Prof.ssa Maria Assunta Urru

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1 Prof.ssa Maria Assunta Urru

2 Gli scienziati e la Grande Guerra Lo studio della storia della Fisica appare sempre più significativo al fine di comprendere il retroterra culturale e umano in cui si sono sviluppate le teorie scientifiche che hanno cambiato il modo di interpretare il mondo. In particolar modo, relativamente agli sviluppi della fisica più recente, la fisica quantistica si contestualizza storicamente in un periodo molto particolare : la Grande Guerra ( ). Uno dei laboratori scientifici più prestigiosi è senza dubbio quello si Rutherford in cui arrivano studenti brillanti da tutto il mondo. Ricordiamo in particolare che Rutherford è stato un chimico e fisico neozelandese naturalizzato britannico, considerato il padre della fisica nucleare. Fu il precursore della teoria orbitale dell'atomo. Vinse il Premio Nobel per la Chimica nel Uno dei brillanti collaboratori di Rutherford fu il tedesco Wilhelm Geiger (Neustadt an der Weinstraße, 30 settembre 1882 Potsdam, 24 settembre 1945) è inventore del contatore di particelle elementari (1913) che porta il suo nome che poi perfezionò (1928) insieme a Walther Müller (contatore Geiger-Müller). 2

3 Geiger si laureò a Erlangen nel 1906 con una tesi sulle scariche elettriche nei gas. Poi andò in Gran Bretagna, dove approfondì lo studio di questi fenomeni, lavorando all'università di Manchester come assistente di Ernest Rutherford fino al Con lui Geiger applicò la sua esperienza sulla ionizzazione gassosa allo studio della disintegrazione radioattiva. Si dedicò, in particolare, a ricerche sulle particelle alfa per determinarne la traiettoria e la carica: da qui Geiger trasse l'idea del suo contatore di particelle, e Rutherford quella del suo modello di nucleo atomico. Geiger impiegò il suo contatore anche per confermare nel 1925 l'effetto Compton (scoperto nel 1922 dal fisico statunitense Arthur Holly Compton). Nel 1925 diventò professore di fisica all'università di Kiel, nel 1929 a quella di Tubinga, e dal 1936 fu capo del dipartimento di fisica del Politecnico di Charlottenburg. Compì ricerche anche sui raggi cosmici, sulla radioattività artificiale e sulla fissione nucleare. L altro collaboratore fu Henry Gwyn Jeffreys Moseley (Weymouth, 23 novembre 1887 Gallipoli, 10 agosto 1915), fisico britannico. 3

4 Studiò a Eton e nel 1906 entra al Trinity College di Oxford dove conseguì la laurea in fisica nel Subito dopo entrò a far parte del gruppo di ricerca di Rutherford a Manchester fino al Attraverso sperimentazioni nel campo della spettroscopia a raggi X, proprio in quell'anno pubblicò i risultati delle sue ricerche dove giunse alla conclusione che le frequenze dei raggi emessi da ciascun elemento variano proporzionalmente al numero d'ordine (atomico) dell'elemento stesso (legge di Moseley). Con la scoperta degli isotopi ci si rese conto che non è il peso atomico ad incidere sulla legge periodica di Mendeleev bensì il numero atomico su cui si basa la tavola periodica degli elementi attuale. Con la prima guerra mondiale, Moseley, nel frattempo andato in Australia, ritorna in patria. È immediatamente arruolato - nonostante Rutherford sia contrario - e viene ucciso nella battaglia di Gallipoli nel Non sono in pochi a pensare che, se Moseley fosse sopravvissuto alla guerra, avrebbe 4

5 certamente ricevuto il premio Nobel, considerando l'importanza del suo lavoro svolto nell'arco di tempo di soli 40 mesi. Il lavoro di ricerca nel laboratorio di Rutherford pubblicò tra il 1903 e il 1914 circa 30 articoli scientifici all anno, dopo lo scoppio della grande guerra Rutherford, ormai solo a continuare l attività di ricerca, riuscirà a pubblicarne solo 1 all anno. In seguito alla prematura morte di Moseley, Rutherford affermò che in 2 anni il giovane fisico aveva realizzato un lavoro di ricerca tale che nemmeno lui in 20 anni avrebbe mai realizzato. La guerra sconvolse gli assetti sociali e culturali e di conseguenza, influenzò inevitabilmente la ricerca scientifica. (Per approfondimenti: J. L. Heilbron (a cura di), H. G. J. Moseley: the life and letters of an english physicist, , University of California Press Berkeley and Los Angeles, California, 1974). 5

6 Albert Einstein Nacque a Ulm nel Trascorse la sua infanzia a Monaco e in Italia per poi trasferirsi con la famiglia in Svizzera. Nel 1900 si laureò e ottenne l abilitazione all insegnamento della matematica e della fisica e nel 1905 conseguì il dottorato. Quattro anni dopo Einstein ottenne il primo incarico accademico nell università di Zurigo dove lavorò fino al 1914 quando si trasferì a Berlino per diventare membro dell Accademia prussiana delle scienze, direttore del Kaiser Wilhelm Institut e professore. Due anni dopo il trasferimento a Berlino, pubblicò "I fondamenti della teoria della Relatività generale", risultato di dieci anni di studio. Questo lavoro è considerato dallo stesso Einstein il suo maggior contributo scientifico e si inserisce nella sua ricerca rivolta alla geometrizzazione della fisica. Grazie ad un eclissi solare nel 1919, le teorie di Einstein trovarono alcune conferme e la sua fama si affermò anche al di fuori del mondo accademico e scientifico. Nel 1921 ricevette il premio Nobel per la fisica. A dispetto del crescente clima di tensione e delle idee antisemite sempre più diffuse, 6

