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1 D.Lgs. n. 81/2008 Nuovo Testo unico sulla sicurezza del lavoro : quadro delle responsabilità civili e penali dei soggetti coinvolti alla luce della nuova normativa di Avv. Caterina Timellini Professore a contratto di Diritto Comparato del Lavoro e Professore a contartto di Relazione Industriali Il tema oggetto della presente relazione mira a fornire un quadro ricostruttivo del complesso di responsabilità, sia di ordine civile, che di tipo penale, che la nuova normativa in materia di sicurezza sul lavoro, il D.lgs. n. 81 del 9 aprile 2008, pone in capo ai vari soggetti dell obbligo di sicurezza. Se noi andiamo a scorrere il Testo unico in materia di sicurezza vediamo che il legislatore della riforma impone a vari soggetti (datore di lavoro, dirigenti, preposti, ecc.) diversi adempimenti, diversi compiti. E al mancato adempimento dei compiti delineati fa corrispondere diverse sanzioni, anche di ordine penale. Ad es. all art. 17 il legislatore impone al datore di lavoro di effettuare la c.d. valutazione dei rischi e all art. 55 punisce con l arresto da 4 a 8 anni o con l ammenda da 5.000,00 a ,00 il datore di lavoro che non adempie a tale previsione. Ancora, all art. 19, comma 1, lett. f), il legislatore impone ai soggetti preposti di segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei Dpi e sanziona tale inosservanza, all art. 56, con l arresto da 1 a 3 mesi o con l ammenda da 500,00 a 2.000,00. In materia di sicurezza sul lavoro, quindi, si parla di diversi coobbligati in materia di sicurezza, ossia è possibile individuare vari soggetti che, a diverso titolo, concorrono ad attuare la normativa prevenzionistica e che, pertanto, sono chiamati a rispondere dei relativi inadempimenti. Perché succede questo? Perché, in altre parole, in materia di sicurezza si assiste ad una complessa ripartizione di responsabilità che coinvolge diversi soggetti? Sicuramente perché ciò risponde ad un criterio di mera opportunità pratica, che consente di evitare esoneri di responsabilità, andando sempre ad individuare il soggetto o, eventualmente, i soggetti corresponsabili di eventuali infrazioni o inadempimenti, secondo una filosofia di prevenzione globale. Del resto, tale filosofia di fondo è bene evidente ove si vada a considerare l intero impianto prevenzionistico nel suo complesso. Quest ultimo si articola, infatti, seguendo tre fondamentali linee direttrici.

2 La prima è quella della c.d. programmazione in materia di sicurezza, con ciò intendendosi la previsione programmata di un complesso apparato di adempimenti aventi, nel loro complesso, carattere globale, ossia rivolti a comprendere tutti i rischi presenti in azienda, siano essi rischi generici, ma anche rischi specifici, e che coinvolgono tutti i soggetti operanti nell impresa stessa, indipendentemente dal tipo di rapporto di lavoro in essere (es. lavoratori a progetti, lavoratori autonomi, contratti di appalto, ecc.). La seconda linea direttice comporta l introduzione della c.d. procedimentalizzazione dell obbligo di sicurezza: si tratta di una procedura articolata in una serie di formalità e di adempimenti, volti a garantire la trasparenza dell operato del datore di lavoro e la professionalità dei soggetti coinvolti. E in quest ottica, infatti, che si inseriscono ad esempio: l obbligo di valutazione dei rischi, la predisposizione del relativo documento, la redazione del piano di emergenza, nonché le riunioni periodiche tra datore di lavoro, Rspp, medico competente e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza (Rls). Infine, l impianto di norme in materia di sicurezza si completa con la previsione di un sistema di gestione concertata dell obbligo di sicurezza, il quale consiste nella partecipazione dei lavoratori stessi e dei loro rappresentanti (Rls), tramite la previsione di obblighi di informazione con riferimento ai rischi sia generali che specifici per la sicurezza in azienda, di obblighi di formazione e di consultazione preventiva. Ora, è evidente che il principio di fondo da cui parte il legislatore, e ciò lo si rinviene già prima della recente riforma, consiste in un dato ormai acquisito nella nostra tradizione giuridica, ossia che il primo obbligato in materia di sicurezza è sempre il datore di lavoro, sul quale ricadono sia responsabilità civili, che responsabilità di ordine penale. Tuttavia, nel complesso sistema descritto, il coinvolgimento dei vari soggetti indicati impone, come necessario, di capire a che titolo tali ulteriori soggetti siano chiamati a cooperare con il datore di lavoro. Ed, eventualmente, in che misura possano essere considerati corresponsabili in ipotesi di inadempimenti alle norme prevenzionistiche. In realtà, capire ciò non è così immediato, perché bisogna intendere correttamente le diverse definizioni contenute nella normativa in materia di sicurezza, per capire quando realmente un determinato soggetto possa essere considerato datore di lavoro, dirigente, preposto, ecc. Dopodichè, e quindi soltanto al termine di tale operazione di corretta individuazione dei soggetti, si applicheranno le diverse sanzioni. Pertanto, posto che le definizioni contenute nella legge appaiono chiare ma in realtà non sempre lo sono, per tale ragione occorre intendersi su di un altro punto di fondamentale importanza.

