Credito di rivalsa IVA per prestazioni fatturate dopo l apertura del fallimento
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- Gemma Locatelli
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1 Legittimità Giurisprudenza IVA Credito di rivalsa IVA per prestazioni fatturate dopo l apertura del fallimento Cassazione, Sez. I civ., Sent. 12 giugno 2008 (5 marzo 2008), n Pres. Proto - Rel. Bernabai IVA - Prestazioni di servizi - Prestazione professionale a favore di imprenditore poi dichiarato fallito - Emissione di fattura da parte del professionista - Credito IVA di rivalsa - Riparto fallimentare - Natura del credito IVA - Credito di massa - Esclusione - Privilegio speciale ex art. 2758, secondo comma, c.c. - Applicabilità - Mancata collocazione del credito in sede di riparto - Indebito arricchimento - Esclusione Il credito di rivalsa IVA di un professionista che, eseguite prestazioni a favore di imprenditore poi dichiarato fallito, emetta la fattura per il relativo compenso in costanza di fallimento (nella specie, a seguito del pagamento ricevuto in esecuzione di un riparto parziale), non è qualificabile come credito di massa, da soddisfare in prededuzione ai sensi dell art. 111, primo comma, della legge fallimentare (nel testo vigente «ratione temporis»), in quanto la disposizione dell art. 6 del D.P.R. n. 633/1972, secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate all atto del pagamento del corrispettivo, non pone una regola generale rilevante in ogni campo del diritto, cosicché, in particolare, dal punto di vista civilistico la prestazione professionale conclusasi prima della dichiarazione di fallimento resta l evento generatore del credito di rivalsa IVA, autonomo rispetto al credito per la prestazione, ma ad esso soggettivamente e funzionalmente connesso. Il medesimo credito di rivalsa può giovarsi del solo privilegio speciale di cui all art. 2758, secondo comma, c.c., nel testo di cui all art. 5 della legge n. 426/1975, ove sussistano beni - che il creditore ha l onere di indicare in sede di domanda di ammissione al passivo - su cui esercitare la causa di prelazione. Qualora, poi, detto credito non trovi utile collocazione in sede di riparto, non è configurabile una fattispecie di indebito arricchimento, ai sensi dell art c.c., in relazione al vantaggio conseguibile dal fallimento mediante la detrazione dell IVA di cui alla fattura, poiché tale situazione è conseguenza del sistema normativo concorsuale. Svolgimento del processo Con decreto emesso il 12 dicembre 2003 il Tribunale di Modena respingeva il reclamo ex art. 26 della legge fallimentare, proposto dal Dr. G.G. avverso il provvedimento con cui il giudice delegato, dopo aver ammesso al passivo, al rango privilegiato ai sensi dell art bis, secondo comma, c.c., il suo credito di euro ,45, per onorari professionali, aveva negato natura prededucibile al relativo credito di rivalsa IVA, in sede di progetto di riparto parziale: motivando che la qualificazione di un credito, come concorsuale o di massa, non poteva dipendere dal momento in cui esso veniva richiesto e riconosciuto, bensì dalla sua causa, che nella specie non riguardava la gestione del fallimento ex art. 111 della legge fallimentare. Avverso il decreto il G. proponeva ricorso per cas- 71
2 Giurisprudenza Legittimità sazione, illustrato da successiva memoria, deducendo: 1) la falsa applicazione dell art. 111 della legge fallimentare, che prevedeva il pagamento in prededuzione delle spese e dei debiti contratti per l amministrazione del fallimento, tra i quali doveva farsi rientrare anche l IVA di rivalsa, se dovuta dopo la sentenza dichiarativa di fallimento: trattandosi di credito autonomo, e non accessorio, che derivava dall esecuzione di un piano di riparto. 2) La violazione dell art. 26 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e dell art c.c., non essendo possibile al professionista, contrariamente a quanto statuito dal giudice delegato, emettere una nota di variazione, portando in detrazione l IVA corrispondente al servizio prestato: con conseguente arricchimento indebito della procedura fallimentare a detrimento del professionista, non in grado di recuperare l IVA non incassata. 