri, ma nell'ambito di un rapporto privatistico di locazione: i provvedimenti assunti, variamente definiti di revoca, decadenza, risoluzione, non costituiscono invero espressione di una ponderazione tra l'interesse pubblico e quello privato, ma si configurano come atti di valutazione del rispetto da parte dell'assegnatario degli obblighi assunti al momento della stipula del contratto, ovvero si sostanziano in atti di accertamento del diritto vantato dal terzo al subentro sulla base dei requisiti richiesti dalla legge. (1) Cfr. Cass., sez. un., 23 dicembre 2004 n , in Giust. civ. Mass. 2004,12; id., 12 giugno 2006 n , in questa Rivista C.d.S. 2006, 10, Sez. 111 quater - 12 settembre Pres. Di Giuseppe - Est. Sandulli - Movimento Difesa del Cittadino Mdc (aw. Pellegrino) C. Ministro lavoro, salute e politiche sociali, Presidenza del Consiglio dei Ministri (Avv. Stato), Pres Cons. Min Comitato Nazionale Bioetica (n.c.), con l'intervento ad opponendum di Movimento per la Vita (avv. Vari, Studio Legale Loiodice & associati). [3972/1788] Giustizia amministrativa - Legittimazione a ricorrere e a resistere - Legittimazione a ricorrere - Awerso un atto indirizzato alle Regioni e teso a garantire un'uniformità di azione nel campo dell'assistenza sanitaria - Sussistenza - In capo al Movimento di difesa del cittadino - Iscritto neli'elenco istituito ex art. 137, d.lg. n. 206 del 2005 presso il Ministero delle Attività Produttive. (D.lg. 6 settembre 2005 n. 206, art. 137). [3972/1356] Giustizia amministrativa - Impugnabiiità dell'atto - Atti dello Stato - Atto del Ministero del Lavoro, della Salute e deile Politiche Comunitarie con il quale sono state dettate ai Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e Bolzano disposizioni ed indirizzi volti a garantire che le strutture sanitarie pubbliche e private si uniformino al principio di garantire sempre la nutrizione e l'alimentazione nei confronti delle persone in stato vegetativo persistente - Carattere lesivo - Immediata impugnabilità. Il Movimento di difesa del cittadino, iscritto nell'elenco istituito ex art. 137, d.lg. n. 206 del 2005 presso il Ministero delle Attività Produttive, opera, ex art. 2, lett. g) del suo statuto, per la «tutela e la salute delle persone e del rispetto dei diritti del malato e della sua famiglia, anche nei rapporti con le strutture sanitarie pubbliche e private e con le aziende produttrici e distributrici di prodotti e servizi destinati alla salute delle persone». Agendo la medesima, nel

2 LAZIO caso di specie, avverso un atto indirizzato alle Regioni e teso a garantire un'uniformità di azione nel campo dell'assistenza sanitaria da parte di tutte le strutture sanitarie pubbliche e privare, avverso un atto destinato, quindi, ad incidere direttamente sulle prestazioni che riguardano il malato che ne resta immediatamente coinvolto, lo stesso deve ritenersi rientrante nell'ipotesi contemplata nella lett. g) sopra esposta e conseguentemente risulta titolare della legittimazione ad agire (1). L'atto del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Comunitarie con il quale sono state dettate ai Presidenti delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e Bolzano disposizioni ed indirizzi volti a garantire che le strutture sanitarie pubbliche e private si uniformino al principio di garantire sempre la nutrizione e l'alimentazione nei confronti delle persone in stato vegetativo persistente e quindi anche contro la volontà espressa in senso contrario ha carattere innovativo e prescrittivo e, quindi, potenzialmente lesivo, con la conseguenza che si rivela autonomamente impugnabile (2). (Omissis) DIRITTO - Innanzitutto deve considerarsi che sono state sollevate varie eccezioni pregiudiziali e preliminari fra le quali anche quella di inammissibilità del ricorso per difetto di giurisdizione del Giudice Amministrativo sotto vari profili: in senso assoluto, per insussistenza della natura prowedimentale dell'atto impugnato e di una situazione soggettiva tutelabile; in senso relativo, per l'assoluta discrezionalità del potere esercitato e perché il ricorso è volto alla tutela del diritto soggettivo della salute, assoluto ed inviolabile. I1 Collegio deve, quindi, darsi carico di stabilire l'ordine di esame e trattazione delle varie eccezioni che, oltre quella testè ricordata, riguardano anche: inammissibilità per difetto di legittimazione a ricorrere; inammissibilità per difetto della lesività dell'atto impugnato; inammissibilità per mancata impugnazione di atti presupposti; inammissibilità per difetto d'interesse. È noto che, secondo la prevalente giurisprudenza, nell'ordine di esame delle questioni pregiudiziali, quella attinente la giurisdizione deve precedere ogni altra questione poiché anche le statuizioni sul rito costituiscono manifestazione di esercizio del potere giurisdizionale, di pertinenza esclusiva del giudice dichiarato competente a conoscere della controversia (Cons. St., sez. IV, n. 519; n. 5528; n. 7877; TAR Lazio RM, sez. 111, n ; TAR Valle d'aosta n. 5). Tuttavia, non mancano in giurisprudenza esempi in cui sono state esaminate questioni preliminari (ad esempio, attinenti all'interesse a ricorrere) prima della verifica (ed a prescindere) della sussistenza della giurisdizione (TAR Lazio Latina, n. 145; n. 557; TAR Liguria, sez. 11, n. 216). Orbene, nel caso della controversia qui in esame, le argomentazioni poste a sostegno delle varie eccezioni pregiudiziali e preliminari presentano interconnessioni, nei sensi che saranno evidenti in seguito, tali da richiedere al Collegio di seguire un ordine inverso rispetto a quello indicato dalla prevalente giurisprudenza, in modo da trattare per ultima l'eccezione attinente la giurisdizione. Va, preliminarmente, esaminata l'eccezione di inammissibilità del ricorso per difetto di legittimazione a ricorrere del Movimento di difesa del cittadino, sollevata dall'amministrazione intimata e dall'interveniente ad opponendum. Secondo tali parti, l'associazione ricorrente sarebbe priva della legittimazione attiva in quanto i molteplici campi di attività di sua competenza non ne comprenderebbero alcuno riferibile in modo puntuale a quello relativo alla questione in esame ed inoltre, l'atto impugnato non rivelerebbe alcun collegamento tra la predetta associazione e i suoi compiti. D'altro canto la genericità degli ambiti rimessi alla sua competenza, che lambiscono tutti i settori dell'azione pubblica, non potrebbero risolversi in una legittimazione generale ad impugnare qualsiasi atto emanato da qualsiasi pubblica amministrazione. (1-2) Segue nota di D. Messineo, La doppia tutela dei diritti incomprimibili, infra L'eccezione è infondata. Iscritta nell'elenco istituito ex articolo 137 del d.lgs. n. 206 del 2005 presso il Ministero delle attività produttive, il Movimento di difesa del cittadino opera, ex articolo, 2 lettera g) del suo Statuto, per «la tutela e la salute delle persone e del rispetto dei diritti del malato e della sua famiglia, anche nei rapporti con le strutture sanitarie pubbliche e private e con le aziende produttrici e distributrici di prodotti e servizi destinati alla salute delle persone. Agendo la medesima, nel caso di specie, awerso un atto - la cui natura verrà definita in occasione dell'esame della seconda eccezione di inarnmissibilità del ricorso - indirizzato alle Regioni e teso a garantire un'unifonnità di azione nel campo dell'assistenza sanitaria da parte di tutte le strutture sanitarie pubbliche e private, awerso un atto destinato, quindi, ad incidere direttamente sulle prestazioni che riguardano il malato che ne resta immediatamente coinvolto, lo stesso deve ritenersi rientrante nell'ipotesi contemplata nella lettera g) prima esposta. Ne consegue che l'associazione ricorrente risulta titolare della legittimazione ad agire. Viene. ~oi, in rilievo la seconda eccezione di inammissibilità con la quale le parti costituite, amministrazione resistente e interventore ad opponendum, affermano, la prima che l'atto impugnato è meramente ricognitivo delle disposizioni esistenti; la seconda che è interpretativo dei principi e delle previsioni esistenti; in entrambe le ipotesi che è inidoneo a produrre una qualunque lesione. In particolare l'amministrazione intimata assume che I'atto gravato, oltre ad essere meramente ricognitivo non potrebbe essere ritenuto adottato in violazione di una sentenza passata in giudicato. La sentenza che si assume violata è quella relativa ad un caso particolare ed essendo, nello specifico, un provvedimento di volontaria giurisdizione non può dirsi passata in giudicato e tantomeno vincolante se non per le parti direttamente coinvolte. Essa sarebbe, pertanto, inidonea a vincolare l'autorità che ha emanato l'atto gravato, quindi 1'Amministrazione che resiste nel presente giudizio, né questo Tribunale. Prima di esaminare l'eccezione esposta nelle parti comuni dai soggetti prima citati, il Collegio ritiene di dover premettere che la questione sottoposta al suo esame è di carattere generale e prescinde, oramai, dal caso al quale fa riferimento l'amministrazione, il quale risulta, allo stato, superato. Se I'atto impugnato dovesse intendersi limitato a quella fattispecie al Collegio non resterebbe che dichiarare la sopravvenuta carenza di interesse alla decisione. Essendo, invece il prowedimento sulla cui natura ci si intratterrà immediatamente dopo, un prowedimento di carattere generale e quindi tuttora efficace, l'interesse alla decisione soprawive e, in premessa, quello all'esame della seconda eccezione di inarnmissibilità del ricorso. In relazione alla natura del prowedimento gravato osserva il Collegio che la lettura dell'atto impugnato depone per una interpretazione contraria alla tesi esposta da entrambe le parti costituite. Infatti, dopo una premessa di carattere generale sui principi che richiama, in modo del tutto generico, il provvedimento in parola indica la sua finalità che è quella di «garantire uniformità di trattamenti di base su tutto il territorio nazionale e di rendere omogenee le pratiche in campo sanitario con riferimento a profili essenziali come la nutrizione e l'alimentazione nei confronti delle persone in Stato Vegetativo Persistente (SVP)». Richiama, quindi, il parere espresso dal Comitato nazionale per la bioetica nella seduta del 30 settembre 2005, di cui riporta alcuni brani per concludere che «la negazione della nutrizione e dell'alimentazione può configurarsi... come una discriminazione fondata su valutazioni circa la qualità della vita di una persona con grave disabilità e in situazione di totale dipendenza». Richiama, infine, la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità approvata dall'assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13 settembre 2006, sottoscritta dall'italia il 30 marzo 2007 (e in corso di approvazione da parte del Parlamento italiano sia alla data di adozione dell'atto oggi in esame sia alla data della proposizione del ricorso) che prevede, all'articolo 25, il diritto di godere del migliore stato di salute possibile delle persone con 78 Foro umministrufivo - T.A.R. (2009).

