Diritto delle Relazioni Industriali

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1 ISSN Pubblicazione Trimestrale - Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in abbonamento postale - D.L. 353/2003 (convertito in L. 27/02/2004 n 46) articolo 1, comma 1, DCB (VARESE) Rivista di Adapt - Centro Studi Marco Biagi Diritto delle Relazioni Industriali Rivista trimestrale già diretta da MARCO BIAGI In questo numero Ri c er c h e Formazione, imprese e apprendistato Relazioni industrialie risorse umane Dal caso FIAT al caso Italia Giurisprudenza italiana L articolo 32 del collegato lavoro supera il vaglio di costituzionalità Imponibilità previdenziale delle somme corrisposte al lavoratore in un contratto di transazione Sanzioni per lo sciopero (illegittimo) degli avvocati Somministrazione di lavoro e limiti al sindacato giudiziale Legislazione, prassi amministrative e contrattazione collettiva Certificazione dei contratti di lavoro non standard Ccnl artigiano area meccanica del 16 giugno 2011: contenuti e novità Distacco di lavoratori extracomunitari per prestazioni qualificate Permessi degli amministratori locali: modifiche introdotte dalla legge n. 148/2011 Circolare Inps 9 settembre 2011, n. 116 e cumulo dei periodi assicurativi Giurisprudenza e politichecomunitarie del lavoro Divieto di discriminazione in base all età: il caso Deutsche Lufthansa La Corte di giustizia sull accesso a beni e servizi nelle prestazioni assicurative Osservatorio internazionale e comparato Spagna Relazioni di lavoro e libertà religiosa Stati Uniti Amianto e sicurezza: presupposti e criteri di punibilità del datore di lavoro N. 4/XXI

2 DIRITTO delle RELAZIONI INDUSTRIALI Rivista trimestrale già diretta da MARCO BIAGI N. 4 XXI-2011

3 1194 GIURISPRUDENZA E POLITICHE COMUNITARIE DEL LAVORO nella sentenza oggetto di questa nota, i giudici di Lussemburgo avrebbero potuto fornire ulteriori indicazioni circa la mancata compatibilità della clausola del contratto collettivo tedesco con il diritto comunitario. Rosita Zucaro Avvocato del Foro di Civitavecchia 2. Parità di trattamento 2.1. C. Giust. 1 marzo 2011, Association belge des Consommateurs Test-Achats ASBL, Yann van Vugt, Charles Basselier v. Conseil des ministres, causa C- 236/09 (in Boll. Adapt, 2011, n. 20). Rinvio pregiudiziale - Diritti fondamentali - Lotta contro le discriminazioni - Parità di trattamento tra uomini e donne - Accesso a beni e servizi e loro fornitura - Premi e prestazioni assicurative - Fattori attuariali - Presa in considerazione del sesso dell assicurato quale fattore per la valutazione dei rischi assicurativi - Contratti privati di assicurazione sulla vita - Direttiva 2004/113/CE - Art. 5, par. 2 - Deroga non soggiacente a limiti temporali - Carta dei diritti fondamentali dell Unione europea - Artt. 21 e 23 - Invalidità. L art. 5, n. 2, della direttiva del Consiglio 13 dicembre 2004, 2004/113/CE, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne, per quanto riguarda l accesso a beni e servizi e la loro fornitura, è invalido con effetto alla data del 21 dicembre La Corte di giustizia interviene sulla parità di trattamento tra uomini e donne e sulla rilevanza del genere quale fattore di rischio nelle prestazioni assicurative Sommario: 1. Posizione del problema e questioni pregiudiziali poste alla Corte di giustizia. 2. Quadro normativo di riferimento e considerazioni sulla rilevanza dei fattori attuariali. 3. La ratio della decisione dei giudici sulla incompatibilità dell art. 5, par. 2, della direttiva 2004/113/CE. 4. La posizione della Corte sui principi di parità di trattamento e uguaglianza nei contratti assicurativi. 1. La Corte di giustizia con la sentenza C-236/09 (in epigrafe) si è pronunciata in merito a norme sostanziali della direttiva 2004/113/CE, che attua il principio della parità di trattamento tra uomini e donne nell accesso a beni e servizi e la loro fornitura, dichiarando l invalidità, a partire dal 21 dicembre 2012, dell art. 5, par. 2, della citata direttiva, il quale consente agli Stati membri, in via di eccezione, di prendere in considerazione il criterio del sesso ai fini della determinazione dei premi e delle prestazioni assicurative, qualora tale fattore

