Domenica. Comprai un appartamento a Parigi. Ci avevo lavorato. Il 29 luglio scorso la notizia del possibile crac Leibovitz LEIBOVITZ

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1 Domenica La DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 di Repubblica l attualità Le biciclette di Rimini GIAN LUCA FAVETTO e JENNER MELETTI cultura Lo splendore delle corti dei Maharaja NATALIA ASPESI Un nuovo libro intreccia le due opposte vite della grande fotografa: così lontane, così inseparabili LEIBOVITZ Segreti di famiglia MICHELE SMARGIASSI Il 29 luglio scorso la notizia del possibile crac Leibovitz colpì l America come un monito, un segnale, un simbolo. Quel giorno Art Capital, una finanziaria specializzata in prestiti agli artisti, citò la golden lady della fotografia americana di fronte alla Suprema Corte dello Stato di New York per un debito di ventiquattro milioni di dollari. Spiccioli in confronto alle migliaia di miliardi divorati dalla Grande Crisi. Ma la notizia fece il giro del mondo. Annie Leibovitz non è la Lehman Brothers, né la Merrill Lynch, è solo una fortunata professionista, non una corazzata del capitalismo mondiale. Ma a suo modo, anche lei è una banca: dell immaginario americano, quindi globale. Una banca del glamour, del successo, dell esserequalcuno. (segue nelle pagine successive) ANNIE LEIBOVITZ Comprai un appartamento a Parigi. Ci avevo lavorato per Vogue, e cominciavo a pensare di volere un figlio. Avevo Rhinebeck. Avevo tutto ciò che avevo sempre desiderato e volevo che anche Susan avesse qualcosa che aveva sempre desiderato. Sin dagli anni Sessanta Susan aveva vissuto per brevi periodi a Parigi e parlava spesso di andarci a vivere. Le piaceva lasciare New York quando scriveva. Comunicammo agli agenti immobiliari di non mostrarci appartamenti in stabili senza ascensore, perché a quel tempo Susan aveva già problemi a camminare. La chemioterapia dovuta alla seconda recrudescenza del cancro, nel 1998, le aveva provocato una neuropatia ai piedi. (segue nelle pagine successive) spettacoli Gianna Nannini: ricomincio da me GINO CASTALDO e GIANNA NANNINI i sapori Funghi d autunno, un jolly a tavola LICIA GRANELLO e CARLO PETRINI le tendenze Kartell, i sessant anni di un mito ENRICO REGAZZONI e IRENE MARIA SCALISE FOTO ANNIE LEIBOVITZ/CONTACT

2 40 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 la copertina Segreti di famiglia Fotografa dei divi, fotografa glamour, fotografa di successo e ora in crisi finanziaria. Ma dietro la Leibovitz pubblica ce n è un altra: quella delle sue città, i figli, il padre, il fratello E la Sontag, la grande amica e amante alla quale rimase accanto fino alla fine. Ora un libro per immagini, pubblicato da De Agostini, racconta due anime che in realtà sono una sola L unica doppia vita di Annie MICHELE SMARGIASSI (segue dalla copertina) Parigi all alba e Susan che mi guarda ANNIE LEIBOVITZ (segue dalla copertina) Ma un giorno un agente immobiliare ci accompagnò a vedere una casa che aveva un appartamento in vendita al secondo piano. Ci arrivammo passando per un cortile che si apriva su una strada laterale e salimmo circa trenta gradini, Susan con qualche difficoltà e pensando entrambe che fosse una perdita di tempo. Poi la porta si aprìe noi due ci guardammo. Dava proprio sul Quai des Grands Augustins, dalle grandi finestre del salotto si vedevano la Senna e Place Dauphine e la guglia della Sainte-Chapelle. Costruita nel 1640 ed era stata una stamperia. Ed era un rudere, che è proprio ciò che io amo. Ci tornammo il giorno dopo per dire al proprietario che volevamo comprarla. Poi trovammo una fotografia che Atget aveva scattato della casa e uscendo girammo intorno all edificio e trovammo una targa in cui si diceva che Picasso aveva dipinto Guernica proprio lì. Più avanti trovammo una fotografia della nostra via di notte che aveva scattato Brassaï. La fotografia di Susan che guarda verso l appartamento dall altra riva del fiume fu scattata la mattina in cui tornammo a New York. Ci avevano detto che, per la sua posizione, non era esposto alla luce diretta, ma sulla via per l aeroporto ci fermammo a guardarlo e lo vedemmo immerso nel sole. Ne fummo così emozionate. Traduzione Valeria Raimondi ( 2006 by Annie Leibovitz - all rights reserved. This translation published by arrangement with Random House, an imprint of The Random House Publishing Group, a division of Random House, Inc. Published by arrangement with Roberto Santachiara Literary Agency) IN LIBRERIA Si intitola Fotografie di una vita (472 pagine, 89 euro) il libro edito da De Agostini che raccoglie centinaia di scatti di Annie Leibovitz. Oltre ai ritratti di personaggi famosi da Johnny Cash a Nicole Kidman a Keith Richards per i quali la fotografa è nota, immagini familiari e personali, paesaggi e reportage da Sarajevo nei primi anni Novanta In libreria il 15 ottobre Le sue azioni sono le migliaia di scatti accumulati in quarant anni di carriera da ritrattista superstar delle icone superstar. Attori, politici, rocker, atleti: nel portafogli della fotografa di punta di Rolling Stone e poi di Vanity Fair figurano solo grandi vincenti. Si entra a invito, qualche volta anche pagando (centomila dollari per una sola seduta) ma ci si garantisce l impagabile dividendo della celebrità consacrata. Per questo il temuto crollo del Pantheon Leibovitz (per ora scongiurato da una dilazione in extremis) ha spaventato gli osservatori come un nefasto presagio di declino del sogno americano. Qualcuno però ha sofferto di meno per questi suoi guai. Non piace a tutti la spigolosa Annie, l irraggiungibile Annie, l irascibile Annie. «Forse questa crisi le farà bene», ha commentato gelida il critico fotografico del Times, Joanna Pitman. Gli ingredienti poco simpatici del suo tocco magico, del resto, sono noti. Perfezionismo ossessivo: centinaia di scatti, prove e riprove prima del risultato che la soddisfi. Grandeur hollywoodiana e costosissima di molti suoi set, quasi mai in studio e sempre più spesso pieni di accessori bizzarri e introvabili, piogge e nevi artificiali, animali esotici (per non dire delle decine di galloni di latte tiepido in cui fece nuotare Whoopi Goldberg). Sfrontata sicurezza dei suoi giudizi estetici: sfidò il delitto di lesa maestà chiedendo alla regina Elisabetta di togliersi la corona perché la trovava troppo dressed up, troppo formale. Tirannia implacabile delle sue sedute, interminabili fino allo sfinimento: chiedere ad Arnold Schwarzenegger, lasciato semiassiderare in t- shirt per ore sulle cime nevose dell Idaho. Ne esce un teatro delle meraviglie senza scopo, un esteriorità senza spessore, un mondo di cartapesta placcata d oro: così almeno pensano di lei (alcuni lo scrivono) i critici severi. Ma c è un altra storia dietro le quinte, sotto lo smalto luccicante. È la storia di Anna-Lou Leibovitz di Waterbury, Connecticut, dinoccolata occhialuta e ambiziosa ragazza della provincia americana del dopoguerra (sessant anni compiuti due giorni fa), figlia di un aviatore militare e di una danzatrice, come dire di creatività e disciplina. La storia dei suoi affetti, dei suoi difetti, delle sue passioni e dei suoi dolori mai confessati. Una storia svelata d improvviso al mondo solo tre anni fa, e finalmente ora anche ai suoi ammiratori italiani, da un volume poderoso che si presenta come Fotografie d una vita, ma che in realtà ne racconta solo una piccola parte, quella più intensa e tormentata, dal 1990 al Ovverosia gli anni trascorsi al fianco di Susan Sontag, sua amica e amante (ma guai a dire compagna o partner), guru e maestra. S incontrarono nel 1989, già all apice delle rispettive carriere, per un ritratto da retrocopertina (quello di L Aids e le sue metafore). Opposte, s attrassero di colpo: la fotografa jet-set dei divi e la saggista radical del Greenwich Village, la donna delle immagini e quella delle parole; le dividevano sedici anni e due mondi. Sontag disse: «Sei brava, ma puoi fare di meglio». E Leibovitz incredibilmente non s arrabbiò. Vissero in simbiosi affettiva e intellettuale per un quindicennio. Le loro case neoclassiche sull undicesima strada stavano spalla a spalla, poi ne affittarono una assieme a Parigi, vista Senna. Viaggiarono molto, scrivendo e fotografando, volevano ricavarne un libro, il Libro della bellezza. Poi un cancro divorò Susan. Sei settimane dopo, se ne andò anche Samuel, il padre di Annie. Lei li fotografò entrambi sul letto di morte, «quasi in trance», tra le lacrime. Aveva cercato di vietarselo. Non ci riuscì. «Sapevo solo che dovevo farlo. Non puoi mai smettere di essere fotografa». Persino quando partorì col cesareo Sarah, la prima delle sue tre figlie (tutte concepite senza notizia di un padre, le due gemelle Susan e Samuelle con l aiuto di una madre surrogata) l anestesia non le impedì di sollevare la Leica sopra il telo del chirurgo. Le venne poi voglia di fare un volumetto di ricordi intimi, qualche copia da donare agli amici comuni, con quelle immagini strazianti, che credeva poche. Dalle scatole di provini traboccò invece una quantità travolgente di immagini private, scattate e poi dimenticate. Scossa dal ritorno del tempo perduto, l algida Annie, l impenetrabile Annie, scelse di mostrarsi a tutti. Di esibire La vita di una fotografa, come suona il titolo originale di quella che all inizio fu una mostra, accolta con attenzione e sconcerto dai critici, con sorprendente passione dal pubblico. Centinaia e centinaia di scatti in grossolano ordine cronologico, senza distinzione fra momenti privati e lavori professionali, intimità e palcoscenico, spontaneità e artificio. «La mia vita è una sola, il lavoro su commissione e le foto personali ne fanno parte in eguale misura». Come darle torto? Ogni vita è «un mix esoterico», solo le agiografie scorrono lisce come l olio. Ma che spaesamento: Nicole Kidman sirenetta dorata, volta la carta e c è la smorfia di dolore di Susan dopo la mastectomia; mamma e papà Leibovitz curvi e anziani sparecchiano la cucina, volta la carta e c è Scarlett Johansson languida odalisca. Il contrasto è quasi intollerabile, vien voglia di ribellarsi a questa apparente schizofrenia, di scegliere la verità dello sguardo privato contro la falsità di quello commerciale, la carne contro la plastica, il ruvido contro il liscio, la terra contro le stelle, le lacrime contro il make-up. E ad essere onesti, la commossa Annie delle sequenze in bianconero, degli splendidi ritratti intimi di Susan, delle carezze visuali a genitori, fratello e figlie, sembra davvero più sincera e profonda della superpagata professionista Ms. Leibovitz. Alla quale è stata spesso rimproverata, non senza ragione, la rinuncia a uno stile riconoscibile (non la rudezza di un Karsh, non l apparente cinismo di un Avedon, non la calligrafia di un Newman) a favore di un eclettismo lasciato all intuizione del momento, capace di produrre colpi di genio (l abbraccio di John Lennon nudo e latteo a Yoko Ono vestita di nero, preso sei ore

