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1 ITINERARI SOCIALI 7

2 Direttore Giuseppe ACOCELLA Università degli Studi di Salerno Comitato scientifico Ornella DE ROSA Università degli Studi di Salerno Donato VERRASTRO Università degli Studi di Salerno

3 ITINERARI SOCIALI La collana Itinerari sociali raccoglie studi dedicati in maniera prevalente agli operatori dei servizi sociali e si prefigge l obiettivo di qualificarne costantemente il profilo lavorativo. Mai come nella realtà attuale, infatti, dette figure professionali esercitano il proprio ruolo incidendo significativamente sui nodi di tenuta di reticoli sociali sempre più complessi e costantemente esposti a criticità che mettono a dura prova equilibri di persone e istituzioni. La complessità del lavoro degli operatori sociali esige costante aggiornamento teorico e pratico, cui gli studi di questa collana tentano di dare una risposta. Nuove esigenze e nuove richieste che provengono da contesti sociali articolati e difficoltosi richiedono più solide competenze, corroborate da conoscenze aggiornate e capaci di segnare il passo con una realtà in costante e repentino mutamento. Su questo fondamento il comitato scientifico della collana si propone di selezionare proposte editoriali (di natura manualistica o monografica) capaci di coniugare solide elaborazioni teoriche a sperimentazioni di buone prassi, esportabili nei differenti contesti sociali in cui gli operatori sono chiamati a svolgere il loro compito.

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5 Luana Collacchioni L essenziale è invisibile agli occhi Sentire, pensare, promuovere l integrazione scolastica e sociale Prefazione di Andrea Mannucci

6 Copyright MMXII ARACNE editrice S.r.l. via Raffaele Garofalo, 133/A B Roma (06) ISBN I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell Editore. I edizione: settembre 2012

7 A Franco Ai miei figli

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9 È venuto il momento di aprire il regalo. [ ] È un anello, da metterti al dito. E brilla di una luce tutta sua. Nessuno può portartelo via; non può essere distrutto. Tu sei l unica al mondo che riesca vedere l anello che oggi io ti dono, come io ero l unico in grado di vederlo quand era mio. Questo anello ti dà un nuovo potere. Messo al dito, potrai levarti in volo con tutti gli uccelli dell aria vedere attraverso i loro occhi dorati palpare il vento che sfiora le loro vellutate piume e potrai quindi conoscere la gioia di sollevarti lassù, in alto, al di sopra del mondo e di tutte le sue pene. Potrai restarci quanto ti parrà, su nel cielo, al di là della notte e oltre l alba. E quando avrai voglia di tornar giù di nuovo, vedrai, tutte le tue domande avranno risposta e tutte le tue ansie si saranno dileguate. [ ] finché t accorgerai che non t occorre né l anello né l uccello per volare al di sopra delle nubi, nel sereno. E quando arriverà per te quel giorno, tu dovrai a tua volta donare il tuo dono a qualcuno che sai ne farà buon uso; costui potrà apprendere, allora, che le uniche cose che contano sono quelle fatte di verità e di gioia, e non di latta e di lustrini. [ ] Ogni regalo che ti fa un amico è un augurio di felicità: così pure questo anello. Vola libera e felice, al di là dei compleanni, in un tempo senza fine, nel persempre. Di tanto in tanto noi c incontreremo quando ci piacerà nel bel mezzo dell unica festa che non può mai finire. RICHARD BACH, Nessun luogo è lontano

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11 Indice 13 Prefazione di Andrea Mannucci 19 Introduzione 27 Capitolo I L identità della persona: una lettura complessa 1.1. Costruire l identità, Mente, corpo ed emozioni, Cervello e cuore: ragione ed emozione, Il corpo e l identità: un legame indissolubile, Non si vede bene che con il cuore l essenziale è invisibile agli occhi, La cura, Capitolo II L integrazione: un fatto mentale 2.1. Il concetto di integrazione, Quanta importanza hanno i termini che usiamo?, La riflessività come strumento per l inclusione, L integrazione: pensieri liberi dopo Zigulì, L integrazione possibile: donare se stessi per costruire capitale sociale, Capitolo III L integrazione scolastica e sociale: testimonianze 3.1. L educazione come processo di umanizzazione, Le sofferenze vissute a scuola condizionano l autodeterminazione, Testimonianze di scuola vissuta e tracce degli insegnanti in formazione, Bibliografia 11

