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1 Corte di Cassazione Sezione V SENTENZA CIVILE Sentenza del 14/02/2002 n parte 1 Intitolazione: TRIBUTI (IN GENERALE) - AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA - IN GENERE - Circolari ministeriali in materia tributaria - Natura di fonti normative - Esclusione - Comportamento del contribuente conforme ad interpretazione erronea contenuta in circolare successivamente modificata - Conseguenze - Limitazione al profilo sanzionatorio. Massima: Le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, per cui, qualora il contribuente si sia conformato ad un'interpretazione erronea fornita dall'amministrazione in una circolare (successivamente modificata), e' esclusa soltanto l'irrogazione delle relative sanzioni, in base al principio di tutela dell'affidamento (come ora espressamente sancito dall'art. 10, comma secondo, della legge 27 luglio 2000, n. 212, c.d. statuto del contribuente) * Massima tratta dal CED della Cassazione. Testo: Svolgimento del processo Il Ministero delle finanze ricorre contro la ======= ============ srl e contro il signor (...) ===== per l'annullamento della sentenza della depositata il 23 gennaio 1997, che ha rigettato l'appello dell'ufficio delle imposte dirette di Forli' contro la sentenza della Commissione tributaria di primo grado di Forli' 15 febbraio 1996, n. 20/5/96, che aveva accolto il ricorso della ======= ============ srl avverso l'avviso di accertamento n , relativo all'ilor 1986, e contro la sentenza della Commissione tributaria di primo grado di Forli' n. 24 del 1996, che aveva accolto il ricorso del signor (...) =====, socio della ======= ============ srl, contro l'avviso di accertamento del maggior reddito di partecipazione. I presupposti della controversia sono i seguenti: - il 21 dicembre 1992 viene notificato alla ======= ============ srl un avviso di accertamento relativo al reddito dell'esercizio 1986, con il quale l'ufficio distrettuale delle imposte dirette di Forli' innalza il reddito imponibile recuperando ad imposizione una quota dell'accantonamento al fondo rischi su crediti, giudicandolo eccedente rispetto al massimo accantonabile; - contro l'avviso di accertamento ricorre la societa', eccependo, in primo luogo, un errore materiale compiuto dall'ufficio e, in secondo luogo, ritenendo il comportamento dell'ufficio non conforme alle norme vigenti al momento della stesura del bilancio, avendo l'ufficio escluso dal totale del plafond, su cui calcolare la percentuale del fondo, i crediti cambiari che abbiano formato oggetto di sconto; - sul primo punto l'ufficio riconosce, nel corso del giudizio di primo grado, il proprio errore e presenta il calcolo rettificato; - resta controverso se il contribuente abbia errato nell'includere l'importo dei crediti cambiari fra il totale dei crediti su cui calcolare il fondo rischi su crediti; - la Commissione tributaria di primo grado ritiene che il comportamento tenuto dal contribuente sia corretto e che il suo ricorso sia meritevole di accoglimento; - l'ufficio delle imposte dirette presenta appello contro le sentenze n. 20 e n. 24 del 1996 della Commissione tributaria di primo grado di Forli'; - l'appello dell'ufficio e' rigettato dalla Commissione tributaria regionale Pagina 1

2 di Bologna con la sentenza ora impugnata per cassazione. La sentenza della Commissione tributaria regionale di Bologna 12 dicembre 1996, n. 15, e' cosi' motivata: - la Commissione ritiene che il comportamento del contribuente sia stato corretto; - nessuna norma puo' essere retroattiva e puo' eventualmente obbligare ad un comportamento innovativo solo per le dichiarazioni ancora da presentare, ma non gia' per quelle presentate. Il Ministero delle finanze ricorre per la cassazione della sentenza della denunciando la violazione dell'art. 66 DPR 29 settembre 1973, n. 597, e dei principi sulla riserva di legge in materia tributaria, in relazione all'art. 360, n. 3, cpc. Il ricorrente conclude chiedendo che, in accoglimento del ricorso, sia annullata la sentenza della Commissione tributaria regionale di