3 disabilità compreso il rifiuto discriminatorio di cibo, di prestazioni di cure e servizi sanitari O cure. Fatta questa premessa conclude con il ritenere incluse nel novero delle persone con disabilità quelle in SVP ed indica, nel rispetto della norma contenuta nell'articolo 25 ancora in itinere, il divieto di ogni discriminazione tra la persona in stato vegetativo rispetto a quella non in stato vegetativo. Invita pertanto le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano ad adottare «le misure necessarie affinché le strutture sanitarie pubbliche e private si uniformino ai principi sopra esposti e a quanto previsto dall'articolo 25 della convenzione sui diritti delle persone con disabilità D. Ora, deve considerarsi che il Comitato nazionale per la bioetica, istituito dopo la risoluzione n , approvata il 5 luglio 1988 dal17assemblea della Camera dei Deputati, e nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 28 marzo 1990, successivamente rinnovato, ha la funzione di «orientare gli strumenti legislativi ed amministrativi volti a definire i criteri da utilizzare nella pratica medica e biologica per tutelare i diritti umani ed evitare gli abusi ed ha il compito di garantire una corretta informazione dell'opinione pubblica sugli aspetti problematici e sulle implicazioni dei trattamenti terapeutici, delle tecniche diagnostiche e dei progressi delle scienze biomediche» (secondo la precisazione fornita dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri) con un potere solamente consultivo e che l'articolo 25 del d.d.1. in itinere alle date indicate era anch'esso privo di contenuto cogente proprio in quanto contemplato da una proposta di legge in corso di approvazione. Deve, conseguentemente, ritenersi che l'atto censurato con il quale si richiama la necessità di comportamenti uniformi, che si sostiene siano già esattamente previsti nei prowedimenti menzionati (parere Comitato bioetica e articolo 25 d.d.1. in itinere) sia in realtà un atto prescrittivo e innovativo sul piano dell'ordinamento positivo atteso che trasforma in obbligo di comportamento il contenuto di pareri e di proposte di disposizioni non ancora entrate nel quadro normativo di settore invitando le Regioni ad agire di conseguenza. deve ritenersi, allora. che lo stesso non possa essere ritenuto inidoneo a produrre alcuna lesione» in quanto meramente ricognitivo. Ma anche nel caso in cui lo si volesse intendere come atto interpretativo di principi esistenti teso a garantire uniformità di trattamento su tutto il territorio nazionale, l'atto rivelerebbe il suo contenuto potenzialmente lesivo. Richiamare soltanto uno dei significati estraibili dai suddetti principi e pervenire alla loro applicazione omogenea sul territorio vuol dire che soltanto uno dei possibili significati viene prescelto divenendo, in tal modo operativo per tutti i soggetti operanti nell'ambito della Sanità. Ancora una volta la difesa dell'amministrazione resistente, richiama il caso relativo al provvedimento di volontaria giurisdizione pervenuto ormai alla sua concreta applicazione ed assume che proprio quel caso, che ha visto l'applicazione della sospensione dell'alimentazione e della nutrizione forzata senza conseguenze per la struttura privata che vi ha proceduto, testimonierebbe la non lesività del provvedimento gravato. Ancora una volta il Collegio richiama l'ambito del suo intervento che non è quello di soffermarsi su una vicenda particolare ormai esaurita, ma sul contenuto generale dell'atto gravato. - In ogni caso ritiene che il richiamo alla vicenda sopraccitata sia del tutto improprio al fine che ci occupa atteso che quella vicenda ha visto la sua conclusione dopo una sentenza della Corte di Cassazione, la n depositata il 16 ottobre 2007, che ha rinviato il caso ad una diversa sezione della Corte d'appello di Milano, stabilendo due presupposti necessari per poter autorizzare l'interruzione dell'alimentazione artificiale, e dopo il decreto del 9 luglio 2008 con cui la stessa Corte ha autorizzato il genitore, in qualità di tutore, ad interrompere il trattamento di idratazione ed alimentazione forzata. E in attuazione di questa complessa vicenda giudiziaria -riassunta molto sinteticamente - che la vicenda alla quale fa riferimento la difesa erariale si è conclusa senza conseguenze per la struttura che ha dato seguito al protocollo approvato; ma non può farsi discendere da ciò la conseguenza della fondatezza della tesi circa la non lesività dell'atto impugnato. Del resto attribuire a tale atto la valenza indicata - di assoluta non lesività attesa la sua neutralità - significherebbe, in definitiva, eliminarlo dal mondo del diritto, ritenerlo cioè tamquam non esser. In realtà, ritiene il Collegio che nella scelta operata dall'amministrazione resistente con l'adozione del provvedimento in esame, non possa negarsi la sussistenza né di un carattere innovativo né di un carattere prescrittivo e quindi potenzialmente lesivo con la conseguenza che l'atto impugnato si rivela autonomamente irnpugnabile. Anche la seconda eccezione deve essere, pertanto, disattesa. Il Collegio procede, quindi, all'esame della terza eccezione di inamrnissibilità del ricorso per mancata impugnazione degli atti presupposti sollevata dal Movimento per la Vita. Ad awiso di quest'ultimo l'associazione ricorrente avrebbe dovuto impugnare il d.p.c.m. del 29 novembre 2001 sui «Livelli essenziali di assistenza» e relativi allegati come modificati ad opera del d.p.c.m. 5 marzo 2007 e il Piano Sanitario Nazionale che contengono gli stessi principi ribaditi nell'atto gravato e dunque non prevedono la sospensione dell'alimentazione e dell'idratazione della persona. L'eccezione è palesemente infondata. Premesso che il prowedimento gravato trova il suo fondamento, per sua espressa previsione, negli atti sopra riportati (parere Comitato per la bioetica e articolo 25 ddl in itinere) tra i quali non figurano quelli appena riferiti, deve osservarsi che oggetto della contestazione in esame non è una mancata prestazione ma, al contrario, l'imposizione di una determinata prestazione sicché l'argomentazione svolta, che si basa sulla mancanza di una previsione espressa che consenta la non alimentazione in determinati casi, non coglie nel segno dovendosi fare riferimento a ciò che è previsto e non a ciò che non è disciplinato. Resta da esaminare l'eccezione di difetto di giurisdizione del giudice amministrativo sollevata dalla difesa erariale. Si tratta di questione che chiama in se la natura della posizione giuridica coinvolta. Ne consegue che per valutarla occorre esaminare sia la prescrizione del Ministero della Salute sia la posizione che la stessa ricorrente assume violata. Con la prima censura la ricorrente associazione lamenta la violazione degli articoli 2 e 32, comma 2, della Costituzione; la violazione dell'articolo 1 e 3 della Carta dei diritti fondamentali dell'unione Europea, dell'articolo 1 della legge n. 180 del L'articolo 32, comma 2, della Costituzione, l'articolo 3 della carta dei diritti fondamentali del17unione Europea e l'articolo 1 della legge n. 180 del 1978 prevedono tutti che ogni individuo ha il diritto di non essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario (se non per disposizione di legge, secondo la nostra carta costituzionale). I1 diritto di rifiutare i trattamenti sanitari è fondato sulla disponibilità del bene «salute da parte del diretto interessato e sfocia nel suo consenso informato ad una determinata prestazione sanitaria. Da tale premessa consegue che i pazienti in Stato Vegetativo Permanente, che non sono in grado di esprimere la propria volontà sulle cure loro praticate o da praticare e non devono, in ogni caso, essere discriminati rispetto agli altri pazienti in grado di esprimere il proprio consenso possano, nel caso in cui la loro volontà sia stata ricostruita, evitare la pratica di determinate cure mediche nei loro confronti. Conseguentemente la verifica circa l'obbligatorietà della prestazione sempre e comunque di trattamenti sanitari anche nell'ipotesi di accertata volontà contraria del paziente attiene al diritto della dignità umana che, ai sensi dell'articolo 1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, deve essere tutelata. Alla luce di tale precisazione e considerato che con Legge n. 18 del 3 marzo 2009 l'italia ha ratificato e reso esecutiva la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ed il relativo Protocollo opzionale, a conclusione di un lungo iter legislativo avviato il 30 marzo 2007 a seguito della firma dei due strumenti giuridici internazionali, sul testo adottato dall'assemblea generale dell'onu il 13 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 3 maggio 2008, il ricorso deve ritenersi inammissibile pcr difetto di giurisdizione del giudice adito. La parte precettiva contenuta nell'articolo di detta convenzione, all'articolo 25 lettera f), dispone che «gli Stati riconoscono che le persone con disabilità hanno il diritto di godere del migliore stato di salute possibile, senza discriminazioni fondate sulla disabilità» evitando

4 LAZIO di «prevenire il rifiuto discriminatorio di assistenza medica o di prestazione di cure e servizi sanitari o di cibo e liquidi in ragione della disabilità». Vertendosi in materia di diritti soggettivi la cognizione della loro eventuale lesione appartiene, infatti, al giudice ordinario. Ma il difetto di giurisdizione va valutato anche con riferimento alla questione dell'imposizione di un identico trattamento a tutti i malati affetti dalle patologie descritte su tutto il suolo nazionale, anche di coloro dei quali sia stata accertata la volontà di rifiuto. E stato ripetutamente affermato che: «Nel caso del diritto alla salute o di altri diritti essenziali di pari rango a causa del carattere esistenziale di inerenza alla persona che essi rivestono, la rilevanza centrale del principio di autodeterminazione vale a qualificarli come veri e propri diritti di libertà (ed in questo senso, la risoluzione del Parlamento Europeo (EU) del maggio 1997 garantisce ai cittadini la più ampia libertà possibile di «Scelta Terapeutica»). Ne discende che ogni soggetto leso nella sua integrità psico-fisica non ha solo il diritto di essere curato, ma vanta una pretesa costituzionalmente qualificata di essere curato nei termini in cui egli stesso desideri, spettando solo a lui decidere a quale terapia sottoporsi o, eventualmente, a quale struttura più idonea affidare le sue aspettative di celere e sicura guarigione. Tali principi, già direttamente evincibili dalla nostra carta costituzionale, hanno trovato piena attuazione nel d.lg. n. 502 del 1992 di riforma del nostro sistema sanitario, laddove, essendosi aperto definitivamente il mercato delle prestazioni sanitarie ai produttori privati attraverso il sistema dell'accreditamento, si è proprio inteso valorizzare ed attuare, in un'ottica costituzionalmente orientata, la libertà di scelta curativa del paziente, attraverso il passaggio da una visione monopolistico/pubblicistica del settore sanitario ad una visione liberista ed elastica del medesimo, fondata sul pluralismo dell'offerta» (Tribunale Nola, sez. 11, 22 gennaio 2009, n. 213). E stato ancora affermato che «Sulla base della legislazione emanata in ambito sanitario (si richiama l'art. 33,l. istitutiva del S.s.n. n che qualifica i trattamenti sanitari come, di norma, volontari) e delle pronunce giurisdizionali, il sistema giuridico si caratterizza attualmente in materia di autodeterminazione consapevole del paziente per una soglia particolarmente elevata dei consensi a? trattamenti sanitari, sostenuta da uno scopo di rango elevato qual è il diritto alla salute. E proprio questa soglia che qualifica il rapporto fra medico e paziente imponendo al medico di non attribuire alle sue valutazioni e decisioni, per quanto oggettivamente dirette alla salvaguardia del diritto alla salute del paziente, una forza di giustificazione dell'intervento che esse di per sé sole non hanno o, meglio, non hanno più come in passato - giacché devono rapportarsi con un altro diritto di rango costituzionale qual è quello della libertà personale che l'art. 13 qualifica come inviolabile» (Tribunale Milano, sez. V, 16 dicembre 2008, n ). Ora, sembra al Collegio che anche la configurazione della pretesa tutela del diritto che si pretende leso rientri nella cognizione del giudice ordinario trattandosi ancora una volta di posizione qualificabile quale diritto soggettivo. Ma depone in tale senso anche la considerazione fatta propria dal giudice amministrativo nella sentenza del TAR Campania Napoli, sez. I, 9 aprile 2009, n ove si afferma che: «A seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, è venuta meno (con effetto estensibile anche ai giudizi in corso) la previsione dell'art. 33 comma 2, lett. e), d.lgs. n. 80 del 1998, nel testo di cui alla 1. n. 205 del 2000, la quale devolveva alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie "riguardanti le attività e prestazioni di ogni genere, anche di natura patrimoniale, rese nell'espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'ambito del servizio sanitario..."; ne deriva che le controversie relative alle prestazioni erogate nell'ambito del S.S.N., nascenti da una posizione creditoria collegata al diritto del cittadino alla salute, per sua natura non comprimibile ad opera dell'attività autorizzativa dell'amministrazione, sono devolute alla cognizione del giudice ordinario, ai sensi del criterio generale di riparto della giurisdizione D. Alla luce delle precisazioni svolte non resta al Collegio che dichiarare il proprio difetto di giurisdizione. [3972/1356] La doppia tutela dei diritti «incomprirnibili» Abstract: Recently, the Ministry of Welfare adopted ari administrative order recommending local authorities to make sure that hospitals at al1 times provide patients in persistent vegetative state with artificial nourishment and hydration. That order was challenged before the adrninistrative tribunal (TAR Lazio) by a citizens' association. But the tribunal declined its competence affirming that al1 claims regarding life and health should be dealt with by civil courts, not administrative ones. The Author criticizes this decision and advances new arguments in support of a classic theory first formulated by Vittorio Scialoja in the late XIX century, but subsequently set aside in case law because of two famous judgments in This is the «theory of double protection». According to this doctrine, a person claiming that a fundamental right of theirs has been prejudiced by an administrative order may choose to have recourse either to civil or administrative courts, depending on what type of decision they seek. SOMMARIO: 1. La dottrina dei diritti incomprimibili ed il suo «versus» - 2. Funzione di indirizzo e coordinamento, principio di legalità, difetto assoluto di attribuzione - 3. Diritto di rifiutare le cure, indisponibilità della vita, riserva assoluta di legge - 4. Dottrina dei diritti incomprirnibili, criterio delpetitum, teorie della doppia tutela Conclusioni. 1. La dottrina dei diritti incomprimibili ed il suo versus M. La sentenza del TAR Lazio - sez. I11 quater, 12 settembre 2009, n ha avuto ad oggetto il ricorso presentato dal «Movimento difesa del cittadino Mdc» contro il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, per l'annullamento dell'atto del 16 dicembre 2008 con cui sono state dettate ai presidenti delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano disposizioni ed indirizzi volti a garantire che le strutture sanitarie pubbliche e private pratichino in ogni caso la nutrizione e l'alimentazione nei confronti delle persone in stato vegetativo persistente (1). I1 giudice ha profuso impegno argomentativo per affermare la sussistenza dell'interesse a ricorrere. I1 TAR ha individuato nell'atto lo scopo di «garantire un'uniformità di azione nel campo dell'assistenza sanitaria da parte di tutte le strutture sanitarie pubbliche eprivate»: pertanto, esso è stato considerato idoneo «ad incidere direttamente sulle prestazioni che riguardano il malato che ne resta immediatamente coinvolto». Si è riconosciuto all'atto carattere «prescrittivo e innovativo sul piano dell'ordinamento positivo, atteso che trasforma in obbligo di comportamento il contenuto di pareri e di proposte di disposizioni non ancora entrate nel quadro normativo di settore invitando le Regioni ad agire di conse- (1) Vedilo in Bioetica 2008, 682, ed in pubblicazioni-907-allegato.pdf. L'atto, seppur suscettibile di applicazione generale, era stato adottato dal Ministro nell'ambito del caso Englaro, all'indomani della sentenza della Corte di cassazione, ss. uu., 13 novembre 2008, n , con cui era stato dichiarato inammissibile il ricorso proposto dalla procura di Milano (v.10 in Bioetica 2008, 633 ss.) contro il decreto della Corte d'appello che aveva accolto l'istanza di autorizzazione all'interruzione del trattamento di sostegno vitale, avanzata congiuntamente dal tutore e dal curatore speciale della donna. V. la sentenza in Bioetica 2008, 655 ss., ed in repubblica.it/pdf/2008/sentenza-eluana.pdf.

