Il Vangelo della Domenica

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1 Il Vangelo della Domenica anno X - C 14 aprile ª Domenica di Pasqua + Dal Vangelo secondo Giovanni (21, 1-19)$ $ $ $ In quel tempo, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberìade. E si manifestò così: si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso detto Dìdimo, Natanaèle di Cana di Galilea, i figli di Zebedèo e altri due discepoli. Disse loro Simon Pietro: «Io vado a pescare». Gli dissero: «Veniamo anche noi con te». Allora uscirono e salirono sulla barca; ma quella notte non presero nulla. Quando già era l alba, Gesù stette sulla riva, ma i discepoli non si erano accorti che era Gesù. Gesù disse loro: «Figlioli, non avete nulla da mangiare?». Gli risposero: «No». Allora egli disse loro: «Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete». La gettarono e non riuscivano più a tirarla su per la grande quantità di pesci. Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro: «È il Signore!». Simon Pietro, appena udì che era il Signore, si strinse la veste attorno ai fianchi, perché era svestito, e si gettò in mare. Gli altri discepoli invece vennero con la barca, trascinando la rete piena di pesci: non erano infatti lontani da terra se non un centinaio di metri. Appena scesi a terra, videro un fuoco di brace con del pesce sopra, e del pane. Disse loro Gesù: «Portate un po del pesce che avete preso ora». Allora Simon Pietro salì nella barca e trasse a terra la rete piena di centocinquantatré grossi pesci. E benché fossero tanti, la rete non si squarciò. Gesù disse loro: «Venite a mangiare». E nessuno dei discepoli osava domandargli: «Chi sei?», perché sapevano bene che era il Signore. Gesù si avvicinò, prese il pane e lo diede loro, e così pure il pesce. Era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, dopo essere risorto dai morti. Quand ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse: «Mi vuoi bene?», e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi». pagina 1 di 18

2 IL COMMENTO DI P. ROBERTO BONATO, S.J.!!!!! Il brano del Vangelo di Giovanni di questa terza domenica di Pasqua, si divide chiaramente in due parti: 1) Il racconto di una pesca miracolosa (1-8); 2) Il dialogo fra Gesù e Simon Pietro (9-19). 1) La pesca. Dopo la risurrezione di Gesù gli apostoli sono tornati al loro mestiere abituale. Gesù si manifesta ad essi in modo molto discreto perché non si rivela con tutta la sua gloria di risorto, ma si inserisce nella loro vita quotidiana in modo del tutto naturale. All alba si presenta sulla riva e i discepoli non lo riconoscono. Vedono uno sconosciuto, che rivolge a loro una domanda: Figlioli, non avete nulla da mangiare?. E duro per chi ha lavorato confessare il proprio insuccesso: No!. Poi questo personaggio sconosciuto con autorevolezza dà loro un consiglio: Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete. Essi lo fanno, e non possono più tirare su la rete per la gran quantità di pesci. Gesù risorto si manifesta così, con la sua potenza, nella vita degli apostoli. Il discepolo che Gesù amava, intuitivo, capisce che si tratta di Gesù, e lo dice a Pietro: E il Signore!. Pietro, con il suo temperamento impulsivo, si getta subito in mare e nuota, per raggiungere al più presto il Signore. Gli altri discepoli invece vengono dopo con la barca, trascinando la rete piena di pesci. Questa prima scena è suggestiva, perché ci mostra che Gesù manifesta la sua presenza in modo discreto e al tempo stesso impressionante. Nella nostra vita il Signore si manifesta così. Se non abbiamo il cuore e gli occhi aperti, non lo riconosciamo. Se invece siamo docili ai suggerimenti che egli ci dà, ci rendiamo conto che egli è veramente presente e attivo nella nostra vita. Gesù ci aiuta a raggiungere risultati che non ci è possibile ottenere con le sole nostre forze umane, specialmente nell ambito della carità. Il Risorto infonde nei nostri cuori il suo dinamismo di carità, che ci rende capaci di trasformare a poco a poco le situazioni attorno a noi. 2) Il pasto e il dialogo fra Gesù e Simon Pietro. La seconda scena del pasto con il Risorto è il primo dettaglio significativo. I discepoli vedono un fuoco di brace con del pesce sopra e del pane. Gesù risorto ha preparato per loro un pasto e questo evoca l Eucaristia. Egli ci ha preparato il pane dell Eucaristia sul fuoco della sua passione, e ci offre continuamente questo pasto. Gesù poi chiede inaspettatamente agli apostoli un po del pesce che hanno appena preso. Anche questo è un dettaglio significativo: il Signore vuole che la relazione tra lui e gli apostoli sia reciproca. Non vuole essere il solo a donare, ma vuole che anche gli apostoli abbiano la gioia e la dignità di contribuire a questo pasto. Gesù dona il pane e il pesce, ma chiede ai discepoli il loro contributo. Non si è mai spettatori passivi nella fede, ma sempre coinvolti direttamente. Non è Eucaristia se non c è uno scambio vicendevole, prima della consacrazione e dello spezzare il pane c è il momento dell offertorio. Dobbiamo tenerlo presente per vincere certe abitudini storiche che ci portano ad assistere e non a celebrare la Messa. E importante per considerare che non si può essere credenti senza sentirsi anche missionari, membra attive nella Chiesa di Cristo. Anche quello che gli apostoli portano è un dono del Signore, ma un dono a cui essi hanno cooperato. Con la loro docilità, infatti, essi hanno contribuito a prendere i pesci. Perciò quello che ora portano è, in parte, anche opera loro. Nuovamente abbiamo qui un insegnamento per la nostra celebrazione eucaristica e per la nostra vita. Il Signore pieno di generosità, ha preparato per noi il pane dl cielo, che è il suo stesso corpo. Ma desidera che la relazione sia reciproca, che noi portiamo all Eucaristia qualcosa della nostra vita, che è stata feconda grazie al suo intervento, per la potenza della sua grazia. Dopo questo pasto, Gesù si rivolge a Simon Pietro. E una scena commovente. Pietro aveva rinnegato Gesù tre volte. Gesù non parla con lui di questo, ma gli fa una domanda: Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?. Questa domanda costituisce, in un certo senso, una prova per Pietro. Prima della passione di Gesù egli aveva preteso di amare il Signore più degli altri. Aveva detto a Gesù: Anche se tutti si scandalizzeranno di te, io non mi scandalizzerò mai (Mt 26,33; Mc 14,29). Darò la ma vita per te (Gv 13,37). Pietro era pieno di sicurezza e di fiducia in se stesso, e questa sua presunzione aveva avuto come risultato il suo triplice rinnegamento di Gesù. Ma poi egli è stato trasformato dalla sua partecipazione alla passione di Gesù, dal suo rinnegamento e dal suo pentimento. Ora non risponde con presunzione alla domanda di Gesù, non dice: Signore, io ti amo più di costoro. E diventato più umile. Per questo motivo dice: Signore, tu lo sai che ti amo. Così fa riferimento alla conoscenza che Gesù ha di lui, non alla propria sicurezza; e non si confronta con gli altri. La sua risposta a Gesù è una risposta esemplare. Allora Gesù gli dice: Pasci i miei agnelli. Gli affida il suo gregge. Così comprendiamo che la responsabilità che il Signore affida a Pietro è basata sull amore di Pietro verso di lui. Non è possibile essere pastori nella Chiesa, se non c è una relazione di amore forte verso il Signore. Gesù ripete ancora la sua domanda, questa volta senza insinuare un confronto con gli altri: Simone di Giovanni, mi ami?. E Pietro conferma la sua risposta: Certo, Signore, tu lo sai che ti amo. Poi per la terza volta Gesù pagina 2 di 18

3 domanda: Simone di Giovanni, mi ami?. Pietro rimane addolorato perché Gesù per la terza volta gli abbia chiesto se lo ama, e risponde: Signore, tu sai tutto; tu sai che ti amo. Pietro insiste ancora sulla conoscenza di Gesù, non sulla propria sicurezza. Così, con tre risposte umili e allo stesso tempo generose, Pietro ripara il suo rinnegamento. Il Signore gli ha offerto la grazia di riparare lo sbaglio che aveva fatto per l eccessiva fiducia in se stesso. Ma questa terza volta Gesù gli dice qualcosa di più. Non si acconta di dirgli: Pasci le mie pecorelle, ma gli rivela anche la sorte che gli è riservata, il martirio: In verità, in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la veste da solo e andavi dove volevi: ma quando sarai vecchio, tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi. L evangelista spiega: Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. Si tratta di una morte certamente dolorosa, ma che ha un significato molto positivo: è una morte che glorifica Dio, come Gesù con la sua morte ha glorificato il Padre, ed è stato glorificato da lui. Gesù aggiunge: S e g u i m i!. Questa parola Gesù non l aveva detta a Pietro prima della passione. Allora gli aveva detto: Dove io vado tu ora non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi (Gv 13, 36). In effetti, allora non era possibile seguirlo. Egli doveva tracciare da solo la via della salvezza, non poteva avere allora dei collaboratori. In quel momento Pietro doveva soltanto accogliere la grazia. Ma dopo la passione di Gesù e dopo la propria conversione, per Pietro si apre la via della sequela; Gesù gli dice: Seguimi!. Pietro ha l onore di poter seguire Gesù, di poter manifestare il suo amore per lui con una generosità basata sulla grazia stessa del Signore. PER CAPIRE IL TESTO!!!!!! (tratto da a) Contesto del brano: Sento il bisogno, adesso, dopo questo primo contatto col brano, di capire meglio il contesto nel quale esso va collocato. Prendo in mano la Bibbia e non mi lascio trascinare dalle prime impressioni superficiali; voglio mettermi a cercare, ad ascoltare. Sono al cap. 21 di Giovanni, praticamente alla fine del Vangelo e ogni fine contiene in sé tutto ciò che l ha preceduta, che l ha piano piano formata. Questa pesca sul lago di Tiberiade mi rimanda con forza e chiarezza all inizio del Vangelo, dove Gesù chiama i primi discepoli, gli stessi che sono ancora presenti qui: Pietro, Giacomo e Giovanni, Natanaele. Il pranzo con Gesù, il pasto col pane e i pesci mi riporta al cap. 6, dove era avvenuta la grande moltiplicazione dei pani, la rivelazione del Pane di Vita. Il colloquio intimo e personale di Gesù con Pietro, la sua triplice domanda: Mi ami? mi conduce di nuovo alla notte della Pasqua, dove Pietro aveva rinnegato il Signore per tre volte. E poi, se guardo appena poco più indietro nel Vangelo, trovo le stupende pagine della resurrezione: la corsa di Maddalena e delle donne al sepolcro nella notte, la scoperta della tomba vuota, la corsa di Pietro e Giovanni, il loro piegarsi sul sepolcro, la loro contemplazione, la loro fede; trovo ancora gli undici chiusi nel cenacolo e l apparizione di Gesù risorto, il dono dello Spirito, l assenza e l incredulità di Tommaso, poi recuperata da una nuova apparizione; ascolto la proclamazione di quella stupenda beatitudine, che è per tutti noi, oggi, chiamati a credere, senza aver visto. E dopo queste cose giungo anch io qui, sulle acque di questo mare, in una notte senza pesca, senza niente fra le mani. Ma proprio qui, proprio a questo punto, io sono raggiunto, sono avvolto dalla manifestazione, dalla rivelazione del Signore Gesù. Sono qui, dunque, per riconoscerlo anch io, per buttarmi in mare e raggiungerlo, per partecipare al suo banchetto, per lasciare scavare dentro dalle sue domande, dalle sue parole, perché, ancora una volta, Lui possa ripetermi: Seguimi! e io, finalmente, gli dica il mio Eccomi! più pieno, più vero, valido per sempre. b) Suddivisione del brano: Mi sono subito accorto che il brano è costituito da due grandi scene, una più bella dell altra, che trovano il loro punto di divisione, ma anche di congiunzione ai vv , dove l evangelista passa dal rapporto fra Gesù e i discepoli all incontro intimo di Gesù con Pietro. E un percorso fortissimo di avvicinamento al Signore, che è preparato anche per me, che in questo momento mi accosto a questa Parola. Per riuscire ad entrare ancor meglio, cerco di soffermarmi sulle scene e sui passaggi anche minimi che mi si presentano. v.1: Con la doppia ripetizione del verbo manifestarsi, Giovanni attira subito la nostra attenzione su un evento grande che sta per compiersi. La potenza della risurrezione di Gesù non ha ancora finito di invadere la vita dei discepoli e quindi della Chiesa; occorre disporsi ad accogliere la luce, la presenza, la salvezza che Cristo ci dona. E come si manifesta ora, in questo brano, così continuerà sempre a manifestarsi nella vita dei credenti. Anche nella nostra. pagina 3 di 18