7 Einstein rimase a Berlino fino al 1933, anno in cui si trasferì a Princeton, dove rimase per il resto della sua vita. Con lo scoppio del secondo conflitto mondiale il fisico iniziò ad impegnarsi attivamente nello sforzo bellico statunitense contribuendo alla costruzione della bomba atomica. Nonostante il suo impegno durante la guerra, dopo il 1945 Einstein si schierò contro la proliferazione delle armi nucleari. Negli ultimi anni della sua vita si dedicò alla ricerca sull unificazione della gravità e dell elettromagnetismo. Nel 1950 pubblicò i risultati delle sue ricerche sulla rivista Scientific American. Il 17 aprile 1955 Einstein fu colpito da un aneurisma dell aorta addominale, ricoverato d urgenza morì nelle prime ore del mattino del 18 aprile. Come da disposizioni dello scienziato, il suo corpo fu messo a disposizione della scienza. Il patologo incaricato di effettuare l autopsia rimosse il cervello e lo conservò in un barattolo nascosto nella propria abitazione per circa 30 anni. Dopo il rinvenimento del reperto i discendenti del fisico acconsentirono che il cervello venisse sezionato in numerose parti donate a importanti ricercatori; quella più consistente è conservata a Princeton. (Per approfondimenti: A. Pais, Einstein è vissuto qui, Bollati Boringhieri, Torino, 1994; Id. La scienza e la vita di Albert Einstein, Bollati Boringhieri, Torino, 1986) Karl Schwarzschild Nacque a Francoforte sul Meno il 9 ottobre 1873, fu un importante matematico, astronomo e astrofisico. Nel 1893 conseguì la laurea in astronomia all Università di Strasburgo e nel 1896 ottenne il dottorato dall Università di Monaco. Nei tre anni successivi lavorò a Vienna come assistente all osservatorio Kuffner. Nel 1901 ottenne il posto di direttore dell osservatorio astronomico di Gottinga. 7

8 In questi anni Schwarzschild entrò in contatto con numerosi scienziati, quali David Hilbert e Hermann Minkowski. Questo è il periodo in cui le sue ricerche lo condussero a scoprire quello che diventò famoso come l effetto Schwarzschild, metodo fotometrico usato tutt oggi per individuare e fotografare le stelle più distanti. In seguito ai suoi successi scientifici divenne direttore dell osservatorio astrofisico di Potsdam. Nel 1915 Albert Einstein scoprì le equazioni di campo della relatività generale: dopo la loro pubblicazione da parte dell Accademia delle scienze prussiana, Schwarzschild inviò a Einstein un articolo contenente la soluzione di una prima equazione. Era il 16 gennaio Dopo lo scoppio del primo conflitto mondiale Schwarzschild si arruolò volontario, nei primi mesi di guerra fu tenuto nelle retrovie del Belgio occupato, ma nel 1916 fu inviato sul fronte orientale. Dopo poche settimane di permanenza in trincea si ammalò gravemente, fu trasferito a Potsdam dove morì l 11 maggio (Per approfondimenti: The Abraham Zelmanov Journal. The journal for General Relativity, gravitation and cosmology, Vol. 1, 2008.) 8

9 Enrico Fermi: la scienza e il potere Prologo La sera del 6 dicembre 1938 Enrico Fermi, insieme con la sua famiglia, parte da Roma per Stoccolma. Ufficialmente si reca a ritirare il premio Nobel per la fisica, di cui è stato insignito dall'accademia svedese. Farà ritorno in Italia soltanto dopo la fine della guerra: la moglie di Fermi, Laura Capon, è di famiglia ebrea e il 17 novembre di quello stesso anno [1938] era stata promulgata dal governo fascista, a suggello di una martellante campagna di propaganda e di una serie di altri provvedimenti legislativi, la famigerata "legge per la difesa della razza". Alla cerimonia di conferimento del Nobel Fermi non indossa né l'uniforme di accademico d'italia né la divisa del partito fascista, ma il frac, e invece di levare il braccio nel saluto romano stringe la mano al re Gustavo V. Dopo una breve sosta a Copenaghen, il 24 dicembre, da Southampton, si imbarca sul piroscafo Franconia per gli Stati Uniti: lavora dapprima alla Columbia University di New York, nel 1942 si trasferisce all'università di Chicago, dove progetta e realizza la "pila atomica", il primo reattore nucleare. Tra il 1943 e il 1945 partecipa al progetto Manhattan per la costruzione della bomba atomica: le sue 9

10 competenze teoriche, unite alla sua straordinaria abilità sperimentale, si rivelano determinanti per il successo dell'impresa scientifico-tecnologica responsabile delle centinaia di migliaia di morti di Hiroshima e Nagasaki. Le vicende di Fermi sono emblematiche di un'epoca in cui gli scienziati, sempre più spesso, si trovano a doversi confrontare con interrogativi di carattere etico e politico. Quali principî devono regolare i rapporti con i governi e con le industrie? È giusto - quantomeno in certi momenti storici - mettere le proprie conoscenze al servizio del potere militare? Ha ancora senso rinchiudersi nel proprio laboratorio come in una torre d'avorio nel nome della "ricerca pura" se così forti sono gli interessi in gioco e così profonde le implicazioni morali? Le scelte di Fermi, come vedremo, furono contraddistinte da non poche ambiguità: certamente non furono scelte obbligate. Altri suoi colleghi fisici, come Bruno Pontecorvo o Franco Rasetti, tennero condotte diverse. La migrazione intellettuale A partire dagli anni '30, l'aggravarsi della situazione politica, le persecuzioni razziali e, da ultimo, la guerra costrinsero molti uomini di cultura - letterati, filosofi, economisti, storici, romanzieri, registi, musicisti, architetti, artisti, medici, biologi, fisici, matematici - ad abbandonare l'europa per rifugiarsi negli Stati Uniti (si ricordi che in questo Paese la legge di immigrazione esentava i professori universitari dalle quote fisse di immigrazione, facilitando così l'ingresso degli studiosi invitati da una qualche istituzione statunitense; inoltre, il cosiddetto Emergency Committee for Displaced German Scholars, in seguito esteso a tutte le nazionalità, offrì molti posti a termine a coloro che non avevano un contratto con qualche università, spesso con il sostegno economico della Rockfeller Foundation). Questa migrazione non fu certo un movimento di massa, ma ebbe conseguenze di grande portata: 1) creò i presupposti del predominio degli Stati Uniti in campo scientifico e tecnologico nel dopoguerra; 2) modificò in maniera definitiva la struttura stessa dell'impresa scientifica e fu all'origine della big science dipendente dagli interessi economico-industriali, dalla politica, dai progetti di ricerca militari; 3) sancì l'importanza della conoscenza scientifica all'interno della società e ridefinì il ruolo dello scienziato in quanto uomo di potere e non solo di sapere. 10