3) L illegittimità costituzionale degli artt. 111 della legge fallimentare, 2758 c.c., e 26 del D.P.R. n. 633/1972, con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., in caso di mancato accoglimento del ricorso, stante l impossibilità del riconoscimento del privilegio, per inesistenza del bene nell attivo fallimentare, in tema di prestazioni intellettuali - con illegittima disparità di tutela fra creditori per cessioni di beni che fanno ancora parte del patrimonio del debitore e creditori per prestazioni di servizi non riferibili a beni mobili individuabili - e conseguente onere dell imposta sul professionista stesso, invece che sul consumatore finale. Il fallimento G.N. s.p.a in liq. non si costituiva in giudizio. All udienza del 5 marzo 2000 il Procuratore generale ed il difensore precisavano le rispettive conclusioni. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente deduce la falsa applicazione dell art. 111 della legge fallimentare, ravvisabile nell esclusione della prededuzione. Il motivo è infondato. Il credito di rivalsa IVA di un professionista che, eseguite prestazioni a favore di un imprenditore poi dichiarato fallito, emetta la fattura per il relativo compenso, in costanza di fallimento, a fronte del pagamento ricevuto in esecuzione di un riparto parziale, non è qualificabile come credito di massa, da soddisfare in prevenzione, in quanto la disposizione dell art. 6 del D.P.R. n. 633/1972 (Istituzione e disciplina dell IVA), secondo cui le prestazioni di servizi si considerano effettuate all atto del pagamento del corrispettivo, non pone una regola generale rilevante in ogni campo del diritto; così che, dal punto di vista civilistico, la prestazione professionale conclusasi prima della dichiarazione di fallimento rimane l evento generatore del credito di rivalsa IVA: autonomo rispetto all obbligazione principale remuneratoria, ma ad essa soggettivamente e funzionalmente connesso. Il medesimo credito di rivalsa può giovarsi quindi del suo privilegio speciale, di cui all art. 2758, secondo comma, c.c. nel testo novellato dall art. 5 della legge 29 luglio 1975, n. 426 (Modificazioni al codice civile e alla legge 30 aprile 1969, n. 153, in materia di privilegi) nel caso sussistano beni (che il creditore ha l onere di indicare in sede di domanda di ammissione al passivo) su cui esercitare la causa di prelazione (Cass., Sez. I, 1 giugno 1995, n. 6149). In sintesi, il diritto di rivalsa non è riconducibile nel novero delle spese e dei debiti contratti per l amministrazione della procedura e per la continuazione dell esercizio dell impresa, se questo è stato autorizzato - secondo la vecchia formulazione dell art. 111, primo comma, n. 1, della legge fallimentare - perché non è sorto nel corso della procedura fallimentare per effetto del pagamento del curatore in esecuzione del piano di riparto e della corrispondente emissione della fattura dal professionista, atteso che, ai fini dell individuazione dei debiti di massa, non è determinante il profilo temporale, bensì quello funzionale: e cioè, la genesi del debito per atto degli organi fallimentari - e non certo di un terzo creditore - in occasione e per le finalità della procedura. Nella specie, è pacifico che l attività professionale del Dr. G. sia stata prestata prima del fallimento, in esclusivo favore dell imprenditore poi fallito; senza alcuna utilizzazione, neanche parziale, delle sue prestazioni da parte della curatela. E ciò vale ad escludere la riconducibilità del credito accessorio di rivalsa IVA alla categoria contemplata del cit. art. 111, primo comma, n. 1, della legge fallimentare, nel testo applicabile, ratione temporis, alla fattispecie concreta. Con il secondo motivo, il ricorrente censura la violazione dell art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 e dell art c.c., e l indebito arricchimento che ne sarebbe derivato per la procedura fallimentare 72