5 guenza >> (2). Secondo il TAR, il provvedimento << richiama... soltanto uno dei significati estraibili dai... principi evocati e perv[i]en[e] alla loro applicazione omogenea sul territorio rendendolo << operativo per tutti i soggetti operanti nell'ambito della Sanità». Pertanto, il giudice ha concluso che l'atto presenterebbe attitudine potenzialmente lesiva delle posizioni soggettive di taluni privati che entrano in contatto con le strutture sanitarie e si rivelerebbe autonomamente impugnabile. I1 TAR non ha definito la lite nel merito: la pronuncia ha riscontrato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo. Vi si è notato che il ricorso aveva ad oggetto il diritto di rifiutare i trattamenti sanitari P, quale corollario del principio per cui la sottoposizione ai medesimi richiede sempre il consenso informato del diretto interessato, ai sensi dell'art. 32, C. 2, Cost., tranne i casi previsti dalla legge nell'interesse della collettività e fatti salvi << i limiti imposti dal rispetto della persona umana». I1 TAR ha sottolineato che la controversia atteneva alla protezione della dignità umana, tutelata, tra l'altro, dall'art. 1 CEDU, quale risvolto della pretesa costituzionalmente qualificata di ogni paziente all'auto- determinazione nella scelta delle cure, la quale, a sua volta, ha trovato attuazione legislativa nell'art. 33,l. n. 833 del 1978, nonché nell'impianto del d. lgs. n. 502 del Così, il giudice ha ritenuto che la configurazione della... tutela del diritto che si pretende leso rientr[erebbe] nella cognizione del giudico ordinario trattandosi... di posizione qualijicabile come diritto soggettivo D, in applicazione del tradizionale criterio di riparto fondato sulla causa petendi. Un argomento in tal senso si è voluto trarre anche dalla sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, che ha ridimensionato la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in tema di pubblici servizi, e l'ha limitata ai casi in cui la pubblica amministrazione agisce in veste autoritativa (3). I1 TAR ha creduto di vedere nelle affermazioni formulate nel 2004 dal giudice costituzionale la conferma dell'orientamento che sottrae alla giurisdizione del giudice amministrativo la cognizione delle controversie aventi ad oggetto << le prestazioni erogate nell'ambito del S.S.N., nascenti da una posizione creditoria collegata al diritto del cittadino alla salute, per sua natura non comprimibile ad opera dell'attività autorizzativa dellilmministrazione >> e le devolve al giudice ordinario << ai sensi del criterio generale di riparto della giurisdizione» (4). (2) L'atto richiama, infatti, un parere approvato dal Comitato nazionale per la bioetica nella seduta plenaria del 30 settembre 2005, un documento del 17 novembre 2008 del gruppo di lavoro «Stato vegetativo e stato di minima coscienza >> istituito presso il Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, e la Convenzione sui diritti delle persone con disabilità approvata dall'assemblea generale delle nazioni unite il 13 dicembre 2006, non ancora ratificata dall'italia. (3) Su taiune implicazioni della sentenza, se si vuole, D. MESS~EO, Osservazioni in tema di giurisdizione e potere pubblico, in AA. W., I comportamenti della pubblica amministrazione, a cura di A. Cariola, G. D'Allura, F. Florio, Torino 2007, 199 ss., e ivi ulteriori riferimenti. (4) L'argomento non sembra convincente, poiché la sentenza n. 204 del 2004 si è limitata a stabilire che le materie che il legislatore può legittimamente attribuire alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sono quelle in cui l'amministrazione normalmente dispone di poteri autoritativi: ma se anche tali poteri nel caso concreto non siano stati esercitati non per questo la giurisdizione amministrativa viene meno, cfr., per tutti, L. MAZZAROLLI, Sui caratteri e i limiti della giurisdizione esclusiva: la Corte costituzionale ne ridisegna l'ambito, in Dir. proc. amm. 2005, 214 ss. Ma il riferimento effettuato dal TAR La soluzione adottata dal TAR suscita perplessità, poiché il giudice sembra aver fatto applicazione della dottrina c.d. dei diritti incomprimibili, ma in un contesto assai diverso da quello in cui essa è stata originariamente elaborata ed è stata sinora utilizzata, e con un risultato opposto. Difatti, tale teoria era nata per consentire al titolare di diritti fondamentali incisi da un prowedimento amministrativo di adire l'autorità giudiziaria ordinaria affinché emettesse provvedimenti cautelari inibitori nei confronti dell'amministrazione o la condannasse ad eseguire obblighi di facere, in deroga all'art. 4, 1. abolitrice del contenzioso (5). Storicamente, si è trattato di riconoscere al privato leso dall'agire illegittimo della pubblica amministrazione ulteriori opportunità di tutela, in aggiunta a quelle già allora esistenti (giudizio di annullamento davanti al giudice amministrativo e successiva azione risarcitoria davanti al giudice ordinario): per contro, nel caso di specie, richiamare il carattere incomprimibile del diritto alla salute e della stessa dignità umana ha avuto l'effetto di precludere l'accesso al giudizio amministrativo e alla tutela demolitoria. L'affermazione secondo cui taluni diritti non sarebbero suscettibili di affievolimento nel contatto con il potere pubblico, in passato formulata per giustificare interventi del giudice ordinario, ha avuto nella circostanza un effetto «di ritorno >> e si è ritorta come un boomerang contro i titolari di quegli stessi diritti. Si è ritenuto che in assenza della degradazione verrebbe a mancare l'interesse legittimo e, con esso, la possibilità di rivolgersi al suo giudice «naturale». Epperò, tale soluzione ha dato luogo ad una discriminazione alla rovescia, giacché il tribunale amministrativo ha finito per ricollegare alla spiccata pregevolezza assiologica riconosciuta alla posizione soggettiva azionata... un depotenziamento delle tutele, rispetto a quelle normalmente esperibili avverso i prov- Lazio appare inconferente anche per un'altra e più radicale ragione. La sentenza richiamata dal giudice laziale (TAR Campania - Napoli, sez. I, 9 aprile 2009, n. 1883) ha avuto ad oggetto la pretesa di un privato al rimborso delle spese sostenute per il ricovero in una casa di cura non accreditata al servizio sanitario nazionale. Essa concerneva, dunque, rapporti individuali di utenza con soggetti privati P, i quali erano già espressamente eccettuati dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo sulle controversie riguardanti le attività e le prestazioni di ogni genere... rese nell'espletamento di pubblici servizi, ivi comprese quelle rese nell'ambito del Servizio sanitario nazionale >> ai sensi dell'art. 33, C. 2, lett. e), sin dall'origine e dunque ben prima che intervenisse la sentenza n. 204 del 2004, la quale, del resto, ha manipolato soltanto il primo comrna del citato art. 33. La controversia decisa dal TAR Lazio imponeva, invece, di chiedersi se il prowedimento del Ministro, anche alla luce della sua valenza generale, non rappresenti una di quelle «attività istituzionalmente e direttamente finalizzate a soddisfare i bisogni della collettività incidenti sulla «stessa gestione del servizio >> che - proprio in applicazione delle << tesi >> di Corte cost. n. 204 del la giurisprudenza attribuisce alla cognizione del giudice amministrativo: cfr., tra le molte, Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 13 giugno 2003, n. 3346; in dottrina, R. GAROFOLI, Iservizipubblici, in AA. W., Il riparto di giurisdizione, a cura di F. Caringella e R. Garofoli, Milano 2008, 469. (5) Per la classica impostazione che affermava l'inarnmissibilità delle «azioni di condanna reintegratorie... contro la pubblica amministrazione, sia perché contrastanti con la ratio dell'art. 4 della legge 1865, all. E, sia perché l'adempimento specifico presuppo[rrebbe] sempre un atto amministrativo, all'emanazione del quale la pubblica autorità non po[trebbe] essere costretta dal giudice ordinario», M. ANNUNZIATA, Azioni esperibili nei confronti della pubblica amministrazione e poteri del giudice ordinario, Napoli 1970, 57 ss. L'affermazione della dottrina dei diritti incomprimibili ha rappresentato un'eccezione a tale regola generale, v. infra paragrafo 4.

6 vedimenti invalidi da parte del titolare di diritti - per così dire - non incomprimibili D. Per dipanare le contraddizioni presenti nella richiamata vicenda occorre in primo luogo chiarire la natura dell'atto impugnato e dei vizi che lo infirmano. 2. Funzione di indirizzo e coordinamento, principio di legalità, difetto assoluto di attribuzione. I1 provvedimento oggetto di giudizio non contiene un preambolo recante l'indicazione della disciplina che attribuisce e regola il potere che il Ministro pretendeva di esercitare. Nondimeno, tale potere può essere individuato svolgendo un percorso a ritroso, alla luce del contenuto del provvedimento. Sin dalle prime righe si esplicita lo scopo dell'atto, individuato nel «fine di garantire uniformità di trattamenti di base su tutto il territorio nazionale e di rendere omogenee le pratiche in campo sanitario D; infine, nella parte dispositiva si invitano D le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano << ad adottare le misure necessarie affinché le strutture sanitarie... si uniformino aiprincipi sopra esposti» (6). L'accento posto sull'esigenza di assicurare uniformità nell'erogazione del servizio sanitario e la circostanza che i destinatari dell'atto siano le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano depongono chiaramente nel senso che il Ministro abbia inteso esercitare la funzione di indirizzo e coordinamento (7), contemplata, in generale, dall'art. 17, lett. a), 1. n. 281 del 1970 (8). Nella vigenza dell'originario Titolo V Cost., l'attribuzione al Governo della funzione di indirizzo e coordinamento si è basata sull'idea che l'enunciazione dei principi fondamentali della legislazione statale nelle materie concorrenti da parte delle leggi cornici potesse talvolta non bastare a garantire che lo svolgimento delle funzioni regionali si dispiegasse in modo conforme agli interessi unitari della comunità statale (9). Per questo si ritenne che la legge statale potesse delegare il Governo ad adottare atti amministrativi di indirizzo e (6) Enfasi aggiunta. (7) Cfr., in questo senso, M. AINIS, Eluana e i guardiani ubbidienti, in La Stampa, 18 dicembre 2008, vedilo in resourcel-orig.pdj: L'omessa indicazione nell'intestazione dell'atto della funzione che il Ministro avrebbe inteso esercitare non è significativa: l'analisi della giurisprudenza costituzionale in materia consente di notare che N sono rarissimi i casi cui» la Corte si occupa di «atti che rechino nell'intestazione quella appunto di 'atti di indirizzo e coordinamento' P, ed anzi uno degli aspetti più problematici e che meritano di essere criticati in ordine all'esercizio di questa funzione è che essa viene spesso esercitata attraverso una pluralità di atti di diversa forma... si tratta spesso di decreti ministeriali, a volte di regolamenti ministeriali o regolamenti del Governo, altre volte addirittura circolari ministeriali... dunque... la funzione... mantiene anche in questi anni più recenti una modalità di esercizio non legata ad atti tipici, ma ad atti della più diversa natura», così P. CARETTI, Rapporti fra Stato e Regioni: funzione di indirizzo e coordinamento e potere sostitutivo, in Le regioni 2002, (8) Le disciplina della funzione è stata precisata, poi, dall'art. 3,l. n. 382 del 1975, che ha demandato l'esercizio della medesima alla legge ovvero alla deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del presidente del Consiglio e d'intesa con il Ministro o i ministri competenti per materia. (9) La conformità a Costituzione di tale funzione, non menzionata dalla legge fondamentale ed introdotta solo in via legislativa, era giustificata sulla base dell'art. 5 Cost., cfr. T. MARTINES, A. RUGGERI, C. SALAZAR, Lineamenti di diritto regionale, Milano 2005, 264 S. coordinamento recanti discipline necessariamente unitarie poste a tutela