Prova scritta di geometria e algebra lineare del Esercizio 1 Sono dati il piano π e la retta r k in R 3 definiti da:
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- Faustino Murgia
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1 Prova scritta di geometria e algebra lineare del Esercizio 1 Sono dati il piano π e la retta r k in R 3 definiti da: π : { x = 1 + t s y = t + 2s z = 2 + 2t + s con k costante reale assegnata. Determinare: x = 1 + kt r k : y = (3k + 1)t z = (2k 1)t + 2, (a) l equazione cartesiana di π, precisando se π è un sottospazio di R 3 ; (b) l equazione della retta s ortogonale a π passante per il punto P = (1, 1, 1); (c) i valori di k R, se possibile, per i quali la retta r k risulta parallela a π oppure perpendicolare a π; (d) posto k = 0, l equazione della retta r proiezione ortogonale di r 0 su π. Esercizio 2 Si consideri l applicazione f : R 3 R 3 definita da: f(x, y, z) = (2x 3y + z, x y + z, x + 2z). (a) Determinare la matrice rappresentativa A di f rispetto alla base B = {(1, 0, 0), (1, 1, 0), (1, 1, 1)} sia in partenza che in arrivo. (b) Trovare una base e la dimensione del nucleo ker(f) di f. (c) Determinare una base e la dimensione dell immagine Im(f) di f. (d) Stabilire, motivando la risposta, se la f precedente sia iniettiva e/o suriettiva e se costituisca o meno un isomorfismo di R 3. 1
2 Esercizio 3 È dato in R 3 il sistema di vettori v 1 = (0, 1, 2), v 2 = ( 1, 1, 1), v 3 = (2, 1, 1). (a) Scrivere la matrice rappresentativa dell endomorfismo f : R 3 R 3 definito da: f(v 1 ) = 2v 2 f(v 2 ) = 8v 1 f(v 3 ) = 4v 3 rispetto alla base B = {v 1, v 2, v 2 } sia in partenza che in arrivo. (b) Determinare gli autovalori e gli autospazi di f, ricordando poi di esprimere questi ultimi rispetto alla base canonica. (c) Stabilire se f è diagonalizzabile. In caso affermativo indicare una base di R 3 che lo diagonalizza. (d) Dire se esiste una base ortonormale (secondo il prodotto scalare standard) di R 3 costituita da autovettori di f. Esercizio 4 Si consideri il sottoinsieme di R 4 : V = {(x, y, z, w) R 4 x z + w = 0, 2x + y = 0}. (a) Verificato che V è un sottospazio di R 4, determinarne una base e la dimensione. (b) Trovare una base ortonormale di V, secondo il prodotto scalare standard. (c) Ricavare base e dimensione del sottospazio S = V + (0, 0, 1, 1), (0, 1, 1, 1). (d) Stabilire se la somma precedente è diretta. 2
3 Soluzione dell esercizio 1 (a) Equazione cartesiana del piano π Si vuole ricavare l equazione cartesiana del piano: π : { x = 1 + t s y = t + 2s z = 2 + 2t + s t, s R. Il problema può essere risolto in almeno due modi diversi. Primo metodo: eliminazione dei parametri L equazione cartesiana può essere ricavata eliminando i parametri t ed s dall equazione parametrica. A tale scopo si può riscrivere quest ultima nella forma equivalente: { t s = x 1 t + 2s = y 2t + s = z + 2 che si riduce poi a scala con il metodo di Gauss: 1 1 ] 1 2 [ t = x 1 y, s 2 1 z x y R 2 R x y x z + 2 R 3 2R z 2x x y x + 