11 Einstein e von Neumann. Tra i molti fisici teorici e matematici che emigrarono negli Stati Uniti, forse le personalità più di spicco furono Einstein, Fermi e von Neumann. Le figure Einstein e von Neumann sono emblematiche di due atteggiamenti antitetici dello scienziato nei confronti del "potere". Einstein (Ulm Princeton 1955), approdato all'institute for Advanced Studies nel 1933, fisico teorico la cui fama eguaglia quella dei divi del cinema, ha una concezione elitaria del sapere scientifico e non manifesta alcun interesse alle applicazioni della fisica. Si atteggia ad anticonformista (ma forse sarebbe ora di analizzare criticamente questo mito dello scienziato sempre spettinato e apparentemente trasandato - forse Einstein è stato il primo scienziato a curare davvero la propria immagine pubblica) e vive un'esistenza sostanzialmente isolata. Nonostante sia un pacifista convinto e attivo, scrive (1939) la famosa lettera che convince Roosevelt ad avviare il progetto Manhattan per la costruzione dell'atomica (ma Einstein non partecipa al progetto, anche perché sospettato dall'fbi di avere simpatie comuniste). A costo di semplificare, potremmo dire che Einstein si presenta solo come uomo di sapere e non di potere. John von Neumann (Budapest Washington 1957), professore all'institute for Advanced Studies dal 1933, matematico di straordinario e poliedrico talento, oltre ai risultati puramente teorici ha idee innovative anche nel campo applicativo (crea la teoria dei giochi, rinnova la meteorologia, getta le basi della computer science e della teoria degli automi). Von Neumann, sempre in giacca e cravatta, non esibisce comportamenti anticonformisti ed è perfettamente integrato nell'ambiente accademico: è un uomo di potere. Ha un ruolo importante nel progetto Manhattan (suoi i calcoli che permettono l'esplosione della bomba di Nagasaki) e dopo la guerra diventa consulente della Cia, della National Security Agency, dell'ibm, membro della Atomic Energy Commission. Von Neumann contribuì ad orientare la politica degli Stati Uniti come superpotenza militare e tecnologica: a lui si deve la lucida teorizzazione, sulla base della teoria dei giochi, dell'idea di "nuclear deterrence", da attuarsi mediante la minaccia di missili balistici intercontinentali [von Neumann è il più probabile ispiratore del personaggio del dottor Stranamore dell'omonimo film di Stanley Kubrick]. Von Neumann è l'esempio paradigmatico dell'uomo di sapere che è anche uomo di potere [vedi scheda allegata per ulteriori dettagli biografici]. 11

12 Si può dire che la figura di Fermi si collochi, per molti aspetti, a metà strada tra questi due opposte tipologie: è un emblema dello status ambiguo dello scienziato, in bilico tra compromesso, compromissione e libertà intellettuale. La rinascita della fisica italiana Agli inizi degli anni '20 la fisica teorica è terra di nessuno, al contrario di quel che accade in altri paesi europei (soprattutto la Germania). L'unica scuola fiorente in Italia è quella fisico-matematica, che ha in Tullio Levi-Civita la personalità di maggior spicco. Fermi (Roma ) - la cui adolescenza è tragicamente segnata dalla morte del fratello Giulio, di un anno più giovane - ha una formazione essenzialmente da autodidatta (per la biografia di Fermi vedi De Maria o Cordelli et al.). Fermi non solo diventerà uno dei maggiori fisici teorici del '900, imponendosi l'ultimo fisico "completo", al contempo teorico e sperimentale, ma riuscirà a creare ex novo una solidissima e feconda scuola di fisica teorica italiana, le cui propaggini arrivano fino ai giorni nostri. La carriera di Fermi (fino al 1926). All'esame di ammissione alla Scuola Normale Superiore di Pisa lascia stupefatti gli esaminatori trattando il tema "Caratteri distintivi del suono" non come un ragazzo appena uscito dal liceo, ma come un fisico professionista. Poco più che ventenne Fermi è sostanzialmente l'unico in Italia (a parte, forse, il suo amico Franco Rasetti) ad avere una conoscenza approfondita della relatività e della meccanica quantistica. Il suo professore di Fisica sperimentale alla Normale, Luigi Puccianti, non lo tratta come uno studente, ma come un collega e un consulente (addirittura, chiede a Fermi di tenergli alcuni seminari privati). La carriera accademica di Fermi è rapidissima: si laurea nel 1922, nel 1923 passa vari mesi a Gottinga (all'epoca la più prestigiosa università tedesca - Fermi vi conobbe Born, 12

13 Heisenberg e Pauli, tutti futuri premi Nobel), nel al suo attivo, nonostante la giovanissima età ha già vari importanti lavori scientifici, tra i quali quello (1925) sulla statistica delle particelle a spin semi-intero (ad esempio, elettroni, protoni e neutroni), oggi denominata statistica di Fermi-Dirac - viene nominato professore all'università di Roma. A Roma Fermi riunisce attorno a sé un gruppo di giovani fisici (forse dovremmo piuttosto dire studenti, data la loro età), i "ragazzi di via Panisperna" (la via dove aveva sede l'istituto di Fisica): Emilio Segrè (classe 1905), Franco Rasetti (classe 1901), Edoardo Amaldi (classe 1908), Ettore Majorana (classe 1906). Mario Orso Corbino. Il mentore e il protettore del gruppo - l'intelligenza politica che guida il rinnovamento della fisica teorica italiana - è Orso Mario Corbino ( ). Fisico di formazione, direttore dell'istituto di fisica dell'università di Roma dal 1918 all'anno della morte (1937), ministro della Pubblica istruzione nel , ministro dell'economia nel primo governo Mussolini, legato agli ambienti industriali, in particolare alle aziende elettriche (Edison), è Corbino a ottenere per Fermi la prima cattedra di Fisica teorica in Italia e a potenziare le strutture dell'istituto di via Panisperna. Lungimirante organizzatore culturale, Corbino, pur senza apportare contributi scientifici di rilievo, è consapevole della portata rivoluzionaria della meccanica quantistica e accoglie le ricerche condotte da Fermi sotto la sua egida: in un famoso discorso alla SIPS (Società Italiana per il Progresso delle Scienze), nel 1928, proclama che "la nuova frontiera è la fisica atomica". In particolare, Corbino capisce l'importanza di istituire grandi laboratori nazionali, in grado di competere con gli analoghi centri di ricerca degli altri paesi europei (soprattutto Germania, Francia, Inghilterra, Olanda). In fondo, a prescindere dai suoi indubbi meriti, Corbino pare agire in perfetta consonanza con la politica fascista di rivalutazione della grandezza del "genio italico". I ragazzi di via Panisperna. Il gruppo di via Panisperna è compatto attorno alla figura carismatica di Fermi. Lo spirito - tra il goliardico e l'elitario - che anima questi giovani ricercatori è testimoniato dai soprannomi che usano tra di loro: Fermi è il "papa", Rasetti il "cardinal vicario", Emilio Segrè e Edoardo Amaldi sono gli "abati" (Corbino è invece il "padreterno", mentre Enrico Persico - amico di Fermi fin dai tempi del liceo e lui stesso fisico teorico - è il "prefetto de propaganda fide" per il ruolo fondamentale che svolge nella diffusione della nuova fisica in Italia). 13