Bologna 12 dicembre 1996, n. 15, con ogni consequenziale pronuncia, anche in ordine alle spese di lite. Ne' la ======= ============ srl ne' il signor (...) ===== si sono costituiti. Motivi della decisione Il Ministero delle finanze ricorre per la cassazione della sentenza della denunciando la violazione dell'art. 66 DPR 29 settembre 1973, n. 597, e dei principi sulla riserva di legge in materia tributaria, in relazione all'art. 360, n. 3, cpc. Il Ministero ricorrente sostiene che la sentenza non avrebbe affrontato il problema della corretta interpretazione da dare alla disposizione sulla deducibilita' dall'accantonamento per rischi su crediti, limitandosi a constatare che il comportamento dei contribuenti era aderente alle istruzioni ministeriali in materia. L'argomentazione sarebbe palesemente insufficiente per decidere se sia dovuta o meno l'imposta accertata. L'amministrazione finanziaria, al pari del contribuente, e' tenuta all'osservanza della legge. D'altra parte, l'ufficio, proponendo gli appelli limitatamente ai tributi e non alle penalita', ha fatto quanto era in suo potere nel riconoscere che l'errore' dei contribuenti era giustificato dalla diversa interpretazione della normativa. Cio' chiarito, resterebbe da accertare se la norma fiscale, quando ammette la deducibilita' dal reddito del fondo per rischi su crediti nel limite di una data percentuale dell'ammontare complessivo dei crediti, comprenda o meno nel totale dei crediti anche l'importo dei crediti oggetto di sconto bancario. La risposta al quesito non potrebbe essere che negativa. Non si contesta che lo sconto bancario, che e' regolato dall'art cc, comporti una cessione pro solvendo e che, dunque, in caso di inadempimento del debitore, il credito possa essere retrocesso al cedente. Cio' che si contesta e' che il cedente, dopo la cessione, sia ancora creditore. Il motivo di ricorso e' fondato nei limiti e per le ragioni che sono qui di seguito esposti. Anzitutto e' fondata la censura del ricorrente diretta contro quella parte della motivazione della sentenza impugnata che ha assunto come parametro di valutazione delle circolari ministeriali anziche' delle norme di legge. La Commissione tributaria regionale, infatti, ha ritenuto che il comportamento del contribuente, che ha operato la deduzione dei crediti cambiari ceduti pro solvendo ai sensi dell'art. 66 DPR 29 settembre 1973, n. 597, fosse corretto in quanto "qualsiasi norma non puo' essere retroattiva", intendendo erroneamente per norma la regola della indeducibilita' estraibile dalle circolari ministeriali adottate posteriormente al Comportamento del contribuente e contrastanti con quella della deducibilita' adottata in precedenza, sempre con circolare. L'errore consiste nell'attribuire a dichiarazioni di conoscenza della specie del giudizio, adottate dall'amministrazione finanziaria nell'esercizio dei propri poteri di organizzazione e di informazione ai contribuenti, il valore di dichiarazioni di volonta' normativa, equiparate, per di piu', al rango di norme primarie. Il mutamento del giudizio che l'amministrazione finanziaria ritenga di dover Pagina 2

3 dare, nel corso del tempo, sull'estraibilita' di norme da immutate disposizioni normative, non e' senza effetto sul rapporto giuridico tributario, ma non produce certamente una modificazione della normazione primaria. Tra gli effetti che produce la formulazione di un giudizio sull'esistenza di una data norma - nel nostro caso la deducibilita' dei crediti ceduti pro solvendo - figura certo quello dell'affidamento del contribuente, il quale, nell'ipotesi in cui conformi il suo comportamento all'interpretazione normativa fatta propria in via preventiva dall'amministrazione, non potra' essere sottoposto a sanzioni per aver violato la legge tributaria, solo perche' l'amministrazione ha successivamente mutato opinione sullo stato della normativa estraendo una diversa norma giuridica dal medesimo materiale linguistico contenuto negli atti normativi. In questo senso e' oggi esplicito l'art decreto legislativo 27 luglio 2000, n. 212, il quale, dando attuazione