dell'«interesse nazionale n. Deve ricordarsi, però, che la sopravvivenza della funzione di indirizzo e coordinamento dello Stato ha rappresentato oggetto di dibattito all'indomani della riforma costituzionale del Da una parte, è stata avanzata la tesi che il silenzio della 1. cost. n. 3 del 2001 sulla funzione manifesterebbe la volontà di eliminarla e renderebbe ormai inapplicabili le norme precedentemente dettate per disciplinarla; del resto - si è aggiunto - il riformato Titolo V fornisce altri strumenti per coordinare le funzioni amministrative statali e regionali (10). Dall'altra parte, taluno ha notato che potrebbe apparire arbitrario attribuire al silenzio della riforma un significato diverso da quello che si riconosceva al silenzio originariamente serbato dalla Costituzione sulla medesima materia (11). Ad ogni modo, anche ad ammettere che sia ancora possibile l'esercizio in via amministrativa della funzione di indirizzo e coordinamento deve rilevarsi che il suo ambito è stato alquanto ridimensionato dalla 1. n. 131 del 2003: l'art. 8, C. 6, della 1. La Loggia esclude espressamente che il Governo possa adottare tali atti nelle materie di competenza regionale concorrente e residuale (12). La circostanza che I'organizzazione del servizio sanitario rientri nella materia della «tutela della salute D, affidata alla potestà legislativa concorrente delle regioni dall'art. 117, C. 3, Cost. (13), porta a ritenere che l'atto ministeriale (10) B. CARAVITA, La Costituzione dopo la riforma del Titolo V, Torino 2002, 131 SS. (11) G. FALCON, Il nuovo Titolo V della Parte I1 della Costituzione, in Le regioni 2001, 7. Cfr. anche P. CARE~I, Rapporti fra Stato e Regioni, cit., secondo cui l'omessa menzione della funzione di indirizzo e coordinamento nel novellato testo costituzionale non sarebbe di per sé decisiva, ma potrebbe deporre nel senso che la funzione sia ormai priva di fondamento costituzionale alla luce della complessiva impostazione del nuovo titolo V, in cui i rapporti tra centro e periferia non sono più ordinati dal principio gerarchico e dalla duttile clausola dell'interesse nazionale: per cui, se pure alla funzione residuasse ancora qualche spazio, << ne dovrebbero essere ripensate le modalità di esercizio: si dovrebbe trattare innanzitutto di atti tipizzati >> ed il rispetto del principio di legalità andrebbe verificato con maggiore rigore, 1332 S. (12) La stessa disposizione prevede invece che il Governo possa promuovere in tali materie la stipula di intese in sede di Conferenza Stato-Regioni o di Conferenza unificata, dirette a favorire I'armonizzazione delle rispettive legislazioni o il raggiungimento di posizioni unitarie o il conseguimento di obiettivi comuni». Del resto, anche prima dell'adozione della 1. n. 131 del 2003 alcuni autori ritenevano che la delimitazione del potere regolamentare del Governo alle sole materie di competenza statale esclusiva operata dall'art. 117, C. 6, Cost. a seguito della 1. cost. n. 3 del 2001 comportasse che il Governo non potesse più adottare atti di indirizzo e coordinamento nelle materie non ricomprese nell'art. 117, C. 2, Cost. (13) Sulla regionalizzazione del governo del servizio sanitario», avviata dalle riforme degli anni '90, cfr. G. PASTORI, Sussidiarietà e diritto alla salute, in Dir. pubbl. 2002,85 ss. Deve ritenersi che la l. cost. n. 3 del 2001 abbia ulteriormente alimentato tale processo, tanto è vero che Corte cost. n. 510 del 2002 ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale riferite a talune disposizioni della legge 30 novembre 1998, n. 419 e del decreto legislativo 19 giugno 1999, n. 229, proposte con ricorsi regionali e provinciali... sotto il profilo dell'eccesso di delega e del carattere di previsioni di estremo dettaglio attribuito alle norme statali censurate, come tali incidenti sulle competenze regionali e provinciali in materia sanitaria per evidente... sopravvenuta carenza di interesse delle ricorrenti a seguito della rijorrrza del Titolo V della Costitiizione... infatti... a partire dal 2001 le norme impugnate «possono essere so-

7 LAZIO impugnato sia privo di base legale, e perciò nullo, facendo difetto, oggi, una norma legislativa attributiva del potere che il Governo ha preteso esercitare (14). Del resto, la violazione del principio di legalità ad opera dell'atto in questione trova conferma se si considera che il Governo ha inteso definire il bilanciamento tra interessi costituzionalmente rilevanti - per di più, riconducibili al novero dei cc.dd. principi supremi dell'ordinamento costituzionale - attività, questa, che forma oggetto di riserva assoluta di legge, e che risulta pertanto sottratta all'intervento di atti governativi, tanto più se «indipendenti D, come è palesato anche dall'art. 17, C. 1, lett C), 1. n. 400 del Peraltro, il divieto formulato dalla 1. n. 400 a proposito dei regolamenti indipendenti è ricognitivo di un'esigenza di sistema, e ben prima dell'adozione della 1. n. 400 del 1988 la Corte costituzionale aveva avuto modo di affermare che la funzione di indirizzo e coordinamento, pur avendo fondamento in Costituzione, quando è esercitata attraverso provvedimenti amministrativi deve trovare supporto nella legislazione statale (15). Sin qui, appare dimostrato il difetto assoluto del Governo nel suo insieme ad adottare un atto di indirizzo incidente sull'esercizio delle funzioni regionali in una materia concorrente: si vuol dire che il prowedimento sarebbe stato affetto da nuliità anche nel caso in cui fosse stato oggetto di deliberazione (non da parte del singolo Ministro, come nella specie è accaduto, ma persino) da parte del Consiglio dei ministri. A maggior ragione, deve affermarsi l'incompetenza assoluta del singolo Ministro, atteso che l'art. 2, C. 3, lett. d), 1. n. 400del1988 affida espressamente l'esercizio in via amministrativa della funzione di indirizzo e coordinamento all'organo collegiale. La soluzione, peraltro, è costituzionalmente obbligata, come chiarito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 408 del 1988 (16). stituite, nei limiti delle rispettive competenze, da un'apposita legislazione regionale»: in argomento cfr. M. BELLE~I, Il difficile rapporto tra «tutela della salute» e «assistenza e organizzazione sanitaria». Percorsi di una «prevalenza» che diviene «cedevole», in Le regioni 2006, 1176 ss.; e, amplius, L. Cuoco~o, A rebours, la tutela della salute tra Regioni e Stato, in Quad. reg. 2005,63 ss.; e D. PARIS, Il ruolo delle regioni nell'organizzazione dei servizi sanitari e sociali a sei anni dalla riforma del Titolo V: ripartizione delle competenze e attuazione del principio di sussidiarietà, in Le regioni 2007, 983 ss. (14) Ai sensi dell'art. 21-septies, 1. n. 241 del 1990, è nullo, tra l'altro, il provvedimento amministrativo «viziato da difetto assoluto di attribuzione D. (15) Così, appunto, la sentenza n. 150 del 1982, con cui la Corte ha definito i conflitti di attribuzioni promossi da varie regioni, annullando I'atto di indirizzo e coordinamento adottato con d.p.c.m. del 30 dicembre 1980 in materia di interventi a favore del settore artigiano. La soluzione accolta dalla Corte rappresenta un'implicazione del principio di legalità in senso sostanziale, poiché solo nel caso in cui l'atto amministrativo governativo trovi fondamento nella legge statale è rispettata la gerarchia delle fonti, attesa la capacità della funzione di indirizzo e coordinamento di delimitare la stessa autonomia legislativa delle regioni. Sulle condizioni di esercizio della funzione in via amministrativa, v. amplius F. GABRIELE, La funzione statale di indirizzo e coordinamento alla luce della giurisprudenza della Corte costituzionale e la sua incidenza sull'autonomia delle Regioni e delle Province autonome, Bari 1992, 53 ss.; ed A. ORSI BATTAGLINI, Le proposte di modijica costituzionale relative alla funzione di indirizzo e coordinamento, in AA.VV., La funzione di indirizzo e coordinamento, a cura di E. Gizzi e A. Orsi Battaglini, Milano 1988, 49 ss. (16)... in cui si è affermato che «il principio per cui l'esercizio in via non legislativa della funzione di indirizzo e coordinamento nei confronti delle Regioni è soggetto a precisi requisiti di procedura, dovendo far capo all'organo collegiale di Governo (cfr. sentenze n. 338 del 1989, n. 453 del 1991, n. 124 del 1994 e n. 18 del 1997). Essa infatti non può identificarsi Deve ritenersi, dunque, che le norme che avrebbero attribuito e regolato il potere esercitato con l'atto ministeriale di indirizzo non solo non sono state indicate in preambolo ma nemmeno sono rinvenibili nell'ordinamento legislativo. Del resto - come anticipato - accanto ai generali rilievi concernenti l'incompetenza assoluta del Governo e10 del Ministro ad esercitare la funzione di indirizzo e coordinamento in una materia di potestà concorrente, andrebbero considerate le peculiarità della specifica questione su cui è intervenuto l'atto ministeriale, poiché questa, pur dovendosi considerare coperta da riserva di legge, è oggetto di lacuna legislativa (17) e la stessa interpretazione delle norme costituzionali applicabili è controversa in dottrina e in giurisprudenza (18). 3. Diritto di rijiutare le cure, indisponibilità della vita, riserva assoluta di legge. È opinione diffusa che la disciplina costituzionale del diritto alla salute contenga un principio di libera auto-determinazione della persona nel rapporto con il proprio corpo (19): alla stregua di tale principio, l'individuo non soltanto ha la facoltà di rifiutare determinate cure, ma anche quella di ottenere la sospensione di trattamenti già avviati e ancora in corso, pure quando tale scelta sia destinata a condurre ad un esito fatale. L'impostazione descritta appare il frutto di un percorso culturale che ha condotto a riconoscere tendenziale prevalenza alla dimensione della salute quale diritto dell'individuo su quella della \Iute come interesse della collettività, cui pure fa riferimento l'art. 32 Cost. E pur vero che la cura del proprio stato di salute appare un presupposto necessario per l'adempimento di taluni doveri di solidarietà gravanti sull'individuo, nell'ambito delle formazioni sociali con una funzione propria dell'amministrazione statale volta a volta competente per materia (ché, anzi, va ad incidere per definizione in ambiti di azione amministrativa che spettano alle Regioni), ma è espressione del potere, demandato in concreto dalla legge al Governo nazionale, di assicurare la salvaguardia di interessi unitari non frazionabili. La deliberazione necessaria del Consiglio dei ministri esprime appunto l'assunzione di responsabilità a livello dell'organo chiamato a delineare, sotto la direzione del Presidente del Consiglio, la 'politica generale del Governo" (art. 95 della Costituzione), in ordine alla esigenza di indirizzare e coordinare l'attività delle Regioni in vista di interessi unitari individuati dalla legge della Repubblica», v. n. 14 Cons. dir. Su tali basi, la Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, C. 5, lett. C), 1. n. 59 del 1997, che aveva abrogato la prima parte dell'art. 2, C. 3, lett. d), 1. n. 400 del 1988, stabilendo «l'effetto di ripristinare l'efficacia della disposizione abrogata», alla luce, appunto, della necessità costituzionale della competenza collegiale in ordine al tipo di atti disciplinato. (17) Implicitamente, in questo senso, anche l'ordinanza della Corte costituzionale n. 338 del 2004 (su cui v. infra), nella parte in cui si afferma che «il Parlamento può in qualsiasi momento adottare una specifica normativa della materia, fondata su adeguati punti di equilibrio fra i fondamentali beni costituzionali coinvolti P. (18) Su tali aspetti della questione, cfr. partic. T. GROPPI, Il «caso Englaro»: un viaggio alle origini dello Stato di diritto e ritorno, in (2009). (19) V. almeno G. GEMMA, Sterilizzazione e diritti di libertà, in Riv. trim. dir. proc. civ. 1977,247 ss.; S.P. PANUNZIO, Trattamenti sanitari obbligatori e costituzione, Dir. SOC. 1979,876 ss.; F. M~DUGNO, Trattamenti sanitari «non obbligatori» e Costituzione, in Dir. SOC. 1982,303 SS.