4 vv. 2-3: Pietro e altri sei discepoli escono dal chiuso del cenacolo e si spingono fuori, verso il mare per pescare, ma dopo tutta una notte di fatica, non prendono nulla. E il buio, la solitudine, l incapacità delle forze umane. vv. 4-8: Finalmente spunta l alba, torna la luce e compare Gesù ritto sulla riva del mare. Ma i discepoli non lo riconoscono ancora; hanno bisogno di compiere un cammino interiore molto forte. L iniziativa è del Signore che, con le sue parole, li aiuta a prendere coscienza del loro bisogno, della loro condizione: non hanno nulla da mangiare. Poi li invita a gettare di nuovo la rete; l obbedienza alla sua Parola compie il miracolo e la pesca è sovrabbondante. Giovanni, il discepolo dell amore, riconosce il Signore e grida la sua fede agli altri discepoli. Pietro aderisce immediatamente e si butta in mare per raggiungere al più presto il suo Signore e Maestro. Gli altri, invece, si avvicinano trascinando la barca e la rete. vv. 9-14: La scena si sposta sulla terra ferma, dove Gesù stava aspettando i discepoli. Qui si realizza il banchetto: il pane di Gesù è unito ai pesci dei discepoli, la sua vita e il suo dono diventano tutt uno col la vita e il dono loro. E la forza della Parola che diventa carne, diventa esistenza. vv : Adesso Gesù parla direttamente al cuore di Pietro; è un momento d amore molto forte, dal quale non posso restare fuori, perché quelle precise parole del Signore sono scritte e ripetute anche per me, oggi. Una reciproca dichiarazione d amore ribadita per tre volte, capace di superare tutte le infedeltà, le debolezze, i cedimenti. Da adesso comincia una vita nuova, per Pietro e anche per me, se lo voglio. v. 19: Questo versetto, che chiude il brano, è un po particolare, perché presenta un commento dell evangelista e subito di nuovo lascia risuonare la parola di Gesù per Pietro, parola fortissima e definitiva: Seguimi!, alla quale non c è altra risposta che la vita stessa. c) Alcune domande Adesso è importante che io mi lasci interpellare da questa parola, che mi lasci scavare dentro, che mi lasci raggiungere. Bisogna che la mia vita sia toccata dalle dita del Signore, come uno strumento che Lui vuole suonare. Non devo tirarmi indietro, nascondermi, fare finta che tutto vada bene, seguendo solo i bei ragionamenti della testa. E il cuore che va messo a nudo; è l anima che deve essere raggiunta nel suo punto più profondo, come dice la lettera agli Ebrei (4, 12). 1. Uscirono e salirono sulla barca (v. 3). Sono disposto, anch io, a compiere questo percorso di conversione? Mi lascio risvegliare dall invito di Gesù? O preferisco continuare a rimanere nascosto, dietro le mie porte chiuse per paura, come erano i discepoli nel cenacolo? Voglio decidermi a venir fuori, a uscire dietro a Gesù, a lasciarmi da Lui inviare? C è una barca pronta anche per me, c è una vocazione d amore che il Signore mi ha donato; quando mi deciderò a rispondere veramente? 2. Ma in quella notte non presero nulla (ivi). Ho il coraggio di lasciarmi dire dal Signore che in me c è il vuoto, che è notte, che non ho nulla fra le mani? Ho il coraggio di riconoscermi bisognoso di Lui, della sua presenza? Voglio rivelare a Lui il mio cuore, il più profondo di me stesso, quello che cerco continuamente di negare, di tenere nascosto? Lui sa tutto, mi conosce fino in fondo; vede che non ho nulla da mangiare; però sono io che devo rendermene conto, che devo finalmente arrivare da Lui a mani vuote, magari piangendo, col cuore gonfio di tristezza e angoscia. Se non faccio questo passo, non spunterà mai la vera luce, l alba del mio giorno nuovo. 3. Gettate la rete dalla parte destra (v. 6). Il Signore mi parla anche chiaramente; c è un momento in cui, grazie a una persona, a un incontro di preghiera, a una Parola ascoltata, io comprendo chiaramente cosa devo fare. Il comando è chiarissimo; bisogna solo ascoltare e obbedire. Getta dalla parte destra, mi dice il Signore. Ho il coraggio di fidarmi di Lui, finalmente, o voglio continuare a fare di testa mia, a prendere le mie misure? La mia rete, voglio gettarla a Lui? 4. Simon Pietro si gettò in mare (v. 7). Non so se si possa trovare un versetto più bello di questo. Pietro gettò se stesso, come la vedova al tempio gettò tutto quanto aveva per vivere, come l indemoniato guarito (Mc 5, 6), come Giairo, come l emorroissa, come il lebbroso, che si gettarono ai piedi di Gesù, consegnando a Lui la loro vita. O come Gesù stesso, che si gettò a terra e pregava il Padre suo (Mc 14, 35). Adesso è il mio momento. Voglio, anch io, gettarmi nel mare della misericordia, dell amore del Padre, voglio consegnare a Lui tutta la mia vita, la mia persona, i miei dolori, le speranze, i desideri, i miei peccati, la mia voglia di ricominciare? Le sue braccia sono pronte ad accogliermi, anzi, sono sicuro: sarà Lui a gettarsi al mio collo, come sta scritto Il padre lo vide da lontano, gli corse incontro e si gettò al suo collo e lo baciò. 5. Portate dei pesci che avete preso ora (v. 10). Il Signore mi chiede di unire al suo cibo il mio, alla sua vita la mia. E siccome si tratta di pesci, significa che l evangelista sta parlando di persone, quelli che il Signore stesso vuole salvare, anche attraverso la mia pesca. Perché per questo Lui mi invia. E alla sua mensa, alla sua festa, Egli aspetta me, ma aspetta anche tutti quei fratelli e quelle sorelle che nel suo amore Egli consegna alla mia vita. Non posso andare da Gesù da solo. Questa Parola, allora, mi chiede pagina 4 di 18

5 se sono disposto ad avvicinarmi al Signore, a sedermi alla sua tavola, a fare Eucaristia con Lui e se sono disposto a spendere la mia vita, le mie forze, per portare con me da Lui tanti fratelli. Devo guardarmi con sincerità nel cuore e scoprire le mie resistenze, le mie chiusure a Lui e agli altri. 6. Mi ami tu? (v. 15). Come faccio a rispondere a questa domanda? Chi ha il coraggio di proclamare il suo amore per Dio? Mentre vengono a galla tutte le mie infedeltà, i miei rinnegamenti; perché quello che è successo a Pietro fa parte anche della mia storia. Però non voglio che questa paura mi blocchi e mi faccia indietreggiare; no! Io voglio andare da Gesù, voglio stare con Lui, voglio avvicinarmi e dirgli che, sì, io lo amo, gli voglio bene. Prendo a prestito le parole stesse di Pietro e le faccio mie, me le scrivo sul cuore, le ripeto, le rumino, le faccio respirare e vivere nella mia vita e poi prendo coraggio e le dico davanti al volto di Gesù: Signore, tu sai tutto; tu sai che io ti amo. Così come sono, io Lo amo. Grazie, Signore, che mi chiedi l amore, che mi aspetti, mi desideri; grazie, perché tu gioisci del mio povero amore. 7. Pasci le mie pecore Seguimi (vv ). Ecco, il brano termina così e rimane aperto, continua a parlarmi. Questa è la parola che il Signore mi consegna, perché io la realizzi nella mia vita, da oggi in poi. Voglio accogliere la missione che il Signore mi affida; voglio rispondere alla sua chiamata e voglio seguirlo, dove Egli mi condurrà. Ogni giorno, nelle piccole cose. d) Una chiave di lettura L incontro con questa Parola di Gesù ha toccato in profondità il mio cuore, la mia vita e sento che qui non c è solo la storia di Pietro, di Giovanni e degli altri discepoli, ma c è anche la mia. Vorrei che quanto è scritto di loro si realizzasse anche per me. In particolare sono attratto dall esperienza di Pietro, dal suo cammino di conversione così forte: parte dalla caduta, dal rinnegamento e arriva al sì più pieno, più luminoso al Signore Gesù. Voglio che questo accada anche a me. Allora provo, adesso, a ripercorrere questo brano stupendo, stando attento in particolare al cammino di Pietro, ai suoi movimenti, alle sue reazioni. E come un battesimo nell amore. Pietro è il primo che prende l iniziativa e annuncia ai suoi fratelli la sua decisione di andare a pescare. Pietro esce verso il mare, che è il mondo, va verso i fratelli, perché sa di essere stato fatto pescatore di uomini (Lc 5, 10); proprio come Gesù, che era uscito dal Padre per venire a piantare la sua tenda in mezzo a noi. E ancora Pietro è il primo a reagire all annuncio di Giovanni che riconosce Gesù presente sulla riva: si cinge la veste e si butta in mare. Mi sembrano allusioni forti al battesimo, quasi che Pietro voglia definitivamente seppellire il suo passato in quelle acque, così come fa un catecumeno che entra nel fonte battesimale. Pietro si consegna a queste acque purificatrici, si lascia curare: si getta in esse, portando con sé le sue presunzioni, le sue colpe, il peso del rinnegamento, il pianto. Per risalire uomo nuovo all incontro col suo Signore. Prima di buttarsi, Pietro, si cinge, così come Gesù, prima di lui, si era cinto per lavare i piedi ai discepoli nell ultima cena. E la veste del servo, di colui che si dona ai fratelli e proprio questa veste copre la sua nudità. E la veste del Signore stesso, che lo avvolge nel suo amore e nel suo perdono. Grazie a questo amore Pietro potrà risalire dal mare, potrà risorgere, ricominciare. Anche di Gesù è detto che risalì dall acqua, dopo il suo battesimo; lo stesso verbo, la stessa esperienza accomuna il Maestro e il discepolo. Pietro è ormai un uomo nuovo! Per questo potrà affermare per tre volte di amare il Signore. Anche se rimane aperta in lui la ferita del suo triplice rinnegamento, questa non è l ultima parola; ma proprio qui Pietro conosce il perdono del Signore e conosce la debolezza, che gli si rivela come il luogo di un amore più grande. Pietro riceve amore, un amore che va ben al di là del suo tradimento, della sua caduta: un di più d amore che lo rende capace di servire i fratelli, di portarli ai pascoli verdeggianti del Signore Gesù. Non solo, ma in questo servizio d amore, Pietro diventerà come il Pastore bello, come Gesù stesso; anche lui, infatti, darà la vita per il gregge, tenderà le mani nella crocifissione, come affermano le fonti storiche. Crocifisso a testa in giù, Pietro sarà completamente capovolto, ma nel mistero d amore egli così si raddrizzerà veramente e porterà a compimento quel battesimo iniziato nel momento in cui si era gettato in mare conto della veste. Pietro diventa, allora l agnello che segue il Pastore fino al martirio. Vita da risorti - IL COMMENTO DI WILMA CHASSEUR (tratto da Vi chiedete come doveva essere la vita di Gesù da risorto? O, perlomeno, da appena risorto? Curiosità comprensibile, visto che anche noi vivremo un giorno da risorti. Ebbene: pensate che si aggirasse gloriosissimo e luminosissimo, etereo e quasi evanescente dando benedizioni spirituali? Allora vi sbagliate. pagina 5 di 18