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13 Prefazione di Andrea Mannucci Correva l anno millenovecentottantatre quando mia figlia Giulia frequentava la terza elementare di una scuola periferica fiorentina in una classe a tempo pieno molto omogenea più che nella sua costituzione sociale nelle sue dinamiche relazionali e potenzialità intellettive. Nessun alunno o alunna diversabile, anzi «portatore di handicap» come si soleva dire allora, e ahimè talvolta ancora oggi, era inserito in quella classe e francamente non avevo mai avuto modo di incrociarne qualcuno all interno della scuola. A metà anno fu organizzata una settimana verde alla quale aderirono varie classi, fra le quali quella di mia figlia ed io come genitore e rappresentante di classe andai insieme alle relative insegnanti nella struttura del Comune di Firenze in una bellissima zona collinare, chiamata Il Cernitoio. I bambini e le bambine erano tanti, tutti entusiasti e pronti a questa esperienza e la sera dell arrivo fu molto significativo cenare tutti insieme in attesa di avviare quella nuova avventura. Li guardavo mangiare, ridere, parlare fra loro e mi sembravano tutti belli e dolcissimi, ma nel girare lo sguardo avevo l impressione di qualcosa che non tornasse in quell armonia perfetta che si era fatta strada nella mia mente. Non notavo niente di particolare, eppure qualcosa non era al suo posto, non tornava, così aguzzavo la vista e cercavo, cercavo finché il mio sguardo si fermò su di un bambino che aveva qualcosa di strano. Aveva un viso largo, gli occhi a mandorla e più aguzzavo la vista più trovavo qualche particolare che mi evidenziava la sua particolarità, la sua diversità, direi oggi. Ma chi era, che cosa aveva, perché quei tratti somatici? Più lo guardavo e più mi faceva paura, ne ricordo solo i contorni che 13

14 14 Prefazione definivano un senso di disagio, di difficoltà e quando gli andai più vicino di paura. «È il bambino mongoloide della III B» mi disse un insegnante con un aria di rassegnata sufficienza, come dire che non si poteva fare a meno di portarlo. Non ricordo molto di quel periodo, forse solo il fatto che mia figlia si lamentava perché non stavo mai con lei ma con tutti gli altri bambini e bambine, ma ricordo molto bene questo disagio verso quel bambino che mi accompagnò per tutta la settimana. Passarono alcuni anni da quei giorni e quel ricordo si era annebbiato, quasi cancellato dalla mia mente e continuavo la mia vita che comunque era molto impegnata nel lavoro sociale, fatto di molto volontariato verso immigrati, nuove povertà, situazioni sempre maggiori di marginalità, finché al nostro gruppo dei volontari, che operavano da quasi vent anni nel Quartiere fiorentino di Santa Croce, fu proposto dall Unità Sanitaria di riferimento e dall Amministrazione comunale di accogliere nella struttura dove svolgevamo la nostra attività un Corso di preformazione mattutino, dovendo poi organizzare una socializzazione pomeridiana per ragazzi e ragazze «portatori di handicap». Non dirò che quello fu l inizio di un lavoro che porterà alla costituzione di una cooperativa sociale e di un lavoro che oggi vede coinvolti alcune decine di operatori ed operatrici e decine di soggetti diversamente abili, ma mi soffermerò solamente sullo sguardo, fermando la macchina da presa in un millesimale fotogramma nel momento in cui si presentarono ai miei occhi, accompagnati da una assistente sociale, due ragazzi down, Salvatore e Lando. Non so se vi è capitato di trovarvi in automobile in mezzo ad un fitto nebbione, viaggiando lentamente e senza distinguere i contorni del paesaggio circostante né la strada da percorrere, per poi ritrovarvi improvvisamente in un bagliore di luce in mezzo ad un paesaggio illuminato dal sole, chiaro e sicuro come la strada che state percorrendo. Ecco, quella è stata la mia sensazione quando ho visto quei due ragazzi, quando ho parlato con loro, quando ho sentito le loro braccia stringermi e le loro guance sfiorare le mie. Si stracciava un velo, cadeva un muro, un muro di omertà, di pregiudizi, di ignoranza, di accidia per aprire una