8 LAZIO 2485 nelle quali questi è inserito (in qualità di figlio, coniuge, genitore; ma anche come cittadino, lavoratore, etc.). Questo, però, è solo un dato di fatto» che non può valere a fare della salute un bene strumentale» alla soddisfazione di pretese di terzi. I1 principio personalista è di ostacolo a una tale concezione, poiché non potrebbe ammettersi che lo sviluppo della personalità debba avvenire in funzione di scopi esterni alla sfera dell'individuo (20). Pertanto, risulta confermata l'idea che l'ordinamento costituzionale non sancisce un generale dovere di mantenersi sani e che le ipotesi di trattamenti sanitari obbligatori, la cui introduzione soggiace a riserva di legge, siano eccezionali e di stretta interpretazione (21). L'ambito applicativo e le implicazioni della disciplina richiamata tendono ad espandersi. Così, secondo recenti pronunce, pure il soggetto che, sebbene capace, non sia fisicamente in grado di interrompere da solo l'applicazione delle terapie cui è sottoposto avrebbe il diritto di ottenere che la disattivazione delle medesime sia materialmente realizzata ad opera di terzi, i quali siano disposti ad adoperarsi volontariamente in tal senso: non vi è, però, unanimità circa la causa di esclusione della responsabilità penale (22). Non è pacifico, invece, se l'art. 32, C. 2, Cost. vada riferito soltanto al rifiuto dei trattamenti sanitari da parte del soggetto attualmente capace di intendere e di volere o se l'interesse a non essere curato possa essere riconosciuto anche all'individuo privo di coscienza, ammettendone l'esercizio da parte di un rappresentante. In proposito va ricordato che il provvedimento del Ministro della salute oggetto di attenzione da parte del TAR Lazio ha fatto seguito alle prese di posizione della giurisprudenza sulla vicenda di Eluana Englaro. Secondo l'orien- (20) Cfr. M. LUCIANI, I/ diritto costituzionale alla salute, in Dir. SOC. 1980, (21) Cfr. l'analisi di A. D'ALOIA, Diritto di morire? La problematica dimensione costituzionale della «fine della vita N, in Pol. dir. 1998,601 ss.; riferimenti e applicazioni in D. MESSINEO, Problemi in tema di discipline regionali sui trattamenti sanitari: il caso dei vaccini, in Le regioni 2009, 331 ss. (22) Taluni ritengono, infatti, che il comportamento del medico che desista dalla somministrazione della cura integri un'attività materiale direttamente riconducibile alla volontà del paziente di sottrarsi dalle cure, per cui, trattandosi della mera collaborazione nell'esercizio dell'altrui diritto riconosciuto dall'art. 32, C. 2, Cost. non sarebbe integrato nemmeno il fatto tipico del reato di omicidio del consenziente (art. 579 C.P.). Secondo un'altra opinione, il medico che sospenda l'applicazione del trattamento su richiesta del paziente agirebbe nell'adempimento di un dovere, di modo che la sua condotta, pur integrando il fatto tipico, sarebbe scriminata dall'art. 51 C.P. In tal senso si veda, ad esempio, la sentenza 23 luglio 2007, n. 2049, del g.u.p. presso il tribunale penale di Roma, in &IDPag=483: con tale provvedimento è stato prosciolto il medico anestesista che aveva praticato la sedazione terminale e distaccato la ventilazione artificiale a P. Welby, cfr. G. ANZANI, Consenso ai trattamenti medici e «scelte di fine vita», in Danno e resp., 2008, 958. Per uno spunto di riflessione sul nesso di causalità, merita ricordare che la Corte di cassazione, nella sentenza sul caso Englaro, n del 2007, ha ritenuto che il distacco delle terapie di sostegno vitale non darebbe luogo ad una forma di eutanasia e non ricadrebbe dunque nel divieto penale di omicidio del consenziente, poiché il rifiuto delle cure non avrebbe immediata rilevanza eziologica in relazione all'evento morte, ma esprimerebbe la scelta che la malattia segua il suo corso naturale. Sul profilo, F. SORRENTINO, Diritto alla salute e trattamenti sanitari: sulla facoltà del malato d'interrompere le cure (tra art. 32 Cost. e C.P.), in Quad. reg. 2007, 446. tamento seguito dalla Corte di cassazione (23), il soggetto che, in epoca anteriore all'irreversibile perdita di coscienza, in forma espressa o attraverso i propri comportamenti e lo stile di vita, abbia manifestato l'idea di non accettare il prolungamento della vita in stato vegetativo attraverso l'alimentazione e I'idratazione artificiali potrebbe ottenere la disattivazione del trattamento su istanza del rappresentante legale (24). Tale pretesa è stata considerata coercibiie nei confronti della pubblica amministrazione: la sentenza del TAR Lombardia - Milano, sez. III,26 gennaio 2009, n. 214 (25), ha annullato l'atto con cui il direttore generale della sanità della regione Lombardia aveva negato che il personale del servizio sanitario regionale potesse procedere all'interno dei relativi centri alla sospensione del sostegno vitale all'ammalato in stato vegetativo permanente. I1 giudice adito ha affermato che le strutture del servizio sanitario nazionale non possono rifiutare il ricovero ospedaliero, dovuto in linea di principio a chiunque sia affetto da patologie, al malato che (personalmente o attraverso il rappresentante) abbia preannunciato l'intenzione di dar luogo alla sospensione delle terapie. La soluzione è stata giustificata in base al rilievo che non sarebbe possibile condizionare l'accettazione presso una struttura del servizio pubblico alla rinuncia da parte del degente ad esercitare un suo diritto fondamentale. Una parte della dottrina ha avanzato perplessità e critiche rispetto a tali sviluppi giurisprudenziali. In proposito è stato affermato che la disciplina costituzionale sarebbe sufficiente a giustificare I'esercizio della libertà di autodeterminazione solo se il malato è attualmente e pienamente capace di intendere e di volere, mentre se la persona non è capace di intendere e di volere, essa per il diritto (ma prima ancora per la morale e per il senso comune universale) non è in grado di decidere nulla, e quindi neppure di decidere che un trattamento sanitario neppure cominci oppure che venga interrotto, ed al suo posto intervengono tutte quelle norme che impongono di soccorrere le persone e/o di fare quanto è nelle loro capacità professionali per tenere in vita le persone D (26). In assenza di un'apposita disciplina legislativa che stabilisca se qualcuno (ed eventualmente, chi) possa assumere questo tipo di decisioni al posto dell'incapace, in presenza di quali presupposti, e quale sia la procedura da seguire a tal fine, la giurisprudenza di merito ha vagliato la possibilità di adattare allo scopo strumenti già presenti dall'ordinamento, apprestati per la soluzione di problemi affini. Segnatamente, taluni giudici tutelari (27) hanno accolto le richieste provenienti da individui affetti da gravi malattie degenerative, tese ad ottenere (23) Sez. I, sentenza 16 ottobre 2007, n (24) Le condizioni individuate a tal fine dal giudice di legittimità sono l'accertata irreversibilità dello stato vegetativo e che l'istanza proveniente dal rappresentante debba considerarsi conforme alla personalità e alle convinzioni manifestate dal paziente prima di cadere in stato di incoscienza, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti. Per l'analisi dello stato dell'arte antecedente alla sentenza della cassazione sul caso Englaro, cfr., per tutti, N. VICECONTE, Il diritto di rifiutare le cure: un diritto costituzionale non tutelato? Riflessioni a margine di una discussa decisione del giudice civile sul 'caso Welby ', in Giur. cost. 2007, 2359 ss. (25) In Bioetica 2009, 699 ss. (26) Così G.U. RESCIGNO, Dal diritto di rifiutare un determinato trattamento saniturio secondo l'art. 32, co. 2, Cost., al principio di autodeterminazione intorno alla propria vita, in Dir. pubbl. 2008, 89. (27) V. ad es. decr. Trib. Modena 13 maggio 2008, in Famiglia e diritto 2008, 923 ss.,

9 LAZIO 2487 che un familiare fosse nominato loro amministratore di sostegno, e ricevesse l'incarico di sostituire l'istante nell'espressione del rifiuto di determinate cure, indicate nel decreto di nomina, nel caso di sopraggiunta incapacità di intendere e di volere. Anche al di là delle critiche che sono state, talvolta, rivolte ad applicazioni siffatte dell'amministrazione di sostegno (28), va rilevato che la procedura descritta potrebbe valere, al massimo, a rendere superflua l'introduzione di una disciplina legislativa del c.d. «testamento biologico» (29). In ogni caso, non sarebbe chiara la regola da seguire qualora un soggetto non abbia tempestivamente disposto per il caso di sopravvenuta incapacità: si consideri, peraltro, che l'incapacità non rappresenta sempre l'esito di una malattia, ma è talvolta causata da improvvisi episodi traumatici. Certo, la definizione delle pratiche in campo sanitario con riferimento alla nutrizione e l'alimentazione nei confronti delle persone in stato vegetativo permanente è una problematica di ampio respiro, che racchiude una casistica alquanto articolata e chiama in causa il bilanciamento di esigenze diverse (30). I1 citato atto ministeriale di indirizzo non sembra fare differenze tra i vari casi ed appare suscettibile di applicazione generale: vi si afferma, tra l'altro, che «la negazione della nutrizione e dell'alimentazione può configurarsi... come una discriminazione fondata su valutazioni circa la qualità della vita di una persona con grave disabilita e in situazione di totale dipendenza D. I1 principio di uguaglianza è richiamato per ricordare che la dignità umana impone di riconoscere sommo valore al bene della vita a prescindere dalle circostanze contingenti in cui versa l'individuo. Da codesto principio si trae la conseguenza che sui poteri pubblici graverebbe un generale ed inderogabile compito di protezione e conservazione della vita dei soggetti privi di coscienza, i quali non sono in grado di esprimere una volontà attuale. Tale posizione potrebbe trovare un fondamento nel carattere «personalissimo» della decisione con cui si rifiutano le cure, da cui potrebbe farsi discendere l'impossibilità di surrogare la (manifesta- con nota di G. FERRANDO, Diritto di rifiutare le cure, amministrazione di sostegno e direttive anticipate. (28) Per una valutazione d'insieme, F.G. PIZZETTI, Alle frontiere della vita: il testamento biologico tra valori costituzionali e promozione della persona, Milano 2008, 204 ss., ove si ricorda che «alcuni giudici tutelari... hanno ritenuto che, per poter ricorrere all'istituto di cui all'art. 404 cod. civ., sia necessaria la presenza di una pur ridotta autonomia e capacità, con la conseguenza di non ritenere giustificata la sostituzione dell'amministratore al beneficiario nella prestazione del «consenso informato» all'atto medico, in caso di incapacità naturale o legale dell'ammalato, davanti alla quale quindi non rest[erebbe] che procedere all'apertura della procedura di interdizione» e che, comunque, il giudice tutelare potrebbe non riprodurre nel provvedimento tutto quanto voluto dal designante. (29) In tal senso, ad esempio, L. TRIA, Problematiche di fine vita alla luce dei principi costituzionali e sopranazionali: con particolare riferimento ai casi Welby, Englaro e Santoro, in I diritti dell'uomo 2008, 15. (30) Si osserva che gli interessi coinvolti nei bilanciamenti implicati dalla disciplina del «fine vita» sono numerosi, dovendosi tener conto, in qualche modo, della volontà dei parenti, del problema di ottenere una valutazione «non compromessa da interessi egoistici di chi ricaverebbe un vantaggio dalla morte della persona in stato vegetativo n, dell'esigenza di fissare un dies a quo prima del quale dovrebbe darsi rilievo alla possibilità di un «risveglio» del paziente, etc. cfr., ancora, G.U. RESCIGNO, Dal diritto di rifiutare un determinato trattamento, cit., 99. zione di) volontà attuale del malato attraverso l'intervento di un rappresentante (31). Anche questa impostazione potrebbe trovare appigli nella giurisprudenza. particolarmente in alcune pronunce della Corte di Strasburgo, in cui è stato affermato che il diritto alla vita, protetto dall'art. 2 della CEDU, non comporta soltanto il divieto per gli stati contraenti di adottare comportamenti lesivi della vita degli individui, ma implica anche obblighi positivi di attivarsi per proteggere la vita umana quando questa sia in pericolo (32). I1 nodo centrale del (31) Cfr., in questo senso, F. GAZZONI, Sancho Panza in Cassazione (come si riscrive la norma sull'eutanasia, in spregio al principio della divisione dei poteri), in Il diritto di famiglia e delle persone 2008, 116, secondo cui dai principi generali potrebbe ricavarsi l'idea che «il tutore può ed anzi deve sostituirsi all'incapace quando si tratta di salvare la sua vita mentre «nessun potere sostitutivo può essergli riconosciuto quando si tratta di decidere sulla sua morte D: di qui la posizione critica dell'a. rispetto alla sentenza della Cassazione sulla vicenda di E. Englaro, che avrebbe «inciso pesantemente in un ambito, quello della vita e della morte, che solo la legge può disciplinare, spettando al legislatore e non certo al giudice... di individuare la regola che costituisca la sintesi possibile tra la pluralità di valori etici professati dai cittadini n, 122. Per restare al rapporto tra Parlamento e autorità giudiziaria in siffatta materia, va ricordata l'ordinanza n. 334 del 2008, con cui la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione sollevati dalla Camera dei deputati e dal Senato della repubblica nei confronti della Corte di cassazione e della Corte di appello di Milano in relazione, rispettivamente, alla sentenza n del 2007 e al decreto 25 giugno 2008, impugnati perché, venendo a stabilire termini e condizioni affinché possa cessare il trattamento di alimentazione ed idratazione artificiale cui è sottoposto un paziente in stato vegetativo permanente, avrebbero utilizzato la funzione giurisdizionale per modificare il sistema legislativo vigente, così invadendo l'area riservata al legislatore. La Corte non ha ravvisato «elementi atti a dimostrare che i giudici abbiano utilizzato i provvedimenti censurati come meri schermi formali per esercitare, invece, funzioni di produzione normativa o per menomare l'esercizio del potere legislativo da parte del Parlamento n, tanto più che questo «può, in ogni momento, adottare una specifica normativa in materia, fondata su adeguati punti di equilibrio fra i fondamentali beni costituzionali coinvolti». Per certi versi opposta alla tesi di F. GAZZONI appare quella di C. CASONATO, Il caso Englaro: fine vita, il diritto che c'è, in Quad. cost. 2008, 99 ss., secondo cui in materia di «fine vita... emergono molti profili su cui l'ordinamento giuridico pare ornzai dare risposte più chiare e coerenti di quanti si pensi...»: l'a. cita il «diritto al rifiuto di trattamenti anche di sostegno vitale... la parziale disponibilità del bene vita... la qualifica di nutrizione ed idratazione artificiali... (Q1 ruolo dell'accanimento... l'amministrazione di sostegno... l'obbligo di tener conto delle volontà anticipate di trattamento», 101 S. (32) Si ricordi, in tal senso, il caso X. contro Germania (Ricorso n /83, decisione della Commissione del 9 maggio 1984), in cui si riconobbe la legittimità della nutrizione forzata di detenuti in sciopero della fame su disposizione delle autorità penitenziarie tedesche, sebbene la misura avesse comportato il sacrificio della libertà di manifestazione del pensiero dei detenuti medesimi. Nella sentenza del 29 aprile 2002, nel caso Pretty contro Regno Unito, poi, la Corte di Strasburgo ha affermato che il diritto alla vita non implica anche un profilo negativo, consistente nel diritto a togliersi la vita con l'aiuto di un terzo o con l'assistenza dell'autorità pubblica; e che l'esistenza di norme statali che incriminano l'omicidio del consenziente non integra una violazione della CEDU, poiché in linea di principio divieti siffatti hanno il legittimo scopo di tutelare la vita di individui che versano in uno stato di profonda frustrazione e vulnerabilità (e la cui scelta, allora, potrebbe non essere dawero «libera D). Su queste basi, Corte ha affermato che tali discipline non apportano una limitazione sproporzionata al diritto del singolo di auto-determinarsi liberamente. Sui limiti frapposti da questa giurisprudenza alle scelte del legislatore (italiano) si interroga, da ultimo, E. CASTORINA, Concezioni bioetiche e principi costituzionali: ilproblema delle scelte di fine-vita, in Etica e diritto nella medicina di fine vita, a cura di S. Randazzo, in corso di pubblicazione.