6 Serve gli apostoli col grembiule Il Vangelo ci mostra Gesù che appare agli apostoli che erano andati a pescare con Pietro e chiede loro se hanno qualcosa da mangiare. Visto che non avevano preso l ombra di un pesce, dice loro di buttare la rete a destra. All alba! Quando i pesci se la squagliano nelle profondità delle acque a cercare il fresco. Pietro, che non lo aveva ancora riconosciuto, avrà pensato tra sé e sé si vede proprio che questo non è il suo mestiere, io me ne intendo di pesci: se non abbiamo preso niente durante la notte, figuriamoci all alba, e figuriamoci se i pesci di colpo, si mettono a comportarsi esattamente al contrario di quanto hanno sempre fatto, ma getterò lo stesso le reti, affrontando anche l ennesimo fallimento e la figuraccia. E fu un successo incredibile. E solo dopo, riconobbe il Signore. Ma le sorprese non finiscono qui: appena giunti a riva videro un fuoco di brace con del pesce sopra e il Signore che li invita a sedersi a mangiare. Ecco la vita del risorto: prepara da mangiare. Evidentemente dopo l ultima cena in cui aveva lavato i piedi ai discepoli, non si era ancora tolto il grembiule e continua a servire. Riconosciuto da chi più ama Allora quel discepolo che Gesù amava disse a Pietro E il Signore. Ecco la seconda tappa di ogni apparizione pasquale: dopo averlo incontrato LO RICONOSCONO. Si riconosce COLUI che si ama. E più lo si ama, più lo si riconosce. Infatti il primo a riconoscerlo è stato Giovanni, il discepolo prediletto. Ma nessuno osava chiedergli chi sei?. Gli Apostoli sentono bene che il loro Maestro non è più soltanto l Uomo di Galilea che camminava con loro sulle strade di Palestina e sulle strade di ogni uomo alla ricerca della verità, ma è il Figlio del Dio Altissimo, il Signore della vita, L Agnello immolato che siede sul trono, coronato di potenza, sapienza, forza, onore, gloria e benedizione. E noi? Se qualcuno ci incontra dopo Pasqua, vede qualcosa di cambiato, di risorto? Come dovremmo essere? Quali sono le caratteristiche del cristiano risorto? P. Serafino Tognetti ne elenca cinque: 5 caratteristiche del cristiano risorto 1) Non più sotto il dominio della carne, ma dello Spirito. Lo Spirito è tutto bontà, benevolenza, gioia, dolcezza, bellezza, agilità, sottigliezza. Ci fa volare al di sopra e al di fuori di noi stessi. 2) Superata la morte. Voi infatti siete morti, la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio. Caro amico che mi leggi, sei morto! Voglio dire, morto alla vita della carne e vivo nello Spirito: se siete risorti con Cristo cercate le cose di lassù. 3) Trasferiti. Trasferiti nel regno del Suo Figlio diletto. Traslocati. Verbo al passato. Trasloco già fatto! Sono già traslocato. Ci ha fatto sedere nei cieli in Cristo. Dove siete seduti: di qua o di là? Il mio corpo è qua, ma il mio spirito è concittadino dei santi. 4) Umanità nuova. Nuova nascita. Gesù non ha più il corpo passibile di quaggiù, né solo la divinità, ma una terza configurazione, per così dire, cioè il corpo glorioso. Anche il nostro sarà così. Avrò sempre il mio corpo (non quello di mia cugina) ma nuovo e glorioso. 5) Erede della signoria di Gesù. Il figlio della risurrezione partecipa anche degli attributi di Gesù: potere sul mondo sulle malattie e sugli angeli. Se siamo in Cristo risorto questa potenza ci viene partecipata e siamo pienamente inseriti in Lui. Pietro e noi - IL COMMENTO DI PAOLO CURTAZ (tratto da [Videocommento] Gesù è risorto. Bene. Evviva. Complimenti vivi. Un applauso. Ma molti sono ancora nel sepolcro. Irrigiditi come cadaveri. Travolti dal dolore, come se l anima si fosse indurita, senza emozioni, senza desideri, senza sussulti. Come se la resurrezione riguardasse altri, come se non fosse davvero per me. Ne conosco molte di persone che vivono così la Pasqua. Ancora in questi giorni, da questo angolo di Chiesa che è il mio portatile, ho ascoltato le pacate sofferenze di chi, travolto dagli eventi, o dal proprio limite, o dal dolore fisico o spirituale, hanno vissuto una Pasqua solo di fede, solo di ostinata volontà, solo di sforzo, solo di sangue. Rimasti indietro, inesorabilmente. Con l anima claudicante. Travolti, come se la resurrezione, in cui credono, e fermamente, non fosse per loro. Proprio come è accaduto a Pietro. L ultimo degli apostoli ad essersi convertito. Il fattaccio Pietro arriva alla resurrezione con un macigno nel cuore. La sua storia, la conosciamo tutti: Simone il pescatore chiamato a diventare discepolo del falegname di Nazareth, i tre anni di entusiasmante sequela con un crescendo di fama e di popolarità, la promessa fatta a Simone (a lui!) di essere il pagina 6 di 18

7 referente del gruppo, il custode della fede, le gaffes incredibili di Pietro che non riesce a moderare il suo temperamento troppo impulsivo e sanguigno e, infine, la catastrofe della croce. Pietro, nel cortile del Sinedrio, aveva negato di conoscere l uomo che credeva di amare e di servire fedelmente, senza incrinature, l uomo e il Messia per cui diceva avrebbe dato la vita. Era bastata la domanda di una serva, di una pettegola, per far crollare le fragili certezze del principe degli apostoli. Poi l arresto, il processo sommario, l uccisione. Anche Pietro, come tutti, era fuggito. Riusciamo solo vagamente a capire quanto dolore, quanta desolazione, quanto strazio aveva scosso la vita degli apostoli. Pietro, sanguinante per la morte del Maestro e per la propria morte di discepolo, era stato travolto dal suo peccato. E lì era rimasto. No, grazie Gesù ora è risorto. Ed è apparso ai discepoli; Pietro, insieme a Giovanni, è stato il primo a correre alla tomba, ed è presente al Cenacolo alla sera di Pasqua, diversamente da Tommaso; Luca accenna anche ad una apparizione privata a Pietro di cui non abbiamo alcuna traccia. Probabilmente non era andata granché bene Pietro è stato il più presente alle apparizioni del Risorto. Ma nulla è accaduto, in lui, il suo cuore è rimasto duro e arido. Gesù è vivo certo, ma non per lui. Gesù è risorto e glorioso, vivo, ma lui, Pietro, è rimasto in quel cortile. Pietro crede, certo. Ma la sua fede non riesce a superare il suo fallimento. Come succede a molti di noi. L inizio del vangelo di oggi, descrive uno dei più tristi momenti del cristianesimo: Pietro torna a pescare. L ultima volta, tre anni prima, aveva incontrato sulla riva quel perdigiorno che parlava del Regno di Dio. Torna a pescare; come a dire: fine dell avventura, della parentesi mistica, si torna alla dura realtà. Gli altri apostoli teneri! lo accompagnano sperando di risollevargli il morale. E invece nulla, pesca infruttuosa: il sordo dolore di Pietro allontana anche i pesci. Ma Gesù, come spesso accade, aspetta Pietro alla fine della notte. Gesù ci aspetta sempre alla fine della notte. Di ogni notte. Camperisti Il clima è pesante. Nessuno fiata mentre riassettano le reti. Un silenzio rotto solo da quel rompiscatole che si avvicina per attaccare bottone e chiede notizie sulla pesca. Nessuno ha voglia di parlare la schiena curva, il capo chino, il cuore asciutto e sanguinante. «Riprendete il largo e gettate le reti» Tutti si fermano. Andrea guarda Giovanni che guarda Tommaso che guarda Pietro. Come scusa? Cos ha detto? Cosa? Nessuno fiata, riprendono il largo, gettano le reti dalla parte debole e accade. È lui. Amami, Pietro Il silenzio, ora, è gravido. Gesù si comporta con naturalezza, scherza, ride, mangia con loro. Poi tenta il tutto per tutto e prende da parte Pietro. L ultima volta che si erano visti era stato al sinedrio. «Mi ami, Simone?». «Come faccio ad amarti, Rabbì, come oso ancora dirtelo, come faccio?» pensa Pietro. «Ti voglio bene» risponde Simone. «Mi ami, Simone?». «Basta, basta Signore, lo sai che non sono capace, piantala!» pensa Pietro. «Ti voglio bene» risponde Simone. «Mi vuoi bene, Simone?». Pietro tace, ora. È scosso, ancora una volta. È Gesù che abbassa il tiro, è lui che si adegua alle nostre esigenze. Pietro ha un groppo in gola. A Gesù non importa nulla della fragilità di Pietro, né del suo tradimento, non gli importa se non è all altezza, non gli importa se non sarà capace. Chiede a Pietro solo di amarlo come riesce. «Cosa vuoi che ti dica, Maestro? Tu sai tutto, tu mi conosci, sai quanto ti voglio bene». Sorride, ora, il Signore. Sorride. Pietro è pronto: saprà aiutare i fratelli poveri ora che ha accettato la sua povertà, sarà un buon Papa. Sorride il Signore e gli dice: «Seguimi». IL COMMENTO DI PAOLO FARINELLA, BIBLISTA (tratto da paolofarinella.wordpress.com) Continuiamo ad assaporare la dimensione del «dopo» morte che la liturgia della 3a domenica di Pasqua ci propone. Non è un caso che in questo periodo si legge il libro degli Atti che narrano la presenza di Gesù dopo la sua morte e risurrezione: essi completano il Vangelo che narra la presenza di Gesù durante la sua vita terrena fino alla morte. Anche gli Atti come i vangeli sono scritti alla luce della Risurrezione. Se i Vangeli sono la raccolta essenziale di ciò che «Gesù fece e insegnò dagli inizi» durante la sua vita (cf At 1,1), gli Atti sono ciò che Gesù ha fatto e insegnato dopo la sua morte attraverso i suoi discepoli, cioè la Chiesa. Con un gioco di parole si potrebbe dire che i Vangeli sono gli Atti di Gesù, mentre gli Atti sono il Vangelo della Chiesa. Il brano degli Atti di oggi riporta il 3 discorso missionario di Pietro ai Giudei dopo la guarigione del paralitico al Tempio (cf At 3,1-11) e la proibizione di predicare il Nome di Gesù. Pietro e gli altri pagina 7 di 18