al principio costituzionale implicito di affidamento del cittadino di fronte agli atti dell'autorita' amministrativa, dispone che "Non sono irrogate sanzioni ne' richiesti interessi moratori al contribuente qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorche' successivamente modificate dall'amministrazione medesima...". D'altra parte se l'interpretazione normativa fornita in precedenza dall'amministrazione e' erronea e, quindi, illegittima, l'adozione di una interpretazione diversa o addirittura opposta non puo' fungere da base per la pretesa dell'amministrato di ottenere comunque un provvedimento contrario alla legge, ma solo per la pretesa di non essere sottoposto a sanzioni. Tale questione, del resto, e', nel caso di specie', risolta con il riconoscimento, da parte dell'amministrazione, della non sanzionabilita' del contribuente, come si e' riferito nelle premesse. Si deve, pertanto, escludere che sia legittima la deduzione dei crediti ceduti pro solvendo solo perche' l'amministrazione finanziaria aveva in un primo tempo ritenuto di poter cosi' interpretare l'art. 66 DPR 29 settembre 1973, n. 597, e successivamente, dopo che il contribuente aveva operato la deduzione, aveva ritenuto di dover dare, dello stesso articolo, l'interpretazione opposta. Resta da accertare, dunque, quale debba essere il comportamento del contribuente alla stregua del solo art. 66 DPR 29 settembre 1973, n. 597, e non anche alla stregua delle circolari ministeriali, indipendentemente dal tempo della loro adozione. Il primo periodo del primo comma di tale articolo, che si applica al rapporto giuridico controverso relativo all'ilor 1986, dispone che "Gli accantonamenti iscritti in apposito fondo del passivo a fronte dei rischi su crediti sono deducibili, in ciascun periodo di imposta, nel limite dello 0,50 per cento dell'ammontare complessivo dei crediti risultanti in bilancio". Il problema che viene ora sottoposto al giudizio di legittimita' e' se i crediti cambiari ceduti pro solvendo ricadano tra i crediti rischiosi e siano, quindi, deducibili ai sensi dell'art. 66, oppure se, non essendo piu' crediti del cedente, siano indeducibili. Il Ministero ricorrente, pur riconoscendo che i crediti ceduti pro solvendo comportano il rischio, della loro retrocessione al cedente, sottolinea il fatto che l'unico titolare di un credito, dopo la cessione, e' il cessionario. In altri termini, si potrebbe dire, secondo tale tesi, che un "rischio da credito ceduto pro solvendo" e' cosa diversa dal "rischio di credito", o e' diverso da un "credito rischioso". La tesi, peraltro, pur non essendo priva di una qualche base letterale fornita dall'art. 66 DPR 29 settembre 1973, n. 597, non si concilia con una corretta interpretazione logica e sistematica. Gia' dal punto di vista meramente letterale si deve, infatti, considerare che l'art. 66 parla di "rischi su crediti", la quale e' espressione che potrebbe essere interpretata sia come equivalente a "crediti rischiosi", che presuppone l'esistenza di un rischio in quanto si sia titolare di un credito, sia come equivalente a "rischio derivante da crediti", che puo' presupporre anche che il rischio sia causato da un credito di cui non si e' piu' titolari. La scelta fra le due interpretazioni, entrambe possibili sulla base della sola lettera della legge, deve allora essere operata in base ai criteri sussidiari della logica e della sistematicita'. A propendere per la seconda delle possibili interpretazioni letterali Pagina 3