14 Più isolato, intellettualmente e umanamente, appare invece Ettore Majorana, soprannominato non a caso il "grande inquisitore", perché sempre critico e pieno di sfiducia verso se stesso e verso gli altri, Fermi compreso. Come fisico teorico, Majorana è l'unico che, in qualche misura, possa reggere il confronto con Fermi (i contributi scientifici di Majorana hanno un accentuato carattere matematico, con intuizioni spesso in anticipo sul proprio tempo). Personalità schiva e complessa, incapace di adeguarsi alle logiche del potere accademico, Majorana scompare in circostanze misteriose il 26 marzo 1938, pochi mesi dopo essere stato nominato professore "per alta e meritata fama" all'università di Napoli (la nomina per chiara fama permette alla commissione di far rientrare nella terna dei vincitori normali anche Giovanni Gentile jr., figlio di Giovanni Gentile). Leonardo Sciascia, nella Scomparsa di Majorana, ipotizza che Majorana fece perdere deliberatamente le proprie tracce - ritirandosi in un convento, oppure emigrando in qualche paese sudamericano, forse l'argentina - perché aveva intuito le apocalittiche potenzialità distruttive dell'energia nucleare: questa interpretazione, per quanto suggestiva, fa di Majorana un profeta capace di prevedere timori e scenari che potevano essere fondati solo dopo il 1939, quando Meitner e Frisch correttamente interpretarono il fenomeno della fissione osservato da Hahan e Strassmann. La radioattività artificiale. Le ricerche del gruppo di Fermi sono inizialmente dirette verso la spettroscopia; successivamente, si orientano verso la fisica nucleare. Negli anni Fermi sviluppa la teoria del decadimento beta, con il quale consolida definitivamente la propria fama a livello internazionale. La radioattività artificiale (o indotta) è scoperta, nel 1933, dai coniugi Joliot-Curie (Jean F. Joliot e Irène Curie, figlia di Marie Sklodowska - "madame Curie" - e Pierre Curie: una famiglia che ha raccolto ben cinque premi Nobel) bombardando con particelle? un foglio di alluminio. Il gruppo di via Panisperna, in cui svolge un ruolo importante, ma talvolta sottovalutato, anche il chimico Oscar D'Agostino (specializzato in radiochimica presso l'institut du radium di Parigi) ha l'idea di usare come proiettili, invece delle particelle?, neutroni. Tra il 1934 e il 1936, in rapida successione, vengono individuati circa quaranta nuovi isotopi radioattivi. "Con questo lavoro il gruppo di Fermi fece di Roma" uno dei maggiori centri mondiali della fisica nucleare del quel tempo" (A. Pais). Questo successo si deve più all'ingegno e alla serendipity di Fermi e compagni, che non alla ricchezza di mezzi e di strumentazione, molto inferiori, ad esempio, a quelli del laboratorio di Joliot- Curie (è Giulio Cesare Trabacchi, direttore del Laboratorio di Fisica dell'istituto di sanità 14

15 pubblica di Roma dal 1928 al 1958, a regalare a Fermi un grammo di radio per effettuare gli esperimenti - il significativo soprannome di Trabacchi è "divina provvidenza"). In particolare, Fermi e i suoi scoprirono che i neutroni rallentati con paraffina sono proiettili molto più efficaci di quelli veloci (e su suggerimento di Corbino, sempre attento al lato pratico delle cose, depositarono una richiesta di brevetto per questo procedimento). Questa scoperta del "potere selettivo dei neutroni lenti" varrà a Fermi il premio Nobel e, negli sviluppi successivi, si rileverà di cruciale importanza per la costruzione del primo reattore nucleare. Fermi e il regime. Fermi si impegnò sempre attivamente (anche negli Stati Uniti) nella politica universitaria: fu non solo un grandissimo fisico, ma anche un "barone", nel senso non necessariamente deteriore del termine. Nei confronti del fascismo nutre un'iniziale simpatia (secondo la testimonianza di Emilio Segrè); successivamente, quando diventa una personalità della cultura italiana, il fiore all'occhiello della ricerca scientifica italiana (insieme al monumento Marconi) Fermi ha bisogno di rimanere in buoni rapporti con il regime per ottenere fondi di ricerca, per avere cattedre per i suoi allievi, eccetera. Fermi iscrive al PNF, nel 1929, il giorno prima di entrare a fare parte dell'accademia d'italia, l'impennacchiato pantheon culturale nato per volontà di Benito Mussolini, in esplicita concorrenza con l'accademia dei Lincei, presieduta dall'antifascista Vito Volterra. Com'è recentemente venuto alla luce (S. Fiori, "La Repubblica" ) nell'accademia d'italia vigeva una rigida discriminazione antisemita - imposta da Marconi, presidente dal 1930 al '37: ad esempio sono pubblicamente respinte le candidature di scienziati illustri come Tullio Levi-Civita, Vito Volterra, Federigo Enriques. Insomma, la feluca da accademico non è solo un copricapo da parata, ma anche un segno se non di fedeltà al regime, quantomeno di tacita accettazione della politica di grandeur e di esaltazione nazionalistica di Mussolini. Nel 1934 Fermi fa parte della giuria della sezione scienze dei primi Littoriali della cultura; è conservata una lettera del 193?(1?), nella quale Fermi dichiara senza mezze parole di accettare nel suo gruppo il giovane fisico ebreo Gian Carlo Wick purché questi rinunci a manifestare apertamente il proprio antifascismo. In conclusione, non si sbaglierebbe troppo a definire Fermi un intellettuale organico al regime. "Il pesce inizia a puzzare dalla testa". La fuga di Fermi negli Stati Uniti e il suo comportamento alla cerimonia di premiazione del Nobel furono duramente criticati dalla stampa di regime (e non solo); già da qualche tempo, tuttavia, erano affiorati sospetti e accuse per la impurità razziale non solo della sua famiglia, ma anche del gruppo di fisici 15