3 Legittimità Giurisprudenza in danno del professionista, non in grado di recuperare l IVA non incassata. Anche questo motivo è infondato. Premesso che per i prestatori di servizi, anche professionali, l emissione della fattura all atto della recezione del compenso è una facoltà alternativa all immediata fatturazione, con registrazione della relativa IVA - nel qual caso nessun dubbio si pone sul carattere concorsuale del credito di rivalsa - le argomentazioni difensive sul simmetrico vantaggio e pregiudizio ingiusto che tale sistema di contabilizzazione dell IVA può creare - ma non necessariamente - nei riguardi del fallimento e del prestatore d opera attengono a situazioni fattuali, insuscettibili di modificare la natura giuridica del fenomeno. Il riconoscimento della prededucibilità dipende dall individuazione del soggetto debitore: ed è quindi ammissibile solo ove questi sia il fallimento, e non l imprenditore fallito. Non è dunque configurabile una fattispecie di indebito arricchimento, ai sensi dell art c.c., in relazione al vantaggio conseguibile dal fallimento mediante la detrazione dell IVA di cui alla fattura, con detrimento del prestatore d opera il cui credito di rivalsa non trovi utile collocazione in sede di riparto, perché tale evenienza non è frutto di un anomalia distorsiva del sistema normativo concorsuale, bensì conseguenza ordinaria della puntuale applicazione dei suoi stessi principi ispiratori (Cass. n. 6149/1995, cit.). Con l ultimo motivo, subordinato al mancato accoglimento delle doglianze sopra trattate, il ricorrente solleva eccezione d illegittimità costituzionale degli artt. 111 della legge fallimentare, 2758 c.c., e 26 del D.P.R. n. 633/1972, con riferimento agli artt. 3 e 53 Cost. La questione è manifestamente infondata. L eccepita disparità di trattamento dipende in realtà dal rischio contrattuale generico, naturalmente correlato all eventualità del ritardo nell adempimento o dell omesso pagamento del compenso nel contratto di prestazione d opera intellettuale: rischio, che costituisce proprio il fondamento della regola del concorso (art c.c. e art. 52 della legge fallimentare). Ne consegue l irrilevanza del dato di fatto, meramente contingente ed estrinseco alla fattispecie astratta, della fatturazione del corrispettivo in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento. La contraria tesi interpretativa patrocinata dalla difesa non solo risulta priva di razionale giustificazione laddove intende sottrarre alla regola del concorso un credito di rivalsa che si riferisce pur sempre ad un obbligazione anteriore al fallimento, ma addirittura contiene, essa stessa, germi di illegittimità costituzionale col creare una disparità di trattamento tra situazioni giuridiche identiche, rispettivamente soggette alle regole del concorso o alla prededucibilità in dipendenza di una circostanza rimessa alla stessa scelta del creditore, di fatturare il corrispettivo prima o dopo la sentenza di fallimento (Cass., Sez. I, 4 giugno 1994, n. 5429). In tal modo prefigurando l ulteriore eventualità che più creditori di rivalsa IVA, per prestazioni analoghe, siano trattati difformemente in ragione di un accidentale variabile temporale, non significativa di una reale diversità causale. Del resto, la Corte costituzionale si è già occupata del credito di rivalsa IVA nelle procedure concorsuali, sia pure non sotto il profilo della omessa previsione della prededucibilità ex art. 111 della legge fallimentare, statuendo l inammissibilità della questione di legittimità degli artt e 2772 c.c., in relazione all art. 3 Cost., in quanto la concreta inefficacia del privilegio speciale mobiliare riconosciuto al credito per rivalsa dell IVA nel caso di cessioni di beni consumabili e prestazioni di servizi relativi ad essi, o comunque non riferibile a singoli beni come le prestazioni professionali, non dà luogo a una disparità di trattamento relativamente a una categoria di situazioni omogenee, ma discende da una scelta del legislatore che solo da quest ultimo può essere corretta (Corte cost., 15 febbraio 1984, n. 25). E tale ratio decidendi ben può essere estesa anche al profilo qui dedotto in riferimento all art. 111 della legge fallimentare. Il ricorso è dunque infondato e va respinto. Rigetta il ricorso. P.Q.M. 73