1. R 3 R x y + z + 3 L ultima equazione del sistema così ottenuto non contiene i parametri t ed s, risultando un equazione nelle sole coordinate cartesiane x, y, z: x y + z + 3 = 0 e rappresenta l equazione cartesiana del piano π cercata. È evidente che il vettore (x, y, z) = (0, 0, 0) non soddisfa l equazione, per cui l origine non appartiene al piano π. Ciò basta a concludere che π non costituisce un sottospazio di R 3. Secondo metodo: prodotto vettoriale L equazione parametrica del piano π equivale alla relazione matriciale: x y z = t s 1 2, dalla quale risulta chiaramente che π contiene il punto B = (1, 0, 2) basta porre t = s = 0 ed è parallelo ai vettori v 1 = (1, 1, 2) e v 2 = ( 1, 2, 1), la cui lineare 3
4 indipendenza è evidente. Ne deriva che il piano π deve risultare ortogonale al vettore non nullo n π = v 1 v 2 : n π = v 1 v 2 = e 1 e 2 e = 3e 1 3e 2 + 3e 3 = ( 3, 3, 3). Il piano π ha dunque equazione (X B) n π = 0 ossia, indicato con X = (x, y, z) un suo generico punto: (x 1, y 0, z + 2) ( 3, 3, 3) = 0 e quindi: 3(x 1) 3y + 3(z + 2) = 0. Basta infine eseguire i prodotti e semplificare per ottenere l equazione richiesta: 3x + 3 3y + 3z + = 0 3x 3y + 3z + 9 = 0 nella quale si può eliminare ulteriormente un fattore comune 3: x y + z + 3 = 0 a conferma del precedente risultato. Per brevità, può porsi convenientemente n π = ( 1, 1, 1) semplificando l inessenziale fattore 3. (b) Equazione della retta s ortogonale a π e passante per P = (1, 1, 1) La retta s ortogonale al piano π e passante per il punto P = (1, 1, 1) deve avere vettore direttore proporzionale o uguale al vettore perpendicolare a π; la sua equazione parametrica deve essere quindi: X = P + t n π ossia, posto X = (x, y, z): (x, y, z) = (1, 1, 1) + t ( 1, 1, 1). Basta così separare le coordinate per ottenere l equazione parametrica esplicita: s : { x = 1 t y = 1 t z = 1 + t. L equazione cartesiana corrispondente si ricava eliminando il parametro: { t = 1 x t = 1 y t = z 1 { t = 1 x 0 = x y 0 = z + x 2 { x y = 0 z + x = 2. 4
5 (c) Valori di k per i quali r k è parallela o ortogonale a π La retta r k ha equazione parametrica: x = 1 + kt r k : y = (3k + 1)t z = (2k 1)t + 2, con vettore direttore d k = (k, 3k + 1, 2k 1), sempre diverso da zero per k R. La retta r k è parallela a π se e soltanto se i vettori non nulli d k e n π risultano fra loro ortogonali, ossia: 0 = d k n π = (k, 3k + 1, 2k 1) ( 1, 1, 1) = k 3k 1 + 2k 1 = 2k 2 in modo che la condizione è soddisfatta se e soltanto se k = 1. La retta r k è ortogonale a π qualora d k e n π siano invece paralleli, ossia: e 1 e 2 e 3 0 = d k n π = k 3k + 1 2k = = e 1 (3k k 1) + e 2 ( 2k + 1 k) + e 3 ( k + 3k + 1) = = 5ke 1 + (1 3k)e 2 + (1 + 2k)e 3, risultando perciò soddisfatto il sistema lineare: { 5k = 0 1 3k = k = 0 che però è chiaramente incompatibile. Non esistono pertanto valori di k R tali che la retta r k risulti perpendicolare al piano π. Un metodo alternativo per risolvere lo stesso problema consiste nel considerare