15 Prefazione 15 strada sulla quale avrei da quel momento in poi camminato con gioia, con passione, con la precisa consapevolezza di aver cessato di vedere soltanto ed aver imparato a guardare, cioè a «sentire, pensare, promuovere l integrazione», L essenziale è invisibile agli occhi, perché, come scrive l Autrice di questo importante volume: «L integrazione si respira nell aria: sono gli sguardi trattenuti o distolti, la postura aperta verso l altro o chiusa a riccio, l avvicinamento o l allontanamento, il sorriso o l impassibilità, la metaforica pacca sulla spalla o la paura immobilizzante». Adesso, ogni mattina, mi fermo al Centro Diurno, nato con quei due ragazzi, dopo aver parcheggiato l automobile per prendere la bicicletta ed in quei momenti sono sommerso dai sorrisi di tante ragazze e ragazzi come loro ed i loro abbracci, per costruire un nuovo giorno pieno di stimoli e di fiducia ed ogni sera al ritorno ne trovo altri che mi chiedono della mia giornata e mi raccontano di loro, delle loro gioie e delle loro ansie, aspettando il giovedì quando trascorriamo insieme alcune ore per parlare di sentimenti ed emozioni (così si chiama l attività che da anni faccio con loro). Quando stiamo insieme parliamo del loro mondo, partendo dal loro corpo e dalle loro emozioni, cercando di aiutarli a costruire una loro identità, identità adulta e non di «eterni bambini». In questo mi sono ritrovato tantissimo nelle parole della Collacchioni, che scrive: «A lungo emarginati dalla dimensione sociale, le persone con disabilità apparivano vestite con abbigliamento o assolutamente infantile o con abbigliamento da adulto, ma adulto senza nome, senza moda, senza originalità». Qui gli occhi hanno bisogno di guardare, in questa dimensione si gioca il vero senso dell integrazione come conoscenza e coscienza e non come pregiudizio. Ma questo non inganni, perché non si tratta di normalizzare, non si tratta di adultizzare, perché dentro quei vestiti esiste un identità fatta di immensi tesori ed il riferimento al Piccolo Principe, che troviamo nel libro, è più che calzante: «Quanta magia il piccolo principe porta con sé. La sua autenticità è contagiosa, la sua preoccupazione enorme, il suo senso del legame fortissimo. Lo stupore e la meraviglia,

16 16 Prefazione unite alla curiosità, sono peculiarità forti del piccolo principe, così come l empatia. Ogni volta che dichiara che l essenziale è invisibile agli occhi e che non si vede bene che con il cuore, evidentemente sta inviando un messaggio empatico e lo esplicita maggiormente ogni volta che si preoccupa per qualcosa o per qualcuno di cui intende prendersi cura». Questa è la mia esperienza con queste persone diversamente abili, che ho cessato da tempo di chiamare così per utilizzare solo i loro nomi che si confondono con il mio, in una dimensione di cura reciproca, di quotidiano scambio di attenzione e rispetto. E ancora colpiscono le parole, i passi sono però tantissimi e ricchi di riflessioni, dell Autrice che scrive: «Dare cura e ricevere cura significa creare accoglienza, significa fare sentire accolti gli altri e sentirsi accolti in mezzo agli altri, significa coltivare tessuti di relazioni reciproche e dinamiche complesse in cui è possibile riconoscersi come esseri del mondo». Da qui e solo da qui può partire il concetto di integrazione o inclusione, se preferiamo dire, ed è nel secondo capitolo del volume che si dipana chiaramente e con forza questo punto essenziale, questa chiara puntualizzazione che non ammette equivoci o fraintendimenti. Ed in questo cammino si fanno luce film come Anna dei miracoli o libri come Zigulì, che ci aiutano a comprendere meglio, a trovare altri punti di riferimento per la nostra riflessione, oserei dire per la nostra «conversione», come è capitato a me in una grigia mattina autunnale di oltre vent anni fa. Tutto questo però deve iniziare dalla scuola, non coinvolge solo quegli educatori ed educatrici che lavorano con gli adulti, ma anche gli insegnanti che devono per primi cominciare a cogliere quell «essenziale», che purtroppo molto spesso per loro non è così evidente, come ci evidenziano le sconvolgenti testimonianze dell ultimo paragrafo dell ultimo capitolo. «L integrazione è un fattore mentale, emozionale, culturale; essere includenti è un abitudine: abituiamoci quindi ad esserlo e abbattiamo il pregiudizio che troppo a lungo ha dato l abitudine ad essere escludenti», leggiamo ancora nella parte finale del volume.

17 Prefazione 17 Da parte mia ho fatto riaffiorare i ricordi di quella settimana verde al Cernitoio, con quello strano bambino sceso sulla Terra da un altro pianeta, per capire, per imparare, per rendere la «memoria» un mezzo di crescita e ho rivissuto il cielo azzurro e terso di quando la nebbia, all improvviso, si è dissipata, per non tornare mai più, anche se non sempre c è il sole e talvolta c è vento, bufera, temporale, ma sempre ogni cosa, ogni persona, ogni situazione non è più invisibile agli occhi, è una storia nuova, la mia storia nuova, che ormai si muove su questo cammino da moltissimi anni e che si riscontra pienamente con la chiusura del volume dove Luana Collacchioni, sempre in piena sintonia con quanto pensa e scrive, afferma con quella sua sicurezza che non è speranza, ma fiducia : «Per concludere: sospendiamo il giudizio per aprire sempre a nuove possibilità e per essere sempre disponibili all incontro con l altro, con chiunque altro». ANDREA MANNUCCI

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