4 Giurisprudenza Legittimità Il privilegio per l IVA di rivalsa sui crediti professionali in sede fallimentare di Silvia A. Zenati L IVA di rivalsa addebitata in fattura all atto del pagamento in sede di riparto non assume per ciò solo la qualifica di spesa di massa, come tale prededucibile, ma unicamente può giovarsi del privilegio speciale di cui all art. 2758, secondo comma, c.c. Inoltre, poiché a causa dell intervenuto fallimento non si verifica il venir meno della prestazione, già svolta e ultimata all atto della dichiarazione di fallimento, ma si ha solo il venir meno, anche solo parzialmente, del pagamento del corrispettivo, non sussistono i presupposti per l emissione della nota di variazione per l I- VA non riscossa. Infine, il professionista che sia rimasto creditore nei confronti della procedura fallimentare in base ad una prestazione svolta, e per la quale abbia emesso regolare fattura con addebito di IVA, non potrà invocare per tale credito IVA il privilegio speciale sui mobili di cui all art. 2758, secondo comma, c.c., e dovrà accontentarsi della collocazione in chirografo. La Corte di cassazione si occupa, nella sentenza in esame, dell annosa questione dell IVA di rivalsa dei professionisti tenuti ad emettere la fattura in seguito al pagamento delle loro competenze avvenuto in sede di riparto fallimentare. Va preliminarmente osservato che la pronuncia della Suprema Corte si incrocia con la risposta ad interpello fornita dall Agenzia delle entrate nella risoluzione 3 aprile 2008, n. 127/E (1) proprio sulla questione della fatturazione delle prestazioni professionali nell ambito delle procedure concorsuali. Occorre quindi fare riferimento anche a tale posizione ministeriale, vista la comunanza degli argomenti trattati, al fine di fornire al lettore una panoramica completa sulla problematica in termini. La fattispecie esaminata dalla Cassazione È opportuno premettere una breve ricognizione del fatto che ha portato alla pronuncia della Suprema Corte. Un professionista che aveva svolto prestazioni nei confronti di una società dichiarata fallita presentava domanda di ammissione allo stato passivo del proprio credito al rango privilegiato ai sensi dell art bis, secondo comma, c.c.: in sede di riparto parziale, il professionista sosteneva che al credito di rivalsa IVA dovesse essere riconosciuta natura prededucibile. Di fronte alla difforme opinione degli organi della procedura, il professionista presentava, senza successo, reclamo ex art. 26 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, c.d. legge fallimentare, e quindi ricorso in Cassazione, sulla base di una triplice serie di motivi. In primo luogo, il professionista deduceva la falsa applicazione dell art. 111 della legge fallimentare in tema di spese e debiti prededucibili in quanto contratti per l amministrazione del fallimento, sostenendo che l IVA di rivalsa doveva essere ricompresa nel novero in quanto credito autonomo, sorto in costanza di fallimento all atto del pagamento. Sotto altro profilo, si sosteneva la violazione dell art. 26 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 e dell art c.c., essendo inibita al professionista l emissione di nota di variazione per la parte di IVA non incassata in sede di riparto, con conseguente indebito arricchimento della procedura fallimentare. Con il terzo e ultimo motivo, il ricorrente prospettava l illegittimità costituzionale degli artt. 111 della legge fallimentare, 2758 c.c. e 26 del D.P.R. n. 633/1972, per contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, in relazione alla inesistenza per i professionisti di beni sui quali esercitare il privilegio per IVA di rivalsa, creandosi in tal modo una evidente disparità di trattamento con i crediti da fornitura di beni. Silvia A. Zenati - Dottore commercialista, Revisore contabile e Avvocato in Verona - Ricercatore id. Diritto pubblico e Diritto amministrativo Nota: (1) In Banca Dati BIG,IPSOA. 74
5 Legittimità Giurisprudenza La questione della prededucibilità del credito IVA di rivalsa La prestazione professionale che ha dato origine al credito insinuato nello stato passivo fallimentare si è svolta prima della dichiarazione di fallimento, mentre il credito da rivalsa IVA è sorto all atto dell emissione della fattura, che coincide, ai sensi dell art. 6 del D.P.R. n. 633/1972, con il momento del pagamento. La sfasatura temporale tra il momento di esecuzione della prestazione e la fase del pagamento, secondo il ragionamento condotto dalla Cassazione, non è suscettibile di alterare il nesso funzionale esistente tra la prestazione e il credito di rivalsa IVA: dal punto di vista civilistico, infatti, l evento generatore del credito di rivalsa IVA rimane la prestazione professionale che è stata posta