che d k e n π sono paralleli se e soltanto se d k = λn π per λ R opportuno. Deve aversi pertanto: (k, 3k + 1, 2k 1) = λ( 1, 1, 1), ossia: { k = λ 3k + 1 = λ 2k 1 = λ { k = λ 2k + 1 = 0 3k 1 = 0 sistema che non ammette alcuna soluzione nelle variabili k, λ. { k = λ 2k + 1 = 0 5k = 0, (d) Equazione della retta r proiezione ortogonale di r 0 su π Le equazioni della retta r 0 e del piano π sono date da: { x = 1 r 0 : y = t z = t + 2 π : x y + z + 3 = 0. 5
6 La proiezione ortogonale r sul piano π della retta r 0 può essere determinata eseguendo i passi sottoelencati: si determina il punto di intersezione A fra la retta r 0 ed il piano π A = r 0 π; si sceglie un punto B r 0 che sia distinto da A; si trova la proiezione ortogonale B di B su π; si identifica r con la retta passante per i punti A e B, che ha equazione parametrica X = A + (B A)t. Il punto di intersezione A = r 0 π fra retta e piano si ottiene mettendo a sistema le relative equazioni: x y + z + 3 = 0 1 t t = 0 x = 1 x = 1 y = t y = t z = t + 2 z = t + 2 vale a dire: 4 2t = 0 x = 1 y = t z = t + 2 t = 2 x = 1 y = 2 z = 0 in modo che risulta A = (1, 2, 0). Un punto B A, B r 0 viene individuato ponendo ad esempio t = 0 nell equazione parametrica della retta: { x = 1 y = t z = t + 2 = { x = 1 y = 0 z = 2 = B = (1, 0, 2). La proiezione ortogonale B di B sul piano π si può ricavare mediante il prodotto scalare con il vettore n π ortogonale a π, tramite la ben nota relazione: B A = B A (B A) n π n π 2 n π nella quale la posizione di B è determinata rispetto al punto A del piano era dato considerare, del tutto equivalentemente, un qualsiasi punto di π. Avendosi: e n π = ( 1, 1, 1), si deduce che: B A = (1, 0, 2) (1, 2, 0) = (0, 2, 2) B ( 1, 1, 1) A = (0, 2, 2) (0, 2, 2) ( 1, 1, 1) = ( 1, 1, 1) 2 0 ( 1) + ( 2) ( 1) = (0, 2, 2) ( 1) 2 + ( 1) ( 1, 1, 1) = = (0, 2, 2) 4 ( 4 3 ( 1, 1, 1) = 3, 2 3, 2 ). 3
7 Non è veramente necessario ricavare la posizione di B, dal momento che l equazione parametrica della retta r, che passa per A e B, ha proprio B A come vettore direttore: X = A + (B A)t per cui risulta: (x, y, z) = (1, 2, 0) + ( 4 3, 2 3, 2 3) t e quindi, separando le coordinate: x = t r : y = t z = 2 3 t r : { x = 1 + 2s y = 2 s z = s, dove si è introdotto, per brevità, il nuovo parametro s = (2/3)t in luogo di t. Si osservi che essendo r π il vettore direttore di r : d r = (2, 1, 1) deve risultare ortogonale a n π = ( 1, 1, 1), come in effetti si verifica prontamente: d r n π = (2, 1, 1) ( 1, 1, 1) = 2 ( 1) + ( 1) ( 1) = = 0. Soluzione dell esercizio 2 (a) Matrice rappresentativa A di f rispetto alla base B L endomorfismo f : R 3 R 3 è definito da: f(x, y, z) = (2x 3y + z, x y + z, x + 2z) e se ne vuole determinare la matrice di rappresentazione A rispetto alla base: B = {(1, 0, 0), (1, 1, 0), (1, 1, 1)} sia nel dominio che nel codominio. A questo scopo basta calcolare le immagini attraverso f dei vettori di base e determinarne le coordinate rispetto alla stessa base. Per un generico vettore (α, β, γ) R 3 le coordinate x, y, z relative alla base B soddisfano l equazione vettoriale: (α, β, γ) = x(1, 0, 0) + y(1, 1, 0) + z(1, 1, 1), che equivale al sistema lineare nelle incognite x, y, z: { x + y + z = α y + z = β z = γ 7