4 GIURISPRUDENZA E POLITICHE COMUNITARIE DEL LAVORO 1195 sia determinante nella valutazione dei rischi, in base a pertinenti e accurati dati attuariali e statistici. La pronuncia della Corte segue una domanda pregiudiziale proposta nell ambito di una controversia da parte di un associazione dei consumatori belga, la Association belge des consommateurs Test-Achats ASBL, e da due clienti contro il Consiglio dei Ministri del regno del Belgio, avente ad oggetto l annullamento della legge belga del 21 dicembre 2007 che, modificando una precedente legge del 10 maggio 2007, concretizzava la facoltà di deroga contemplata dal citato art. 5, par. 2, unicamente per i contratti di assicurazione sulla vita (sul punto si segnala che anche l Italia si è avvalsa della facoltà di deroga con la previsione dell art. 55-quarter del d.lgs. n. 198/2006 intitolato Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell articolo 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246). Nel merito, la ricorrente associazione dei consumatori riteneva incompatibile l art. 5, par. 2, della direttiva 2004/113/CE con le norme dell Unione europea di livello superiore, e precisamente con il principio della parità di trattamento tra uomini e donne, sancito dalla Carta europea dei diritti fondamentali, che vieta le discriminazioni fondate sul sesso e assurge al rango di principio costituzionale dell Unione per effetto del nuovo art. 6 del TUE Trattato sull Unione europea (sul punto si leggano per approfondimenti M. BELL, Anti-discrimination Law and the European Union, Oxford University Press, O- xford, 2002; G. TESAURO, Eguaglianza e legalità nel diritto comunitario, in Il Diritto dell Unione Europea, 1999, 1 ss.; ID., Il ruolo della Corte di Giustizia nell elaborazione dei principi generali dell ordinamento europeo e dei diritti fondamentali, in ASSOCIAZIONE ITALIANA DEI COSTITUZIONALISTI, La costituzione europea, annuario 1999, Atti del XIV convegno annuale, Perugia, ottobre 1999, Cedam, Padova, 1999; T. TRIDIMAS, The General Principles of EC Law, Oxford University Press, Oxford, 1999; I. VIARENGO, Principio di non discriminazione e azioni positive nel diritto comunitario: la Corte di Giustizia supera l indirizzo Kalanke?, in RDIPP, 2001, 157; A. WEBER, Il futuro della Carta dei diritti fondamentali dell Unione europea, in RIDPC, 2002, 31). Il punto centrale era il seguente: se da un lato la direttiva 2004/113/CE escludeva ogni distinzione fondata sul sesso, per quanto riguardava l accesso a beni e servizi nonché per la loro fornitura, dall altro, introduceva una deroga. Letteralmente la norma recita così: «fatto salvo il paragrafo 1, gli Stati membri possono decidere anteriormente al 21 dicembre 2007 di consentire differenze proporzionate nei premi e nelle prestazioni individuali ove il fattore sesso sia determinante nella valutazione dei rischi, in base a pertinenti e accurati dati attuariali e statistici. Gli Stati membri interessati informano la Commissione e provvedono affinché siano compilati, pubblicati e regolarmente aggiornati dati accurati relativi all utilizzo del sesso quale fattore attuariale determinante. Tali Stati membri riesaminano la loro decisione cinque anni dopo il 21 di-

5 1196 GIURISPRUDENZA E POLITICHE COMUNITARIE DEL LAVORO cembre 2007 tenendo conto della relazione della Commissione di cui all articolo 16 e trasmettono i risultati del riesame alla Commissione». E proprio su questo aspetto si incentra la vexata quaestio sollevata dall associazione belga, per la quale l interpretazione letterale della direttiva non consente di affermare con certezza che la norma derogatoria debba necessariamente cessare di produrre i suoi effetti dopo il 21 dicembre 2012; ragion per cui la Corte costituzionale belga, rilevando che il ricorso sollevava un problema di validità di una disposizione di una direttiva, aveva sospeso il giudizio rimettendolo dinanzi alla Corte di giustizia europea. In concreto, il giudice nazionale poneva due questioni pregiudiziali: se l art. 5, par. 2, della direttiva 2004/113/CE fosse compatibile con l art. 6, par. 2, del TUE e più precisamente con il principio di parità e di non discriminazione garantito da tale disposizione; in caso di soluzione negativa della prima questione, se lo stesso art. 5, par. 2, della citata direttiva fosse parimenti incompatibile con l art. 6, par. 2, del TUE qualora la sua applicazione fosse limitata ai soli contratti sulla vita. 2. Il problema è affrontato dalla Corte attraverso un ragionamento complesso che ha come punto di partenza non solo il contesto normativo nel quale la questione pregiudiziale si colloca ma anche il pregresso percorso legislativo che aveva, a suo tempo, condotto all adozione della direttiva giustificandone la deroga. Nella formulazione originaria dell atto comunitario, in realtà, non erano contemplate delle deroghe, anzi, la Commissione, nella prima proposta, si era pronunciata in senso contrario rispetto alla possibilità di prevedere differenziazioni fondate sul sesso, in quanto in contrasto con il principio della parità di trattamento; tuttavia, alla luce delle specifiche esigenze del settore assicurativo e dei rischi specifici, si introduceva la possibilità di derogare alla direttiva solo nei casi in cui la legislazione nazionale non avesse già applicato la norma unisex e comunque per un periodo transitorio. Tutto ciò fermo restando che l individuazione di fattori attuariali non potesse, in ogni caso, far sì che un principio fondamentale del diritto fosse svuotato di significato e precisando che, comunque, i costi inerenti alla gravidanza e alla maternità non determinavano differenze nei premi e nelle prestazioni individuali, ai sensi della disposizione dell art. 5, par. 3, della direttiva (sul punto si legga in particolare C. Giust. 9 settembre 2003, C-25/02, Rinke, in Racc., 2003, I-8349, punto 39). Il dato reale, al momento dell adozione dell atto comunitario, infatti, era la larga diffusione negli Stati membri, da parte delle compagnie assicurative, di fattori attuariali diversi e correlati al sesso, così come constatato nel diciottesimo Considerando. Il principio posto a fondamento dalle compagnie assicurative era che la differenziazione si determinava sulla base di valutazioni prognostiche e del fatto che le assicurazioni offrono servizi rispetto ai quali, al momento della conclusione del contratto, non si hanno certezze sul se, quando e in che misura saranno goduti dall interessato.