4 inducono, anzitutto, considerazioni di ordine logico, corrispondenti alla natura delle cose; infatti, i rischi derivanti da crediti sono diversi a seconda che i crediti siano stati ceduti o non siano stati ceduti. Per i crediti non ceduti il rischio del loro inadempimento e' pieno, nel senso che esso non subisce alcuna riduzione, perche' non si da' ne' alcun adempimento anticipato, neanche parziale, come si verifica nello sconto, ne' alcuna sostituzione del rischio originario con un altro ad esso succedaneo, come si verifica nel rilascio di garanzie da parte del cedente nella cessione del credito pro soluto. Per i crediti che vengono ceduti, invece, non si puo' certo dire che la cessione elimini, nella natura delle cose economiche, il rischio dei cedente, perche' e' comune dato di esperienza che il rischio si attenua, rispetto a quello dei crediti non ceduti, a parte l'anticipato pagamento in misura diversa a seconda della tecnica usata per la cessione. Se questa e' effettuata pro solvendo, il cedente, che pure non e' piu' titolare dei crediti ceduti, resta obbligato in via di regresso e puo' essere chiamato a pagare in luogo dei debitore ceduto rivelatosi inadempiente. Se, invece, la cessione dei crediti e' stata realizzata pro soluto e se il cedente ha fornito delle garanzie, egli corre il rischio di essere chiamato ad adempiere le relative obbligazioni nel caso di inadempimento del debitore ceduto. Se queste sono le modalita' giuridiche con le quali si svolge l'attivita' economica, si deve riconoscere che anche dai crediti ceduti nascono dei rischi, come correttamente ammette anche la difesa dell'amministrazione finanziaria ricorrente, la quale, pero', nega rilevanza giuridica al rischio, economicamente e giuridicamente esistente, ai sensi dell'art. 66 DPR 29 settembre 1973, n. 597, perche' il cedente non e' piu' titolare del credito ceduto. Cosi' facendo, l'amministrazione finanziaria effettua un'interpretazione sistematica, utilizzando, per la composizione della norma, la disposizione contenuta nell'art. 66 DPR 29 settembre 1973, n. 597, e quella contenuta negli artt e 1859 cc, che e' operazione esatta e necessaria, ma non sufficiente. Infatti, nell'interpretazione sistematica occorre tener conto di tutte le disposizioni che, presenti nella normazione, si prestino ad entrare nella composizione della norma, tenendo conto dei risultati gia' conseguiti attraverso l'interpretazione letterale e attraverso l'interpretazione logica. Nel caso in esame non si puo' ignorare, proprio ai fini di interpretazione sistematica, che la logica imposta dalla natura delle cose continua a far gravare sulla societa' dei rischi per la cessione dei crediti pro solvendo. E di tali rischi, per volonta' della legge, si deve tener conto, nella redazione del bilancio (art bis 1.4) cc), "in modo veritiero" (art cc), con la conseguenza che essi devono essere calcolati ed esposti separatamente da quelli derivanti dai crediti non ceduti e dei crediti ceduti pro soluto. In ogni caso il calcolo dei rischi su crediti deve essere effettuato secondo le norme tecniche della scienza aziendalistica, applicando regole analoghe a quelle analitiche e/o sintetiche, che si applicano per le analisi e per le stime della svalutazione dei crediti. Ne deriva che la pretesa dell'amministrazione finanziaria alla non deducibilita' dei crediti ceduti e' fondata solo in parte, cioe' nei limiti in cui i crediti ceduti comportino un rischio di inadempimento, secondo le regole aziendalistiche di calcolo della corrispondente svalutazione dei crediti. Sulla base delle considerazioni esposte il ricorso del Ministero delle finanze dev'essere accolto per quanto di ragione, nel senso che si tratta di accertare se, ed in quale misura, la cessione di credito abbia conservato in capo alla societa' cedente il rischio di inadempimento. Conseguentemente la sentenza impugnata dev'essere cassata e la causa deve essere rinviata alla Commissione tributaria regionale dell'emilia Romagna, altra Sezione, che si uniformera' al principio di diritto secondo cui la deduzione prevista dall'art. 66 DPR 29 settembre 1973, n. 597, si applica ai crediti ceduti se, e nella misura in cui, essi, nonostante la cessione, determinino una situazione di rischio per il cedente. La Commissione tributaria regionale di Bologna provvedera' anche in ordine alle spese relative a giudizio di cassazione. P.Q.M. Pagina 4

5 La Corte accoglie il ricorso per quanto di ragione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra Sezione della Commissione tributaria regionale dell'emilia Romagna, anche per le spese relative al giudizio di cassazione. Pagina 5

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