8 ed essendo già in forma ridotta a scala si risolve immediatamente per sostituzione all indietro: { x = α y z = α β + γ γ = α β y = β z = β γ z = γ { x = α β y = β γ z = γ. Questa relazione generale può essere utilizzata per determinare le coordinate relative a B di tutte le immagini attraverso f degli stessi vettori di base: f(1, 0, 0) = (2, 1, 1) = 1 (1, 0, 0) + 0 (1, 1, 0) + 1 (1, 1, 1) f(1, 1, 0) = ( 1, 0, 1) = 1 (1, 0, 0) 1 (1, 1, 0) + 1 (1, 1, 1) f(1, 1, 1) = (0, 1, 3) = 1 (1, 0, 0) 2 (1, 1, 0) + 3 (1, 1, 1). Di conseguenza, la matrice rappresentativa di f rispetto alla base B, nel dominio e nel codominio, vale: A = (b) Base e dimensione del nucleo ker(f) di f Il nucleo dell endomorfismo f è costituito, per definizione, da tutti i vettori (x, y, z) R 3 tali che f(x, y, z) = (0, 0, 0), ossia: (2x 3y + z, x y + z, x + 2z) = (0, 0, 0). La condizione equivale al sistema lineare omogeneo: { 2x 3y + z = 0 x y + z = 0 x + 2z = x y = z 0 che si riduce facilmente a scala con il metodo di Gauss: R 2 R R 3 R R 3 3R e diventa pertanto: { 2x 3y + z = 0 y + z = 0, porgendo così la soluzione generale, per sostituzione all indietro: { x = 3y z 2 z = y = 3y + y 2 8 = 2y
9 con y R variabile libera. Il nucleo ker(f) si scrive pertanto: ossia: ker(f) = {(x, y, z) = (2y, y, y) y R} = {(x, y, z) = y(2, 1, 1) y R} ker(f) = (2, 1, 1) con base B ker = {(2, 1, 1)} e dimensione dim ker(f) = 1. (c) Base e dimensione dell immagine Im(f) di f Dalla linearità dell applicazione si deduce che: f(x, y, z) = (2x 3y + z, x y + z, x + 2z) = x(2, 1, 1) + y( 3, 1, 0) + z(1, 1, 2), in modo che: Im(f) = (2, 1, 1), ( 3, 1, 0), (1, 1, 2). Si tratta solo di estrarre una base dell insieme dei generatori. Si può ricorrere alla matrice ausiliaria che ha i generatori come colonne matrice rappresentativa di f rispetto alla base canonica in dominio e codominio: riducendola a scala con il metodo di Gauss, con le stesse mosse già eseguite per il calcolo del nucleo e che dunque non si rende necessario ripetere: La posizione dei due pivot, evidenziati con la sottolineatura, porta a concludere che le prime due colonne della matrice iniziale costituiscono una base dello spazio colonna, per cui: B Im = {(2, 1, 1), ( 3, 1, 0)} è una base di Im(f), con dim Im(f) = 2. Si osservi, a verifica del risultato ottenuto, che il teorema nullità più rango è soddisfatto: dim R 3 = 3 = = dim ker(f) + dim Im(f). (d) Iniettività e suriettività di f. Isomorfismo Come ben noto, condizione necessaria e sufficiente affinchè l endomorfismo f sia iniettivo è che il suo nucleo abbia dimensione nulla ovvero che esso si identifichi con il sottospazio vettoriale banale del dominio, contenente il solo vettore nullo. Si è però dimostrato che dim ker(f) = 1 > 0, circostanza che esclude pertanto l iniettività dell applicazione. 9