3 Ossia, occorre intendersi sul principio che regola il modello di ripartizione intersoggettiva dell obbligo di sicurezza introdotto dal nostro legislatore. Si tratta del c.d. criterio di effettività, in base al quale gli obblighi prevenzionistici ricadono sul soggetto che realmente e concretamente svolge i relativi compiti, al di là di ogni formalismo. Non basta, cioè, che ad un determinato soggetto venga attribuita la qualifica formale di dirigente, ad es., perché tale soggetto sia chiamato a rispondere e sia considerato responsabile nella sua qualità di dirigente, bensì occorre che in concreto la persona individuata svolga realmente e concretamente i compiti di dirigente. E, quindi, sia un dirigente effettivo (canone di effettività) e non un dirigente meramente formale (criterio formalistico). Detto ciò, si osserva che il Testo unico riprende l impostazione di fondo fatta propria già dai decreti prevenzionistici anni cinquanta, in forza dei quali il debito prevenzionistico subisce una ripartizione intersoggettiva a cascata, che vede il suo vertice nel datore di lavoro, per poi scendere, secondo una linea gerarchica verticale, in capo ai dirigenti, ai preposti e, infine, per poi ricadere sui lavoratori stessi, che in questo senso assumono un ruolo duplice: da un lato di beneficiari della normativa in materia di sicurezza e dall altro di coobbligati dell obbligazione stessa (es. i lavoratori hanno l obbligo di indossare i dispositivi di protezione individuale). Come opera questa ripartizione a cascata? Opera in misura proporzionale al quantum dei poteri conferiti. Ossia, a tot poteri e prerogative corrispondono tot responsabilità. Assunta questa prospettiva si comprende allora perché le definizioni dei soggetti coinvolti impongono una inevitabile rimeditazione. Veniamo all individuazione della figura del datore di lavoro ai fini della sicurezza. L art. 2, comma 1, lett. b), d.lgs. n. 81 del 2008 definisce chi è il soggetto datore di lavoro. In particolare, la norma effettua una distinzione tra datore di lavoro nel settore privato e datore di lavoro nel settore pubblico. Con riferimento al settore privato si rileva che la nozione di datore di lavoro in materia di sicurezza non è quella civilistica usualmente utilizzata. Nel diritto civile, infatti, quando si parla di datore di lavoro si allude al titolare del rapporto di lavoro. In materia di sicurezza, invece, per capire chi realmente sia il datore di lavoro occorre applicare il canone della effettività e valutare, pertanto, chi eserciti i poteri e le prerogative datoriali in azienda. Seguendo tale ragionamento, è allora evidente che all interno di una realtà aziendale ben vi possano essere più persone che esercitano le prerogative datoriali, il chè comporta inevitabilmente il moltiplicarsi delle figure di datore di lavoro.

4 Basti pensare a quelle imprese che si articolano in più unità produttive. Ragionando in questi termini e applicando il canone della effettività possono ipotizzarsi in modo del tutto legittimo varie figure datoriali, ciascuna delle quali poste al vertice della singola unità produttiva, le quali saranno da considerarsi datori di lavoro ai fini della sicurezza in quanto soggetti che esercitano i poteri datoriali. Ma in che cosa consistono esattamente tali poteri? Ce lo dice il legislatore: si tratta dei poteri organizzativi, decisionali e di spesa. E ciò è esattamente quanto dice la legge ove sancisce che è datore di lavoro il soggetto titolare del rapporto di lavoro con il lavoratore (nozione civilistica) o, comunque, il soggetto che, secondo il tipo e l assetto dell organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività, ha la responsabilità dell organizzazione stessa o dell unità produttiva in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa. Facciamo alcuni esempi: - società: datori di lavoro sono i soggetti di vertice della società, ossia il presidente del consiglio di amministrazione, l amministratore delegato, l amministratore unico, ecc. Quindi, non basta essere il legale rappresentante della società, ma occorre esercitare i poteri decisionali, di organizzazione e di spesa connessi al ruolo di datore di lavoro. Con riferimento ai datori di lavoro pubblici, poi, il legislatore prende atto della dissociazione esistente tra organo di governo e dirigente, intendendo per datore di lavoro pubblico il dirigente al quale spettano i poteri di gestione oppure il funzionario non avente qualifica dirigenziale, alla condizione che sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale e dotato di autonomi poteri decisionali e di spesa. Quindi, anche con riferimento alla figura del datore di lavoro pubblico si rinviene che il legislatore ha fatto applicazione del canone della effettività delle funzioni esercitate. Muovendo sempre in quest ottica, l art. 2, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 81 del 2008 contiene la definizione di dirigente, per tale intendendosi la persona che, al di là di ogni formalismo, esercitando poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell incarico attua le direttive datoriali, organizzando l attività lavorativa e vigilando su di essa. Questo significa che dirigente ai fini della sicurezza non sarà il soggetto individuato come tale ai sensi dell art c.c. e neppure il c.d. dirigente convenzionale, lavoratore cui la qualifica dirigenziale sia attribuita contrattualmente, senza che a ciò si accompagni il concreto conferimento dei relativi poteri. Venendo poi a considerare la figura del preposto, questa viene definita dall art. 2, comma 1, lett. e), come colui che sovraintende alla attività lavorativa e garantisce l attuazione delle direttive ricevute. Quindi, il preposto ai fini della sicurezza è colui che sovraintende all attività di un determinato gruppo di lavoratori, si pensi al c.d. caporeparto, capocantiere, caposquadra,