16 suoi collaboratori (Amaldi, Wick, Segrè erano ebrei, così come Giulio Racah a Pisa). La battuta che circolava a commento della fuga di Fermi era che "il pesce inizia a puzzare dalla testa": nel clamoroso gesto di un accademico d'italia si scorgeva cioè l'indizio di un irreversibile processo di deterioramento nei rapporti tra il regime e la nazione. Ma perché Fermi abbandona l'italia nel 1938? Non soltanto per la minaccia delle leggi razziali. Il fatto è che in Italia non ci sono più le condizioni per continuare a fare ricerca di punta in fisica nucleare: 1) nel 1937 muoiono Corbino e Marconi; 2) in conseguenza dell'autarchia e, soprattutto, dell'impegno militare nella guerra di Etiopia ('35-'36) i finanziamenti alla ricerca fondamentale subiscono una drastico ridimensionamento; 3) come scrive lo stesso Fermi in una lettera al CNR nel gennaio del 1937, gli esperimenti con le sorgenti naturali non possono più competere con quelli effettuati con gli acceleratori di ultima generazione (il primo ciclotrone fu realizzato agli inizi degli anni '30 dal fisico americano Ernest Lawrence) [A, p. 18]; nel giugno del 1938, la presidenza del CNR boccia la proposta di Fermi per la creazione di un "Istituto nazionale di radioattività", il che fa naufragare ogni speranza di costruire un ciclotrone italiano. Per proseguire la propria attività di ricerca in fisica nucleare ai massimi livelli, Fermi deve emigrare all'estero. Dalla fissione atomica alla bomba L'evento che dimostrò incontestabilmente l'enorme potere della scienza - e consacrò la scienza al potere - fu la costruzione della bomba atomica. Questa realizzazione - che avvenne in tempi brevissimi - non fu l'esito diretto e inevitabile delle nuove conoscenze scientifiche sulla struttura del nucleo atomico: richiese gli sforzi congiunti e organizzati di una folta compagine di scienziati - fisici, chimici, matematici, ingegneri - che misero le proprie competenze specifiche e il proprio ingegno al servizio dei militari, consapevoli di lavorare alla costruzione di un ordigno di immane potenza distruttiva. Altre volte nella storia gli uomini di scienza - da Archimede a Leonardo, fino a Fritz Haber - avevano prestato il proprio sapere alla causa bellica, ma il progetto Manhattan rappresentò un salto di qualità: non solo per le dimensioni colossali dell'impresa (oltre 5000 persone vi presero parte), ma per il travisamento collettivo del senso etico, per l'entusiasmo irresponsabile con il quale si riempirono lavagne e lavagne di calcoli come se la progettazione di un ordigno nucleare rientrasse nella normale routine di lavoro scientifico. Le foto che 16

17 ritraggono questi scienziati giovani e famosi - Fermi, Oppenheimer, Segrè, Hans Bethe, Victor F. Weisskopf, Carl David Anderson - tranquilli e sorridenti davanti al laboratorio di Los Alamos o in gita domenicale sulle montagne del New Mexico, con gli occhiali da sole e l'aria del turista che si gode un meritato riposo [C, p. 71; S, p. 209], sono la testimonianza tragica della ragione scientifica svuotata di ogni principio etico. Così come tragiche, e sconvolgenti, sono le parole con le quali Fermi, in una lettera ad Amaldi del 28 agosto 1945 [A, pp ] - poche settimane dopo le stragi di Hiroshima e Nagasaki - commenta il suo lavoro a Los Alamos: " è stato un lavoro di notevole interesse scientifico e l'aver contribuito a troncare una guerra che minacciava di tirar avanti per mesi o per anni è stato indubbiamente motivo di una certa soddisfazione". La fissione. Il 10 dicembre 1938 Fermi ricevette il premio Nobel per la fisica "per aver dimostrato l'esistenza di nuovi elementi radioattivi generati dall'irraggiamento mediante neutroni, e per la scoperta, legata alla precedente, delle reazioni nucleari provocate dai neutroni lenti". Nel discorso di accettazione del Nobel Fermi accennò alla presunta scoperta di nuovi elementi con numero atomico superiore a quello dell'uranio, "che a Roma sono di solito chiamati rispettivamente ausonio ed esperio" (la presunta scoperta risale al 34-35; all'epoca la proposta di battezzare uno dei nuovi elementi "littorio" fu liquidata da Corbino con una battuta: la vita media delle sostanze era troppo breve per associarle al regime). In realtà nessun elemento nuovo era stato scoperto dal gruppo di via Panisperna: Fermi, "il papa" si sbagliava, e aveva anche scelto male il momento per rendere pubblica la sua supposizione. Nell'autunno di quello stesso anno [1938], infatti, Otto Hahan e Fritz Strassmann, a Berlino, avevano intrapreso un'analisi radiochimica molto accurata degli elementi prodotti irradiando l'uranio con neutroni: tra questi elementi vennero identificati il bario e il lantanio, entrambi con numeri atomici molto inferiori a quello dell'uranio. Il risultato di Hahan e Strassmann (che Fermi apprese nel gennaio del 1939, quando si trova alla Columbia University) sembrava davvero sorprendente. Eppure la spiegazione era estremamente semplice, come intuirono quasi subito Lise Meitner (ebrea viennese, rifugiatasi a Stoccolma per sfuggire alle persecuzioni razziali naziste - una grande figura, troppo spesso dimenticata, della fisica del '900) e suo nipote Otto Frisch (rifugiatosi a Copenaghen): il nucleo dell'atomo di uranio, assorbendo un neutrone, si scinde in due nuclei aventi peso atomico circa uguale, compreso tra 38 e

18 Della giustezza di questa interpretazione si convince anche Niels Bohr - uno dei padri della meccanica quantistica - che, in collaborazione con lo stesso Frisch, pubblica una lettera su Nature (11 febbraio 1939), nella quale viene usato per la prima volta il termine "fissione". I fisici di tutto il mondo si impegnano a chiarire gli aspetti teorici e sperimentali del nuovo fenomeno. Nel solo anno 1939 vengono pubblicati oltre cento articoli tecnici sulla fissione. In brevissimo tempo si scopre che la fissione dell'uranio è accompagnata dall'emissione di neutroni, che a loro volta possono provocare nuove fissioni (gli esperimenti sono dovuti a Fermi e Anderson alla Columbia, Walter Zinn e Leo Szilard anch'essi alla Columbia e Joliot a Parigi). Nasce così l'idea della possibilità di reazioni a catena, capaci di generare enormi quantità di energia. Subito si realizza che questa energia, se opportunamente controllata, può essere impiegata per costruire armi atomiche. Il fisico George Uhlenbeck racconta che Fermi, nel 1939, quando erano entrambi alla Columbia University, si voltò verso di lui e gli disse: "Ma ti rendi conto, George, che una piccola bomba a fissione potrebbe distruggere quasi tutto quello che vediamo qua fuori?" Queste straordinarie scoperte non rimangono confinate a una ristretta cerchia di specialisti. Anche il grande pubblico è messo al corrente degli sviluppi della fisica nucleare. La New York Herald Tribune del 12 febbraio 1939 titola: "Nel regno della scienza: lo sviluppo pratico dell'energia atomica è solo questione di tempo"; il Washington Post del 29 aprile: "I fisici stanno discutendo se gli esperimenti [con il ciclotrone] faranno saltare in aria due miglia di territorio". Il progetto Manhattan. Sull'Europa incombe ormai lo spettro della guerra. Nell'estate del 1939 Leo Szilard ed Eugene Wigner (entrambi profughi ungheresi) convincono Einstein (che ha sempre manifestato idee pacifiste) a indirizzare una lettera (datata 2 agosto 1939) al presidente F.D. Roosevelt per richiamare l'attenzione del governo americano sul pericolo che avrebbe minacciato l'umanità se i nazisti fossero riusciti a costruire un ordigno nucleare [E, pp ]. Einstein, in particolare, insiste sull'opportunità di "stabilire un collegamento permanente tra il governo e il gruppo di fisici che, in America, lavorano alla reazione a catena". In realtà, la macchina governativa fu piuttosto lenta a recepire il pressante invito di Einstein, condiviso dalla maggioranza dei fisici che avevano trovato rifugio negli Stati Uniti. 18