10 Analogamente, l applicazione lineare risulta suriettiva se e soltanto se la dimensione della sua immagine viene a coincidere con la dimensione del codominio. In questo caso si ha, tuttavia: dim Im(f) = 2 < 3 = dim R 3, per cui l applicazione non è neppure suriettiva. Si ricorda che un applicazone lineare con dominio e codominio di uguale dimensione (finita) è iniettiva se e soltanto se essa risulta suriettiva, come conseguenza del teorema nullità più rango. L endomorfismo f non costituisce un isomorfismo di R 3 in sé, dal momento che l applicazione non è né iniettiva né suriettiva per definizione isomorfismo è un applicazione lineare iniettiva e suriettiva. Soluzione dell esercizio 3 (a) Matrice rappresentativa di f rispetto alla base B È sufficiente calcolare le coordinate nella base B delle immagini attraverso f degli stessi vettori della base B. Il calcolo è immediato proprio per il modo particolare in cui è definito l endomorfismo: f(v 1 ) = 2v 2 f(v 2 ) = 8v 1 f(v 3 ) = 4v 3, relazioni che si possono scrivere nella forma equivalente: f(v 1 ) = 0v 1 + 2v 2 + 0v 3 f(v 2 ) = 8v 1 + 0v 2 + 0v 3 f(v 3 ) = 0v 1 + 0v 2 4v 3 e che porgono la matrice rappresentativa richiesta: A = (b) Autovalori ed autospazi di f Gli autovalori di f sono le soluzioni reali dell equazione caratteristica: λ = A λi 3 = 2 λ λ = (λ2 1)( 4 λ) = (λ 4)(λ + 4)( 4 λ) che in effetti ammette precisamente tre radici reali: Gli autovalori di f sono dunque: λ = 4 λ = 4 λ = 4. λ 1 = 4 (semplice) λ 2 = 4 (doppio) 10
11 il primo di molteplicità algebrica 1 e il secondo il molteplicità algebrica 2. Si può ora procedere alla determinazione degli autospazi. Degli autovettori si calcolano preliminarmente le coordinate/componenti x 1, x 2, x 3 relative alla base B, la stessa rispetto alla quale è nota la matrice rappresentativa di f, per poi riesprimere il risultato nella base canonica. Autospazio ker(f 4I) associato a λ 1 = 4 Le coordinate x 1, x 2, x 3 rispetto a B dei vettori di questo autospazio sono tutte e sole le soluzioni del sistema lineare omogeneo: [A 4I 3 ] x 1 x 2 = x che ridotto a scala diventa: { x1 + 2x 2 = 0 x 3 = { x1 = 2x 2 x 3 = 0. x 1 x 2 = x 3 Le coordinate relative a B di un qualsiasi vettore dell autospazio sono dunque x 1 = 2x 2, x 2 R arbitraria e x 3 = 0. Per l autospazio si ha così l espressione: ker(f 4I) = { 2x 2 v 1 + x 2 v 2 + 0v 3 x 2 R } = = { 2x 2 (0, 1, 2) + x 2 ( 1, 1, 1) + 0(2, 1, 1) x 2 R } = = { x 2 ( , , ) x 2 R } = = { x 2 ( 1, 3, 5) x 2 R } = ( 1, 3, 5). Si noti che una base dell autospazio è costituita dal solo autovettore ( 1, 3, 5), per cui la dimensione dell autospazio risulta uguale ad 1; né poteva essere altrimenti, visto che per un autospazio la dimensione molteplicità geometrica dell autovalore associato non può essere nulla e non può eccedere la molteplicità algebrica dell autovalore corrispondente. Autospazio ker(f + 4I) associato a λ 2 = 4 Nella fattispecie le coordinate x 1, x 2, x 3 