in essere, e conclusa, prima della dichiarazione di fallimento. La circostanza che la fattura e il conseguente addebito dell IVA siano avvenuti in costanza di fallimento resta una considerazione di fatto insuscettibile di alterare il legame ontologico tra l IVA e la prestazione professionale ante fallimento. Altra, infatti, è la natura delle spese prededucibili ex art. 111 della legge fallimentare (2), e cioè la genesi del debito per atto degli organi fallimentari, in occasione e per le finalità della procedura. In sostanza, la prededucibilità dipende dall individuazione del soggetto debitore, ed è quindi ammissibile solo ove questi sia il fallimento, e non l imprenditore fallito. Conseguentemente, l IVA di rivalsa addebitata in fattura all atto del pagamento in sede di riparto non assume per ciò solo la qualifica di spesa di massa, come tale prededucibile, ma unicamente può giovarsi del privilegio speciale di cui all art. 2758, secondo comma, c.c. (3). La impossibilità per il professionista di emettere nota di accredito per l IVA non incassata Il professionista, costretto ad addebitare all atto dell emissione della fattura l IVA, anche se non incassata, potrebbe fare ricorso all emissione di una nota di accredito ex art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 (4), e in questo senso era stata l indicazione fornita dal giudice delegato della procedura al creditore. In realtà, come di recente ha chiarito l Agenzia delle entrate in sede di risposta ad interpello (5), per la emissione di nota di variazione ex art. 26, citato, è necessario che, successivamente all emissione della fattura ed alla sua registrazione, venga a mancare, in tutto o in parte, l originaria prestazione imponibile. Poiché a causa dell intervenuto fallimento non si verifica il venir meno della prestazione, già svolta e ultimata all atto della dichiarazione di fallimento, bensì unicamente il venir meno, anche solo parzialmente, del pagamento del corrispettivo, non sussistono i presupposti per l emissione della nota di variazione per l IVA non riscossa: infatti, «una nota di variazione che tenga conto della sola imposta non riscossa andrebbe a scindere l indissolubile collegamento esistente tra imposta ed operazione imponibile» (5). È ben vero che la contabilizzazione della fattura emessa dal professionista all atto del pagamento in sede di riparto genera in capo alla procedura fallimentare il diritto a recuperare l IVA addebitata, ma tale situazione di fatto, a parere della Suprema Corte, non è suscettibile di generare una fattispecie di indebito arricchimento ai sensi dell art c.c.: tale evenienza, infatti, non è frutto di un anomalia distorsiva del sistema normativo concorsuale, bensì conseguenza ordinaria della puntuale applicazione dei suoi stessi principi ispiratori (6). Il privilegio per l IVA di rivalsa nelle prestazioni professionali La terza doglianza esaminata dai giudici della Su- Note: (2) Nel testo applicabile, ratione temporis, alla fattispecie esaminata. (3) Nel testo novellato dall art. 5 della legge 29 luglio 1975, n (4) Art. 26, secondo comma, del D.P.R. n. 633/1972, modificato dalla legge 28 febbraio 1997, n. 30: «... se un operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione di cui agli articoli 23 e 24, viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l ammontare imponibile... per mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali... il cedente del bene o prestatore di servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell articolo 19 l imposta corrispondente alla variazione registrandola a norma dell articolo 25. Il cessionario o committente, che abbia già registrato l operazione ai sensi di quest ultimo articolo, deve in tal caso registrare la variazione a norma dell articolo 23 o dell articolo 24». (5) Risoluzione 3 aprile 2008, n. 127/E, cit. (6) In senso conforme cfr. Cass., 1 giugno 1995, n. 6149, in Banca Dati BIG, IPSOA. 75