19 Questo ritardo si spiega in parte per il naturale scetticismo dei militari, piuttosto riluttanti ad accogliere gli avvertimenti di scienziati stranieri che ipotizzavano la possibilità di costruire armi di nuova concezione basate su scoperte molto recenti della fisica nucleare; d'altra parte, occorre anche ricordare che le ricerche militari erano in massima parte indirizzate al perfezionamento del radar. Soltanto alla fine del 1941, alla vigilia di Pearl Harbor, la Casa Bianca decise di stanziare fondi rilevanti per la realizzazione di un ordigno nucleare. Il progetto Manhattan prese il via nell'estate del 1942: il generale Groves scelse il fisico Robert Oppenheimer (non a caso americano di nascita) a dirigere e coordinare il gruppo di scienziati che iniziarono a lavorare nel laboratorio segreto di Los Alamos, nel New Mexico. È impressionante scorrere la lista dei fisici che saranno impegnati in questa gigantesca impresa collettiva: Bohr, Chadwick, Bethe, Fermi, Teller, Feynmann (uno dei più giovani), Anderson, Wigner, Rabi, nonché i vecchi amici e collaboratori di Fermi, Emilio Segrè e Bruno Rossi. Von Neumann - un outsider tra i fisici teorici e sperimentali - partecipa attivamente, senza prendere fissa dimora a Los Alamos, contribuendo alla risoluzione di molti problemi matematici. E non bisogna dimenticare il ruolo strategico svolto dalle grandi companies industriali, quali Du Pont, Eastman, Union Carbide, Monsanto. La pila atomica. La prima reazione a catena è ottenuta a Chicago, dal gruppo di Fermi, nell'autunno del Naturalmente, senza questo passo preliminare non sarebbe stato possibile costruire la bomba atomica. Il problema principale da risolvere è il seguente: neutroni che vengono prodotto dalla fissione dei nucleo di uranio 235 sono troppo veloci per dare origine ad altre fissioni e vanno quindi rallentati da un moderatore. Questo moderatore deve essere una sostanza che non assorba i neutroni. L'acqua pesante costituirebbe un ottimo moderatore, ma negli Stati Uniti non ve ne è grande disponibilità; Fermi, in collaborazione con Anderson, Zinn, inizia dunque a studiare le proprietà della grafite. Dopo i primi esperimenti alla Columbia University, Fermi si trasferisce a Chicago: nell'ottobre del '42 inizia la costruzione del primo reattore, la "pila atomica" (ufficialmente, il direttore del progetto non è Fermi, cittadino di un paese nemico, bensì Arthur Compton). La "pila" è un mastodontico apparato alto 9 metri, sistemato in un locale sotto le gradinate dello stadio della Chicago University. Nella struttura sono inserite numerose barre di cadmio (una sostanza che assorbe neutroni), che vengono rimosse per attivare la reazione e reinserite per smorzarla: questo procedimento di controllo è manuale e, potenzialmente, molto pericoloso. 19

20 I gadgets. A Los Alamos furono costruite tre bombe - la parola in codice era gadgets - realizzate secondo due progetti, diversi sia per il materiale fissile impiegato (in un caso l'uranio 235, nell'altro il plutonio 239), sia per il metodo di detonazione. La prima bomba al plutonio fu fatta esplodere il 16 luglio 1945 nella località Jornada del Muerto, vicino ad Alamogordo, nel deserto del New Mexico. Cinque chili circa di plutonio produssero un'esplosione equivalente a tonnellate di tritolo: la torre cui era sospeso il gadget fu vaporizzata, la sabbia del deserto si vetrificò, si aprì un cratere profondo oltre 100 metri. Appena tre settimane dopo questo test riuscito oltre le aspettative (i calcoli dei fisici prevedevano una minore potenza distruttiva), il 6 agosto 1945, un bombardiere B-29 sganciava su Hiroshima la bomba all'uranio (non ancora testata): almeno persone morirono per le conseguenze dell'esplosione. Tre giorni più tardi, il 9 agosto, la bomba al plutonio fu lanciata su Nagasaki: circa persone morirono per gli effetti dell'esplosione e della radioattività nei cinque anni successivi. Le scelte dei fisici. Già qualche tempo prima del test di Alamogordo, l'11 giugno 1945, sul tavolo del neoeletto presidente Truman era giunto un documento firmato dal fisico tedesco James Franck (nato ad Amburgo nell'1882, premio Nobel nel 1926 e rifugiatosi negli Stati Uniti dal 1933), insieme con altri colleghi tutti impegnati nel progetto Manhattan (tra i quali, Leo Szilard, lo stesso che aveva convinto Einstein a scrivere a Roosevelt). Il Franck report, con grande lucidità e preveggenza, ammoniva il governo americano sulle terribili conseguenze dell'uso bellico dell'energia atomica, prefigurando, tra l'altro, uno scenario futuro di corsa agli armamenti, che avrebbe finito per minacciare l'umanità intera. Per mettere fine alla guerra (la Germania aveva già capitolato il 7 maggio) si suggeriva di effettuare un'esplosione dimostrativa che avrebbe convinto il Giappone alla resa. Ma questi avvertimenti furono vanificati dal papere espresso dallo "Scientific Panel of the Interim Committee on Nuclear Power", composto da Oppenheimer, Compton, Lawrence e Fermi, che raccomandavano l'uso immediato della bomba per risolvere il conflitto (il documento dello Scientific Panel si chiude con una dichiarazione pilatesca: "We have, however, no claim to special competence in solving the political, social, and military problems which are presented by the advent of atomic power"). Altre petizioni, prima dell'irrimediabile, furono rivolte a Truman: una sottoscritte da Leo Szilard e da altri 69 scienziati che lavoravano al progetto Manhattan, altre firmate dagli scienziati del laboratorio di Oak Ridge (Tennessee) e dal gruppo di Chicago. Per quanto la decisione finale di sganciare la bomba fu presa, come ovvio, dai militari, è innegabile la corresponsabilità diretta dei costituenti dello Scientific Panel, tra i quali - come abbiamo 20