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11 LAZIO 2491 In definitiva, le problematiche connesse alla disciplina del «fine vita D richiedono di contemperare differenti aspirazioni, ugualmente riconducibili al valore della dignità umana, il quale, a sua volta, è considerato l'asse portante dello stesso impianto assiologico fondamentale (40): evidentemente, non è conforme ai principi dello Stato costituzionale pensare che una questione di tali dimensioni possa essere regolata da un atto di indirizzo ministeriale. Deve concludersi che l'incompetenza assoluta del potere esecutivo può essere dimostrata non soltanto ragionando sul piano «orizzontale» dei rapporti tra centro e periferia ma anche muovendosi sul piano «verticale» della gerarchia delle fonti, atteso che il bilanciamento tra i diritti fondamentali dell'individuo ed i limiti di ordine pubblico al loro esercizio andrebbe effettuato al livello delle fonti primarie (41). La rilevata nullità dell'atto ministeriale di indirizzo gravato innanzi al TAR Lazio induce a svolgere alcune puntualizzazioni circa i rimedi esperibili contro i provvedimenti amministrativi invalidi dal titolare di diritti cc.dd. «incomprimibili D. 4. Dottrina dei diritti incomprimibili, criterio del petitum, teorie della doppia tutela. La teoria dei diritti incomprimibili è stata evocata per la prima volta dalla Corte di cassazione in una sentenza del 1979 (42) e successivamente è stata ss., 519. Per ulteriori riferimenti sui conflitti tra le diverse «anime» della dignità umana, cfr., volendo, D. MESSINEO, Il contenuto essenziale dei diritti fondamentali nella giurisprudenza costituzionale, in (2009), 120 ss. (40) La dignità è stata definita «valore supercostituzionale» da A. RUGGERI, A. SPADARO, Dignità dell'uomo e giurisprudenza costituzionale (prime notazioni), in Pol. dir. 1991, 343 ss. (41) Osserva - inoltre - G. ALPA, Il principio di autodeterminazione e le direttive anticipate sulle cure mediche, in Riv. crit. dir. priv. 2006, 94 S., che anche se «la tutela dell'autonomia privata comporta l'assegnazione di effetti a[lle] dichiarazioni» anticipate, «in questo quadro complesso, in cui si intrecciano... ideologie tra loro contrastanti come quelle a fondamento individualista e quelle a fondamento solidaristico... l'intervento legislativo segnerebbe vantaggi consistenti: (i) nella certezza del rapporto giuridico...; (ii) nella prevalenza delle dichiarazioni dell'interessato rispetto qualsiasi altra volontà imputabile a» terzi; «(iii) nell'esoreno da qualsiasi responsabilità del medico curante e di ogni altro operatore coinvolto». (42) Nel leading case rappresentato da ss. uu., 9 marzo 1979, n. 1463, la Cassazione affermò che in relazione al procedimento per la localizzazione delle centrali nucleari, allora disciplinato dalla 1. n. 393 del 1975, era configurabile, accanto alla titolarità di interessi diffusi delle collettività stanziate nei territori interessati, anche la titolarità di interessi individuali dei singoli proprietari delle aree coinvolte nel procedimento. La Corte disse allora che «tali ultimi interessi hanno natura e consistenza di veri e propri diritti soggettivi, quando riguardino la tutela del bene della salute, non disponibile e non degradabile per l'intervento dell'amministrazione, ovvero la tutela di disponibilità esclusive di determinati beni, i quali traggono dall'ambiente il loro pregio e la loro potenzialità economica, e, quindi, potrebbero venire sostanzialmente perduti per effetto delle scelte concretamente adottate per detta ubicazione D. Su tale base, furono considerate ammissibili le domande rivolte al giudice ordinario dai proprietari/usufruttuari delle tenute agricole interessate dal procedimento per conseguire un accertamento tecnico preventivo sulle condizioni ambientali della zona medesima al fine di assicurare la prova del danno eventualmente derivante dall'insediamento di una centrale utilizzata in numerose altre occasioni. La sua affermazione ha consentito al giudice ordinario di pronunciarsi su domande tese ad ottenere sentenza di condanna nei confronti della pubblica amministrazione, nell'ambito di rapporti segnati dalla presenza di provvedimenti amministrativi. Secondo l'interpretazione tradizionale dell'art. 4, 1. abolitrice del contenzioso, seguita dalla giurisprudenza anche dopo l'entrata in vigore della Costituzione del 1948, il divieto di revocare o modificare atti amministrativi avrebbe impedito al giudice ordinario di avere accesso a fatti e rapporti investiti e10 conformati da un provvedimento amministrativo efficace (id est: non impugnato ed annullato dal giudice amministrativo) e di accertare la natura e gli effetti dei medesimi prescindendo dalla qualificazione operata dall'amministrazione. A maggior ragione, si escludeva che il giudice ordinario potesse emettere nei confronti dell'amministrazione sentenze di condanna basate su ricostruzioni dei fatti e qualificazioni giuridiche difformi dal contenuto del provvedimento amministrativo (43). Come è noto, tale impostazione si è basata su un'interpretazione alquanto rigida del riparto di giurisdizione definito dal combinato disposto dell'art. 2, 1. abolitrice del contenzioso e da talune disposizioni della 1. Crispi del 1889, poi trasfuse nel t.u. delle 11. sul Consiglio di Stato del 1924, che ha trovato espressione nella teoria della degradazione dei diritti soggettivi a interessi legittimi. I1 citato art. 2, all. E, 1. n del 1865, aveva devoluto alla giurisdizione ordinaria «le materie nelle quali si faccia questione d'un diritto civile o politico»; la 1. istitutiva della IV sez. del Consiglio di Stato (con una formula poi riprodotta nell'art. 26, r.d. n del 1924) ha fissato la giurisdizione del Consiglio di Stato «sui ricorsi... contro atti e provvedimenti... che abbiano per oggetto un interesse nucleare. V., poi, Cass., ss. uu., 6 ottobre 1979, n. 5172, sull'azione di danno temuto proposta innanzi al pretore di Pozzuoli nei confronti della cassa del mezzogiorno, che aveva intrapreso la costruzione di un depuratore di rifiuti per disinquinare il Golfo di Napoli; Cass., ss. uu., 19 luglio 1985, n. 4263, sulle azioni contro l'esercizio di un impianto manifatturiero produttivo di esalazioni insalubri; Cass., ss. uu., 23 giugno 1989, n. 2999, sulla domanda di risarcimento dei danni proposta contro il comune dai proprietari di immobili latistanti una strada su cui veniva esercitato un mercato all'aperto; Cass., ss. uu., n del 1992, sulla domanda di riduzione in pristino proposta contro la cassa per il mezzogiorno in relazione ad un depuratore installato ad una distanza inferiore a quella prescritta; Cass., ss. uu., 29 luglio 1995, n. 8300, sulla domanda di chiusura di una centrale elettrica; Cass., ss. uu., 8 novembre 2006, n , sulla domanda di interramento della linea elettrica costruita e messa in esercizio a ridosso di un'abitazione privata. In dottrina, per varie ricostruzioni, v. A. PACE, Diritti degli handicappati e inadempienze della pubblica amministrazione, in Giust. civ. 1980, I, 1995 ss.; P.M. DI GIOVANNI, Pronunce del giudice ordinario ed obblighi di fare: la condanna della pubblica amministrazione, in Giur. merito 1995, 2, 357; G. MANFREDI, L''irresistibile' diritto alla salute e la tutela dall'inquinamento elettromagnetico, in Urb. e appalti 2001,161 ss.; L. VIOLA, 11 diritto incomprimibile all'ambiente salubre e la sindrome di N.I.M.BY., in Giur. merito 2007, 12, 3312 ss.; P. CARPENTIERI, Diritto alla salute, localizzazione degli impianti e giudice ordinario, in Urb. e appalti 2007,797 ss.; G. Cocco, Nota a tribunale di Salerno del 28 aprile 2007, in Riv. giur. ambiente 2007, 6, 1086 ss.; F. CARINGELLA, L'evoluzione storica dei criteri di riparto, in Il riparto di giurisdizione, cit., 88 ss.; N. PAOLANTONIO, Il potere amministrativo nella giurisprudenza della Corte di cassazione, in (2009); F. MANGANARO, I diritti umani sono diritti soggettivi non limitabili dal potere amministrativo, in (2009). (43) In dottrina è stato denunciato l'errore prospettico di questa giurisprudenza, che non avrebbe colto il valore di «rottura» introdotto dall'art. 113 Cost., cfr. A. CARIOLA, Diritti fondamentali e riparto di giurisdizione, in Dir. proc. amm. 1991,

12 d'individui o di enti morali giuridici D. Così, la giurisdizione del giudice amministrativo risulta essere tuttora delimitata da tali disposizioni sia con riferimento alla natura della posizione soggettiva dedotta (interesse legittimo) sia in relazione al tipo di tutela richiesta, che deve necessariamente consistere nell'annullamento di un atto. Invero, le discipline richiamate operano su piani differenti, poiché ricollegano la giurisdizione ordinaria puramente e semplicemente alla natura della causa petendi e quella amministrativa contemporaneamente alla causa petendi e al petitum (44). La sfasatura tra i criteri di delimitazione delle aree affidate, rispettivamente, a giudice ordinario e giudice amministrativo avrebbe potuto dar luogo a dubbi nel caso in cui il privato avesse inteso azionare diritti soggettivi incisi non da meri comportamenti materiali, bensì dall'attività provvedimentale della pubblica amministrazione. Tali dubbi furono evitati dall'affermazione della tesi per cui il potere discrezionale della pubblica amministrazione avrebbe il tipico effetto di affievolire la posizione vantata dal privato, << riducendola al livello di interesse legittimo. I1 provvedimento, anche se invalido, per definizione determinerebbe la subordinazione della posizione soggettiva all'interesse pubblico, secondo il c.d. modo dell'equiparazione». Di qui è stata fatta discendere la necessità di domandare in ogni caso al giudice amministrativo la caducazione dell'atto viziato: dall'annullamento sarebbe conseguita la riespansione del diritto soggettivo - o, secondo altre impostazioni, che rigettano la teoria della degradazione (49, sarebbe derivato il carattere ingiustificato della lesione (46). A (44) Diversamente, l'art. 4, 1. n del 1971, concernente la giurisdizione generale di legittimità dei << nuovi tribunali regionali, fa riferimento ai ricorsi aventi ad oggetto diritti ed interessi di persone fisiche o giuridiche D: ciò ha indotto E. CANNADA-BARTOLI, «Diritti ed interessi» nell'art. 4 della legge sui tribunali amministrativi regionali, in Foro amm., 1972, 111, 9; ID., La legge sui tribunali amministrativi regionali ed i limiti alla giurisdizione amministrativa, in Riv. trim. dir. pubbl. 1972, 1970, a ritenere che l'esistenza della lesione del diritto soggettivo non implicherebbe più il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo di legittimità; la tesi, però, non è stata seguita dalla prevalente dottrina né dalla giurisprudenza. (45) Perché << i 'cittadini' si distingu(erebbero1 dai 'sudditi' proprio per questa loro titolarita, solennemente proclamata, di diritti soggettivi nei confronti dell'autorità amministrativa >> e la teoria della 'degradazione' produ[rrebbe] lo svilimento della posizione giuridica di cittadino D, così E. CANNADA BARTOLI, La tutela giudiziaria del cittadino verso la pubblica amministrazione, Milano 1964, 76. Sul profilo, v. anche V. O-ITAVIANO, Poteri dell'arnministraziane e principi costituzionali, in Riv. trim. dir. pubbl. 1964, 912 ss. Ulteriori riferimenti in A. SCHREIBER, E mai esistita la degradazione dei diritti? Osservazioni sull'art. 2 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo, in Foro amm. 1985, 669 ss. Ha rigettato la teoria della degradazione, ma su presupposti e a fini diversi, anche A. ROMANO, Giurisdizione amministrativa e limiti della giurisdizione ordinaria, Milano 197.5, 196 ss., secondo cui nei confronti di un atto amministrativo che sia esercizio di un potere attribuito all'amministra- zione, la posizione del privato giù in partenza non ~[otrebbe] atteggiarsi come un diritto soggettivo». (46) Si delinea così... il sistema... che risulta dal coordinamento delle due leggi. La giurisdizione sui provvedimento è stata devoluta al giudice amministrativo. Ma se il provvedimento ha inciso diritti, il suo annullamento ha un effetto tipico... rende senza causa, sine titulo, la lesione... rimane insomma il mero fatto storico del sacrificio di un bene, dell'impedimento al corretto esercizio di un'attività... imputabile ad un'attivita amministrativa, ma non più giustificato dall'annullato atto di esercizio del potere. Di questo fatto storico conosce il seguito dell'annullamento del provvedimento, il diritto al risarcimento sarebbe divenuto azionabile davanti al giudice ordinario. L'impostazione descritta ha posto il destinatario degli effetti del provvedimento in una situazione di difficoltà, sia perché avrebbe dovuto esperire due giudizi per ottenere il ristoro del danno subito, sia perché l'amministrazione avrebbe potuto eseguire il proprio provvedimento anche prima che fosse diventata definitiva la disciplina da esso dettata. frustrando le ragioni del privato. A tale situazione ha inteso porre rimedio la dottrina dei diritti incomprimibili, che ha avuto l'effetto di riguadagnare spazi alla cognizione del giudice ordinario su controversie aventi ad oggetto diritti fondamentali del privato (particolarmente il diritto alla salute e quello alla salubrità dell'ambiente) lesi dall'amministrazione. I1 presupposto teorico è che tali diritti, pur nel contatto con il potere pubblico, non siano suscettibili di essere degradati ad interessi legittimi: il provvedimento amministrativo non avrebbe forza di subordinare interessi così intimamente legati alla realizzazione della persona e a cui I'ordinamento costituzionale riconosce la protezione più intensa. Può dirsi che l'espansione dei poteri del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione si basa sull'idea che il provvedimento che investe diritti fondamentali sia il frutto di uno sconfinamento dell'amministrazione dalla sfera di potere attribuitale dall'ordinamento e delimitata anche dalle garanzie costituzionali delle posizioni soggettive. Ora, nella sentenza n del 2009, il TAR Lazio ha percorso tale cammino a ritroso, mostrando di ritenere che la giurisdizione sui diritti fondamentali che il giudice ordinario si è «arrogato >> nel corso degli anni in ragione dell'intangibilità di taluni diritti sarebbe stata al contempo sottratta D al giudice amministrativo, il quale sarebbe ormai privo di poteri in materia. I1 preteso difetto di giurisdizione si è basato, dunque, sull'implicito presupposto di un'assoluta incomunicabilità tra giurisdizione ordinaria e giurisdizione amministrativa, che si vorrebbero sempre ed assolutamente prive di intersezioni, di modo che la seconda dovrebbe ritrarsi dai lembi di territorio sui quali si è estesa la prima. Tale presupposto, però, appare infondato, e potrebbe dirsi - anzi - che la dottrina dei diritti irrefragabili rappresenti un momento di riemersione delle teorie cc.dd. della doppia tutela (47), che parevano essere state relegate ai giudice ordinario: conosce, come appunto dice l'art. 4, degli 'effetti' dell'atto», così F. SA~A, Giustizia amministrativa, Padova 1997, 73. (47) Sulle quali cfr. E. CANNADA-BARTOLI, La legge sui tribunali amministrativi, cit., ove si ricorda la teoria del petitum elaborata da V. SCIALOJA, La competenza della IV sezione del Consiglio di Stato di fronte all'autorita giudiziaria, in Foro it. 1891, I, ora in Studi giuridici, V, Roma 1936, 197: ID., Ancora sui limiti della competenze della IV sezione del Consiglio di Stato di fronte all'autorità giudiziaria, in Giustizia amministrativa 1892, ora in Studi giuridici, V, cit., 200 ss., ma si propone una tesi in parte diversa, secondo cui la duplicita del petitum ricorre[rebbe] soltanto quando l'interesse legittimo è correlato ad un potere, il cui esercizio riguarda immediatamente utilità protette come diritto soggettivo», La possibile coesistenza del diritto soggettivo e dell'interesse legittimo in capo allo stesso soggetto e nell'ambito del medesimo rapporto è stata affermata anche da un'altra dottrina, che l'ha ricollegata al diverso tipo di norme (d'azione e10 di relazione) che prendono in considerazione la posizione del privato, cfr. E. GUICCIARDI, Diritto, interesse e doppia tutela, in Giur. it. 1951, 111, 33 ss. Ulteriori riferimenti, adesso, in P. ADAMI, La doppia tutela dell'interesse legittimo e del diritto soggettivo, in Riv. amm. rep. it. 2008, 583 ss.