8 disattendono questo divieto, continuando a predicare apertamente. Contestano l autorità legittima e ufficiale perché essa si è allontanata dal disegno di Dio che non ha saputo riconoscere, arroccandosi nella difesa dei propri privilegi. E la prima obiezione di coscienza nella Chiesa: si può dire che il primo atto ufficiale di nascita della Chiesa è una contestazione della religione e del potere esistenti. Gli apostoli che disobbediscono sono considerati dalla religione e dal potere prima disobbedienti e poi scismatici perché alla fine saranno espulsi dalla sinagoga. Il criterio asserito dagli apostoli è il primato della coscienza che non può mai essere disatteso. Convocato per la seconda volta davanti al sinedrio, massima istanza giuridica e religiosa, Pietro dichiara apertamente che i capi del popolo sono responsabili della morte di Gesù: «Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avete ucciso appendendolo a una croce» (At 5,30). Nello stesso tempo afferma la sua libertà di coscienza come criterio di scelta e di verità: «Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini» (At 5,29). Se noi veniamo a cercare nell Eucaristia una consolazione sentimentale o un tranquillante per la coscienza perché, obbligati dalla «legge», abbiamo compiuto un dovere necessario, siamo ancora nel vecchio mondo, anzi siamo morti e restiamo incapaci di cogliere la novità della storia che coniuga il volto di Dio nel volto dei suoi amici: «il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù» (At 5,13). Oggi siamo qui per un atto d amore libero e gratuito: un bisogno interiore che ci fa dire con i martiri di Abitène «senza la domenica noi non possiamo vivere» perché qui sono la Parola, il Pane, il Vino, il Perdono, la Fraternità, l Assemblea comunitaria con l anelito di Dio e del mondo. In un soffio: qui è il Cristo condiviso. Nel Vangelo di Giovanni, prendiamo coscienza che Gesù si manifesta a Pietro e recupera il triplice tradimento di questi nell ora della passione (cf Gv 18, ), chiedendogli per tre volte la sua professione d amore. Nel giardino di Getsèmani, mentre Gesù si presenta ai soldati e alle guardie affermando la sua identità divina: «Io-Sono Egô-Eimì» (Gv 18,5-6.8). Quando, poco più avanti, Pietro rinnega l amico e Maestro, non tradisce solo il Signore, ma nega se stesso, affermando la sua inesistenza: «Non-sono oùk-eimì» (Gv 18,17.25). Gesù instaura un metodo ecclesiale di comportamento: Pietro ha tradito e secondo la giustizia degli uomini dovrebbe essere espulso dal suo gruppo di discepoli. Nel regime del vangelo non è così perché tutto si capovolge: la giustizia di Gesù ha un solo scopo recuperare, recuperare, recuperare sempre. Pietro è scelto non perché più bravo, ma perché peccatore; in questa scelta potrebbe celarsi il metodo della pastorale della Chiesa: se il papa è peccatore, egli saprà essere misericordioso con i figli peccatori e saprà parlare al loro cuore, sollevando le loro sofferenze e pesi, aiutandoli ad incontrare il Signore, memore che egli, anche da papa, non è migliore degli altri, ma è peccatore come, se non peggio, degli altri: pur di salvare se stesso e la sua reputazione, non ha esitato a rinnegare il suo Signore. Ci auguriamo che i papi e i vescovi non lo dimentichino mai. Pietro non è condannato, ma è recuperato radicalmente attraverso un triplice attestato di fede e di amore. Luca mette in bocca a Pietro una espressione tragica: «Non conosco quello là oùk ôida autòn» (Lc 22,57). Non è più «Gesù», ma «quello là». Ora, quasi a compensare, Pietro dichiara: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» (Gv 21,17): quanto basta a Gesù per affidargli il ministero della concordia, il primato del perdono e il potere dell amore. Pietro non è mandato nel mondo per assimilare la logica del mondo o per sedere nel consesso dei potenti, ma unicamente per essere il «segno» che l amore di Dio è un amore a perdere se si è smarrito addirittura dietro a lui. Gesù non conferisce al primo degli apostoli il potere dell assolutismo e la discrezionalità sulla Chiesa, ma unicamente il ministero profetico del servizio: «Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore» (Mc 10,43). Nell omelia vedremo come Gv gioca con i verbi «amo» e «voglio bene» che finiscono per disorientare Pietro. Un altro elemento importante che esamineremo nell omelia, riguarda il numero dei pesci pescati: «centocinquantatrè grossi pesci» (Gv 21,11). Perché questa cifra «esatta»? Con quale intento? Perché non un numero tondo come centocinquanta/duecento, ecc.? Non è oziosa domanda interrogarsi perché sappiamo che quando le domande non trovano immediata risposta, è segno che Giovanni vuole portarci nel cuore nascosto e profondo del vangelo per svelarci un «senso» non immediato, ma più alto. Anche Sant Agostino, come vedremo, si era posto lo stesso problema e lo risolve, da par suo, ricorrendo all applicazione del valore dei numeri. Nella 2a lettura viene descritta una liturgia solenne domenicale, una liturgia mista che oscilla tra il rito ebraico e quello cristiano. E la domenica giorno in cui domina la figura dell Agnello attorno a cui tutto ruota, il cielo, gli angeli, i vegliardi e i viventi. L Agnello che Isaia contemplò come reietto e macellato dalla cattiveria umana (Is 53,1-12), ora è vivo e porta con sé la chiave di comprensione della storia. L Agnello è la prospettiva pasquale: in aramaico la stessa parola «talyà» significa sia «agnello» che «servo», quasi a dire che il servizio per amore diventa sacrificio espiatorio. E il paradosso cristiano: pagina 8 di 18

9 Gesù vive perché ha dato, ha regalato la sua vita. Muore di fatto, ma questa morte è il principio della risurrezione, il fondamento della nuova vita che rinnova non solo lui e il suo messaggio, ma ciascuno di noi. Spesso gli uomini di potere e di ideologia giustificano i loro misfatti ricorrendo alla categoria del «bene del popolo»: tutto il male possibile nella storia è stato fatto sempre e continua ad essere perpetrato «per il bene del popolo». Tutti i dittatori si sono sempre presentati e sono stati osannati come «benefattori» anche se fanno solo il loro esclusivo interesse. Nel regno dell Agnello non è così perché il pastore dà la vita per le sue pecorelle e le difende dagli assalti del lupo (Gv ). Il Cristo si carica della croce lasciàndovisi inchiodare e quando è assiso sul trono della ignominia e del dolore, grida tutto il suo perdono perché nei carnefici egli vede solo figli di Dio non consapevoli di ciò che stanno facendo (cf Lc 23,34). Entrando nella dinamica dell Eucaristia, impariamo il criterio di Cristo e mettiamolo in pratica perché solo così possiamo ancora aiutare l umanità e il creato a risorgere e quindi a sperare sempre. Invochiamo lo Spirito Santo, introducendoci con le parole del salmista (Sal 66/65,1-2): «Acclamate Dio, voi tutti della terra, cantate la gloria del suo nome, dategli gloria con la lode. Alleluia». Spunti di omelia Il brano del vangelo di oggi appartiene all ultimo capitolo che molti studiosi considerano un aggiunta posteriore perché la vera conclusione del vangelo sarebbe il capitolo 20, dove sono descritte la tomba vuota (cf Gv 20,1-10), l apparizione a Maria di Magdala (cf Gv 20,11-18) e infine le apparizioni ai discepoli senza Tommaso prima e con Tommaso otto giorni dopo (cf Gv 20,19-29). Tutto è corredato dalla conclusione dell evangelista che garantisce di avere scritto solo alcune cose su Gesù, quelle necessarie alla fede in lui (cf Gv 20,30-31). Il capitolo 21 riprende le apparizioni agli apostoli (cf Gv 21,1-8), prosegue con la celebrazione dell Eucaristia (cf Gv 21,9-14) e il mandato del primato a Pietro (cf Gv 21,15-23). Chiude la conclusione finale del vangelo in cui l autore garantisce dell attendibilità della sua testimonianza e dell impossibilità di riportare tutto ciò che Gesù ha detto e ha fatto (cf Gv 21,24-25). Possiamo dunque dire il capitolo 21, anche se è un aggiunta posteriore, è la conclusione logica a tutto il vangelo, mentre il capitolo 20 era la conclusione parziale dell ultima parte iniziata con la cena e la lavanda dei piedi (cf Gv 13) e si conclude con la risurrezione e le conseguenti apparizioni (cf Gv 20). Senza il capitolo 21, il vangelo di Gv sarebbe monco: non si capirebbe per esempio, la funzione di Pietro che resterebbe relegata al triplice tradimento di Gv 18. Con questa seconda conclusione l autore intende riprendere a livello universale ciò che prima aveva descritto in un contesto comunitario ristretto. L ultima cena di Gesù è consumata con la comunità dei discepoli all interno del rituale giudaico, ora l Eucaristia che Gesù vive con i suoi apostoli è aperta al mondo intero, è universale simboleggiata sia dalla presenza di sette apostoli sia dai 153 pesci pescati, come spiegheremo subito. Non solo, vi è anche il recupero di Pietro che riscatta il suo triplice rinnegamento con un triplice atto di amore finalizzato al popolo tutto di Dio simboleggiato dal binomio «agnelli-pecorelle» (cf Gv 21, ). Andiamo per ordine. Il brano si compone di parti distinte: la pesca straordinaria in una notte piatta e depressa seguita dalla cena con valore eucaristico (cf Gv 21,1-14) e l intervista a Pietro con il mandato del primato dell agàpe (cf Gv 21,15-23). Pesca ed Eucaristia Lo scenario ambientale è la Galilea, il lago di Tiberiade. Sono presenti sette discepoli: Pietro, Tommaso, Natanaele, i due figli di Zebedèo Giovanni e Giacomo (cf Lc 5,10) e altri due: totale 7, quanto basta per rappresentare la totalità sia della Chiesa (discepoli) sia dell umanità (pescatori). La situazione è pesante. Nessuno sa cosa fare e cosa dire. Tutti sono compresi dagli avvenimenti accaduti, forse ognuno pensa alla propria debolezza mostrata nell ora suprema della prova. Forse qualcuno si vergogna ancora. Nessuno parla e nel silenzio, scandito solo dalle onde del lago, il peso de momento diventa un macigno insopportabile. Pietro prende l iniziativa per togliere se stesso e gli altri dall imbarazzo: «Io vado a pescare» (Gv 21,3). Non dice «andiamo a pescare» come sarebbe più logico perché nessuno si avventura in lago aperto per la pesca da solo. E un modo di dire comune in chi non sa cosa fare: bisogna fare qualsiasi cosa per darsi l illusione di essere occupati. L atteggiamento di Pietro è angosciante perché le sue parole hanno un altro significato: voglio stare solo, non ce la faccio a più a sopportare questa angoscia che mi rode dentro; sono in vicolo cieco e non so dove scappare. Pietro non fa a pescare, ma è come se dicesse di andare a fare una passeggiata. Gli altri compagni non sono da meno e subito colgono l occasione per togliersi anch essi dall imbarazzo e forse dall angoscia: «veniamo anche noi con te» (Gv 21,3). Se Pietro pensa di starsene da solo, gli altri hanno paura della solitudine e non vogliono separarsi. Nessuno ha però voglia di pagina 9 di 18