3 DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 41 FOTO ANNIE LEIBOVITZ/CONTACT prima dell omicidio dell ex Beatle), celebri trasgressioni (il nudo di Demi Moore vistosamente incinta, che Sontag pretese e ottenne di far finire sulla copertina di Vanity Fair), istanti di intensa introspezione (uno splendido Al Pacino in una scura stanza spoglia); ma anche pose prevedibili (Bill Gates davanti a un computer), stucchevoli cliché (Cindy Crawford come Eva abbracciata a un serpente) e originalità divertenti ma senza spessore (Jack Nicholson che gioca a golf in vestaglia e ciabatte). Difetti che svaniscono d incanto nel suo lavoro privato e segreto, preso a mano libera, con macchine di piccolo formato, senza stage, «senza l obbligo di dover scattare», foto affettive, da album di famiglia, destinate alla memoria privata e all intimo rimpianto. Ma anche nei paesaggi, sparsi nel libro a mo di parentesi, per allentare la tensione narrativa; e soprattutto nei rari, duri reportage, come quello nella Sarajevo sotto assedio, dove Susan la portò per aiutarla a sfuggire all intossicazione da BIANCO E NERO Nella foto grande, Provini, Annie Leibovitz fotografata da Susan Sontag, Venezia 1994; in alto da sinistra, la Sontag nel Quai des Grands Augustins, Parigi, dicembre 2003; My brother Philip and my father, Silver Spring, Maryland, 1988 In copertina, Annie Leibovitz con le figlie Sarah, Susan e Samuelle glamour e insegnarle a «spogliare la realtà». Ma non sarebbe giusto né rispettoso. C è una sola Annie Leibovitz, e lei stessa ci sfida a prenderla tutta, o lasciarla. Questo diario è «la cosa più vicina a me tra tutte quelle che io abbia mai fatto». Ci chiede di apprezzarla solo così, tutta intera. Ma forse vuole dirci qualcosa di più. Questo catalogo di un quindicennio di vita, del resto, è stato composto «come se Susan fosse dietro le mie spalle», e Sontag è l autrice di saggi fondamentali per comprendere la fotografia. Questo libro di poche parole ci spiega semplicemente che è tutta quanta la fotografia (la sua storia, la sua ambiguità) che dobbiamo accettare, senza snobismi, se vogliamo avere in cambio qualcosa da lei. La fotografia che inganna e quella che rivela, quella che racconta e quella che finge, quella che inquieta e quella che appaga, sono in fondo la stessa cosa: lo specchio fatato che lusinga le nostre brame e, sull altra faccia, quello impietoso che ci svela la nostra fragilità.

4 42 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 l attualità Pedalare Con gli incentivi del governo, la città romagnola ha fatto incetta di quelle che qui si chiamano ancora biciclete, con una sola t E ora ha il rapporto due ruote per abitante più alto d Italia Sconti, coscienza verde, piste ciclabili, ma soprattutto una tradizione da rispettare quasi come una religione, da Casadei a Oriani a Pantani Le biciclette di Rimini JENNER MELETTI RIMINI C è anche la mamma-trattore. Il piccolo davanti, col ciuccio, sul seggiolino agganciato al manubrio e riparato dal parabrezza. Il figlio di cinque anni mangia una banana sul seggiolone di plastica dietro la sella. La figlia di undici anni ha i pattini ai piedi e si fa trainare, come se la mamma in bicicletta fosse un autocarro. «Asilo, materna e la figlia che è andata a pattinare sul lungomare. In mezz ora dice la signora Arianna riesco a fare il giro e a riportare a casa tutta la figliolanza». Basta mettersi qui, dove via Garibaldi incrocia i Bastioni occidentali, per capire perché a Rimini, con gli incentivi del ministero, in tre giorni siano state vendute biciclette, contro le 1.041, ad esempio, di una città come Roma. Qui, in bicicletta, si fa tutto. Si portano e si ritirano i figli a scuola, si va a fare la spesa, si va e si torna dall ufficio, si pedala verso i bar di piazza Tre Martiri per la partita e alle cinque del pomeriggio si corre al porto, perché arrivano i pescherecci con le sardine, le triglie e le canocchie ancora vive. «La bicicleta (da queste parti ha una sola t) dice Ernesto, sui sessantacinque e rotti innanzitutto bisogna tenersela stretta». Davanti al negozio Semprini di via Saffi venditori e riparatori di biciclette da tre generazioni c è più fila che davanti all ambulatorio del medico nei giorni di influenza. «Ci sono i romeni che sono capaci di tutto. Passa uno con un tronchesino e zac. Subito dopo un altro prende la bici come se fosse la sua. Io la mia però l ho ritrovata. Sono andato in quella piazzetta là in fondo, dove arrivano i furgoni dalla Romania. Scaricano i pacchi e caricano le bici rubate. Io ho detto: quella Condor lì è mia. O me la date o chiamo i carabinieri. Ma adesso sono qui a comprare un altra catena. Quelle buone costano anche 50 euro». Il negozio Semprini è anche un pronto soccorso. Si comprano un pedale, un copertone, una gomma, una sella, il filo di un freno. Si ammirano le biciclette nuove e «quelle di una volta». «Questa è una perfetta riproduzione della Umberto Dei Milano. Sella Brooks di cuoio, freni a bacchetta, cromature dorate. È uguale a quella degli anni Trenta. Costa 1500 euro». Le nuove sono in alluminio, leggerissime. Non hanno più la dinamo, che frenerebbe la corsa. Fanalino alogeno, con la pila. «Anche da noi c è stato un boom di vendite. Il trenta per cento di sconto è una manna. Ne hanno approfittato chi aveva la ciclo troppo vecchia e anche tanti anziani che si sono comprati la bici a pedalata assistita, con il motorino elettrico che ti dà un aiuto. La voglia di pedalare resta sempre, ma le gambe». Da queste parti la bicicletta è quasi una religione. «A Bologna dice Tiziano Arlotti, cinquant anni, consigliere comunale che quando era assessore ha moltiplicato le piste ciclabili per sciogliere un voto si sale a piedi verso San Luca. Qui invece si va in bici «a fare le coste di Sgrigna», una strada piena di curve e salite che da Rimini arriva a Verucchio. Venticinque chilometri e il voto è sciolto». Venti chilometri di piste ciclabili nel 2001 (quando l assessore iniziò il suo mandato ai lavori pubblici), settanta oggi, ma già ci sono progetti per arrivare a centoventi. «Il centro della città è un invito alle due ruote. Dall Arco di Augusto al Ponte di Tiberio c è appena un chilometro. Ma le piste delle bici sono necessarie soprattutto fuori. Ce n è una bellissima che dal mare porta a Torriana, immersa nel verde del greto del Marecchia. Ne abbiamo un altra fra l Ausa e Montescudo, sull asse del Marano. La domenica è uno spettacolo, con le famiglie in gita. Il papà davanti, i figli dietro e la mamma che chiude la comitiva. Sulla strada verso Sogliano, in primavera, quando fioriscono le acacie e i sambuchi, ti sembra di sentire i profumi del paradiso. Per qualche anno, con il boom delle automobili, i riminesi si erano dimenticati, come si dice qui, di esser nati in bicicletta. Adesso l hanno riscoperta, perché la bici la parcheggi dove vuoi, non ha fumi di scarico e alla fine è più veloce di un fuoristrada. Una nuova pista ciclabile ti cambia la vita. Quando ne apri una nuova, cambi la vita della gente: auto che restano in garage, bici che escono dalle cantine. E se trovi anche il trenta per FOTO ARCHIVIO FONDAZIONE FELLINI cento di sconto». Sul lungomare, bimbi in bici con le ruotine fanno le prime pedalate. «Noi ricorda Tiziano Arlotti imparavamo con le biciclette dei grandi, quelle con il cannone. Ci si infilava sotto, di traverso, con le mani sul manubrio là in alto. Si frenava con il tallone delle scarpe. Poi, quando avevi la tua bici, arrivava la felicità. Correvi sul ghiaino, scivolavi in curva e ti scorticavi dappertutto ma a casa non dicevi niente altrimenti prendevi anche uno scapaccione. Quelli che non avevano la bici ti correvano dietro, se eri buono gliela facevi provare». «Quando salgo in bicicletta qui a Rimini ricor- Caricavi la morosa sul cannone, prendevi la discesa Se cadevi nel fosso - c era chi lo faceva apposta - avevi l occasione di rotolarti un po con lei La bici è anche maestra di vita