5 caposettore, il quale esercita poteri di supervisione del lavoro del gruppo di lavoratori cui fa riferimento e controlla le modalità di esecuzione del lavoro da parte di essi. Che poi l intero modello di quadripartizione dei soggetti dell obbligo di sicurezza, acquisito per tradizione nel nostro ordinamento, sia improntato al criterio dell effettività dei poteri e delle prerogative esercitate è reso, comunque, evidente, per non dire esplicito, dall art. 299, d.lgs. n. 81 del 2008, norma di chiusura del sistema, la quale comunque ribadisce che le posizioni di garanzia relative a datore di lavoro, dirigenti e preposti gravano altresì su colui il quale, pur sprovvisto di regolare investitura, eserciti in concreto i poteri giuridici riferiti a ciascuno dei soggetti definiti. Il chè significa, quindi, che sono da considerarsi tali i soggetti che possono essere così individuati in applicazione del criterio di effettività. Il modello descritto è suscettibile di una alterazione di tipo convenzionale, ossia può essere modificato in via di accordo dalle parti del rapporto. Lo strumento attraverso il quale si può realizzare tale modificazione prende il nome di delega di funzioni. Prima dell entrata in vigore del Testo unico tale strumento veniva ammesso grazie al fondamentale apporto della giurisprudenza che, via via, nel tempo ne è venuta a delineare i connotati fondamentali. Tali requisiti risultano oggi tradotti e, quindi, formalizzati, all interno di una norma giuridica, l art. 16, rubricato proprio Delega di funzioni. Qual è la funzione della delega? Attraverso tale strumento si opera un importante trasferimento di responsabilità penale dal soggetto delegante al soggetto delegato. Pongo l accento sul fatto che attraverso la delega di funzioni si trasferisce la responsabilità penale perché, ed è un dato di non poco conto, la responsabilità civile permane in capo al soggetto delegante. Il chè significa che quest ultimo, ove ritenuto responsabile, sarà comunque tenuto a risarcire i danni relativi. Perché si effettua tale traslazione di responsabilità penale? Essenzialmente perché nel nostro ordinamento vige la regola per cui la responsabilità penale è personale, pertanto quest ultima ricade in capo al soggetto che effettivamente ha agito. Tuttavia, per essere valida la delega richiede il rispetto tassativo dei limiti e delle condizioni previste dalla legge. In primo luogo, essa deve essere formalizzata per atto scritto, recante data certa. Si tratta di un elemento di novità, in quanto in precedenza la giurisprudenza era solita ammettere la prova della