10 pescare, tanto è vero che «ma quella notte non presero nulla» (Gv 21,3). L ansia, l angoscia, la depressione sono solo la notte, il buio che impediscono di pescare qualunque cosa. Essi sono il nulla perché annullano la speranza e la prospettiva di vedere oltre il buio. La notte deve fare il suo tempo perché non c è alba senza una notte precedente e l ora più buia è sempre quella che precede immediatamente l aurora. Di notte anche Giuda si separa da Gesù per consumare la disperazione del tradimento: «Ed era notte», annota l evangelista dopo che Giuda ha intinto il pane azzimo nel piatto (Gv 13,30). Di notte Pietro consuma la sua paura di essere coinvolto e per tre volte avvolto e protetto dal buio non esita a rin- negare il suo Maestro che ora chiama «quello lì»: «Non conosco quell uomo» (Mt 26,72.74). Anche ora Pietro e gli altri si avvolgono nella notte per nascondere la loro angoscia e la loro vergogna o forse semplicemente la loro fragilità di esseri umani che non hanno saputo cogliere l eccezionalità unica del momento vissuto. E passata davanti a loro la storia e l hanno leggiucchiata come banale cronaca del momento. Hanno visto Dio annientarsi in un abisso senza fine di amore e hanno creduto di essere davanti ad un fantasma (cf Lc 24,37). Viene l alba, l ora in cui «Gesù stette sulla riva» (Gv 21,4) della vita per svelare il germe di risurrezione che ogni anelito e timore e paura e desolazione portano in sé. Li chiama, ma non lo riconoscono perché il loro cuore è occupato altrove: hanno fatto spazio alla paura che ha occupato tutti gli spazi, impedendo loro di conoscere e vedere. Per vivere si deve conoscere e vedere con il cuore (cf Lc 24,25.32). La risposta di Gesù è affettuosa: comprende lo stato d animo e non dà importanza alla loro assenza interiore, nonostante siano tutti lì. Gesù non ha fame, ma chiede se hanno qualcosa da mangiare solo per riportarli alla realtà della vita e alla sua presenza. Inutilmente perché il loro cuore è sepolto in una tomba di angoscia che seppellisce anche chi si avvicina per scuoterli. Rispondono meccanicamente, senza nemmeno domandarsi chi sia a chiedere da mangiare all alba. Allo stesso modo, meccanicamente, come automi, gettano le reti dietro comando: tanto un gesto in quella notte vale l altro. Quella rete però è la rete dell alba perché è gettata sulla parola del Signore risorto e li travolge tutti in una sovrabbondanza di pesci che riempie la barca in modo inverosimile. Mai avevano pescato così tanto. Un grido si leva all alba: «E il Signore!» (Gv 21,7). Grida il discepolo che Gesù amava: il cuore libero sa leggere ciò che accade e sa riconoscerlo e chiamarlo per nome. Il grido di Giovanni è un grido d amore che di colpo sconfigge ogni paura e ogni angoscia. E il grido della sposa del Cantico che nella notte «sente» il passo del suo amore che saltella come un cerbiatto e grida: «L amato mio!» (Ct 2,8). Il grido del discepolo è il vero annuncio pasquale che proclama al mondo intero la risurrezione di Gesù di Nàzaret: «E il Signore»! La Pasqua è tutta qui, in questo grido, in queste tre parole. Tutto il resto è pula che il vento disperde. Non è solo «Gesù» non è il «Maestro», non è il «Rabbuni»: è solo e soltanto «il Signore». Davanti al Signore crolla la diga della paura e dell angoscia, si affloscia il castello di depressione che scava l annullamento della vita e finalmente Pietro prende coscienza di essere nudo, prendendo la veste si riprende la sua personalità e con essa corre incontro al «Signore». Il mare non è più un impedimento perché nel «nome del Signore» tutto si affronta con entusiasmo: «si gettò in mare» (v. 7). Non getta più le reti, ora getta se stesso in mare, non per annegare, ma per correre incontro al Signore, realizzando alla lettera il comando del salmo: «Getta/riversa il tuo affanno nel Signore» (Sal 54/53,23). All alba, quando appare il Signore, il gruppo raggiunge la sua pienezza: con Gesù sono in numero di otto, cioè sette discepoli che simboleggiano l umanità/la chiesa e lui, il Cristo: la totalità completa, cristologia perché eucaristica. Ciò che impressiona in questo racconto è il numero dei pesci: 153. E un numero strano. Perché non 150, o una quantità indefinita? Perché questo numero così puntuale preciso? In un contesto in cui le indicazioni sono spesso e volutamente generiche, si ha un numero preciso su cui non si può sbagliare perché è evidente che l evangelista ha messo quel numero apposta e non a casaccio. Cosa vuol dire? Gv ha sempre un significato nascosto che bisogna scoprire con attenzione e perspicacia. Lo spiega bene Sant Agostino che parla chiaramente di simbolismo del numero. «Che cosa significa allora il numero centocinquantatré?... Questo numero è come un albero e sembra svilupparsi come da un seme. E il seme di questo grande numero è un certo numero più piccolo che è il diciassette. Il diciassette genera il centocinquantatré, se conti da uno a diciassette e addizioni tutti i numeri. Se non addizioni tutti i numeri che pronunzi [contando] da uno a diciassette, non avrai che diciassette. Se invece conti così: uno, due, tre; uno più due più tre fanno sei, sei più quattro più cinque fanno quindici; quando arrivi fino a diciassette ti riporterà sulle dita il numero centocinquantatré». pagina 10 di 18