5 DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 43 FELLINI Un disegno di Toulouse- Lautrec su una gara in bicicletta. Nell altra pagina un giovanissimo Federico Fellini (in giacca) in bicicletta nella sua città e due poster di manifestazioni cicloturistiche a Rimini Così l uomo in bilico si riprende la libertà GIAN LUCA FAVETTO dano che come presidente delle case popolari invece di un auto di rappresentanza feci acquistare due biciclette io torno ragazzo. Sulle due ruote sembra di essere dentro un film di Sergio Leone, con le inquadrature lente. E senti gli odori: l erba appena tagliata, la terra arata, la polvere quando inizia a piovere Una sola cosa è cambiata: quasi nessuno è più in grado di riparare il proprio mezzo. Dietro la sella, un tempo, c era il borsellino di cuoio. Dentro, le due leve di ferro per togliere il copertone, la carta vetrata, il tubetto del mastice e i pezzi di camera d aria pronti per tappare le forature. A dieci anni sapevi aggiustare la tua bicicletta e la pulivi ogni domenica mattina, con lo straccio bagnato nella nafta del trattore». «Un bès in bicicleta», cantava Secondo Casadei. «Caricavi la morosa sul cannone, prendevi la discesa Se cadevi nel fosso c era chi lo faceva apposta avevi l occasione di rotolarti un po con lei La bici è anche maestra di vita. Ti insegna a misurare le forze, a fare il passo secondo le gambe. Trovi quello che va più piano e anche quello che ti sorpassa e non lo vedi più. Ormai lo dicono tutti: hai voluto la bici T è vlù la bicicleta, adess pidela. I nostri padri ce lo dicevano sempre. Per farci capire che la vita può essere anche fatica ma che, se pedali con il passo giusto, ce la puoi fare». FOTO RICCARDO GALLINI IN SPIAGGIA Qui sopra e in alto, immagini di ciclisti per le strade e sulle spiagge di Rimini FOTO CORBIS La bicicletta racconta geografie oltre che storie, racconta territori. Li ridisegna, mentre li attraversa. Ne coglie voci e lineamenti. Lo fa lavorando sul tuo sguardo di viaggiatore. Di pedalatore. Lo sguardo di chi pedala parte dai piedi, e risale lungo le caviglie, i polpacci, le cosce, l anca, tutto il busto, le spalle, il collo, fino a impegnare le braccia e le mani. È uno sguardo completo, molto fisico, che riconosce e misura fatica, piacere, concentrazione. E non rinuncia a un po di poesia. Uno sguardo che prende tempo e ha il ritmo dei pensieri. Guardare l orizzonte da una bicicletta è come guardare il mare da una barca a vela. Essendo poi i territori, in fondo, le persone che li abitano, essendo segnati dalle relazioni fra tutti coloro che li vivono, la bicicletta racconta anche i cittadini di quel paesaggio. Racconta uomini e donne, vecchi e bambini, il loro carattere di individui che pure appartengono a un gruppo. La bicicletta è gruppo e individuo insieme, è anarchia e comunità. Ecco perché racconta bene la Romagna e i romagnoli. È a Forlì che i repubblicani, nel 1902, invitano ad approfittare del ciclismo come sport «per stringere maggiormente i vincoli di amicizia e di fratellanza tra i compagni di fede e per difendere ovunque l idea repubblicana». È qui che, ancora all inizio del Novecento, si costituiscono le prime sezioni dei ciclisti rossi, ed è a Imola, nel 1913, che nasce la Federazione nazionale. Non solo un mezzo di trasporto, e quindi di comunicazione, la bicicletta, ma anche uno strumento di appartenenza: più che a una classe, a un popolo. Lo dicono i fatti e gli scritti, lo fa capire il modo in cui viene usata e il modo in cui viene cantata. Due esempi fra i molti: Alfredo Oriani, classe 1852, che in bici ha viaggiato e ha pubblicato, nel 1902, una raccolta di novelle intitolata Bicicletta, e Marco Pantani, classe 1970, che a colpi di pedale ha scritto storie e incarnato leggende, l ultimo dei magnifici sette, con Coppi, Anquetil, Merckx, Hinault, Roche, Indurain, ad avere vinto nello stesso anno, il 1998, Giro d Italia e Tour de France. «Il piacere della bicicletta è quello stesso della libertà, forse meglio di una liberazione scrive Oriani ormai cinquantenne. Andarsene ovunque, ad ogni momento, arrestandosi alla prima velleità di un capriccio... La bicicletta siamo ancora noi che vinciamo lo spazio ed il tempo; stiamo in bilico e quindi nella indecisione di un giuoco colla tranquilla sicurezza di vincere; siamo soli senza nemmeno il contatto colla terra, che le nostre ruote sfiorano appena». Poco oltre, aggiunge una nota non smentibile un secolo più tardi: «Domani la carrozzella automobile ci permetterà viaggi più rapidi e più lunghi, ma non saremo più né così liberi, né così soli: l automobile non potrà identificarsi con noi come la bicicletta, non saranno le nostre gambe che muovono gli stantuffi... Ci darà il senso doloroso del limite, appunto perché separata da noi, sospinta da una forza che non può fondersi colla nostra». Identificarsi con noi. Questo fanno le due ruote con sellino, catena e manubrio. Più di tutti, si sono identificate con Marco Pantani. Il Pirata aveva quel fisico speciale che completa la bicicletta. A piedi era uno scricciolo improbabile, uno scheletrico elefantino. In sella diventava tutt uno con il mezzo meccanico, aveva la perfezione di un centauro che fondeva umanità e tecnologia. Fisicamente perfetto per la bici, come lui, prima di lui, solo Fausto Coppi, il Campionissimo. Pantani è l uomo che ha messo le montagne ai suoi piedi e tutta la sua passione, forza e la fragilità, nel ciclismo. Come ogni grande scalatore, era innamorato della solitudine. Scattava in salita e andava veloce per abbreviare l agonia, raccontava. Forse diceva il vero. Puro istinto, la bici per lui non era un mezzo, ma una parte di sé. Senza, si sentiva monco, dimezzato. Come se gli staccassero l anima. Ha portato un pezzo di Romagna sul Mortirolo, sul Galibier, sul Mont Ventoux, anche ad Oropa, dove nel 1999, a inizio salita, perde la catena, sessanta posizioni e quasi un minuto dagli avversari. Ma in pochi ruggenti chilometri, si riprende tutto, danzando sui pedali fino alla vittoria. Libero, anarchico e felice. Almeno per un po.

6 44 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 CULTURA* Elefanti dalle zanne tempestate di gioielli, sovrani che ordinavano a Cartier diademi con migliaia di diamanti e a Hermès interni per auto di lusso Grandi ricchezze ostentate contro il regime coloniale. Una mostra al Victoria & Albert Museum di Londra racconta come il contatto con l Europa fece nascere un paese delle meraviglie C era una volta l India delle favole NATALIA ASPESI La principessa Sita Devi di Kapurtala aveva scelto Cecil Beaton per farsi fotografare, nel 1940, in tutto lo splendore della sua delicata bellezza e dei suoi enormi gioielli. Nel 1929 il maharaja Yeshwant Rao Holkar II di Indore, giovane uomo di assoluta eleganza déco, aveva chiesto a Bernard Boutet de Monvel, allora celebre illustratore di Vogue e ritrattista molto alla moda, di dipingerlo sia carico di perle e diamanti in un candido abito tradizionale indiano con uno strano turbante rosso, sia nel più perfetto dei tight europei, con mantella nera foderata di seta bianca. Nella sua autobiografia, la marani Sunity Devi scriveva nel 1921: «Adesso viviamo nel nuovo palazzo, giudicato uno dei più belli di tutta l India, disegnato da un architetto occidentale e costruito in stile eclettico». La spericolata viaggiatrice inglese Rosita Forbes raccontava nel 1939: «Il maharaja di Patiala amava la vita, il cibo, le donne e i gioielli, e siccome era così splendido, e ricco, e stravagante, così generoso e ospitale, e poiché sparava bene e guidava enormi automobili a una velocità fantastica e le fermava di colpo se il più povero dei suoi sudditi desiderava parlargli, poiché rideva e gettava denaro nelle mani dei mendicanti, il popolo lo amava sinceramente». L India fiabesca e sontuosa delle meraviglie, l India degli elefanti dalle zanne avvolte in fili di rubini, l India dei maharaja che si facevano pesare e distribuivano il corrispettivo in oro agli indigenti, l India che per un secolo fu una lontana colonia inglese il cui esotismo faceva parte dell immaginario popolare, invade il Victoria & Albert Museum di Londra con la grandiosa mostra Maharaja: lo splendore della corte reale indiana (10 ottobre gennaio 2010), curata da Anna Jackson del dipartimento di arte asiatica del museo in collaborazione con Amin Jaffer, direttore internazionale per TURBANTE A destra, un sarpech, ornamento per turbante della metà del Diciottesimo secolo: oro, rubini, smeraldi, diamanti, zaffiri e perle; in basso, un howda, la portantina che si metteva sul dorso degli elefanti Tutte le immagini di queste pagine sono tratte dal catalogo della mostra (Photo V&A Art Museum) IN RASSEGNA Si intitola Maharaja. The Splendour of India s Royal Courts la mostra al Victoria & Albert Museum di Londra che apre il 10 ottobre e durerà fino al 17 gennaio Duecentocinquanta tra oggetti di vita quotidiana, gioielli, dipinti che risalgono al periodo che va dall inizio del Diciottesimo alla metà del Ventesimo secolo Un viaggio attraverso la trasformazione della figura dei maharaja che entravano in contatto con il gusto, la cultura e la politica occidentali l arte asiatica di Christie s. E una grande parte sarà dedicata proprio alla passione dei monarchi della miriade di corti indiane per le massime raffinatezze europee, che davano un tocco di modernità al loro vivere in una tradizione di opulenza e dominio, nei costumi sontuosi e nei riti antichi che li rendevano sacri al loro popolo miserabile e sottomesso. I produttori del lusso più straordinario, soprattutto inglesi e francesi, creavano oggetti speciali solo per loro: certe Rolls-Royce Silver Wraith James Young, che andavano ad aggiungersi alle decine accumulate in diverse scuderie reali sin dall inizio del secolo scorso, che potevano essere la Citroën 5CV Vitesse con le mascotte di cristallo di Lalique disegnate da Red Ashay nel 1925 e og-