21 detto - vi era Fermi. Le reazioni dopo la carneficina di Hiroshima e Nagasaki sono ugualmente significative. Abbiamo già ricordato le parole di Fermi in una lettera ad Amaldi dell'agosto '45: " è stato un lavoro di notevole interesse scientifico e l'aver contribuito a troncare una guerra che minacciava di tirar avanti per mesi o per anni è stato indubbiamente motivo di una certa soddisfazione". Non diversamente, si esprime Segrè nella sua autobiografia: " Io certamente mi rallegrai per il successo che aveva coronato anni di duro lavoro e fui sollevato dalla fine della guerra". Si deve senza dubbio ricordare che entrambi i genitori di Segrè erano morti nei campi di concentramento nazisti, come anche i genitori di Laura Capon, la moglie di Fermi. Ma la tranquilla sicurezza delle dichiarazioni dei due grandi fisici italiani, nelle quali non si insinua nemmeno l'ombra di un dubbio, è sconvolgente. Radicalmente opposto, come abbiamo visto, fu il comportamento di Szilard, che si adoperò attivamente affinché la bomba non esplodesse su obiettivi civili. Bruno Rossi confesserà che, subito dopo il test di Alamogordo, il sentimento di aver partecipato a un'impresa di importanza storica "veniva presto sopraffatto da un senso di colpa e da una terribile ansietà per le conseguenze del nostro lavoro". Anche Hans Bethe divenne un fervente oppositore dell'uso delle armi atomiche. Va detto che Fermi, dopo la guerra, cambiò la propria posizione: insieme con I. Rabi e Oppenheimer si dichiarò contrario alla costruzione della bomba all'idrogeno (in favore della quale era invece il "falco" Edward Teller). Franco Rasetti. "Rasetti fu l'unico che si rifiutò di collaborare al progetto della bomba a fissione per ragioni morali" [A, pp ]. Rifugiatosi in Canada, aveva impiantato un laboratorio per svolgere ricerche prima in fisica nucleare e successivamente sui raggi cosmici. Contattato per entrare a far parte di un gruppo di fisici britannici che sarebbero poi stati assorbiti nel progetto Manhattan, declinò l'offerta: "ci sono poche decisioni mai prese nel corso della mia vita - scrive Rasetti - per le quali ho avuto un minor rimpianto. Ero convinto che nulla di buono avrebbe potuto scaturire da nuovi e più mostruosi mezzi di distruzione, e gli eventi successivi hanno confermato in pieno i miei sospetti. Per quanto perverse fossero le potenze dell'asse, era evidente che l'altro fronte stava sprofondando a un livello morale (o immorale) simile nella condotta della guerra, come testimonia il massacro di civili giapponesi a Hiroshima e Nagasaki". Del tutto "disgustato per le ultime applicazioni della fisica", Rasetti decise di abbandonare la fisica e dedicarsi a 21

22 ricerche di biologia e geologia (e divenne un grande specialista, pubblicando memorie di paleontologia e una grande monografia sulla flora alpina). La condotta di Rasetti fu quasi messa in ridicolo da molti suoi colleghi: Amaldi in una lettera a Fermi del 5 luglio 1945 parla di "un particolare processo di isolamento psichico del nostro amico" e sollecita Fermi ad intervenire per costringerlo a dimettersi dalla cattedra di spettroscopia che ancora occupava a Roma ("non vediamo la ragione di avere un professore di spettroscopia che abita a circa 6000 miglia cercando trilobiti"). Eppure Rasetti aveva le sue buone ragioni: come scrive in una lettera a Enrico Persico "tra gli spettacoli più disgustosi di questi tempi ce ne sono pochi che uguagliano quello dei fisici che lavorano nei laboratori sotto stretta sorveglianza dei militari per preparare mezzi più violenti di distruzione per la prossima guerra". Epilogo Non solo in tempo di guerra, il comportamento degli scienziati dovrebbe essere conforme a rigorosi principî etici, che non hanno lo scopo di ostacolare la ricerca, ma di impedire che le conoscenze raggiunte vengono messe incondizionatamente al servizio del potere politico, militare o industriale. Affinché una nuova scoperta scientifica riesca a trovare applicazioni tecnologiche, è infatti quasi sempre necessario che gli scienziati impegnati nella ricerca di base prestino la loro cooperazione attiva agli ingegneri e ai tecnici che devono procedere alla realizzazione pratica del progetto. In altre parole, per bloccare la sinergia tra scienza, interessi politici e lobbies industriali basterebbe la consapevole noncollaborazione degli scienziati. Questo vale non solo per le armi nucleari (ormai un problema del passato: ormai chiunque abbia la tecnologia adatta può costruire una bomba atomica), ma per tutta la ricerca militare (comprese le armi batteriologiche), per la ricerca medica e farmaceutica, per le ricerche nel settore delle telecomunicazioni. Chi obietta che la scienza deve svilupparsi svincolata da qualsiasi restrizione - anche di carattere etico - dimentica che proprio nel perseguire l'alleanza con il potere, negli ultimi decenni, la scienza ha perso gran parte della propria autonomia, essendo venuta meno una delle condizioni essenziali: la libera circolazione delle idee e dei risultati, per il bavaglio sempre più spesso imposto alle innovazioni dal segreto militare o dal segreto industriale. 22

23 Indicazioni bibliografiche essenziali [A] E. Amaldi, Da via Panisperna all'america, Editori Riuniti, Roma [C] D. Cooper, Fermi and the revolutions of modern physics, Oxford University Press, [CGS] F. Cordella, A. De Gregorio, F. Sebastiani, Enrico Fermi. Gli anni italiani, Editori Riuniti, Roma [E]. A. Einstein, Opere scelte, a cura di Enrico Bellone, Bollati Boringhieri, Torino [N] P. Ndiaye, Du nylon et des bombes. Du Pont de Nemours, le marché et l'état américain, , Belin, Paris [P] A. Pais, Il danese tranquillo. Niels Bohr, un fisico e il suo tempo, Bollati Boringhieri, Torino [Po] B. Pontecorvo, Fermi e la fisica moderna, Editori Riuniti, Roma [R] E. Recami, Il caso Majorana, Di Renzo, Roma [Ro] M. Rouché, Oppenheimer e la bomba atomica, Editori Riuniti, Roma [S] E. Segrè, Personaggi e scoperte della fisica contemporanea, Mondadori, Milano [St] F. Stern, Einstein's German World, Princeton University Press,

