PATRIE COMUNI - PROLOGO -

Dimensione: px

Iniziare la visualizzazioe della pagina:

Download "PATRIE COMUNI - PROLOGO -"

Lisa Negro
8 anni fa
Visualizzazioni

1 PATRIE COMUNI - PROLOGO - drammaturgia di Paolo Billi frammenti da Jean Améry DI QUANTA PATRIA HA BISOGNO L UOMO? INTRODUZIONE PATRIE COMUNI è una rappresentazione che si concluderà l anno prossimo, di gennaio. Personaggi e interpreti sono le immagini di quel che si intravvede dalle finestre di case abitate da genti pugliesi e magrebine e siciliane, kossovare e albanesi, ivoriane e montenegrine indiane e bolognesi, camerunensi e sarde. L azione si svolge in via Deledda, in via Svevo, via Pirandello, in via Frati, in via Trauzzi, in via Larga. Le parole che ascolterete sono state scritte da Jean Amèry, ebreo, profugo, combattente nella Resistenza, sottoposto a torture e deportato ad Auschwitz. Esempio di intellettuale disorganico, scrittore rigoroso e schivo. Si è dato, quache anno fa, pacatamente la morte, come un saggio antico. Viene da porsi qualche domanda. Saranno mai possibili patrie comuni in un paese che sembra senza memoria? In un paese che ha dimenticato la propria storia? In un paese che, così, non ha più un passato? Saranno forse possibili patrie comuni in un paese che si vuole senza senso?

Personaggi e interpreti sono le immagini di quel che si intravvede dalle finestre di case abitate da genti pugliesi e magrebine e siciliane, kossovare e albanesi, ivoriane e montenegrine indiane e

2 PRIMA STAZIONE Seguendo i sentieri dei contrabbandieri in direzione di un paese, i cui doganieri e gendarmi non ci avrebbero consentito di passare il confine legalmente: eravamo privi di passaporto e visto, privi di un'identità civile giuridicamente valida, eravamo profughi. Fu un lungo cammino nella notte. Affondavamo nella neve sino al ginocchio; gli abeti scuri non erano diversi dai loro fratelli in patria, eppure erano già abeti belgi e noi sapevamo che non ci volevano. Da allora ho passato clandestinamente tanti di quei confini che ancora adesso è fonte di stupore e meraviglia passare una dogana in macchina, ben equipaggiato con tutti i documenti necessari; ogni volta il cuore mi batte più forte. SECONDA STAZIONE Ripensando ai primi giorni di esilio, ricordo in particolare il mio barcollare su un terreno instabile. Il solo fatto che non si potessero decifrare i volti della gente già incuteva timore. In una birreria al tavolo con me c era un uomo grande e grosso, con la testa quadrata: poteva essere un solido borghese, ma non era da escludere che fosse un portuale sospetto, pronto a spaccarmi la faccia per prendersi mia moglie. Volti, gesti, abiti, case, parole erano segni non decifrabili. Quel mondo per me era privo di ordine. Il sorriso del poliziotto che controllava i documenti Era benevolo, indifferente o sarcastico? La sua voce tradiva astio o esprimeva benevolenza? Non lo sapevo. Il vecchio ebreo con la barba nei nostri confronti era ben disposto o invece ci odiava perché con la nostra sola presenza in città gli aizzavamo contro una popolazione locale già stanca degli stranieri

Affondavamo nella neve sino al ginocchio; gli abeti scuri non erano diversi dai loro fratelli in patria, eppure erano già abeti belgi e noi sapevamo che non ci volevano.