rispetto a B dei vettori dell autospazio sono tutte e sole le soluzioni del sistema lineare omogeneo: [A + 4I 3 ] x 1 x 2 = x x 1 x 2 = x 3 che ridotto a scala si riduce alla sola equazione x 1 + 2x 2 = 0. Le coordinate relative a B di ogni elemento dell autospazio sono dunque x 1 = 2x 2, x 2 R arbitraria e x 3 R anch essa arbitraria. Per l autospazio si ha così l espressione: ker(f + 4I) = { 2x 2 v 1 + x 2 v 2 + x 3 v 3 x 2, x 3 R } = = { 2x 2 (0, 1, 2) + x 2 ( 1, 1, 1) + x 3 (2, 1, 1) x 2, x 3 R } = = { x 2 (0 1, 2 + 1, 4 + 1) + x 3 (2, 1, 1) x 2, x 3 R } = = { x 2 ( 1, 1, 3) + x 3 (2, 1, 1) x 2, x 3 R } = = ( 1, 1, 3), (2, 1, 1). 11
12 Si verifica immediatamente che i generatori ( 1, 1, 3) e (2, 1, 1) di ker(f + 4I) sono linearmente indipendenti, per cui individuano una base dell autospazio. Ne deriva che la molteplicità geometrica dell autovalore è dim ker(f + 4I) = 2. (c) Diagonalizzabilità di f ed eventuale base di autovettori I risultati precedenti consentono di affermare che: la somma delle molteplicità algebriche degli autovalori è esattamente uguale a 3, dimensione del dominio R 3 di f; per ciascuno dei due autovalori la molteplicità geometrica coincide con quella algebrica. Di conseguenza, l endomorfismo risulta diagonalizzabile. La sua matrice di rappresentazione è diagonale rispetto ad una qualsiasi base di autovettori, quale ad esempio: A = { ( 1, 3, 5), ( 1, 1, 3), (2, 1, 1) }, ottenuta al solito collezionando le basi dei singoli autospazi si ricordi che autovettori relativi ad autovalori distinti sono sempre linearmente indipendenti e che la stessa proprietà si estende alle collezioni di basi di autovettori relative ad autospazi distinti. (d) Esistenza di una base ortonormale di autovettori di f Se esistesse una base ortonormale di autovettori {a 1, a 2, a 3 }, con a 1 ker(f 4I) e a 2, a 3 ker(f + 4I), allora {a 1 } sarebbe una base di ker(f 4I) e {a 2, a 3 } una base di ker(f + 4I). Dovendo essere soddisfatte, per ipotesi, ambo le condizioni: a 1 a 2 = 0 a 1 a 3 = 0, l autovettore a 1 dovrebbe allora risultare ortogonale a qualsiasi vettore di ker(f +4I). Tale condizione non è però verificata in quanto a 1 è necessariamente proporzionale a ( 1, 3, 5) ma: ( 1, 3, 5) ( 1, 1, 3) = ( 1) ( 1) + 3 ( 1) = = Si osservi, incidentalmente, che gli autovettori ( 1, 3, 5) e (2, 1, 1) sono ortogonali: ( 1, 3, 5) (2, 1, 1) = ( 1) ( 1) = = 0, ma ciò non basta ad assicurare l esistenza di una base ortonormale di autovettori, essendo richiesto che tutti gli autovettori dell autospazio ker(f +4I) siano ortogonali all autovettore ( 1, 3, 5) ker(f 4I). Soluzione dell esercizio 4 (a) Base e dimensione del sottospazio V Il sottoinsieme: V = {(x, y, z, w) R 4 x z + w = 0, 2x + y = 0} 12