11 Sermones, 270,7 (PL, XXXVIII, 1244). Agostino è ancora è più esplicito nel suo commento al vangelo di Giovanni che riportiamo di seguito in nota data la sua lunghezza: «Il numero preciso è centocinquantatré. Dobbiamo, con l aiuto del Signore, spiegare il significato di questo numero... Volendo esprimere la legge mediante un numero, qual è questo numero se non dieci? Sappiamo con certezza che il Decalogo, cioè i dieci comandamenti furono per la prima volta scritti col dito di Dio su due tavole di pietra (cf. Dt 9, 10). Ma la legge, senza l aiuto della grazia, ci rende prevaricatori, e rimane lettera mor- ta. E per questo che l Apostolo dice: La lettera uccide, lo Spirito vivifica (2 Cor 3, 6). Si unisca dunque lo spirito alla lettera, affinché la lettera non uccida coloro che non sono vivificati dallo spirito; ma siccome per poter adempiere i comandamenti della legge, le nostre forze non bastano, è necessario l aiuto del Salvatore. Quando alla legge si unisce la grazia, cioè quando alla lettera si unisce lo spirito, al dieci si aggiunge il numero sette. Il numero sette, come attestano i venerabili documenti della sacra Scrittura, è il simbolo dello Spirito Santo... E dov è che per la prima volta nella legge si parla di santificazione, se non a proposito del settimo giorno? Dio infatti non santificò il primo giorno in cui creò la luce, né il secondo in cui creò il firmamento, né il terzo in cui separò il mare dalla terra e la terra produsse alberi e piante, né il quarto in cui furono create le stelle, né il quinto in cui Dio fece gli animali che si muovono nelle acque e che volano nell'aria, e neppure il sesto in cui creò gli animali che popolano la terra e l uomo stesso; santificò, invece, il settimo giorno, in cui egli riposò dalle sue opere (cf. Gn 2, 3). Giustamente, quindi, il numero sette è il simbolo dello Spirito Santo. Anche il profeta Isaia dice: Riposerà in lui lo Spirito di Dio; passando poi ad esaltarne l attività e i suoi sette doni, dice: Spirito di sapienza e d'intelligenza, spirito di con- siglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Si compiacerà del timore del Signore (Is 11, 2-3). E nell Apocalisse non si parla forse dei sette spiriti di Dio (cf. Ap 3, 1), pur essendo unico e identico lo Spirito che distribuisce i suoi doni a ciascuno come vuole (cf 1 Cor 12, 11)? Ma l idea dei sette doni dell unico Spirito è venuta dallo stesso Spirito, che ha assistito lo scrittore sacro perché dicesse che sette sono gli spiriti. Ora, se al numero dieci, proprio della legge, aggiungiamo il numero sette, proprio dello Spirito Santo, abbiamo diciassette. Se si scompone questo numero in tutti i numeri che lo formano, e si sommano tutti questi numeri, si ha come risultato centocinquantatré: se infatti a uno aggiungi due ottieni tre, se aggiungi ancora tre e poi quattro ottieni dieci, se poi aggiungi tutti i numeri che seguono fino al diciassette otterrai il risultato sopraddetto; cioè se al dieci, che hai ottenuto sommando tutti i numeri dall uno al quattro, aggiungi il cinque, ottieni quindici; aggiungi ancora sei e ottieni ventuno; aggiungi il sette e avrai ventotto; se al ventotto aggiungi l otto, il nove e il dieci, avrai cinquantacinque; aggiungi ancora undici, dodici e tredici, e sei a novantuno; aggiungi ancora quattordici, quindi- ci e sedici, e avrai centotrentasei; e se a questo numero aggiungi quello che resta, cioè quello che abbiamo trovato all inizio, il diciassette, avrai finalmente il numero dei pesci che erano nella rete. Non si vuol dunque indicare, col centocinquantatré, che tale è il numero dei santi che risorgeranno per la vita eterna, ma le migliaia di santi partecipi della grazia dello Spirito Santo... Questo numero è, per di più, formato da tre volte il numero cinquanta con l aggiunta di tre, che significa il mistero della Trinità; il cinquanta poi è formato da sette per sette più uno, dato che sette volte sette fa quarantanove. Vi si aggiunge uno per indicare che è uno solo lo Spirito che si manifesta attraverso l operazione settenaria; e sappiamo che lo Spirito Santo fu mandato sui discepoli, che lo aspettavano secondo la promessa che loro era stata fatta, cinquanta giorni dopo la risurrezio- ne del Signore [cf At 2, 2-4; 1, 4]» (In Iohannem, Hom. 122, 7-8 (CCL, 36, 671; cf ID., Commento al Vangelo di S. Giovan- ni, Città Nuova Editrice, Roma 19672, Discorso centoventiduesimo, 8-9, ). C è un altra chiave di lettura che si trova applicando la ghematria. In ebraico l espressione «bny h lhym» (si pronuncia: benè ha elohim) significa «figli di Dio». Se si mettono insieme le consonanti dell espressione e si sommano i numeri che vi corrispondono si ottiene il numero 153, cioè il numero esatto dei pesci pescati da Pietro e compagni. Se questa interpretazione è vera, come crediamo, pescare 153 grossi figli significa, alla maniera giudaica, dire che gli apostoli sono costituiti missionari per il mondo intero, per tutti «i figli di Dio» cioè tutta l umanità, che, secondo il mandato di Gesù stesso, gli Apostoli devono pescare: «D ora in poi uomini vivi [il verbo zōgrèō è tecnico della caccia con l arco: ferisce, ma non uccide, come, invece, fa la pesca, ndr] saranno quelli che tu prenderai» (Lc 5,10-Cei 1997). Di seguito l espressione «benè ha elohim figli di Dio» traslitterata dall ebraico e i numeri corrispondenti: L apparizione del risorto dunque ha lo scopo di dare l investitura della missione ancorandola alla Eucaristia che è la sorgente non solo dell identità cristiana, ma anche della testimonianza e della missione. Celebrandola noi sperimentiamo qui ed ora la Shekinàh/Dimora/Presenza del Risorto. La logica irrazionale La seconda parte del brano è la conclusione logica dell insegnamento di Gesù: per tutta la vita ha predicato il perdono, ora lo concretizza da Risorto, come prima lo aveva testimoniato sulla croce, perdonando i suoi carnefici (Lc 23,34). L intervista di Gesù a Pietro avviene «quand ebbero mangiato»: è dunque una conseguenza dell Eucaristia che così diventa anche la sorgente del ministero petrino pagina 11 di 18

12 dell agàpe. La struttura del testo è volutamente umoristica: per due volte Gesù chiede a Pietro se lo ama e usa il verbo dell amore gratuito, proprio di Dio «agapàō» (io amo senza chiedere in cambio nulla): «Pietro mi ami?». Per due volte Pietro risponde usando il termine dell amore di amicizia «philèō» (io voglio bene in una relazione reciproca): «Signore, ti voglio bene». Alla terza volta Gesù cambia vocabolario e usa il verbo dell amicizia usato da Pietro: «Pietro, mi vuoi bene?». A questo punto Pietro non sa più cosa dire e fare perché pensa che sia messa in dubbio la sua capacità affettiva. Si rattrista nell anima perché non è più sicuro della sua identità e rinuncia a misurarsi con il Signore. Si abbandona totalmente e si accascia sulla conoscenza di Dio: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Con questo abbandono, Pietro riscatta il suo triplice tradimento nell ora della prova e del pericolo, quando per paura non solo negò di conoscerlo, ma si vergognò anche del suo nome [Ai tre rinnegamenti di Pietro (Gv 18, )]. Da un punto di vista umano, Pietro non merita il primato di pascere «agnelli e pecorelle», eppure nella logica del Regno del Risorto tutto si capovolge e colui che aveva tradito viene affidato il potere della fedeltà e addirittura di garanzia della fedeltà: «E tu quando sarai tornato, conferma i tuoi fratelli» (Lc 22,32). Il brano si chiude con la qualità della morte che avrebbe colpito Pietro e vi troviamo una piena identità con il Signore. Gesù giunge alla sua «ora» di morte per glorificare il Padre (Gv 17,1), mentre Pietro adesso sa che solo nella sua morte potrà identificarsi con il suo Maestro perché solo allora anche lui avrebbe glorificato Dio (Gv 21,19). La funzione del papato lungo i secoli ha acquisito un evoluzione interpretativa ampliata che supera il vangelo stesso. Per questo può essere e deve essere messo in discussione per ritrovare l originaria «mens» di Cristo. Nessuno che abbia una superficiale conoscenza della Scrittura può negare il primato di Pietro, ma nello stesso modo nessuno può affermare che il «modo» di esercitare il papato sia quello di cui siamo testimoni oggi. Il cammino ecumenico, con l aiuto di Dio, approderà un giorno alla sorgente del vangelo e deposta ogni prevaricazione, saprò inginocchiarsi davanti al Dio che offre a Pietro la responsabilità dell amore senza confine (agapàō), il ministero del servizio fino al dono della vita per l umanità intera. Solo così anche Pietro vive dell Eucaristia che è la prospettiva di Dio: spezzarsi per amore e servire con amore. DARAI TU LA VITA PER ME? - UNA RILETTURA DELLA TRIPLICE DOMANDA DI GESÙ A PIETRO (Don Silvio Barbaglia, biblista) 1. Mi ami più di queste cose? Questa traduzione alternativa è legittima perché l originale greco pléon toúton apre a diverse possibilità. Il senso della prima domanda di Gesù a Pietro nella versione normale CEI sembrerebbe non funzionare a dovere. Gesù chiede a Pietro se lo ama più degli altri discepoli: ma come può il discepolo quantificare l amore degli altri per il maestro? E poi perché Gesù dovrebbe farsi amare più da lui che dagli altri? Sembra invece essere più efficace la traduzione mi ami più di queste cose?, intendendo con queste cose la professione che Simone esercitava, la pesca, con tutto quello che comporta: barche, reti, pesci, ecc. Tra l altro Pietro aveva appena pescato e si era buttato in mare per raggiungere Gesù sulla riva. È come se il Signore chiamasse nuovamente Pietro a seguirlo, come aveva già fatto all inizio del suo ministero pubblico, ma questa volta in modo ancora più radicale, perché siamo dopo la passione, morte e risurrezione di Gesù. Gesù chiede a Pietro di lasciare l occupazione della pesca per pascere le pecore, un alternativa alla pesca. Viene domandato a Pietro di abbandonare la sua sicurezza materiale, di barche, reti e pesci abbondantemente moltiplicati da Gesù, per attingere direttamente alla fonte della vita. La sequela vale più della pesca, Gesù chiede a Pietro e agli altri discepoli di non attaccarsi alla pesca, alle sicurezze offerte dalla professione, ai frutti positivi di un lavoro o di un miracolo bensì di restare sempre al seguito del Maestro. La relazione fondamentale è con il Signore, ogni altra sicurezza umana (economica, professionale, affettiva) rischia di posporre l unica e decisiva àncora della vita, il Signore Risorto. 2. Si addolorò Pietro poiché alla terza volta gli avesse detto: Mi sei amico? La terza domanda di Gesù a Pietro raggiunge il vertice della tensione del discorso. Per capire il senso di questa domanda dobbiamo avere presente il dialogo tra il Signore e Pietro nell ultima cena (Gv 13, 36-38): Simon Pietro gli dice: «Signore, dove vai?». Gli rispose Gesù: «Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi». Pietro disse: «Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!». Rispose Gesù: «Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m abbia rinnegato tre volte». pagina 12 di 18