3 Barcollavo attraverso questo mondo pieno di enigmi. L uomo con la testa quadrata, l agente di polizia dalla voce astiosa, l ebreo gorgogliante, erano i miei signori e padroni. In certi momenti nei loro confronti mi sentivo più vulnerabile di quanto non accadesse a casa al cospetto di una SS, perché di lei almeno sapevo con certezza che era stupida e crudele e che intendeva farmi fuori. TERZA STAZIONE Chi ha conosciuto l esilio ha trovato risposta a non poche questioni vitali e si è posto un numero ancora maggiore di interrogativi. Ve n' è in particolare uno che tenterò di chiarire di quanta patria,terra natia ha bisogno l'uomo? Direi che l'uomo ha tanto più bisogno di patria,terra natia quanto meno può portarne via con sé. Esiste infatti qualcosa come una patria mobile. Può essere la religione, come quella ebraica. Surrogato della patria può essere anche il denaro. In tempi come questi l'uomo deve essere dove sono i soldi: ubi dollar ibi patria. Bisogna avere una patria,terra natia per potervi rinunciare, per non averne bisogno Nella patria, terra natia "ci si sente sicuri": fidarsi, affidare, avere confidenza, avere fiducia, essere fedele. E ci fidiamo a parlare e ad agire, perché possiamo avere ragionevolmente fiducia nella nostra capacità di conoscere e riconoscere. E sicuri ci si sente dove non incombe il caso, dove non si deve temere qualcosa di totalmente estraneo. Quanto è a noi noto torna a riproporsi con varianti minime. Questa però è una condizione che, può condurre all'imbarbarimento, all' avvizzimento nel provincialismo.

farmi fuori. TERZA STAZIONE Chi ha conosciuto l esilio ha trovato risposta a non poche questioni vitali e si è posto un numero ancora maggiore di interrogativi.

4 QUARTA STAZIONE La patria è il paese dell' infanzia e della giovinezza. Lingua madre e ambiente patrio crescono insieme a noi, crescono in noi. Ciò che chiamiamo patria dipende dalla vista, dall' udito, dal tatto, dal sapore, dall odore. Noi abbiamo bisogno di vivere in mezzo a cose che ci narrano storie. Abbiamo bisogno di una casa della quale sapere chi l' ha abitata in passato, di un mobile, nelle cui piccole irregolarità riconosciamo l' artigiano che vi mise mano. La vecchiaia, infatti, ci rende in misura crescente dipendenti dal ricordare. Se ripenso ai primi anni dell' esilio, mi rendo conto che già allora sentivo nostalgia di casa e del passato, ma ricordo anche che la nostalgia era in una certa misura annullata dalla speranza. Chi è giovane concede a se stesso un credito illimitato che di norma gli è concesso anche dall' ambiente. Egli non è solo quello che è, ma anche quello che sarà. Chi invece invecchia esaurisce il proprio credito. Il suo orizzonte si avvicina, i suoi domani e dopodomani non posseggono più né forza né certezza. E' solo ciò che è. L' avvenire non lo circonda più e quindi non è più nemmeno in lui. QUINTA STAZIONE Di quanta patria,terra natia ha bisogno l'uomo? Era una domanda provocatoria CONCLUSIONE Anche quest anno impastando il pane con le sue mani che sentono la pasta, che fanno risuonare la pasta, la signora Domenica, nel sorriso di una verità semplice ripete instancabile: Il Pilastro è un pane dalle tante spezie.

Abbiamo bisogno di una casa della quale sapere chi l' ha abitata in passato, di un mobile, nelle cui piccole irregolarità riconosciamo l' artigiano che vi mise mano.

5 Pe r tutte le Domeniche che vivono silenziose, che fanno il pane, che salutano per prime, che non dimenticano la terra e la lingua natale, che non amano vivere chiuse in casa, che, memori dei pregiudizi subiti, non vogliono perpetuarli sugli ultimi arrivati, Il Pilastro è un pane dalle tante spezie.

non amano vivere chiuse in casa, che, memori dei pregiudizi subiti, non

Documenti analoghi

Maschere a Venezia VERO O FALSO

Maschere a Venezia VERO O FALSO 45 VERO O FALSO CAP I 1) Altiero Ranelli è il direttore de Il Gazzettino di Venezia 2) Altiero Ranelli ha trovato delle lettere su MONDO-NET 3) Colombina è la sorella di Pantalone 4) La sera di carnevale,