13 è certamente un sottospazio vettoriale di R 4. Le equazioni che lo definiscono costituiscono infatti un sistema lineare omogeneo: { x z + w = 0 2x + y = 0 la cui soluzione generale si scrive: { x z + w = 0 y + 2z 2w = 0 { x = z w y = 2z + 2w con z, w R variabili libere. I vettori (x, y, z, w) V hanno perciò la forma: (x, y, z, w) = (z w, 2z + 2w, z, w) = z(1, 2, 1, 0) + w( 1, 2, 0, 1) con i vettori (1, 2, 1, 0) e ( 1, 2, 0, 1) linearmente indipendenti, come è immediato verificare. Ne deriva che V è il sottospazio generato dagli stessi vettori: che ne rappresentano una base: e ne determinano la dimensione dim V = 2. V = (1, 2, 1, 0), ( 1, 2, 0, 1), B V = {(1, 2, 1, 0), ( 1, 2, 0, 1)} (b) Base ortonormale di V Per costruire una base ortonormale O di V basta applicare l algoritmo di ortonormalizzazione di Gram-Schmidt alla base B V ricavata sopra. Il primo vettore della base ortonormale si ottiene normalizzando il vettore (1, 2, 1, 0) B V : b 1 = (1, 2, 1, 0) (1, 2, 1, 0) = 1 (1, 2, 1, 0). Per ricavare il secondo conviene procedere in due passi. Anzitutto si sottrae al secondo vettore ( 1, 2, 0, 1) B V la sua proiezione ortogonale lungo b 1, ottenendo: w 2 = ( 1, 2, 0, 1) ( 1, 2, 0, 1) 1 (1, 2, 1, 0) = ( 1, 2, 0, 1) 1 4 (1, 2, 1, 0) = = ( 1, 2, 0, 1) + 5 (1, 2, 1, 0) = = ( 1 + 5, 2 5 3, 5 ), 1 = ( 1, 1 3, 5 ), 1 ; 13 1 (1, 2, 1, 0) =
14 si calcola quindi la norma del vettore non nullo così ricavato: 1 w 2 = = = = per normalizzarlo e determinare il secondo vettore della base ortonormale desiderata: b 2 = w 2 ( w 2 = 1 11, 1 3, 5 ), 1. La base ortonormale di V richiesta è pertanto: O = {b 1, b 2 } = { 1 (1, 2, 1, 0), ( 1 11, 1 3, 5 ) }, 1. Per verificare il risultato, visto che i vettori sono stati normalizzati, è sufficiente controllarne l ortogonalità: 1 (1, 2, 1, 0) ( 1 11, 1 3, 5 ), 1 = = 1 ( ) = = (c) Base e dimensione del sottospazio S = V + (0, 0, 1, 1), (0, 1, 1, 1) Il sottospazio somma S è generato dall unione delle basi di V e (0, 0, 1, 1), (0, 1, 1, 1) : { (1, 2, 1, 0), ( 1, 2, 0, 1), (0, 0, 1, 1), (0, 1, 1, 1) }, che però potrebbe non costituirne una base, dato che i vettori potrebbero risultare linearmente dipendenti. Per estrarre un insieme di generatori linearmente indipendenti, e dunque una base, di S si può ricorrere all algoritmo degli scarti oppure procedura assai più efficiente alla matrice ausiliaria le cui colonne siano costituite dai generatori di S: che viene poi ridotta a scala con il metodo di Gauss per individuare pivot e colonne linearmente indipendenti: R 2 + 2R R 3 R R 3 R R 4 R
15 Dalla posizione dei pivot si deduce che la prima, la seconda e la quarta colonna della matrice ausiliaria sono linearmente indipendenti e generano l intero spazio colonna. Di conseguenza, una base di S è rappresentata da: {(1, 2, 1, 0), ( 1, 2, 0, 1), (0, 1, 1, 1)} e la relativa dimensione vale perciò dim S = 3. (d) Somma diretta Dal teorema di Grassmann si deduce che: dim ( V (0, 0, 1, 1), (0, 1, 1, 1) ) = = dim V + dim ( (0, 0, 1, 1), (0, 1, 1, 1) ) dim S = = 1, per cui l intersezione V (0, 0, 1, 1), (0, 1, 1, 1) non è il sottospazio vettoriale banale costituito dal solo vettore nullo (0, 0, 0, 0). Ne deriva che la somma S non è diretta. 15
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