13 Nel Vangelo di Giovanni dire mi sei amico? equivale a dire darai la tua vita per me?. Infatti in Gv 15, Gesù dice ai discepoli durante l ultima cena: Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se farete ciò che io vi comando. Gesù ci dice che saremo suoi amici se faremo ciò che ci comanda. E cosa ci comanda? Di amarci gli uni gli altri come Lui ci ha amati. E come si fa ad amare veramente una persona? Dando la propria vita per lei. Quindi saremo suoi amici se saremo capaci di dare la nostra vita per Lui, e - in definitiva - per gli altri. Ecco perché l effetto della domanda di Gesù a Pietro è spiazzante, tanto che Pietro se ne addolora. Innanzitutto perché si è ricordato del triplice rinnegamento di cui si era reso colpevole quando Gesù venne arrestato. E poi perché alla terza volta (e non perché gli aveva chiesto per tre volte la stessa cosa!) Gesù gli fa la domanda decisiva: darai la tua vita per me?, cioè mi sei amico?, cioè vuoi essere davvero mio discepolo?. Il dolore di Pietro non è psicologico, quasi come se Gesù lo avesse messo alla prova nella fiducia, ma è un dolore di tipo teologico, come è chiaro dalla dinamica del Vangelo di Giovanni. è il dolore del discepolo che attende il Signore, che soffre per la sua morte, il suo distacco, ma che è pronto a gioire per il ritorno del Signore Risorto (Gv 20, 19-20). Pietro insomma prende coscienza della sua vocazione. Il Signore gli chiede di seguirlo in modo radicale di dare la sua vita per la causa del Vangelo e della Chiesa, di cui dovrà essere pastore. Libera rielaborazione del contributo «Il passaggio del pastorale da Gesù a Simon Pietro quale epilogo del cammino evangelico» di don Silvio Barbaglia in Per una teologia del cuore, ed. Interlinea, Novara, 2001 IL MAGISTERO DI PAPA FRANCESCO (tratto da Udienza generale# # # 3 aprile 2013 Cari fratelli e sorelle, buongiorno, oggi riprendiamo le Catechesi dell Anno della fede. Nel Credo ripetiamo questa espressione: «Il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture». E proprio l evento che stiamo celebrando: la Risurrezione di Gesù, centro del messaggio cristiano, risuonato fin dagli inizi e trasmesso perché giunga fino a noi. San Paolo scrive ai cristiani di Corinto: «A voi ho trasmesso, anzitutto, quello che anch io ho ricevuto; cioè che Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture, e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor 15,3-5). Questa breve confessione di fede annuncia proprio il Mistero Pasquale, con le prime apparizioni del Risorto a Pietro e ai Dodici: la Morte e la Risurrezione di Gesù sono proprio il cuore della nostra speranza. Senza questa fede nella morte e nella risurrezione di Gesù la nostra speranza sarà debole, ma non sarà neppure speranza, e proprio la morte e la risurrezione di Gesù sono il cuore della nostra speranza. L Apostolo afferma: «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati» (v. 17). Purtroppo, spesso si è cercato di oscurare la fede nella Risurrezione di Gesù, e anche fra gli stessi credenti si sono insinuati dubbi. Un po quella fede all acqua di rose, come diciamo noi; non è la fede forte. E questo per superficialità, a volte per indifferenza, occupati da mille cose che si ritengono più importanti della fede, oppure per una visione solo orizzontale della vita. Ma è proprio la Risurrezione che ci apre alla speranza più grande, perché apre la nostra vita e la vita del mondo al futuro eterno di Dio, alla felicità piena, alla certezza che il male, il peccato, la morte possono essere vinti. E questo porta a vivere con più fiducia le realtà quotidiane, affrontarle con coraggio e con impegno. La Risurrezione di Cristo illumina con una luce nuova queste realtà quotidiane. La Risurrezione di Cristo è la nostra forza! Ma come ci è stata trasmessa la verità di fede della Risurrezione di Cristo? Ci sono due tipi di testimonianze nel Nuovo Testamento: alcune sono nella forma di professione di fede, cioè di formule sintetiche che indicano il centro della fede; altre invece sono nella forma di racconto dell evento della Risurrezione e dei fatti legati ad esso. La prima: la forma della professione di fede, ad esempio, è quella che abbiamo appena ascoltato, oppure quella della Lettera ai Romani in cui san Paolo scrive: «Se con la tua bocca proclamerai: Gesù è il Signore!, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo» (10,9). Fin dai primi passi della Chiesa è ben salda e chiara la fede nel Mistero di Morte e Risurrezione di Gesù. Oggi, però, vorrei soffermarmi sulla seconda, sulle testimonianze nella forma di racconto, che troviamo nei Vangeli. Anzitutto notiamo che le prime testimoni di questo evento furono le donne. All alba, esse si recano al sepolcro per ungere il corpo di Gesù, e trovano il primo segno: la tomba vuota (cfr Mc 16,1). Segue poi l incontro con un Messaggero di Dio che annuncia: Gesù di Nazaret, il Crocifisso, non è qui, è risorto (cfr vv. 5-6). Le donne sono spinte dall amore e sanno accogliere questo annuncio con fede: credono, e subito lo trasmettono, non lo tengono per sé, lo trasmettono. La gioia di sapere che Gesù è vivo, la speranza che riempie il cuore, non si possono contenere. Questo dovrebbe avvenire anche nella nostra vita. Sentiamo la gioia di essere cristiani! Noi crediamo in un Risorto che ha vinto il male e la morte! Abbiamo il coraggio di uscire per portare questa pagina 13 di 18

14 gioia e questa luce in tutti i luoghi della nostra vita! La Risurrezione di Cristo è la nostra più grande certezza; è il tesoro più prezioso! Come non condividere con gli altri questo tesoro, questa certezza? Non è soltanto per noi, è per trasmetterla, per darla agli altri, condividerla con gli altri. E' proprio la nostra testimonianza. Un altro elemento. Nelle professioni di fede del Nuovo Testamento, come testimoni della Risurrezione vengono ricordati solamente uomini, gli Apostoli, ma non le donne. Questo perché, secondo la Legge giudaica di quel tempo, le donne e i bambini non potevano rendere una testimonianza affidabile, credibile. Nei Vangeli, invece, le donne hanno un ruolo primario, fondamentale. Qui possiamo cogliere un elemento a favore della storicità della Risurrezione: se fosse un fatto inventato, nel contesto di quel tempo non sarebbe stato legato alla testimonianza delle donne. Gli evangelisti invece narrano semplicemente ciò che è avvenuto: sono le donne le prime testimoni. Questo dice che Dio non sceglie secondo i criteri umani: i primi testimoni della nascita di Gesù sono i pastori, gente semplice e umile; le prime testimoni della Risurrezione sono le donne. E questo è bello. E questo è un po la missione delle donne: delle mamme, delle donne! Dare testimonianza ai figli, ai nipotini, che Gesù è vivo, è il vivente, è risorto. Mamme e donne, avanti con questa testimonianza! Per Dio conta il cuore, quanto siamo aperti a Lui, se siamo come i bambini che si fidano. Ma questo ci fa riflettere anche su come le donne, nella Chiesa e nel cammino di fede, abbiano avuto e abbiano anche oggi un ruolo particolare nell aprire le porte al Signore, nel seguirlo e nel comunicare il suo Volto, perché lo sguardo di fede ha sempre bisogno dello sguardo semplice e profondo dell amore. Gli Apostoli e i discepoli fanno più fatica a credere. Le donne no. Pietro corre al sepolcro, ma si ferma alla tomba vuota; Tommaso deve toccare con le sue mani le ferite del corpo di Gesù. Anche nel nostro cammino di fede è importante sapere e sentire che Dio ci ama, non aver paura di amarlo: la fede si professa con la bocca e con il cuore, con la parola e con l amore. Dopo le apparizioni alle donne, ne seguono altre: Gesù si rende presente in modo nuovo: è il Crocifisso, ma il suo corpo è glorioso; non è tornato alla vita terrena, bensì in una condizione nuova. All inizio non lo riconoscono, e solo attraverso le sue parole e i suoi gesti gli occhi si aprono: l incontro con il Risorto trasforma, dà una nuova forza alla fede, un fondamento incrollabile. Anche per noi ci sono tanti segni in cui il Risorto si fa riconoscere: la Sacra Scrittura, l Eucaristia, gli altri Sacramenti, la carità, quei gesti di amore che portano un raggio del Risorto. Lasciamoci illuminare dalla Risurrezione di Cristo, lasciamoci trasformare dalla sua forza, perché anche attraverso di noi nel mondo i segni di morte lascino il posto ai segni di vita. Ho visto che ci sono tanti giovani nella piazza. Eccoli! A voi dico: portate avanti questa certezza: il Signore è vivo e cammina a fianco a noi nella vita. Questa è la vostra missione! Portate avanti questa speranza. Siate ancorati a questa speranza: questa àncora che è nel cielo; tenete forte la corda, siate ancorati e portate avanti la speranza. Voi, testimoni di Gesù, portate avanti la testimonianza che Gesù è vivo e questo ci darà speranza, darà speranza a questo mondo un po invecchiato per le guerre, per il male, per il peccato. Avanti giovani! Omelia nell insediamento del Vescovo di Roma sulla Cathedra Romana 7 aprile 2013 Con gioia celebro per la prima volta l Eucaristia in questa Basilica Lateranense, Cattedrale del Vescovo di Roma. Vi saluto tutti con grande affetto: il carissimo Cardinale Vicario, i Vescovi Ausiliari, il Presbiterio diocesano, i Diaconi, le Religiose e i Religiosi e tutti i fedeli laici. Porgo anche i miei saluti al Signor Sindaco e a sua moglie e a tutte le Autorità. Camminiamo insieme nella luce del Signore Risorto. 1. Celebriamo oggi la Seconda Domenica di Pasqua, denominata anche «della Divina Misericordia». Com è bella questa realtà della fede per la nostra vita: la misericordia di Dio! Un amore così grande, così profondo quello di Dio verso di noi, un amore che non viene meno, sempre afferra la nostra mano e ci sorregge, ci rialza, ci guida. 2. Nel Vangelo di oggi, l apostolo Tommaso fa esperienza proprio della misericordia di Dio, che ha un volto concreto, quello di Gesù, di Gesù Risorto. Tommaso non si fida di ciò che gli dicono gli altri Apostoli: «Abbiamo visto il Signore»; non gli basta la promessa di Gesù, che aveva annunciato: il terzo giorno risorgerò. Vuole vedere, vuole mettere la sua mano nel segno dei chiodi e nel costato. E qual è la reazione di Gesù? La pazienza: Gesù non abbandona il testardo Tommaso nella sua incredulità; gli dona una settimana di tempo, non chiude la porta, attende. E Tommaso riconosce la propria povertà, la poca fede. «Mio Signore e mio Dio»: con questa invocazione semplice ma piena di fede risponde alla pazienza di Gesù. Si lascia avvolgere dalla misericordia divina, la vede davanti a sé, nelle ferite delle mani e dei piedi, nel costato aperto, e ritrova la fiducia: è un uomo nuovo, non più incredulo, ma credente. E ricordiamo anche Pietro: per tre volte rinnega Gesù proprio quando doveva essergli più vicino; e quando tocca il fondo incontra lo sguardo di Gesù che, con pazienza, senza parole gli dice: «Pietro, non avere paura della tua debolezza, confida in me»; e Pietro comprende, sente lo sguardo d amore di Gesù e piange. Che bello è questo sguardo di Gesù quanta tenerezza! Fratelli e sorelle, non perdiamo mai la fiducia nella misericordia paziente di Dio! pagina 14 di 18