7 DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 45 REVERSO Due orologi reverso degli anni Trenta Jaeger-LeCoultre in acciaio e oro; nell immagine grande, un acquerello raffigurante il maharaja Amar Singh I di Mewar che si sottomette al principe Khurram Nella pagina a sinistra, ritratto del maharaja Krishnaraja di Mysore Paquin, le sorelle Callot, Jean Patou, Madeleine Vionnet, Elsa Schiaparelli, Molyneau, vestivano le marani per i ricevimenti alla corte inglese con abiti ricamati con fili di platino MicroMega 5/09 MARCO ZERBINO C è del marcio in Danimarca La prima grande inchiesta sull Italia dei valori, regione per regione, e sullo scontro tra vecchi potentati partitocratici e nuovi iscritti che vengono dai movimenti. FUCILE Un fucile Toredar, offerto alla East India Company dal Maharaja di Marwar, metà Diciannovesimo secolo: acciaio, legno e oro gi vendute all asta a caro prezzo, o la Delahaye 175 a sei cilindri con l interno arredato da Hermès nel I gioiellieri lavoravano ininterrottamente per maharaja e marani e rani, che inviavano loro casse di diamanti, rubini, topazi, zaffiri, smeraldi, di purezza e grossezza mai viste. E Cartier, per esempio, nel 1928 confezionò per il maharaja Bhupinder Singh di Patiala un giovanotto dai baffi all insù che si faceva fotografare da Vandyk con un turbante grondante smeraldi ed aigrettes, il petto ricoperto di fili di enormi perle con, incastonata nei diamanti, una miniatura della regina Vittoria una collana cerimoniale composta originariamente da diamanti per un valore di mille carati, con un diamante paglierino centrale di 234,65 carati. Paquin, le sorelle Callot, Jean Patou, Madeleine Vionnet, Elsa Schiaparelli, Jeanne Lanvin, Edward Molyneau, vestivano le marani per i ricevimenti alla corte inglese con abiti ricamati con fili di platino e pietre preziose, su cui queste solitamente bellissime, diafane signore dalla carnagione di luce e dai grandi occhi neri, portavano fili e fili di perle, mentre i loro consorti erano affezionati clienti di John Lobb per le scarpe di forma occidentale, e di Van Cleef & Arpels o Jaeger-LeCoultre per gli orologi disegnati solo per loro. L India della mostra è soprattutto quella esotica che stupiva e appassionava gli occidentali, l India che a partire dal Diciottesimo secolo, dovette cedere alla Compagnia delle Indie Orientali il commercio locale e l amministrazione dei tanti piccoli regni. Dal 1858 il controllo politico e commerciale passò direttamente alla Corona britannica, e la Regina Vittoria, che aveva imparato l hindu ma non mise mai piede nell immenso paese, ne divenne imperatrice nel La mostra, che espone duecentocinquanta oggetti per la maggior parte mai arrivati prima in Europa, si apre con la rappresentazione di una processione regale indiana, che comprende il modello di un elefante a grandezza naturale, tutto ingioiellato, con sul dorso una antica portantina d argento lavorato: lungo il percorso si incontrano il trono d oro del maharaja Ranjit Singh, le armature cesellate del sultano del Mysore, il palanchino di seta da viaggio proveniente dal Jodhpur per portare la moglie del maharaja, l incredibile tappeto di perle, rubini e diamanti, che nel 1903 venne utilizzato per un fastoso ricevimento dal maharaja di Baroda. Ma molti dei sovrani che nei primi decenni del secolo scorso sembravano interessati solo ai bauli di Vuitton o ai mobili déco di Ruhlmann, in realtà adulando gli inglesi appoggiavano la rivoluzione pacifica di Gandhi e si prodigavano per l indipendenza che di fatto fu conquistata nel I viceré inglesi disprezzavano quei maharaja, hindu, e quei nababbi, musulmani, che si consolavano della sudditanza con lo sfarzo delle loro vite. Parevano, come diceva Lord Curzon, delle marionette, e tale pare in fotografia Sayajirao Garkwad III di Baroda, con una vestina di seta ricoperta di gioielli e il turbante pure ingioiellato con a lato un fiocco di fili di perle. Eppure fu lui che nel 1911, davanti a Giorgio V e alla regina Mary, rifiutò di inchinarsi e di retrocedere senza voltarsi. Assieme alla moglie Chimnabai rese la scuola obbligatoria, costruì ospedali, biblioteche, ferrovie, impianti di irrigazione, e per pagare tutto questo fece fondere i cannoni d argento e vendette pezzi del famoso tappeto di perle. Grande fautore dell indipendenza dell India, lo fu anche dei diritti delle donne, proibendo la poligamia e le spose bambine, mandando le ragazze a studiare a Cambridge e inserendole nel parlamento. Il voto fu concesso alle donne indiane nel 1935, undici anni prima che alle italiane.

8 46 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 SPETTACOLI Sfrontata, smodata, battagliera, pronta a dare tutto sul palco, la più trasgressiva rocker italiana sta cambiando pelle al giro dei suoi cinquant anni: più saggia, matura, disponibile al sorriso e alle melodie d amore Ora un libro di fotografie e testi accompagna questa metamorfosi che il pubblico ha già mostrato di gradire Ricomincio da me Gianna GINO CASTALDO certe sbavature di tono erano diventate in qualche modo proverbiali, giustificate dall irruenza, dalla voglia di dare Se volessimo trovare il momento preciso in tutto, a volte anche troppo, a prezzo di concerti sempre cui è iniziata la seconda (seconda, terza o ennesima se preferite) vita di Gianna Nannini, rotondo, rabbioso come di consueto, ma più controllato. al limite dello svenimento, ora il canto era più sicuro, più dovremmo ritornare al febbraio del In Se prima a ogni esibizione sembrava dover per forza gettare il cuore oltre l ostacolo, ora si avvertiva una inedita quei giorni nelle radio si cominciò a sentire Sei nell anima, un pezzo di quelli che non lasciano saggezza, una gestione attenta e ben dosata. Ascoltando scampo, un pugno melodico che riportava il no- bene si percepiva perfino un estensione maggiore, pro- me di Gianna al primo posto della classifica dopo sedici piziata dalla maturità e da un rinnovato studio di canto. anni. Pubblico al tappeto, nuova partita, quattrocentomila Da allora non ne ha sbagliata una. Due enormi suc- copie andate via in poco tempo (cifra notevole nei cessi radiofonici, Attimo e Maledetto Ciao, la grande hit IN LIBRERIA Gianna Nannini Stati d anima (Bompiani, 424 pagine, 29 euro) è un libro di testi e immagini che contiene pensieri della Nannini (alcuni raccolti nella pagina accanto), un racconto di Edoado Nesi con il progetto visivo di Alberto Bettinetti In libreria il 7 ottobre bollettini del nuovo millennio), disco più venduto dell anno e soprattutto, numeri a parte, un aria nuova, una pienezza dei sensi, una pacificata disponibilità al sorriso, alla melodia d amore, che l inquieta cantautrice non mostrava da molto tempo, se mai l aveva mostrata fino in fondo. A quel punto era vicina a compiere i cinquant anni, il centro avanzato della vita, la data che simbolicamente segnala la maturità. Ma si può associare questa idea di maturità alla più scarmigliata delle nostre voci femminili? Difficile, ma non impossibile. Se poi si andava a vederla in concerto, si scopriva un altro elemento nuovo. Al di là di ogni ragionevole dubbio, cantava meglio. Se prima aveva puntato tutto sul temperamento e non certo sulla finezza vocale, al punto che dell estate dal doppio platino Giannadream-Solo i sogni sono veri, e il tour a cui ha dovuto raddoppiare le date dei concerti di Roma (30 e 31 ottobre) e Milano (13 e 14 novembre). Il periodo felice continua e lei sembra sempre più stabilmente padrona del suo successo. Non che fosse mai del tutto scomparsa, il suo nome tornava sempre, sotto forma delle Notti magiche cantate con Edoardo Bennato per i mondiali di calcio del 1990, o in un provocatorio concerto per Greenpeace improvvisato di forza a Roma sui balconi di palazzo Farnese, dove lei sembrava una furiosa Erinni, e poi dischi, riscoperte, versioni acustiche, autobiografie. Ma una potenza di fuoco del genere non si avvertiva almeno dai tempi di Fotoromanza (1984) che già aveva rappresentato un ritorno trion- fale sulle scene italiane dopo qualche anno di infatuazione con l Europa del nord, Germania in testa, propiziata dal manager svizzero Peter Zumsteg e dal produttore Connie Plank. La Gianna, ragazza di buona famiglia senese, ribelle per indole, scarmigliata ed eccessiva, poco avvezza alle convenzioni della scena italica, si è sempre sentita in fondo una cittadina del mondo. Non dimentichiamo che il suo primo album di successo, California, portava in copertina una statua della libertà con in mano un vibratore a stelle e strisce. A molti fece uno strano effetto perché a quel tempo le trasgressioni erano accettate sì, ma preferibilmente dagli uomini. Una donna così sfrontata metteva in imbarazzo, anche quando in quello stesso disco cantava «lui allunga la mano e si tocca l America», urlando come una forsennata. E in imbarazzo aveva messo anche il padre, comprensibilmente se consideriamo che il signor Nannini era un noto e rispettabile industriale della città e per di più presidente del Siena calcio. Ci fu un inevitabile conflitto, risolto negli ultimi anni, al punto che nel 2006, nel disco del trionfo, significativamente intitolato Grazie, aveva inserito un pezzo, Babbino caro, per l appunto dedicato al padre, scomparso poi l anno seguente. Dunque era per così dire naturale che l indomita fanciulla cercasse comprensione altrove, in paesi meno pruriginosi del nostro. Dove poter essere rock, smodata, sudata, donna, urlatrice, battagliera. In fondo un cliché che, a ben analizzare la sua carriera, regge fino a un certo punto. In passato ha interpretato Brecht, si è laureata con una tesi sulle relazioni tra corpo e gestualità, sull esempio di Janis Joplin e dei canti etnici. E alla sua appartenenza non ha mai rinunciato, a cominciare dalla parlata senese (è nata nella contrada dell Oca), da una sincerità maliziosa e sboccata che è tutta toscana, e anzi negli ultimi anni ha sempre più decisamente riscoperto le