13 LAZIO margini in conseguenza dell'abbandono del criterio del petitum da parte di Cassazione e Consiglio di Stato (48) in favore di quello della causa petendi a seguito del concordato Romano - D'Amelio (49). I1 profilo emerge con chiarezza dall'esame della sentenza n. 556 del 2006, con cui il Consiglio di Stato ha definito l'appello di alcuni genitori contro la sentenza del TAR Veneto, 22 marzo 2005, n. 1110, la quale, a sua volta, aveva rigettato i ricorsi tesi ad ottenere la rimozione del crocifisso dalle pareti delle aule scolastiche frequentate dai figli (50). Anche in quel caso l'amministrazione convenuta aveva eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, facendo leva sulla teoria della diritti inaffievolibili: la difesa erariale affermava, infatti, che la lite aveva ad oggetto rapporti individuali di utenza del servizio pubblico e che gli attori lamentavano la lesione di un diritto perfetto quale la libertà religiosa. Non a caso, in quella circostanza il Consiglio di Stato notò che << la concezione dei diritti 'perfetti' o 'non degradabili' è stata elaborata per riconoscere ulteriori possibilità di tutela per il cittadino, non certo per escludere forme di tutela preesistenti. Di conseguenza da tale concezione non si può desumere alcuna riduzione della legittimazione a ricorrere avanti al giudice amministrativo D. I1 passaggio riportato consente di formulare una critica nei confronti della sentenza del TAR Lazio, poiché il giudice ha richiamato la teoria dei diritti incomprimibili proprio allo scopo di negare la propria giurisdizione. Talune espressioni generali utilizzate in Cons. St. n. 556 del 2006 si prestano bene a descrivere l'operazione compiuta dal TAR Lazio ed il vizio che ne affetta il ragionamento. Invero, la sentenza n del 2009 ha disatteso I'impostazione abbracciata dai giudici di Palazzo Spada, allorché ha escluso «a priori la sussistenza della giurisdizione amministrativa rispetto a situazioni di interesse che sono in relazione con diritti fondamentali della persona D, senza considerare che il provvedimento del Ministro della salute era stato << assunto nel giudizio non come fatto materiale o come semplice espressione di una condotta illecita, ma» era stato << considerato nel ricorso quale attuazione illegittima di un potere amministrativo, di cui si chiede[va] I'annullamento D, per cui << la posizione del cittadino si concreta[va] come posizione di interesse legittimo n. L'affermazione (48) Una parte della dottrina ha continuato a sostenere la validità di tale criterio di riparto, fondato 6 non già sulla natura delle situazioni giuridiche, della cui lesione si tratta, ma sui diversi poteri attribuiti all'uno e all'altro giudice P, sino a << dire che la giurisdizione spetta al giudice ordinario quando l'amministrazione, con il suo agire, abbia provocato una lesione riparabile con una delle tipiche forme di sentenza di questo giudice, di accertamento, costitutive, di condanna; e che spetta al giudice amministrativo quando l'azione amministrativa si sia espressa con atti o provvedimenti ed il rimedio contro di essi sia la loro rimozione, e quindi il loro annullamento D, cfr. F. SATTA, Giustizia amministrativa, cit., V. anche E. CANNADA-BARTOLI, Sul criterio del petitum, in Giur. it. 1999, (49) Concretizzatosi nelle sentenze del Consiglio di Stato, a. p,, 14 giugno 1930, nn. 1 e 2, e della Cass., ss. uu., 15 luglio 1930, n. 2680, ma sostanzialmente anticipato nel documento I contatti giurisdizionali della Corte di tassazione e del Consiglio di Stato, in Riv. dir. pubbl. 1929,181 ss. Per tutti, R. CAVALLO PERIN, Il riparto di giurisdizione del Concordato Romano-D'Amelio, in Dir. proc. amm. 2004, 14 ss. (50) Previo annullamento del provvedimento dell'autorità scolastica che deliberava di lasciare esposto il simbolo religioso, non dando seguito alla proposta di rimozione avanzata in consiglio d'istituto da un genitore. del difetto di giurisdizione del giudice amministrativo non ha tenuto conto dell'indicazione per cui << la circostanza che il cittadino agisca lamentando la violazione della legge da parte dell'amministrazione... a tutela di un diritto fondamentale... non è discriminante ai fini della giurisdizione, risultando invece decisiva la circostanza che l'azione sia diretta (o meno) contro un provvedimento amministrativo (51). Nel caso di specie si trattava di fare applicazione del principio di legalità, poiché se si conviene che il bilanciamento dei diritti fondamentali sia materia riservata alla legge e sottratta alla discrezionalità dell'amministrazione, si converrà anche che il provvedimento amministrativo che abbia preteso di disporre su tali diritti (in vece della legge, ad a prescindere dalla stessa esistenza di una legge che regoli la materia) sia affatto privo di base legale e perciò nullo (52). Sebbene il Ministro abbia agito in carenza di potere, il TAR non avrebbe potuto negare l'interesse a ricorrere del movimento per la difesa del cittadino senza dar vita ad una grave forzatura. Invero, dovrebbe essere chiaro che gli atti invalidi - anche quelli più lontani dal paradigma normativo - sono spesso in grado di arrecare un vulnus agli interessi protetti (53), ad esempio perché su di essi possono innestarsi ulteriori attività giuridiche, o anche solo materiali, lesive di diritti, e per intanto foriere di danni, che solo in futuro, eventualmente, potranno essere riparati. Del resto, è proprio per tale ragione che la giurisprudenza propende per ricondurre al regime della nullità una serie di atti privi degli (51) Nel testo si riportano espressioni utilizzate da Cons. St. n. 556 del 2006, in cui si ricorda come i giudici amministrativi riconoscano la propria giurisdizione su vertenze come quelle in tema di impianti per smaltimento dei rifiuti o di altre opere tali incidere sulla salubrità dell'ambiente, in cui venga contesta la legittimità dei relativi provvedimenti autorizzatori: << la circostanza che in questi casi i ricorrenti facciano valere la possibilità di un pregiudizio alla salute non toglie nulla configurabilità di una posizione di interesse legittimo, e, conseguentemente, della giurisdizione amministrativa». (52)... per incompetenza assoluta o per illiceità dell'oggetto, a seconda che si segua la tradizionale impostazione pubblicistica o le più recenti suggestioni negoziali, che informano, ad esempio, lo studio di M. D'ORSOGNA, Il problema della nullità nel diritto amministrativo, Milano 2004,267,277, ma passim. Le due ipotesi di nullità sono analizzate, tra l'altro, da A. Susca, L'invalidità del provvedimento amministrativo dopo le leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, Milano 2005, partic. 71 e 99. Distingue la carenza di potere dall'incompetenza assoluta P.M. VIPIANA PERPETUA, Gli atti amministrativi: vizi di legittimità e di merito, cause di nullità ed irregolarità, Padova 2003, (53) Osserva in proposito S. DE FELICE, Della nullità, in ed in che << l'atto nullo produce determinati effetti pratici (determina non effetti giuridici, ma fatti, che a loro volta determinano effetti giuridici, secondo la connessione fatto-effetto), costituenti meri fatti materiali, ma che a loro volta possono produrre effetti giuridici... di fatto, per il periodo anteriore alla sentenza, tanto l'atto nullo che quello annullabile produrranno gli effetti di cui sono capaci... un provvedimento nullo sarà innanzitutto stato emesso, e potrà essere stato eseguito, nonostante il suo deficit di imperatività; allo stesso modo, è possibile che ad esso abbiano fatto seguito atti consequenziali che l'avranno preso a loro presupposto D. V., poi, L. MAZZAROLLI, Sulla disciplina della nullità dei provvedimenti amministrativi, in Dir. proc. amm. 2006, 547, per il rilievo che << mentre per l'atto esistente, ma nullo perché la legge prevede per esso la sanzione della nullità, la legge stessa può attuare in misura più o meno larga un'alterazione del regime tipico della nullità, stabilendo che dall'atto pure nullo derivino determinati effetti, ciò non può essere per l'atto la cui nullità sia predicata in ragione della sua inesistenza P. In argomento, anche R. CAPONI, L'azione di nullità (profili di teoria generale), in Riv. dir. civ. 2008, suppl.,

14 2496 FORO AMMINISTRATIVO: TAR LAZIO elementi essenziali, i quali a rigore dovrebbero essere considerati inesistenti: appare necessario, anche alla luce degli artt. 24 e 113 Cost., riconoscere un interesse ad agire in capo ai possibili destinatari avverso atti che comunque, almeno in certi casi, potrebbero essere portati ad esecuzione. I1 principio di economia dei mezzi giuridici impone, allora, che la nullità di un atto sia accertata appena possibile, e poiché la sua mera presenza può compromettere la certezza dei rapporti giuridici potrebbe persino chiedersi se contro lo stesso non debba riconoscersi (oltre quella di accertamento, davanti al giudice ordinario, anche) la tutela demolitoria da parte del giudice amministrativo (54). E bene precisare che i riferiti rilievi si attagliano indifferentemente a tutti i diritti, comprimibili e non: l'opinione contraria, evidentemente sottesa alla decisione del TAR Lazio, creerebbe un contrasto insanabile con l'art. 113 Cost., secondo cui la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi contro gli atti della pubblica amministrazione «non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti», con l7aggravante di escludere la tutela demolitoria proprio in relazione a quegli atti amministrativi che abbiano leso posizioni soggettive direttamente fondate in costituzione ed ascrivibili al novero dei principi supremi. 5. Conclusioni. I1 paradosso in cui è incorsa la sentenza esaminata si staglia ancor più plasticamente sullo sfondo delle premesse da cui lo stesso TAR ha preso le mosse, allorché ha respinto l'eccezione di difetto di interesse: come riferito, l'atto ministeriale è stato reputato lesivo poiché in grado di orientare l'attività delle strutture sanitarie, sino ad incidere sulla situazione di alcuni malati. L'affermazione non sembra compatibile con quella posta dal medesimo giudice a fondamento del preteso difetto di giurisdizione. Una volta riconosciuto che il provvedimento è in grado di influenzare i comportamenti degli operatori sanitari, il TAR non avrebbe potuto rifiutarsi di delibarne la validità trincerandosi dietro il carattere asseritamente << incomprimibile >> del diritto alla salute. L'assunto suona beffardo per il ricorrente ed ha il sapore della denegata giustizia, poiché lo stesso atto che ai fini del riparto di giurisdizione è stato reputato inidoneo ad incidere il diritto alla salute... appena un momento prima era stato considerato «potenzialmente lesivo», quando si trattava di verificare l'interesse a ricorrere. Invero, i due capi della sentenza, quello che respinge l'eccezione di difetto di interesse a ricorrere e quello che (54) È questa la soluzione seguita da TAR Puglia - Bari, sez. 111, 26 ottobre 2005, n. 4581, che ha accolto il ricorso proposto dal comune di Vico del Gargano per l'annullamento di una determina dirigenziale dell'ente parco nazionale del Gargano. I1 prowedimento conteneva il diniego di realizzare una barriera frangiflutti a protezione della linea di costa; epperò, dal territorio del parco sono escluse le acque marine: pertanto l'atto risultava palesemente viziato da difetto assoluto di attribuzione, essendo il suo oggetto affatto estraneo alla sfera di potere dell'amministrazione emanante. In dottrina, cfr. partic. P. CHIRULLI, Azione di nullità e riparto di giurisdizione, in (2007), 4, secondo cui non è affatto scontato che il giudice ordinario sin sempre il giudice 'naturale' della nullità del provvedimento... sembra infatti dificile negare che della nullità del provvedimento possano conoscere entrambi i giudici, a seconda... soprattutto, dei rimedi che [il soggetto che agisce] chiede al giudice». accoglie l'eccezione di difetto