15 Pensiamo ai due discepoli di Emmaus: il volto triste, un camminare vuoto, senza speranza. Ma Gesù non li abbandona: percorre insieme la strada, e non solo! Con pazienza spiega le Scritture che si riferivano a Lui e si ferma a condividere con loro il pasto. Questo è lo stile di Dio: non è impaziente come noi, che spesso vogliamo tutto e subito, anche con le persone. Dio è paziente con noi perché ci ama, e chi ama comprende, spera, dà fiducia, non abbandona, non taglia i ponti, sa perdonare. Ricordiamolo nella nostra vita di cristiani: Dio ci aspetta sempre, anche quando ci siamo allontanati! Lui non è mai lontano, e se torniamo a Lui, è pronto ad abbracciarci. A me fa sempre una grande impressione rileggere la parabola del Padre misericordioso, mi fa impressione perché mi dà sempre una grande speranza. Pensate a quel figlio minore che era nella casa del Padre, era amato; eppure vuole la sua parte di eredità; se ne va via, spende tutto, arriva al livello più basso, più lontano dal Padre; e quando ha toccato il fondo, sente la nostalgia del calore della casa paterna e ritorna. E il Padre? Aveva dimenticato il figlio? No, mai. É lì, lo vede da lontano, lo stava aspettando ogni giorno, ogni momento: è sempre stato nel suo cuore come figlio, anche se lo aveva lasciato, anche se aveva sperperato tutto il patrimonio, cioè la sua libertà; il Padre con pazienza e amore, con speranza e misericordia non aveva smesso un attimo di pensare a lui, e appena lo vede ancora lontano gli corre incontro e lo abbraccia con tenerezza, la tenerezza di Dio, senza una parola di rimprovero: è tornato! E quella è la gioia del padre. In quell abbraccio al figlio c è tutta questa gioia: è tornato! Dio sempre ci aspetta, non si stanca. Gesù ci mostra questa pazienza misericordiosa di Dio perché ritroviamo fiducia, speranza, sempre! Un grande teologo tedesco, Romano Guardini, diceva che Dio risponde alla nostra debolezza con la sua pazienza e questo è il motivo della nostra fiducia, della nostra speranza (cfr Glaubenserkenntnis, Würzburg 1949, p. 28). E come un dialogo fra la nostra debolezza e la pazienza di Dio, è un dialogo che se noi lo facciamo, ci dà speranza. 3. Vorrei sottolineare un altro elemento: la pazienza di Dio deve trovare in noi il coraggio di ritornare a Lui, qualunque errore, qualunque peccato ci sia nella nostra vita. Gesù invita Tommaso a mettere la mano nelle sue piaghe delle mani e dei piedi e nella ferita del costato. Anche noi possiamo entrare nelle piaghe di Gesù, possiamo toccarlo realmente; e questo accade ogni volta che riceviamo con fede i Sacramenti. San Bernardo in una bella Omelia dice: «Attraverso le ferite [di Gesù] io posso succhiare miele dalla rupe e olio dai ciottoli della roccia (cfr Dt 32,13), cioè gustare e sperimentare quanto è buono il Signore» (Sul Cantico dei Cantici 61, 4). É proprio nelle ferite di Gesù che noi siamo sicuri, lì si manifesta l amore immenso del suo cuore. Tommaso lo aveva capito. San Bernardo si domanda: ma su che cosa posso contare? Sui miei meriti? Ma «mio merito è la misericordia di Dio. Non sono certamente povero di meriti finché lui sarà ricco di misericordia. Che se le misericordie del Signore sono molte, io pure abbonderò nei meriti» (ivi, 5). Questo è importante: il coraggio di affidarmi alla misericordia di Gesù, di confidare nella sua pazienza, di rifugiarmi sempre nelle ferite del suo amore. San Bernardo arriva ad affermare: «Ma che dire se la coscienza mi morde per i molti peccati? Dove è abbondato il peccato è sovrabbondata la grazia (Rm 5,20)» (ibid.). Forse qualcuno di noi può pensare: il mio peccato è così grande, la mia lontananza da Dio è come quella del figlio minore della parabola, la mia incredulità è come quella di Tommaso; non ho il coraggio di tornare, di pensare che Dio possa accogliermi e che stia aspettando proprio me. Ma Dio aspetta proprio te, ti chiede solo il coraggio di andare a Lui. Quante volte nel mio ministero pastorale mi sono sentito ripetere: «Padre, ho molti peccati»; e l invito che ho sempre fatto è: «Non temere, va da Lui, ti sta aspettando, Lui farà tutto». Quante proposte mondane sentiamo attorno a noi, ma lasciamoci afferrare dalla proposta di Dio, la sua è una carezza di amore. Per Dio noi non siamo numeri, siamo importanti, anzi siamo quanto di più importante Egli abbia; anche se peccatori, siamo ciò che gli sta più a cuore. Adamo dopo il peccato prova vergogna, si sente nudo, sente il peso di quello che ha fatto; eppure Dio non abbandona: se in quel momento inizia l esilio da Dio, con il peccato, c è già la promessa del ritorno, la possibilità di ritornare a Lui. Dio chiede subito: «Adamo, dove sei?», lo cerca. Gesù è diventato nudo per noi, si è caricato della vergogna di Adamo, della nudità del suo peccato per lavare il nostro peccato: dalle sue piaghe siamo stati guariti. Ricordatevi quello di san Paolo: di che cosa mi vanterò se non della mia debolezza, della mia povertà? Proprio nel sentire il mio peccato, nel guardare il mio peccato io posso vedere e incontrare la misericordia di Dio, il suo amore e andare da Lui per ricevere il perdono. Nella mia vita personale ho visto tante volte il volto misericordioso di Dio, la sua pazienza; ho visto anche in tante persone il coraggio di entrare nelle piaghe di Gesù dicendogli: Signore sono qui, accetta la mia povertà, nascondi nelle tue piaghe il mio peccato, lavalo col tuo sangue. E ho sempre visto che Dio l ha fatto, ha accolto, consolato, lavato, amato. Cari fratelli e sorelle, lasciamoci avvolgere dalla misericordia di Dio; confidiamo nella sua pazienza che sempre ci dà tempo; abbiamo il coraggio di tornare nella sua casa, di dimorare nelle ferite del suo amore, lasciandoci amare da Lui, di incontrare la sua misericordia nei Sacramenti. Sentiremo la sua tenerezza, tanto bella, sentiremo il suo abbraccio e saremo anche noi più capaci di misericordia, di pazienza, di perdono, di amore. pagina 15 di 18

16 Udienza generale# # # 10 aprile 2013 Cari fratelli e sorelle, buon giorno! Nella scorsa Catechesi ci siamo soffermati sull evento della Risurrezione di Gesù, in cui le donne hanno avuto un ruolo particolare. Oggi vorrei riflettere sulla sua portata salvifica. Che cosa significa per la nostra vita la Risurrezione? E perché senza di essa è vana la nostra fede? La nostra fede si fonda sulla Morte e Risurrezione di Cristo, proprio come una casa poggia sulle fondamenta: se cedono queste, crolla tutta la casa. Sulla croce, Gesù ha offerto se stesso prendendo su di sé i nostri peccati e scendendo nell abisso della morte, e nella Risurrezione li vince, li toglie e ci apre la strada per rinascere a una vita nuova. San Pietro lo esprime sinteticamente all inizio della sua Prima Lettera, come abbiamo ascoltato: «Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che nella sua grande misericordia ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per un eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce» (1,3-4). L Apostolo ci dice che con la Risurrezione di Gesù qualcosa di assolutamente nuovo avviene: siamo liberati dalla schiavitù del peccato e diventiamo figli di Dio, siamo generati cioè ad una vita nuova. Quando si realizza questo per noi? Nel Sacramento del Battesimo. In antico, esso si riceveva normalmente per immersione. Colui che doveva essere battezzato scendeva nella grande vasca del Battistero, lasciando i suoi vestiti, e il Vescovo o il Presbitero gli versava per tre volte l acqua sul capo, battezzandolo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Poi il battezzato usciva dalla vasca e indossava la nuova veste, quella bianca: era nato cioè ad una vita nuova, immergendosi nella Morte e Risurrezione di Cristo. Era diventato figlio di Dio. San Paolo nella Lettera ai Romani scrive: voi «avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: Abbà! Padre!» (Rm 8,15). È proprio lo Spirito che abbiamo ricevuto nel battesimo che ci insegna, ci spinge, a dire a Dio: Padre, o meglio, Abbà! che significa papà. Così è il nostro Dio: è un papà per noi. Lo Spirito Santo realizza in noi questa nuova condizione di figli di Dio. E questo è il più grande dono che riceviamo dal Mistero pasquale di Gesù. E Dio ci tratta da figli, ci comprende, ci perdona, ci abbraccia, ci ama anche quando sbagliamo. Già nell Antico Testamento, il profeta Isaia affermava che se anche una madre si dimenticasse del figlio, Dio non si dimentica mai di noi, in nessun momento (cfr 49,15). E questo è bello! Tuttavia, questa relazione filiale con Dio non è come un tesoro che conserviamo in un angolo della nostra vita, ma deve crescere, dev essere alimentata ogni giorno con l ascolto della Parola di Dio, la preghiera, la partecipazione ai Sacramenti, specialmente della Penitenza e dell Eucaristia, e la carità. Noi possiamo vivere da figli! E questa è la nostra dignità - noi abbiamo la dignità di figli -. Comportarci come veri figli! Questo vuol dire che ogni giorno dobbiamo lasciare che Cristo ci trasformi e ci renda come Lui; vuol dire cercare di vivere da cristiani, cercare di seguirlo, anche se vediamo i nostri limiti e le nostre debolezze. La tentazione di lasciare Dio da parte per mettere al centro noi stessi è sempre alle porte e l esperienza del peccato ferisce la nostra vita cristiana, il nostro essere figli di Dio. Per questo dobbiamo avere il coraggio della fede e non lasciarci condurre dalla mentalità che ci dice: Dio non serve, non è importante per te, e così via. E proprio il contrario: solo comportandoci da figli di Dio, senza scoraggiarci per le nostre cadute, per i nostri peccati, sentendoci amati da Lui, la nostra vita sarà nuova, animata dalla serenità e dalla gioia. Dio è la nostra forza! Dio è la nostra speranza! Cari fratelli e sorelle, dobbiamo avere noi per primi ben ferma questa speranza e dobbiamo esserne un segno visibile, chiaro, luminoso per tutti. Il Signore Risorto è la speranza che non viene mai meno, che non delude (cfr Rm 5,5). La speranza non delude. Quella del Signore! Quante volte nella nostra vita le speranze svaniscono, quante volte le attese che portiamo nel cuore non si realizzano! La speranza di noi cristiani è forte, sicura, solida in questa terra, dove Dio ci ha chiamati a camminare, ed è aperta all eternità, perché fondata su Dio, che è sempre fedele. Non dobbiamo dimenticare: Dio sempre è fedele; Dio sempre è fedele con noi. Essere risorti con Cristo mediante il Battesimo, con il dono della fede, per un eredità che non si corrompe, ci porti a cercare maggiormente le cose di Dio, a pensare di più a Lui, a pregarlo di più. Essere cristiani non si riduce a seguire dei comandi, ma vuol dire essere in Cristo, pensare come Lui, agire come Lui, amare come Lui; è lasciare che Lui prenda possesso della nostra vita e la cambi, la trasformi, la liberi dalle tenebre del male e del peccato. Cari fratelli e sorelle, a chi ci chiede ragione della speranza che è in noi (cfr 1Pt 3,15), indichiamo il Cristo Risorto. Indichiamolo con l annuncio della Parola, ma soprattutto con la nostra vita di risorti. Mostriamo la gioia di essere figli di Dio, la libertà che ci dona il vivere in Cristo, che è la vera libertà, quella che ci salva dalla schiavitù del male, del peccato, della morte! Guardiamo alla Patria celeste, avremo una nuova luce e forza anche nel nostro impegno e nelle nostre fatiche quotidiane. E un servizio prezioso che dobbiamo dare a questo nostro mondo, che spesso non riesce più a sollevare lo sguardo verso l alto, non riesce più a sollevare lo sguardo verso Dio. pagina 16 di 18

17 VANGELO E ARTE San Pietro piangente o/t, 110 x 85,2 cm Giovanni Francesco Barbieri, soprannominato il Guercino Bologna, Cassa di Risparmio, 1650 circa pagina 17 di 18

18 pagina 18 di 18

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