9 DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 47 TERZA LICEO I disegni di queste pagine sono illustrazioni del diario di Gianna Nannini in terza liceo scientifico (Archivio GNG Musica). A sinistra, Gianna da bambina (Archivio GNG Musica). Nell altra pagina, la Nannini Live at Shepherds Bush Empire, Londra 2007 (Foto Gerald Jenkins) Perché noi si è come ci pare GIANNA NANNINI Che feste che girotondi che risate con le bambine raccolte per il mio compleanno. Una torta per Gianna, regalo costante del mio papà, si perché ai regali veri e propri ci pensa la mamma. Vestitini... poi, io con questi vestitini alla marinara ci faccio sempre la pizza. Ma se non ci fosse stata Anna, mia zia della Maremma, come avrei fatto ad andare a cantare: a Certaldo, a Massarosa, a Viareggio, per esibirmi voce e chitarra. Lei che di nascosto mi invitava a casa sua a dormire così la sera potevo cantare nei locali. Tredicianni vergine e scalmanata: il miì babbo si incazza. «Venga qua, ieri sera ha portato la mia figliola... guardi io non voglio che lei la porti in quei postacci a cantare!». «Ma perché se le piace...». «Non ce la deve portare più». «No io ce la porto. Le piace, perché non la devo fare cantare». «Non voglio che...». Voleva che io stessi nell azienda, non voleva che io prendessi questa strada. «E invece», dice ora la mia zia al telefono «s è come ci pare» eh eh... «e andava via tutto torto... camminava a gobboni smanettava e andava via a capo basso». Grazie Zia Anna. *** Le meraviglie si trovano solo in fondo al mare, quando ti immergi, perché inizi un viaggio che non sai dove ti porta. Non sai mai dove ti porta il mare. *** CHITARRA In alto, foto di classe alle elementari (Archivio GNG Musica) A destra, Gianna a sedici anni (Galliano Passerini) e tre copertine dei suoi dischi Sogno e mi immergo in altre dimensioni esistenti, chissà quante ce ne sono? È come essere su una radio frequenza, e se cambi stazioni sei su un altra onda, ma la radio che sentivi prima e che ora non senti, esiste ancora. Passo attraverso lo specchio, per raggiungere la meraviglia, un luogo dove mi va di svanire o trasformarmi... *** «Che divento il tuo piccolo gigante, nell aria sei un diamante, nell aria a piedi nudi. Sogno che entra il mare in questo bosco di frattali ed io conosco i funghi e tu raccogli i fondi. Ci sarà qualcosa nei tuoi occhi viola, ci sarà qualcosa nella vita per cui valga la pena». ( 2009 Rcs Libri Spa / Bompiani) sue radici musicali, canti tradizionali, ottave in rima, e su questo verseggiare ci ha scritto addirittura un opera, Pia de Tolomei, eroina senese uccisa in Maremma, simbolo della sofferenza e dell ingiustizia subita dalle donne. In fondo, sembra il ritratto di una combattente, di un intellettuale da trincea, di una poetessa testa calda, ma che non disdegna affatto, quando le capita, una melodia capace di viaggiare sull onda del sentimento popolare. Può essere un amore che è «una camera a gas», può essere la civetteria di Bello e impossibile, o l esplosione solare e contagiosa di Sei nell anima. Ma è anche vero che la maturità porta consiglio. Questa idea comincia a starle addosso, non è più rifiutata a priori per congenita ribalderia. Sembra quasi che ci goda ad apparire più assennata. Lo sguardo si è fatto più consapevole, lungimirante. L ennesima rinascita si sviluppa nel segno della stabilità. Anzi, si può dire che alla prova dei fatti anche nel rock, arte per eccellenza attribuita alla intemperanza giovanile, i cinquant anni possano essere un età perfetta. E Gianna Nannini ne è un esempio lampante. I fatti lo dimostrano. Di giovani capaci di scalzare la vecchia generazione non se ne vedono molti, e non è detto che anche questo fattore non stimoli, come dire, un certo senso di responsabilità. Rinascere è bello e dopo i cinquanta il sapore può essere ancora più inebriante.

10 48 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 i sapori Autunno a tavola La stagione, partita al ralenti, ora promette molto bene e garantisce ai gourmet un ampia gamma di piatti golosi Perché pochi alimenti come questi piccoli regali del bosco sanno essere protagonisti assoluti e insieme eccellenti comprimari. Ma attenzione, la regola per ottenere il meglio è comunque fissa: mano leggera e preparazioni veloci Risotto funghi e fichi Chicco Cerea (Da Vittorio, Brusaporto, Bergamo) abbina profumi e consistenze: la croccantezza mantecata del risotto allo zafferano, la morbida dolcezza del carpaccio di fichi e la fragranza dei finferli Millimetro di polenta ai funghi Alfredo Russo (Dolce Stil Novo, Reggia di Venaria Reale, Torino), stende nel piatto una spuma di toma di Lanzo. Sopra, crema di chiodini, finferli stufati e porcini arrostiti Copertura con polenta affettata finissima Trippa di baccalà ai funghi Valeria Piccini (Da Caino, Montemerano, Grosseto) compone un piatto succulento con la trippa lessata, tagliata a listarelle, avvolta nella pancetta e spadellata Servita con finferli saltati e cipollotti Medaglie ai finferli Marcello Leoni (Locanda del Sole, Trebbo sul Reno, Bologna), elabora delle soffici medaglie di acqua di pomodoro, impreziosite dai finferli e da un piccolo sarago. Completa il piatto una salsa al formaggio squacquerone LICIA GRANELLO Spuntano come funghi, si dice. E in effetti funziona così: il giorno prima, il bosco sembra orfano dei suoi piccolissimi puff colorati di arancio e marrone, e il giorno dopo è tutto un fiorire di prataioli, porcini&co. La stagione, cominciata al rallentatore, promette molto bene, per la gioia di chi pratica la cucina fungaiola con approccio adorante. Perché è il concetto stesso di fungo a pretendere che ci si schieri: democratici ma al limite del tossico, suadenti ma traditori, esserne affascinati o detestarli può essere una questione di pochi bocconi. Comunque, chi li ama, li ama davvero. E li aspetta, spesso tenendo a portata di mano scarponcini e cesto di vimini. Composto di raccoglitori coscienziosi e golosi senza ansia di gite campagnole, l eden dei buongustai autunnali riesce tanto più godurioso se si è coscienti che le cappelle fritte o grigliate rappresentano sì la parte più glamour, ma sicuramente anche quella minoritaria, nel panorama della gastronomia porcina (e non solo). Certo, pochi alimenti come il fungo sanno essere protagonisti eleganti e carnali nei piatti monodedicati. Esempi di a-solo come gli ovuli crudi in insalata o i porcini spadellati fanno rabbrividire gli adepti di piacere. Ma non c è cuoco che di fronte alla Grande Sfida utilizzarli così, come natura li ha creati, o inserirli nel vivo di una ricetta scelga la prima opzione e non si getti anima e mestoli anche nella seconda. Perché i funghi senza competizioni e classifiche di forme e varietà, se non quelle dettate dal proprio palato sanno essere protagonisti indimenticabili, ma anche eccellenti comprimari, ingredienti insoliti e preziosi di mille preparazioni diverse, pronti a stupire, veri jolly gourmand da spendere in cucina. Questione di feeling fungaiolo. A un passo dalla superstar boletus e dai magnifici reali, non si può ignorare l allegra brigata di funghi e funghetti pronti a stupire, a partire da orecchiette e chiodini. A vederli così, sembrano nulla, eppure se di prima scelta, il fungo non ammette ammaccature né vecchiezza hanno la straordinaria capacità di cambiare faccia L appuntamento Appuntamenti sparsi per celebrare i funghi. Oggi, festa del porcino a Valle del Bagnone, nel cuore della Lunigiana Nel prossimo fine settimana, ancora porcini in passerella a Casale di Pari, Grosseto, mentre nell ultimo weekend del mese, golosi e cercatori si ritroveranno a Mammola, Reggio Calabria Negli stessi giorni, a Dello, Brescia, mercato in piazza e degustazioni dei chiodini con la polenta Jolly da giocare Funghi in cento ricette a un piatto. Le regole sono poche, e vanno rigorosamente rispettate: una volta accertato che siano felicemente commestibili mai sopravvalutare la propria abilità nel riconoscerli richiedono mano leggera e preparazioni veloci. Guai a lavaggi prolungati e a cotture insensate, sì a spadellate che li lasciano croccanti e profumati, risotti dove tocchetti e lamelle riescono consistenti e aromatici sotto i denti, fritti dove l impanatura corrobori invece di appiattire e banalizzare. I più bravi tra i fornelli si spingono più in là, trasformando i protagonisti di cento ricette in incredibili correttori di sapore. Li spadellano con un filo di extravergine profumato d aglio, li frullano e voilà, la magia è in tavola: in un sugo, una crema di verdure, una carne brasata, un minestrone, stuzzicano, armonizzano, esaltano. Se grembiule e tagliere vi riescono estranei, basta dispiegare la mappa dello stivale e puntare la matita: dalla Val d Aosta alle isole, non c è regione dove manchi un orgogliosa tradizione fungaiola. E che il fritto misto sia con voi. Italo Calvino Un giorno, sulla striscia d aiola d un corso cittadino, capitò chissà donde una ventata di spore, e ci germinarono dei funghi Nessuno se ne accorse tranne il manovale Marcovaldo Da Marcovaldo