6 Giurisprudenza Legittimità prema Corte riguarda il riconoscimento del privilegio per l IVA di rivalsa in ipotesi di prestazioni professionali, nelle quali, intuitivamente, non è rinvenibile nell attivo fallimentare il bene al quale collegare il privilegio speciale di cui all art. 2758, secondo comma, c.c. (con la collocazione al VII grado dell art c.c.) (7). Quest ultimo caso genera il cd. credito di rivalsa IVA, con privilegio speciale sui mobili purché gli stessi siano stati rinvenuti in sede di inventario fallimentare. È evidente che il legame normativamente fissato tra la spettanza del privilegio speciale e l esistenza dei beni oggetto della fornitura, che il creditore ha l onere di indicare in sede di domanda di ammissione al passivo (8), di fatto crea una disparità di trattamento tra i creditori di rivalsa IVA che abbiano ceduto beni, rispetto a quelli che abbiano erogato un servizio. In buona sostanza il professionista che sia rimasto creditore nei confronti della procedura fallimentare in base ad una prestazione svolta, e per la quale abbia emesso regolare fattura con addebito di IVA, non potrà invocare per tale credito IVA il privilegio speciale sui mobili di cui all art. 2758, secondo comma, c.c., e dovrà accontentarsi della collocazione in chirografo. La Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi in merito alla legittimità costituzionale degli artt e 2772 c.c. in relazione all art. 3 della Costituzione alla luce della concreta inefficacia del privilegio speciale mobiliare riconosciuto al credito di rivalsa IVA nel caso di cessione di beni consumabili e prestazioni di servizi relative a tali beni o comunque non riferibili a singoli beni come le prestazioni professionali, ha più volte ribadito che la scelta del legislatore non dà luogo ad una disparità di trattamento relativamente ad una categoria di situazioni omogenee, ma discende da una scelta del legislatore che solo da quest ultimo può essere corretta (9). Nella sentenza oggetto del presente commento la Suprema Corte collega, in maniera abbastanza sbrigativa, tale disparità di trattamento al «rischio contrattuale generico, naturalmente correlato all eventualità del ritardo nell adempimento o dell omesso pagamento del compenso nel contratto di prestazione d opera intellettuale, rischio che costituisce proprio il fondamento della regola del concorso». L emissione della fattura in caso di pagamento parziale Per completezza espositiva si ritiene opportuno segnalare quanto precisato dall Agenzia delle entrate con la citata risoluzione (10) n. 127/E del 2008 in merito alla fattispecie di piano di riparto che disponga il pagamento parziale del credito riguardante le prestazioni professionali rese ante fallimento: in tale caso, i professionisti saranno tenuti ad emettere fattura per un importo complessivo pari a quello ricevuto dal curatore, dal quale andrà scorporata l IVA relativa. In pratica, se l importo liquidato in sede di piano di riparto risulta inferiore all ammontare complessivo del credito professionale, comprensivo dell I- VA, il professionista all atto dell emissione della fattura ridurrà proporzionalmente la base imponibile e la relativa imposta. Il principio alla base del ragionamento condotto dall Agenzia delle entrate si fonda sulla inscindibilità, all interno del credito per prestazioni professionali, degli elementi dell imponibile e dell I- VA, cosicché al momento del pagamento la fattura verrà emessa per l importo complessivamente percepito, dal quale andrà scorporata l IVA. Note: (7) In tema di debito IVA a carico del fallimento, bisogna distinguere tra il debito del contribuente nei confronti dello Stato per l IVA dovuta a seguito di autoliquidazione, e il debito dell acquirente, o del committente, nei confronti del venditore, o del prestatore di servizio, per l IVA addebitata a tale cessione o prestazione. Tali diversi debiti d imposta producono nei confronti della massa fallimentare dei crediti con distinti gradi di privilegio: infatti il credito dello Stato gode del privilegio generale previsto dall art. 2752, secondo comma, c.c. (con la collocazione al XIX grado dell art c.c.), mentre il credito per IVA di rivalsa del cedente o del prestatore di servizio gode del privilegio speciale di cui all art. 2758, secondo comma, c.c. (con la collocazione al VII grado dell art c.c.). Sul punto, cfr. amplius S.A. Zenati, «Crediti per prestazioni professionali», in C.T. n. 36/2001, pag (8) Cass., 1 giugno 1995, n. 6149, cit. (9) Corte cost., 15 febbraio 1984, n. 25 e Id., 16 maggio 1984, n (10) Risoluzione 3 aprile 2008, n. 127/E, cit. 76
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