6 GIURISPRUDENZA E POLITICHE COMUNITARIE DEL LAVORO 1197 E proprio il riferimento alle differenze di genere e ai fattori attuariali, quali elementi determinanti nella valutazione dei rischi, è stato il punto su cui si sono soffermate le osservazioni dell avvocato generale che ha sottolineato due aspetti rispetto ai quali appare opportuno un excursus sugli orientamenti della giurisprudenza comunitaria. Se da un lato, infatti, costante giurisprudenza ritiene che non vi siano dubbi sul fatto che delle discriminazioni indirette possano risultare da dati statistici, dall altro, la Corte non ha mai accettato che tali dati rappresentassero l unico elemento di collegamento e, quindi, l unica causa di giustificazione per una disparità di trattamento a carattere diretto, come nella fattispecie in oggetto. Sul punto, il citato art. 5, par. 2, della direttiva non prende in considerazione le effettive differenze biologiche tra uomini e donne, ma resta sul piano ipotetico, considerando il possibile verificarsi di un rischio assicurativo sulla sola base di meri dati statistici. Questo è stato un dato sul quale l avvocato generale, nel corso del processo, ha più volte insistito, facendo rilevare che si è in presenza di una considerazione aprioristica, quella per la quale la diversità tra uomini e donne rispetto alle aspettative di vita sia riconducibile al sesso. Tale impostazione però appartiene a un modello di ruolo tradizionale e non segue l evoluzione della società, per cui oggi non è possibile istituire un collegamento univoco tra le conseguenze prodotte da fattori comportamentali sulla salute e sull aspettativa di vita di una persona e il sesso di quest ultima (in merito si leggano le conclusioni dell avvocato generale, punti 60 e 61, e il punto 68, nel quale si ribadisce che non costituiscono un motivo oggettivo che possa giustificare la disparità di trattamento de quo neppure delle considerazioni di natura prettamente finanziaria riguardanti il pericolo di un aumento dei premi per una parte o per tutti gli assicurati. Per approfondimenti si veda anche la nota di F. PERSANO, Parità di trattamento tra donne e uomini e rilevanza del genere a titolo di fattore di rischio nei servizi assicurativi, in RCP, 2011, n. 6, 1269). 3. In punto di diritto i giudici della Corte di giustizia prima di entrare nel merito e affrontare, decidendo, la questione sulla incompatibilità dell art. 5, par. 2, con i principi fondamentali dell Unione europea in maniera propedeutica, passano in rassegna sia il fondamento giuridico della direttiva sia le disposizioni precedenti l art. 5. La base giuridica dell atto comunitario in oggetto ma anche delle altre direttive su temi affini, quali la 2000/78/CE e la 2000/43/CE è l art. 19, par. 1, del Trattato sul funzionamento dell Unione europea (TFUE), che attribuisce al Consiglio europeo il potere di adottare provvedimenti opportuni per combattere tutte le discriminazioni fondate sul sesso, sulla razza o sull origine etnica, sulla religione o sulle convinzioni personali, sulla disabilità, sull età o sull orientamento sessuale. Su questo principio comunitario si impianta la direttiva 2004/113/CE nel quale ambito di applicazione rientrano «le persone che forniscono beni e servizi che sono a disposizione del pubblico, indipendentemente dalla persona interessata per quanto riguarda sia il settore pubblico che quello privato, compresi gli organismi pubblici e che sono offerti al di fuori dell area della vita privata