11 DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 49 itinerari Agata Parisella è la valente chef di Agata e Romeo, storico ristorante d autore a pochi passi dalla stazione Termini, a Roma Tra i suoi antipasti più appetitosi, la mousse di porcini e chiodini con pane tostato Almè (Bg) I funghi sono ingrediente principe della cucina autunnale in tutta l area bergamasca. Paolo Frosio usa i porcini locali per farcire il coniglio disossato, servito con polenta allo strachitunt (antenato del gorgonzola) DOVE DORMIRE BUONGUSTO B&B Via Mayr 3, località Mozzo Tel Camera doppia da 70 euro, colazione inclusa DOVE MANGIARE FROSIO Piazza Lemine 1 Tel Chiuso merc. e giov. a pranzo menù da 40 euro Sasso Marconi (Bo) I boschi dell Appennino toscoemiliano sono ricchissimi di funghi. Mille le ricette sfiziose dei migliori chef locali Aurora Mazzucchelli serve gli scampi crudi in un lieve brodo di funghi con cagliata affumicata DOVE DORMIRE LOCANDA DEL CASTELLO Palazzo de' Rossi Tel Camera doppia da 90 euro, colazione inclusa DOVE MANGIARE MARCONI Via Porrettana 291 Tel Chiuso domenica sera e lunedì menù da 50 euro Orvieto (Tr) La regina delle città slow è al centro di una campagna dove regnano olio, funghi e vino. Nel menù di Giangiacomo Blesio, un ottima zuppa di funghi e patate profumata al tartufo nero di Norcia DOVE DORMIRE ALBERGO FILIPPESCHI Via Filippeschi 19 Tel Camera doppia da 95 euro, colazione esclusa DOVE MANGIARE AL SAN GIOVENALE Piazza San Giovenale 6 Tel Chiuso lunedì, menù da 25 euro DOVE COMPRARE ORTOFRUTTA LE PRIMIZIE Via Masone 1, Bergamo Tel DOVE COMPRARE ORTOFRUTTA FOGLI Via dello Sport 1/b Tel DOVE COMPRARE I SAPORI DELL UMBRIA Corso Cavour 119 Tel Risotto Cento varianti per il primo piatto che accetta anche i funghi secchi, messi a bagno in acqua tiepida o brodo vegetale (si filtra prima dell uso in cottura) Il risotto va mantecato con burro e parmigiano Pappardelle Sugo bianco (extravergine e profumo d aglio) per la pasta fresca e porosa, da spadellare dopo breve bollitura. Rifinitura con parmigiano, pepe fresco e una manciata di prezzemolo tagliato finissimo Polenta Il piatto-culto della cucina di montagna associa la farina di mais (fine o grossa, bianca o gialla, cottura morbida o soda, con burro o formaggi) ai funghi trifolati, in umido o mantecati con panna Meglio crudo o cotto? Querelle sul porcino CARLO PETRINI Brasato Cottura lenta e morbidissima per il taglio di manzo (noce, scamone) rosolato con verdure e irrorato di vino Funghi aggiunti dopo metà cottura. Salsa da tirare prima di bagnare le fette Appartengo alla generazione che poteva andare in cerca di funghi in maniera libera e incondizionata, e l ho fatto parecchio, con gioia e soddisfazione sia nel trovare, sia nel mangiare. Tuttavia con gli anni ho smesso, perché una certa massificazione del fenomeno e l imperizia di molti che raccolgono come se pescassero con unaa rete a strascico ha reso necessarie limitazioni e regolamenti sacrosanti: i funghi sono gli spazzini del bosco, la loro presenza è fondamentale per mantenere vivo l humus e il fragile ecosistema in cui sono inseriti. Ricordo quella piccola ansia che si provava al ritorno a casa durante le prime spedizioni. Con il tempo e con l esperienza l occhio si affina e diventa più facile riconoscere le varietà commestibili, ma all inizio qualche dubbio restava sempre. Il fido verduriere sotto casa era la nostra garanzia contro le intossicazioni e gli avvelenamenti: vagliava la cavagna (il cesto) e devo dire che in fondo eravamo bravi, perché capitava raramente di buttare via qualcosa. Tuttavia anche molti funghi commestibili mantengono un certo grado di tossicità e lo sa bene chi ha avuto problemi di fegato: un altro motivo per cui ho dovuto rinunciare quasi del tutto al piacere di mangiarli e soprattutto crudi, come nel caso degli ovuli. In stagione era un piacere indimenticabile un insalata di ovuli reali al Belvedere di La Morra, quando alla guida del ristorante c era il mio amico Gian Bovio. A volte nell insalata Bovio ci metteva anche dei porcini crudi, e qui si sarebbe potuto aprire un dibattito infinito con un altro grande della ristorazione piemontese, Renato Dominici del mitico Le Carmagnole, acceso sostenitore del fatto che i porcini vanno rigorosamente consumati cotti. La mia amica torinese Enza Cavallero, storica, micologa, ampelografa e scrittrice, mi ha detto come sia curioso che il gusto di certi funghi mortali, come la famigerata amanita falloide, sia delizioso esattamente come quello degli ovuli che mi servivano al Belvedere. Però sarei curioso di sapere come hanno fatto a scoprirlo. È un mondo immenso quello dei funghi, non ancora del tutto compreso dall uomo, che si sviluppa tra ecologia e gastronomia, con in mezzo un po di tutto: ce ne sono alcuni, come l amanita muscaria (quello con la cappella rossa puntinata di bianco) che a seconda del terreno e delle caratteristiche ambientali possono diventare commestibili, tossici o addirittura allucinogeni. Ma non sono consigliabili rischiosi esperimenti gastronomicopsichedelici: niente a che vedere con il peyote messicano, la rituale carne degli dei, ma sicuramente qualcosa di più simile alla segale cornuta che, oltre ad aver fatto milioni morti in passato, è responsabile anche di molte allucinazioni che colsero le povere donne poi bollate e giustiziate come streghe. Meglio godere tranquillamente di un piatto di morilles (le spugnole) nel Giura francese: senza dubbio i migliori funghi che abbia mai mangiato e dei quali conservo il miglior ricordo.

12 50 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 le tendenze Anniversari COMPONIBILI Gli elementi componibili di Anna Castelli Ferrieri hanno arredato bagni e cucine ma anche camere da letto e salotti SEDIA COLOMBO È stata la prima sedia prodotta utilizzando un solo stampo. L ha ideata Joe Colombo con geniali incavi per impilarle senza fatica SPREMIAGRUMI Coloratissimo, un perno centrale e taglienti zigrinature. Così, nel 1957, Gino Colombini ha cambiato il look degli elettrodomestici ALZAIMMONDIZIE Ha rivoluzionato il modo di raccogliere la spazzatura Grazie alla retroflessione il manico è più agevole È tra gli oggetti più venduti ENRICO REGAZZONI Riflessioni sulla plastica, sfogliando il catalogo per i sessant anni della Kartell insieme a Michele De Lucchi, architetto e designer tra i più sensibili al rapporto tra forme e materiali. E subito una domanda, che forse è la domanda: che fine ha fatto la scommessa della plastica, che doveva sfondare il mercato al centro, con ottimo design e bassi costi di un economia di scala? E che invece oggi vive in due mondi lontanissimi fra loro, quello anonimo dell usa e getta e quello superfirmato di oggetti glamour non proprio a buon mercato? «Se la scommessa è stata perduta, non lo è stata così drasticamente», risponde De Lucchi, con la speciale gentilezza dei suoi modi. «Cosa ci ha dato la plastica? Prima di tutto la plasticità. Che non è tanto il materiale, ma l idea delle sue forme: lavorando il legno, il marmo, il vetro, la forma morbida era difficile da raggiungere. La plastica ha liberato tutto questo, consentendo forme più antropometriche, avvolgenti, e anche ergonomiche. Un materiale che ha sempre avuto bisogno di farsi vedere GNOMI Si chiamano Attila, Napoleon e Saint- Esprit. Sono i tre sgabelli tavolino ideati da Philippe Starck. Sono pensati come piani di appoggio o come semplici sgabelli. Adatti a ogni ambiente come novità: e la novità era nel coraggio di pensare a stampi sempre più complessi, che hanno condotto quel materiale a esiti incredibili». Nella lettura di De Lucchi, la plastica emerge dalla sua storia come una vera musa del design, più che un semplice materiale. Una storia anche molto concreta, dove a ogni conquista tecnologica corrispondono nuove possibilità espressive. «La radio disegnata da Castiglioni per Brionvega era bellissima, ma presentava delle rotondità un po timide, dettate da motivi tecnici. La forma plastica tradizionale, proprio per la difficoltà di estrazione dallo stampo, doveva infatti avere delle svasature e delle conicità di sformo che erano orribili, e difficilissime da evitare. Disegnare le macchine dell Olivetti era sempre una sfida a mascherare le conicità. Sottsass, per esempio, aveva lavorato moltissimo sulla Valentina per ridurre l aspetto carrozzeria della carrozzeria. Fare belle scatole di plastica era un impresa: ci riusciva solo George Sowden, e noi ci chiedevamo come facesse». Tema cruciale, all epoca, era quello del giunto. E qui si ricorda la soluzione forte proposta da Enzo Mari nella sua zuccheriera per Danese: senza giunto, appunto. «Quando si fanno delle forme di plastica, c è Quando il design incontrò il suo amore di plastica VICO MAGISTRETTI Architetto urbanista e uno tra i primi designer. Tra i suoi lavori più famosi, la lampada Atollo e la sedia Selene Diceva per esprimere la sua concezione: Le rotaie del tram sono design RONAN E ERWAN BOUROULLEC Francesi e fratelli ma soprattutto giovanissimi Il loro design, semplice ma non minimalista, è fatto di colore e poesia. Nati nel 1971 e nel 1976, le loro creazioni fanno parte delle collezioni permanenti del Centre Georges Pompidou e del Museum of Modern Art di New York FERRUCCIO LAVIANI Ha realizzato il concept del museo di Kartell, premiato in tutto il mondo come uno dei migliori musei aziendali Nato a Cremona, ha collaborato e collabora con marchi come Foscarini e Flos PATRICIA URQUIOLA Ha portato un tocco di femminilità nel mondo del design. E inventato una nuova idea del soggiorno Per lei i mobili si possono spostare e mescolare, l importante è stare insieme, e starci comodi