di giurisdizione, si contraddicono reciprocamente, poiché l'esistenza di un atto potenzialmente pregiudizievole a fronte del quale il privato non vanti una posizione che lo abiliti a richiedere la tutela demolitoria appare un controsenso difficile da accettare. Probabilmente, il giudice è stato indotto ad affermare la sussistenza del'interesse a ricorrere dall'intento di lasciare impregiudicata la decisione sul merito della controversia da parte del giudice ordinario, al quale - in tesi - spetterebbe la giurisdizione. Per non frustrare tale scopo, il giudice è incorso in un paradosso. Invero, a seguire sino in fondo la dottrina dei diritti incomprimibili, in base alla quale è stata declinata la giurisdizione amministrativa, il TAR avrebbe dovuto riscontrare l'inidoneità dell'atto ministeriale a delimitare (se si vuole, ad affievolire») il diritto dei malati a rifiutare le cure a fronte all'obbligo dello Stato di proteggere la vita umana (si direbbe, << al cospetto del pubblico interesse P). A questo punto, coerenza avrebbe imposto di dichiarare il ricorso inammissibile per carenza d'interesse, poiché a rigore l'attore non ricaverebbe benefici dalla rimozione di un atto siffatto. Tale affermazione, però, si sarebbe potuta leggere come una sostanziale declaratoria di nullità de11 7 atto ministeriale di indirizzo per difetto assoluto di attribuzione ed avrebbe reso vana l'affermazione della giurisdizione ordinaria sulla controversia. Infatti, se il TAR avesse affermato che i soggetti rappresentati dall'associazione ricorrente non avrebbero tratto utilità dall'annullamento de11 7 atto se ne sarebbe dovuto dedurre che questo fosse originariamente privo di effetti D. Non a caso, pur dopo la riforma della legge sul procedimento amministrativo, n. 241 del 1990, awenuta nel 2005 (con 1. n. 15), che ha codificato la categoria della nullità, la prevalente giurisprudenza amministrativa è rimasta orientata nel senso che - in mancanza di una norma processuale che attribuisca al giudice poteri cognitori di mero accertamento e la possibilità di emanare sentenze dichiarative - il processo in cui taluno deduca, a ragione, la nullità di un prowedimento vada definito con una sentenza di inammissibilità per difetto di interesse: la decisione è formalmente di rito, ma se ne valorizza il contenuto sostanziale di accertamento come presupposto a fini risarcitori o per attivare giudizi di ottemperanza (55). I1 rigetto dell'eccezione di difetto di interesse è forse apparso al TAR come il frutto di una scelta obbligata, dettata dalla volontà di non invadere il campo del giudice ordinario, cui si era ritenuto spettasse conoscere della lite. L 7 inusuale sequenza in cui sono state trattate le varie questioni pregiudiziali e preliminari rappresenta una spia di ciò, tanto è vero che il TAR ha espressamente dichiarato di << darsi carico di stabilire l'ordine di esame e trattazione delle varie eccezioni» in modo inverso rispetto a quello indicato dalla prevalente giurisprudenza B così << da trattare per ultima l'eccezione attinente la giurisdizione D, anche se poi il (55) Sul contenuto sostanziale di accertamento della nullità che funge... da presupposto della sentenza di inammissibilità n, facendo stato tra le parti, cfr. C. MASTROPASQUA, M. AMORIZZO, in Manuale di diritto amministrativo, a cura di R. Garofoli e G. Ferrari, Roma 2009, 896 S. Per A. ROMANO TASSONE, L'azione di nullità ed il giudice amministrativo, in , 2, la tecnica talvolta utilizzata dai giudici amministrativi di emettere una sentenza di inammissibilità per difetto d'interesse darebbe luogo ad un << riconoscimento indiretto della inefficacia originaria del prowedimento. Per un'applicazione giurisprudenziale di tale meccanismo, TAR Bari, sentenza 19 ottobre 2006, n Più in generale, sull'atteggiarsi dell'interesse a ricorrere nelle azioni di accertamento, B. SPAM- PINATO, L'interesse a ricorrere nel processo amministrativo, Milano 2004, 141 ss.

15 LAZIO 2499 giudice non ha dato realmente conto delle ragioni che lo hanno indotto a tale scelta, ma si è limitato a dire che «le argomentazioni poste a sostegno delle varie eccezioni... present[av]ano interconnessioni». Si vuol dire che il cuore pulsante della sentenza è stata la decisione in punto di giurisdizione ed essa ha influenzato ogni altra affermazione del tribunale amministrativo. Proprio da questo punto di vista, la sentenza n del 2009 suscita le perplessità più significative, poiché le argomentazioni utilizzate per declinare la giurisdizione potrebbero valere, tutt'al più, in relazione alla giurisdizione generale di legittimità, ma non hanno forza di escludere quella esclusiva in tema di pubblici servizi, sancita all'art. 33, d. lgs. n. 80 del 1998, cui pare da ricondurre l'affare in oggetto. I1 giudice ha accolto la tesi per cui il diritto alla salute sarebbe intangibile e l'attività posta in essere dalla pubblica amministrazione potrebbe dar luogo, eventualmente, a pregiudizi di mero fatto: l'atto impugnato non avrebbe forza di degradare la posizione di diritto soggettivo dedotta dall'associazione ricorrente, ed in assenza di interesse legittimo non potrebbe incardinarsi la giurisdizione amministrativa. Ma tale percorso argomentativo è chiaramente insoddisfacente, poiché la giurisdizione esclusiva, per definizione - ed anche dopo gli interventi del giudice delle leggi del 2004 e del 2006 (56) - prescinde dalla natura della posizione fatta valere nella singola vicenda sottoposta al giudice (57). In proposito, pare opportuno rammentare alcune affermazioni formulate nella surriferita sentenza che ha definito il ricorso proposto dal tutore di un paziente in stato vegetativo persistente (58) contro la Regione Lombardia per l'annullamento dell'atto del direttore generale della sanità, con cui era stato vietato alle strutture operanti in quella regione di accettare il ricovero di malati versanti in tale condizione, qualora il tutore, debitamente autorizzato dal giudice, avesse manifestato l'intenzione di far disattivare le terapie di sostegno vitale. I1 TAR lombardo ha fatto notare come la sentenza della Corte costituzionale n. 204 del 2004, pur avendo delimitato l'ambito della giurisdizione amministrativa esclusiva, ha statuito che la cognizione del giudice amministrativo si radica ogni qual volta l'amministrazione sia investita di poteri pubblicistici riconducibili alla funzione di organizzazione del servizio, ed in tale veste autoritativa si contrapponga al privato. Stando alla sentenza n. 204, la presenza di atti di esercizio della pubblica funzione basta ad incardinare la giurisdizione amministrativa esclusiva, senza che assuma rilievo la natura giuridica della posizione (56) Oltre alla citata sentenza n. 204 del 2004, si allude alla sentenza 191 del 2006, in cui è stata dichiarata l'illegittimità dell'art. 53, C. 1, d. Igs. n. 325 del 2001, trasfuso nell'art. 53, C. 1, d.p.r. n. 327 del 2001, nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a «i comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati», non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all'esercizio di un pubblico potere, cfr. i contributi presenti in AA.VV., I comportamenti della pubblica amministrazione, cit. (57) L'impostazione accolta dal giudice delle leggi implica, infatti, che diritti soggettivi ed interessi legittimi debbano essere «tipicamente» intrecciati nelle particolari materie devolute alla giurisdizione amministrativa esclusiva ma non anche in ciascuno dei particolari rapporti che in esse ricadono, come notato da F. FRACCHIA, La giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo: un istituto che ha esaurito le sue potenziulità?, in Servizi pubblici e appalti 2004, 799 ss. (58) Si allude, ancora, a TAR Lombardia - Milano, 26 gennaio 2009, n. 214, relativa al caso di Eluana Englaro. dedotta nella singola lite (59). Ciò sembra maggiormente da ritenere alla luce della sentenza n. 140 del 2007, in cui il giudice delle leggi ha affermato che la natura «fondamentale» dei diritti coinvolti in particolari controversie non osta a che esse risultino attratte alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, << non essendovi alcun principio o norma nel nostro ordinamento che riservi esclusivamente al giudice ordinario la tutela dei diritti costituzionalmente protetti». Alla luce di queste premesse, il TAR Milano ha concluso che «gli argomenti della difesa regionale dedicati alla nullità dell'atto rimanda[va]no alla teoretica del carattere incomprimibile dei diritti fondamentali che, all'unisono, il diritto positivo ed il pensiero giuridico non ritengono più valido criterio discriminante gli ordini giurisdizionali ove il riparto sia fissato da legislatore per materie, unicamente rilevando, in quest'ultimo caso, che la pubblica amministrazione si contrapponga all'individuo nella sua veste di autorità»: il giudice si è considerato dotato di «tutti i poteri idonei ad assicurare piena tutela... alla lesione dei diritti fondamentali asseritamente sofferta in dipendenza dell'illegittimo esercizio del potere pubblico D. I1 passaggio riportato appare significativo, poiché consente di osservare che la tesi che predica l'incomprimibilità di taluni diritti non andrebbe presa alla lettera né esportata al di fuori del contesto in cui è nata. Essa non esprime una realtà naturalistica, ed anzi è scontato ammettere la materiale capacità dell'amministrazione - non solo di conformare, ma persino - di «violare», in concreto, la sfera dei titolari di diritti... «inviolabili». Si vuol dire che la dottrina dei diritti incomprimibili non si muove sul piano «ontologico», poiché nessuna formula linguistica avrebbe la forza di negare la realtà del potere pubblico e la sua pratica possibilità di rompere gli argini eretti dall'ordinamento per contenerlo. Essa, invece, va fatta operare al limitato fine di individuare i rimedi giurisdizionali più adeguati a ripristinare l'effettività dei diritti costituzionali lesi. Storicamente, si è trattato di riconoscere al privato leso dall'agire illegittimo della pubblica amministrazione ulteriori opportunità di tutela, in aggiunta a (59) Ai sensi dell'art. 103, C. 1, Cost., nelle «particolari materie indicate dalla legge» gli organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione «anche» per la tutela dei «diritti soggettivi». Secondo Corte cost. nn. 204 del 2004 e 191 del 2006 la particolarità di siffatte materie deve consistere, per l'appunto, nella presenza della pubblica amministrazione come autorità: le decisioni della Corte regolatrice che hanno fatto seguito agli interventi del giudice costituzionale hanno riscontrato la manifestazione di poteri pubblici autoritativi negli atti amministrativi di organizzazione dei servizi, a prescindere dal rango del diritto azionato dal privato. Oltre al contenzioso sull'ostensione del crocifisso (già menzionato nel testo), in cui veniva in gioco la libertà religiosa, possono citarsi i casi del diritto allo studio e del diritto alla salute: v. Cassazione, ss. uu., ord. 5 febbraio 2008, n. 2656, secondo cui la controversia sulla legittimità della scelta operata da un istituto scolastico di introdurre nel programma didattico la disciplina dell'educazione sessuale investe in via diretta ed immediata il potere autoritativo dell'amministrazione di organizzare il servizio e le modalità della sua erogazione e pertanto rientra nella giurisdizione amministrativa esclusiva; e Cassazione, ss. uu., ord. 22 aprile 2009, n. 9956, per l'affermazione della giurisdizione del giudice amministrativo sul ricorso proposto contro il comune di Castellammare di Stabia da due residenti per il risarcimento del «danno alla salute, esistenziale e morale, nonché alla vita di relazione a seguito della asserita mancata raccolta dei rifiuti urbani nel periodo azionuto e, cioè, di un mancato espletamento di un pubblico servizio».

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