7 1198 GIURISPRUDENZA E POLITICHE COMUNITARIE DEL LAVORO e familiare e delle transazioni effettuate in questo ambito» (art. 3, par. 1) e come tale interessa i servizi assicurativi. Non solo. L art. 3 deve essere letto in modo organico con il successivo art. 4 che vieta ogni discriminazione, diretta e/o indiretta, basata sul sesso, e, in combinato disposto con altre norme di riferimento quali l art. 157, par. 1 del TFUE, che stabilisce il principio della parità tra uomini e donne, e l art. 8 TFUE in virtù del quale l Unione, nelle sue azioni, mira a eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità tra uomini e donne. In tale contesto si inserisce il ragionamento della Corte la quale ha ritenuto legittima la possibilità, per il legislatore comunitario, di prevedere delle deroghe ai principi fondamentali dell UE sull uguaglianza tra uomo e donna precisando, però, che queste devono avere carattere provvisorio e temporaneo, al fine di consentire un graduale adeguamento del sistema socio-economico ai principi fondamentali dell Unione, per evitare distorsioni nella concorrenza e per giungere a una finalità sociale di miglioramento e parificazione delle condizioni di lavoro, ai sensi dell art. 157 del Trattato che istituisce la Comunità europea TCE (ex art. 119). Il presupposto è nella normativa comunitaria che legittima a mettere in atto il principio della parità tra uomini e donne, e, più precisamente, nell applicazione della regola dei premi e delle prestazioni unisex, in modo graduale e per periodi transitori, così come disposto dall art. 5, par. 1, della direttiva 2004/113/CE. Il ragionamento della Corte prosegue affermando che l art. 5 della direttiva de quo sarebbe incompatibile con principi fondamentali dell Unione, qualora fosse interpretato come norma indicante la possibilità, e non la certezza, della fine della deroga alla data del 21 dicembre Secondo la Corte, il citato articolo è compatibile con i principi dell Unione nella misura in cui è interpretato nel senso che la deroga viene a cessare i propri effetti a far data dal 21 dicembre 2012, non potendosi consentire, oltre quella data, che fattori attuariali legati al sesso possano influire sui contratti e sulle prestazioni assicurative. Una disposizione che consentisse agli Stati membri interessati di mantenere senza limiti di tempo una deroga alla regola dei premi e delle prestazioni unisex sarebbe contraria alla realizzazione dell obiettivo della parità di trattamento tra uomini e donne perseguito, invece, dalla direttiva e incompatibile con gli artt. 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell Unione europea. 4. E proprio sul principio di parità di trattamento la Corte, pur se brevemente, basa la sua decisione, ponendo allo stesso tempo dubbi, ma anche spunti di riflessione sulla operatività di tale principio con quello di uguaglianza che vieta di trattare situazioni paragonabili in maniera diversa o situazioni diverse in modo uguale, a meno che la differenza di trattamento sia obiettivamente giustificata (sul punto si legga C. Giust. 16 dicembre 2008, C-127/07, Arcelor Atlantique et Lorraine e al., in Racc., I-9895, punto 46). Ne discende che la possibilità di assimilare le situazioni in questione deve essere valutata alla luce dell oggetto e dello scopo dell atto dell Unione il quale stabilisce la distinzione di cui trattasi. Nella fattispecie, la distinzione è introdotta dall art. 5,

8 GIURISPRUDENZA E POLITICHE COMUNITARIE DEL LAVORO 1199 par. 2, della direttiva 2004/113/CE. Ed il punto è se le rispettive situazioni degli assicurati di sesso femminile e maschile, nell ambito di alcuni settori quali quello delle assicurazioni private, possano essere considerate paragonabili in considerazione del fatto che, dal punto di vista tecnico degli assicuratori, i quali classificano i rischi per categorie sulla base delle statistiche, i livelli di rischio assicurato possono essere differenti per le donne e gli uomini. I giudici della Corte, infatti, sono chiari nell affermare che la direttiva 2004/113/CE si fonda sulla premessa secondo cui, ai fini dell applicazione del principio della parità di trattamento, sancito dagli artt. 21 e 23 della Carta dei diritti fondamentali dell Unione europea, la situazione delle donne e quella degli uomini in rapporto ai premi e alle prestazioni assicurative da essi stipulati sono paragonabili. Alla luce di tali conclusioni, la Corte ha ritenuto superfluo pronunciarsi in merito alla seconda questione. Sul punto, tuttavia, si riporta che lo stesso avvocato generale aveva ritenuto non rintracciabili ragioni, riguardanti in special modo i contratti di assicurazione sulla vita, che potessero portare necessariamente a ritenere ammissibile la previsione di premi e prestazioni assicurative differenziati sulla base del sesso degli assicurati (si leggano le conclusioni dell avvocato generale, punti 85 e 86). Roberta Caragnano Ricercatrice Adapt Assegnista di ricerca Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia

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