13 DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 LA DOMENICA DI REPUBBLICA 51 a cura di IRENE MARIA SCALISE TAKE Icona classica dell abat-jour da comodino rivista da Ferruccio Laviani. Grazie a una plissettatura interna, crea un gioco di riflessi LOUIS GHOST Disegnata da Philippe Starck nel 2002, è stata prodotta anche piccola, a misura di bambino. Indistruttibile e perfettamente ergonomica CENERENTOLA Nella versione in plastica trasparente le Glue Cinderella ricordano la scarpina di Cenerentola. Prodotte con Normaluisa T-TABLE Una linea di piccoli tavoli, simili a un centrino di pizzo con vuoti e pieni alternati È nata dalla creatività di Patricia Urquiola BOOKWORM Ha scandalizzato il mondo degli amanti delle librerie classiche e poi li ha fatti innamorare. È il serpente da muro firmato Ron Arad LAMPADA TERRA La lampada da terra disegnata da Marco Zanuso nel 1961 ha illuminato gli ambienti con eleganza Base e cielo simmetrici spetto a tutti gli altri materiali la plastica invecchia male. La bachelite di una volta, che era un tipo di plastica non polimerizzata, invecchiava bene. Quella odierna, no. Sono curioso di vedere cosa succederà con il corian, la nuova plastica in fogli che si taglia e si leviga come il legno. Si tratta di un materiale bello e costoso, con cui si fanno mobili. Al Museo del Design tutti gli elementi espositivi fatti da Citterio sono in corian. Potrebbe essere un materiale che invecchia bene». Nella sua lotta contro le rughe, la plastica è dunque costretta a sceneggiare un eterno presente. Per questo c è un aria ostentatamente preziosa, e fin glamour, in questo catalogo Kartell, che sfida la percezione comune di un materiale venale e difficilmente riciclabile. Ma perché nessuno investe idee e denaro nel design dell usa e getta? Qualche decennio fa, Joe Colombo disegnava le posate di plastica dell Alitalia, e oggi? «Oggi ci sono degli esperimenti interessanti, e anche dei successi, con le plastiche ecologiche. Plastiche non ricavate dal petrolio ma dal mais o dal riso, che si decompongono in un anno e non lasciano scorie. La più nota è il mater b: una mia collaboratrice, Daniela Danzi, ha messo su un azienda che si chiama Pandora Design e fa oggetti per il catering proprio in mater b. Con il suo Moscardino, un cucchiaio-forchetta, ha vinto il Compasso d oro. Buttandolo via, dopo l uso, non pensi di inquinare, ma di concimare». Lodevoli avanguardie, ma al momento il design di massa resta orientato su altri materiali. Lo spremiagrumi, che anni fa fu di plastica, è tornato a essere di vetro; il raccatta-immondizie è in alluminio; e lo scolapiatti lo compri in legno, all Ikea. «È un po come il tema dell energia: nessuno è più convinto che ci sarà un unica alternativa al petrolio. Useremo energia solare, eolica, geologica, e magari quella delle correnti sottomarine. La plastica si è dovuta costruire un suo spazio in un mondo in cui arrivano tanti materiali diversi. Il nuovo legno, ad esempio, non è più quello degli artigiani medievali: è compensato, medium density, impiallacciature sempre più sottili Per non dire dell alluminio, che ha lo straordinario vantaggio di poter essere rigenerato. E poi il vetro, il marmo, materiali che continuano a evolversi. Con le nuove lavorazioni oggi si ottengono piastrelle in marmo bellissime, e che costano poco perché fatte a macchina. Tante possibilità materiche, insomma, che vogliono liberare il pianeta. E la plastica è una di sempre una riga nel punto in cui i giunti si separano. Il primo che ha pensato di utilizzare questa riga, che è un vero limite, è stato Starck, che in un tavolo della Kartell, lavorando sullo stampo, l ha trasformata in onde: bellissimo. Starck è bravo, e con la sua disinibizione sa introdurre nel mondo della plastica forme antiche, magari banali, che rifatte con la perfezione di questo materiale diventano belle. Ecco un altra caratteristica: è perfetta. La plastica imperfetta viene buttata via. Guardi questa sedia, è così lucida che sembra un legno laccato da un artigiano giapponese. Solo che se lo fosse costerebbe moltissimo. Fin dagli inizi la Kartell di Giulio Castelli ha lavorato perché la plastica fosse sempre più bella. Pensi alle trasparenze delle nuove plastiche: da lontano puoi scambiarle per vetro. Infine, l introduzione del superdimensionato, che è di pochi anni fa. Una volta non si potevano fare grandi stampi, perché erano molto costosi e richiedevano troppa potenza di iniezione. Oggi, con le tecniche rotazionali, si possono produrre oggetti molto grandi, come questi divani. E si aprono nuove possibilità formali». Perfezione del superlucido, nuova trasparenza, grandi formati. E i difetti? «Uno, soprattutto: che riqueste. Ecco perché fa bene Claudio Luti, oggi al timone della Kartell, a seguire questa strada, visto che la plastica non deve competere con la povera plastica, ma con il grande legno, il grande vetro, il grande alluminio. Ed è anche corretto che chieda ai suoi prodotti di lottare contro il tempo assorbendo il massimo della contemporaneità, al limite della stravaganza». Dalla sua la plastica ha il vantaggio di quei colori forti, impattanti e mai volgari, che le valsero un posto in prima fila ai tempi dell insurrezione di Memphis (cui prese parte lo stesso De Lucchi) contro i rigori del moderno. «Il nostro obiettivo era quello di rompere con le convenzioni, e mostrare che il design era il miglior testimone del nostro tempo. Così scegliemmo i laminati plastici per le decorazioni, per affermare con forza che l ornamento non è delitto, come sosteneva Loos». Prima ancora, però, quegli stessi colori avevano animato la nostra vita domestica proprio grazie alla Kartell. Una sedia rossa, un comodino giallo, un secchio blu. «Castelli aveva intuito che con la plastica poteva rendere belli gli oggetti banali. Fu la sua mossa vincente. E, in questo senso, fu il primo a scoprire il design». Mari, Magistretti, Starck, Urquiola: sono solo alcuni dei creativi che dal 1949 a oggi hanno lavorato per l azienda che ha rivoluzionato il look del nostro arredamento e animato la nostra vita domestica E ancora adesso, al tempo dei materiali ecologicamente corretti, la sfida resta la stessa: rendere belli gli oggetti più banali PHILIPPE STARCK Ha nobilitato la plastica e si è guadagnato il titolo di più grande designer vivente. Geniale autodidatta, si considera paladino del design democratico. Per alcuni è un "divo", per altri un replicante PIERO LISSONI Ha fatto dell astrazione il suo biglietto da visita, ricercando nelle linee pure le chiavi per concepire gli spazi Autentico maestro di stile, non ama definirsi un semplice designer, semmai un architetto ANTONIO CITTERIO Nel 1999 fonda la "Antonio Citterio and Partners", studio multidisciplinare di progettazione per l'architettura Ha realizzato alberghi, complessi residenziali e commerciali, stabilimenti industriali ANNA CASTELLI FERRIERI È stata l ispiratrice delle sperimentazioni del marchio Kartell, fondato dal marito Giulio Castelli. Regina della plastica, l ha trasformata e plasmata con tecnologie all avanguardia RON ARAD Per primo ha modellato l acciaio temperato in nuove forme Originale, innovativo e coraggioso, la sua creatività influenza l evoluzione del design. Per Kartell ha disegnato icone come la sedia Fpe