24 Gordon FraserThe Quantum Exodus. Jewish Fugitives, the Atomic Bomb, and the HolocaustOxford University Press 2012, pp. 280, Non è un caso che l olocausto e la bomba atomica siano emersi contemporaneamente dai tumultuosi e drammatici avvenimenti del XX secolo. Un binomio spaventoso che ha la sua radice nella politica antisemita di Hitler e nella conseguente diaspora di fisici eccellenti, profondamente consapevoli sia del potenziale delle armi nucleari sia delle ambizioni del regime nazista, come racconta Gordon Fraser, un fisico teorico che per molti anni ha anche svolto anche un attività ad altissimo livello come giornalista scientifico. Il libro si sviluppa all intersezione fra tre grandi temi: la seconda guerra mondiale, la fisica di avanguardia, e l olocausto. Per la prima volta un volume esamina da questo punto di vista la storia di come la scienza sia divenuta un arma per la politica e di come l emigrazione in massa di scienziati europei abbia di fatto contribuito in modo decisivo a trasformare gli Stati Uniti in una potenza scientifica dominante. 24

25 Quando i nazisti presero il potere nel gennaio del 1933 non avevano come obiettivo principale a breve termine quello della soluzione finale, anche se la visione delirante di Hitler era stata sempre sotto gli occhi di tutti, chiaramente espressa nel Mein Kampf fin dal Lo scopo dichiarato era quello di purificare la cultura tedesca e liberarla da tutti coloro che la inquinavano, prima di tutto gli ebrei. Tutte le facoltà, da quelle umanistiche a quelle scientifiche, apparivano invase; ma la maggior concentrazione di brillanti talenti di discendenza non ariana, si trovava proprio nel campo della fisica atomica. Era un epoca in cui il tedesco era addirittura la lingua internazionale della fisica, riviste come Zeitschrift für Physik, Annalen der Physik e Die Naturwissenschaften erano lette ansiosamente dai fisici di tutto il mondo. Un vergognoso attacco venne sferrato dall interno della stessa comunità dei fisici. Relatività e teoria dei quanti, teorie accusate di essere troppo astratte e a cui Albert Einstein aveva dato fondamentali contributi fin dal 1905 erano da qualche anno nel mirino di Philipp Lenard e Johannes Stark, entrambi premi Nobel per la fisica e principali sostenitori della cosiddetta Deutsches Physik. Ecco cosa scriveva Lenard il 15 maggio 1933 sul Völkischer Beobachter: Si era fatto buio nella fisica, da cima in fondo. Con la massiccia infiltrazione degli ebrei in importanti posizioni nelle università e accademie, l osservazione della natura la base di tutte le scienze naturali è stata dimenticata. Piuttosto, la conoscenza è stata basata sull immaginazione umana [ ] Il più ovvio esempio di questa influenza perniciosa degli ebrei sulla scienza è rappresentato dal signor Einstein. A quell epoca Einstein aveva già abbandonato la Germania, da tempo consapevole della drammatica direzione che stavano prendendo gli eventi nel suo paese. Fu in effetti il capofila di un gigantesco esodo di artisti e intellettuali letteralmente buttati fuori da ogni tipo di istituzioni pubbliche. La fisica, fin dall Ottocento fiore all occhiello della scienza tedesca, risultò praticamente decapitata dall epurazione. Il drammatico sacrificio fu attuato nella totale assenza di consapevolezza del delicato processo alla base della costruzione di un patrimonio di sapere scientifico e di una comunità di scienziati, come appare chiaro nella incredibile affermazione dello stesso Hitler: Se sbarazzarsi degli scienziati ebrei implica l annichilazione della scienza tedesca, allora faremo a meno della scienza per qualche anno. 25

26 Lo stesso Werner Heisenberg, giovane vanto della fisica tedesca, uno dei padri della nuova meccanica quantistica, venne accusato di essere un ebreo bianco, perché insegnava le nuove teorie e praticava la fisica teorica. Soltanto il provvidenziale intervento di sua madre, amica personale della madre di Himmler, aveva neutralizzato l attacco. All epoca dell avvento di Hitler grandi novità avevano caratterizzato la fisica sperimentale. In particolare, nel 1932 l inglese James Chadwick aveva dimostrato l esistenza del neutrone, ipotizzato da Rutherford fin dal 1920 e subito divenuto un ingrediente essenziale per la formulazione di modelli teorici sulla natura del cuore dell atomo. Questa scoperta segnava l entrata ufficiale nell era nucleare. Molti di coloro che furono costretti ad emigrare erano in effetti degli esperti nel campo della neonata fisica del nucleo. Inoltre, nel frattempo Mussolini si era unito a Hitler nel suo folle progetto di conquistare il mondo ed entro l autunno 1938 aveva messo in atto una serie di provvedimenti antisemiti che colpivano duramente la comunità dei giovani fisici che stavano contribuendo alla nascita della fisica moderna in Italia e tutti coloro che non condividevano la politica del regime. Fortunatamente la comunità dei fisici è sempre stata una comunità internazionale e i rapporti erano strettissimi, in particolare fra i rappresentanti della generazione nata a partire dall inizio del secolo. Solidarietà e opportunità di assicurarsi la collaborazione di tanti personaggi eccellenti fecero sì che gli esuli fossero aiutati e accolti grazie anche a fondi specifici messi a disposizione per questo scopo. Non fu facile trovare una collocazione per tutti, soprattutto per i più giovani e meno prestigiosi e per gli italiani, arrivati dopo il Gli Stati Uniti in particolare erano ancora in difficoltà a causa degli effetti della grande depressione del 29, ma furono pronti ad accogliere lo straordinario regalo che Hitler stava facendo alla scienza americana. Il baricentro della fisica si spostava al di là dell atlantico. Circa un centinaio di fisici tra il 1933 e la fine degli anni Trenta fuggirono dalla Germania nazista e dall Italia fascista. Nell autunno del 1938, quando Enrico Fermi, reduce dagli onori di Stoccolma dove aveva ricevuto il Nobel per la fisica, si imbarcò su un transatlantico diretto a New York, uno dei grandi sacerdoti della nuova scienza nucleare si ricongiungeva alla nuova comunità degli esuli nel nuovo mondo. Bruno Rossi, il pioniere della fisica dei raggi cosmici in Italia che 26

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