6 sussistenza di una delega di funzioni anche per il tramite di prova testimoniale. Il chè voleva dire che, in ipotesi, la delega poteva essere conferita anche verbalmente. La data certa - è tale, ad esempio, quella risultante da un atto autenticato da notaio - risponde ad un requisito di certezza nei confronti dei terzi. Così come, a tale scopo, risponde anche il requisito indicato al comma 2, dell art. 16, secondo cui alla delega deve essere data adeguata e tempestiva pubblicità. A chi sarà rivolta tale pubblicità? Ovviamente a quei soggetti che operano nell azienda e che dovranno essere posti in condizione di conoscere chi è il soggetto delegato e quali funzioni gli sono state esattamente attribuite. Quindi, si rivolge ai lavoratori che operano nell azienda. Inoltre, tale previsione risponde alla necessità di evitare costruzioni successive di deleghe tardive e di comodo. Peraltro, non essendo specificata una forma di pubblicità particolare, questa potrà essere fatta nei modi più vari, purchè idonei a raggiungere lo scopo della generale conoscibilità da parte della collettività dei lavoratori. Inoltre, dovrà ricadere, al pari di quanto già diceva la giurisprudenza anche in precedenza, su di un soggetto dotato di requisiti di professionalità ed esperienza; al delegato dovranno essere attribuiti tutti i poteri di organizzazione, di gestione e di controllo e, inoltre - e ciò rappresenta una novità - i poteri di spesa necessari allo svolgimento delle funzioni delegate. Si tratta, anche in questo caso, di una chiara manifestazione del criterio di effettività di cui si è detto. Pertanto, una delega meramente formale, non effettiva, altro non sarebbe se non un artificioso tentativo di eludere la normativa. V è da dire, inoltre, che la delega per essere tale deve accompagnarsi ad un assenza di interferenze ed ingerenze da parte del soggetto delegante, il chè non ne esclude tuttavia un obbligo di vigilanza. Ciò significa che ove il delegante fosse a conoscenza di eventuali inadempienze da parte del soggetto delegato sarebbe tenuto a intervenire, rendendosi quantomeno corresponsabile in ipotesi di infrazioni. Infine, anche l accettazione della delega dovrà avvenire per iscritto, ma in questo caso la legge non specifica se ci vuole o meno la data certa. L art. 17, poi, sancisce quelli che sono i compiti non delegabili, ossia: l obbligo di valutazione dei rischi e l elaborazione del relativo documento, nonché la designazione del Rspp. In conclusione sul tema della delega si rileva che il legislatore riferisce tale strumento al datore di lavoro. Ciò sembrerebbe escludere la possibilità di ricorrere a tale strumento da parte dei dirigenti, ipotesi in realtà tutt altro che infrequente, il chè porta a ritenere che la delega sia legittima anche in tali casi.

7 Nulla dice la legge, invece, in ordine alle dimensioni dell azienda. La giurisprudenza ha tradizionalmente ipotizzato come utile il ricorso a tale strumento solo all interno di realtà di dimensione medio-grande, venendone meno l utilità nelle imprese di più piccole dimensioni. La legge nulla dice in merito, il chè sembra autorizzare la tesi di chi ritiene il requisito dimensionale oggi del tutto irrilevante ai fini del ricorso alla delega di funzioni. In conclusione, poi, qualche parola in più deve essere spesa con riferimento alla figura del c.d. Rspp, soggetto introdotto ex novo dal previgente d.lgs. n. 626 del 1994 e dal legislatore della riforma mantenuto, quale oggetto obbligato in materia di sicurezza. Il Testo unico definisce il Rspp all art. 31 e ss., chiarendo quali sono i compiti attribuiti a tale soggetto. Si tratta, essenzialmente, di una figura che svolge compiti di tipo propositivo e consultivo in favore del datore di lavoro e dei dirigenti, mentre è una figura del tutto sprovvista di specifici compiti di attuazione. In questo senso, pertanto, il Rspp si differenzia dalle figure sino ad ora considerate, in quanto non è chiamato a porre in essere determinate misure, bensì si limita a riferire e ad esprimere il proprio parere al datore di lavoro, il quale poi deciderà come attuare determinate misure e potrà tenere conto dei suggerimenti ricevuti oppure ignorarli. Tali compiti di natura meramente strumentale rispetto al datore di lavoro contribuiscono pertanto a spiegare perché sul Rspp non ricade alcuna responsabilità penale propria. Ciò significa che, andando a leggere l apparato sanzionatorio previsto dal decreto, nessuna norma penale di rivolge espressamente al Rspp, diversamente invece da quanto accade per il datore di lavoro, per i dirigenti e per i preposti. Quindi, sull Rspp non ricade alcuna disposizione penale sanzionatoria specifica. Ciò, tuttavia, non significa che l Rspp sia del tutto esente da responsabilità penale. Tale figura, infatti, al pari di ogni cittadino, potrà comunque essere chiamata e rispondere dei normali reati, di omicidio o di lesioni dolose o colpose, non nella sua specifica qualifica di Rspp, ma come un qualsiasi altro soggetto, qualora si renda responsabile di una di tali fattispecie criminose oppure qualora concorra, insieme ad altre persone, in uno di tali reati. Inoltre, il discorso si può ulteriormente complicare quando alla nomina di Rspp si accompagni, in capo alla figura a tal fine designata, una delega di funzioni ai sensi dell art. 16 del Testo unico. In tale caso, occorrerà vedere quali funzioni siano state oggetto di delega e, in ipotesi di inadempienze, l Rspp sarà chiamato a rispondere, a titolo di responsabilità penale, al pari del soggelto che lo abbia eventualmente delegato a tale scopo.

8 In questo caso, comunque, ritornano le regole già viste in tema di delega di funzioni e di criterio di effettività delle stesse.

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