14 52 LA DOMENICA DI REPUBBLICA DOMENICA 4 OTTOBRE 2009 l incontro Premi Oscar Il grande regista, premiato per il suo cinema viaggiante, racconta tutti i suoi altrove : il marchio a fuoco della prima visita in Oriente; la Cina Bernardo Bertolucci de L ultimo imperatore ; il Marocco di Bowles e del Tè nel deserto Il viaggio spiega può avere una misura terrificante e tragica e il viaggiatore, a differenza del turista, non torna a casa calamitato dal fascino dell ignoto STEFANO MALATESTA ROMA Qualche giorno fa ero seduto sul divano nella casa romana di Bernardo Bertolucci, ascoltando il regista che con voce soave diceva che da ragazzo, e anche da grandicello, non era mai stato un viaggiatore. «Non erano viaggiatori mio padre e mia madre, non lo ero io. Ho letto da qualche parte, in uno dei libri di Paul Bowles, che la differenza tra il turista e il viaggiatore sta nel ritorno a casa. Il turista arriva sul posto, ma dopo qualche tempo sente lo stimolo della nostalgia e si affretta a riprendere la strada del paesello natio. Il viaggiatore, invece, vuole andare avanti e sempre più avanti, perché il fascino dell ignoto è più forte del ricordo della home». «Conosco bene Parigi, una città che quelli nati, come me, a Parma considerano la loro capitale, e alcuni miei film sono stati girati tra i magnifici caffè all aperto, le brasserie, le uscite della metropolitana, i viali alberati e i piccoli alberghi incantevoli e un po sudici. La prima volta che ci sono andato avevo diciannove anni e il viaggio era un premio per aver passato la maturità. Guidavo una Cinquecento, ero in compagnia di mio cugino Giovanni e allora ma anche adesso questa trasferta da Parma a Parigi aveva assunto le dimensioni di un impresa epica, paragonabile a un canto omerico. Da allora sono tornato un infinità di volte in questa città avendo sempre la sensazione di essere finito in un luogo remoto. Eppure, quando passeggio per Rue du Bac o lungo il Boulevard Saint-Germain, riconosco anche le pietre e potrei indicare quali sono le brasserie dove vendono i migliori croissant». Non vedevo Bernardo da qualche anno, da quando ci eravamo trovati in due casali confinanti in un angolo splendido della Val d Orcia. La sera, se l elegante e bella padrona di casa di cui ero ospite acconsentiva a trasformarsi in una cuoca provetta, si cenava insieme, con sua moglie Claire e qualcuno dei suoi collaboratori, che costituivano una piccola e allegra corte. Le conversazioni spaziavano fino ai consueti brevi cenni sull universo, anche se non ricordo che si parlasse di viaggi. E avevo dato per acquisito che uno della cultura del regista con moglie inglese, con aiutanti poliglotti, intimo amico di Alberto Moravia e di Pier Paolo Pasolini, che adorava Conrad e che avrebbe voluto girare un film sulla Shanghai del 1927 ululante di rivoluzionari professionisti e di aristocratiche russe bianche in fuga dal regime sovietico che servivano molto scollate nei locali notturni non poteva che essere stato un grande viaggiatore. Ma quel giorno in casa sua mi accorsi che una certa perplessità, molto simile allo sgomento, trapelava dalla faccia di chi mi aveva accompagnato da Bertolucci. La Società Geografica Italiana gli aveva appena conferito il premio alla carriera La Navicella d Oro per il suo cinema viaggiante, diciamo così, e noi eravamo lì esattamente perché illustrasse tutte le sue trasferte in modo da arricchirle con particolari eccitanti o spiritosi e con coloriture che solo lui era in grado di dare. Ed ora Bernardo stava spiegando che il suo viaggio preferito, da ragazzo, era stato quello intorno a una sedia o a una stanza. E si era messo a ripetere che sapeva assai poco della letteratura di viaggio, che confondeva gli autori e che, in fondo, non era poi molto interessato. Poi aggiunse: «Ma certo con Conrad uno si accorge che il viaggio può avere una dimensione terrificante, anche tragica». Era l occasione che stavo aspettando. Sullo scrittore polacco l intervista poteva essere raddrizzata e chiesi a Bernardo se, leggendo Lord Jim, aveva capito nelle prime trenta pagine del libro cosa stesse veramente succedendo. Lui rispose che Conrad scriveva in inglese ma il suo genere letterario rispondeva a misteriosi itinerari barocchi molto polacchi e molto più complicati e oscuri di quelli che avrebbe seguito un anglosassone. Lord Jimera stato pensato come la tragedia dell inadeguatezza il protagonista era un capitano incapace di affrontare situazioni d emergenza ma tutto era detto in modo indiretto, attraverso volute e passaggi tenebrosi che facevano l originalità del testo. Finalmente avevo ritrovato il viaggiatore. Nel 1973 sua moglie Claire riesce a convincerlo a partire per un glorioso viaggio in Estremo Oriente: Singapore, Bali, Bangkok e poi anche Katmandu, in Nepal. «Erano contrade non ancora contagiate dal turismo di massa. Lì ho scoperto che viaggiare mi piaceva moltissimo. È stata un esperienza simile a quella che si prova entrando per la prima volta nel deserto e che i francesi hanno chiamato le bapteme de la solitude. O fuggivi via e non tornavi mai più o venivi affascinato da quelle lande desolate. Il viaggio s impresse su di me con la forza di un imprint,quello di cui parla il famoso etologo Lorenz: un marchio a fuoco che rimane per sempre. Qualche tempo dopo, a metà degli anni Ottanta fu la volta della Cina, dove andai con i due sceneggiatori del film L ultimo imperatore. Questo primo viaggio fu sconvolgente. Mi innamorai dei cinesi, di quello che vedevo. Prima di partire avevo incontrato Michelangelo Antonioni il regista che aveva girato Chunkuo, il primo grande documentario occidentale sulla Cina chiusa ancora agli stranieri. Le riprese non erano molto piaciute ai cinesi e Antonioni fu messo all indice, insieme alla musica di Beethoven e alle opere di Confucio. Antonioni era molto orgoglioso di quella illustre compagnia e si congedò con una battuta di cui mi sarei ricordato solo più tardi: «La Cina più la conosci e Conosco bene Parigi, ci sono tornato infinite volte. Eppure, quando ci cammino, ho sempre la sensazione di essere finito in un luogo remoto FOTO GRAZIA NERI meno la capisci». «Ma all inizio a Pechino ero tutto preso dalla mia nuova esperienza e facevo a tutti le stesse domande: se sapevano qualcosa del Figlio del cielo che era diventato giardiniere all Orto botanico di Pechino, e che cosa gli avevano fatto, come si erano comportati durante la Rivoluzione culturale. Andando a cena con dei giovani registi poteva succedere che le nostre conversazioni si trasformassero di colpo in una serie di psicodrammi, con pianti e mea culpa recitati senza ritegno. Il regista di Addio mia concubina raccontò che a quindici anni era una fanatica Guardia rossa che aveva denunciato suo padre, capo dell associazione dei registi cinesi». «Per il film ho girato molto non solo in Cina ma anche in Manciuria, dove l ultimo imperatore era stato incoronato per la seconda volta dai giapponesi, come fantoccio. Al museo di Chan Chi mi è capitato di vedere una piccola decorazione che riuniva il simbolo di quattro paesi: il fascio, la svastica, il sol levante, l orchidea del Manchukuo. Alcune scene sono ambientate nelle sale deco del Centro sperimentale di cinematografia, nella periferia romana, più manciuriane di quelle vere. Non ho mai amato girare nei teatri di posa come faceva Kubrick, ho sempre scelto non di copiare dal vero ma di inventare dal vero. Fellini ha girato a Ostia tutte le scene de I Vitelloniche si dovrebbero svolgere a Rimini, e che sembrano più reali e credibili di quelle vere». «Ai cinesi avevo proposto non una, ma due pellicole, e avevo anche fatto tradurre la sceneggiatura della seconda, tratta da La condition humaine di Malraux. Malraux, oltre ad avere un indubbio genio che si mostrava solo a tratti, presentava una personalità a più facce: era un fenomenale raccontatore di balle e da giovane era stato arrestato per aver portato via alcune sculture da Angkor Wat. Ma era riuscito a incantare una quantità di uomini illustri tra cui Charles De Gaulle. E il libro, anche se ondeggiava in qualche contraddizione, descriveva in maniera impareggiabile la rivolta del 27 dei giovani comunisti di Shanghai. La rivolta era stata schiacciata dalle truppe del Kuomintang guidate da Chang Kaishek, ma prima di essere fucilati i capi rivoluzionari, tutti giovani molto attraenti per ingegno e coraggio, avevano fatto in tempo a farsi ammirare e a diventare un mito per tutta la sinistra europea occidentale. Ma i dirigenti cinesi non avevano nessuna voglia di mettere in discussione o più semplicemente di mettere mano alla storia ufficiale e il film naturalmente non si fece». Parlammo successivamente del Nord Africa e di Paul Bowles ed eravamo d accordo sul fatto che abitava in uno dei posti più squallidi e tristi che avessimo mai visto. Ma, quando io avevo chiesto allo scrittore perché non fosse andato a abitare nella più confortevole Medina, lui era diventato di colpo gelido: «Alla Medina ci abitano gli antiquari svizzeri». Bernardo si mise a ridere: «In effetti Paul era un tremendo snob, un dandy come se ne incontravano solo negli anni Trenta. Sempre curato nella persona e nei vestiti come se stesse in un ufficio di New York. E tu eri andato a sfruculiarlo su un tema delicato. Era arrivato in Europa al seguito di Harold Copland e poi era andato a stabilirsi a Tangeri su consiglio di Gertrude Stein. Si era sposato con una scrittrice dotata e fino a un certo punto il matrimonio funzionò: lui aveva sposato una lesbica per liberarsi delle donne e lei un omosessuale per liberarsi degli uomini». Nel suo film Il tè nel deserto Bernardo era riuscito a cogliere con esattezza le chiavi di lettura del libro di Bowles: inaudite atrocità svolte in luoghi dove non esisteva nessuna possibilità di aiuto e dove la pietà era sconosciuta, raccontate in modo impersonale, quasi freddo, da anatomo-patologo. L intervista a Bernardo era stata preparata come sostitutiva della sua presenza al Festival della Letteratura di Viaggio. Il regista non usciva quasi più di casa e ci aveva dato poche speranze di vederlo alla premiazione al Palazzo delle Esposizioni. Poi quella sera vidi qualcuno che entrava nella sala affollata e buia e si sistemava sotto al palcoscenico. Dopo pochi secondi la luce si accese e gli spettatori si trovarono di fronte Bertolucci seduto su una sedia a rotelle, piuttosto emozionato. Ci fu un attimo di totale silenzio, poi tutti si alzarono battendo le mani. Non per una standing ovation, ma per un affettuosissimo, sentito anche commovente e ringraziamento.

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