ORDINANZE DI RINVIO (da n. 301 a n. 323)

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1 ORDINANZE DI RINVIO (da n. 301 a n. 323) Gazzetta Ufficiale, 1 serie speciale, n. 18 del 9 maggio Ordinanze nn (16 maggio 2006, 30 maggio 2006, 20 giugno 2006, 13 giugno 2006). appellare la sentenza di proscioglimento. Parametro: Costituzione, artt. 3, 111, comma 2, 112. Oggetto: Codice di procedura penale, art. 593, comma 2, come sostituito dall art. 1 l. n. 46/ La questione ha origine in un procedimento penale: dopo l assoluzione in primo grado degli imputati, il P.M. propone appello e alla prima udienza dinanzi alla Corte d appello propone eccezione di incostituzionalità dell art. 593, comma 2, c.p.p., come modificato dall art. 1 della l. 46/2006, che consente al P.M. e all imputato di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento solo allorché con i motivi di impugnazione venga richiesta la rinnovazione dell istruzione dibattimentale ai sensi dell art. 603 c.p.p. per l assunzione di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado e sempre che a dette prove sia riconosciuto il carattere di decisività. Il giudice a quo, dopo aver giudicato manifestamente infondati i motivi addotti dal procuratore generale sulla base degli artt. 97 e 111 C., ritiene la questione non manifestamente infondata per i seguenti motivi: in primo luogo a essere violato sarebbe l art. 111, comma 2, C., dal momento che il nuovo art. 593 c.p.p., impedendo sostanzialmente al P.M. l appello in caso di esito assolutorio del giudizio di primo grado e consentendo invece all imputato di proporre appello in caso di sentenza di condanna, ha finito con l introdurre un rilevante squilibrio fra le parti. In secondo luogo, a essere violato sarebbe l art. 3 C. sotto il profilo della ragionevolezza: sebbene la Corte costituzionale abbia avuto modo di sottolineare che il principio di parità nel contraddittorio non comporta necessariamente l identità tra i poteri processuali delle parti, è anche vero che della disparità eventualmente introdotta in deroga all equilibrio imposto dalla norma costituzionale il legislatore è tenuto a dare una giustificazione che risponda a criteri di ragionevolezza. Secondo il giudice a quo nessuna giustificazione si trova nei lavori preparatori, mentre nel testo stesso della riforma si trovano indici di irragionevolezza: l art. 576 c.p.p., come modificato dall art. 6 della l. n. 46/2006, conserva alla parte civile il potere di impugnare, ai soli effetti della responsabilità civile, anche contro le sentenze di proscioglimento, mentre analoga facoltà viene negata al P.M., portatore non di un interesse proprio bensì di istanze di legalità e di difesa sociale. Inoltre, ulteriore motivo di irrazionalità viene desunto dal fatto che si continua a riconoscere al P.M. la possibilità di proporre appello in caso di condanna dell imputato, al solo scopo di ottenere una pena diversa da quella comminata (a sostegno di questa argomentazione viene richiamato il messaggio del Presidente della Repubblica che accompagnava il rinvio alle Camere della l. n. 46/2006). In terzo luogo, a essere violato sarebbe anche l art. 112 C.: a questo proposito il giudice a quo richiama i precedenti della Corte costituzionale che hanno negato che il potere d appello sia riconducibile all obbligo di esercitare l azione penale per chiederne un superamento, dal momento che è quantomeno opinabile che tale obbligo costituzionale sia limitato soltanto alla fase dell avvio del procedimento e non investa invece tutto il processo, connotando e qualificando l attività del P.M. sino all accertamento definitivo della verità o comunque sino alla riparazione dell ordine giuridico violato. La Corte costituzionale (s.n. 363/1991), infatti, nel considerare non illegittima costituzionalmente l abolizione del potere di impugnare del P.M. in relazione al giudizio abbreviato

2 ha considerato che la sentenza di condanna costituisce la realizzazione della pretesa punitiva fatta valere nel processo attraverso l azione penale: ne deriva la logica conseguenza che se la pretesa punitiva è stata disattesa da una sentenza di proscioglimento, contrasta con l art. 112 C. la norma che impedisce al P.M. di esercitare le sue funzioni di controllo anche con lo strumento dell appello. Gazzetta Ufficiale, 1 serie speciale, n. 18 del 9 maggio Ordinanza n. 305 del 28 giugno appellare la sentenza di non luogo a procedere. Parametro: Costituzione, art Oggetto: Codice di procedura penale, art. 428, come sostituito dall art. 4 l. n. 46/ La questione ha origine in un procedimento penale: in seguito a una sentenza di non doversi procedere emanata dal G.U.P., sia gli imputati che il P.M. propongono appello, i primi chiedendo di essere prosciolti per insussistenza del fatto, il secondo per far disporre il rinvio a giudizio; nelle more della trattazione dell appello entra in vigore la l. n. 46/2006 che modifica l art. 428 c.p.p. escludendo il potere del P.M. di impugnare la sentenza di non luogo a procedere con il mezzo dell appello e imponendo al giudice di dichiarare inammissibile, con ordinanza non impugnabile l atto d appello proposto prima dell entrata in vigore della nuova normativa. Nella prima udienza il P.M. proponeva eccezione di incostituzionalità della normativa in questione sulla base degli artt. 97 e 112 C. Il giudice a quo esclude la violazione dell art. 97 C. richiamando la s. n. 110/2003 della Corte costituzionale. Considera invece non manifestamente infondata la questione sulla base dell art. 112 C.: a questo proposito il giudice a quo richiama i precedenti della Consulta che hanno negato che il potere d appello sia riconducibile all obbligo di esercitare l azione penale per chiederne un superamento, dal momento che è quantomeno opinabile che tale obbligo costituzionale sia limitato soltanto alla fase dell avvio del procedimento e non investa invece tutto il processo, connotando e qualificando l attività del P.M. sino all accertamento definitivo della verità o comunque sino alla riparazione dell ordine giuridico violato. La Corte costituzionale (s.n. 363/1991), infatti, nel considerare non illegittima costituzionalmente l abolizione del potere di impugnare del P.M. in relazione al giudizio abbreviato ha considerato che la sentenza di condanna costituisce la realizzazione della pretesa punitiva fatta valere nel processo attraverso l azione penale: ne deriva la logica conseguenza che se la pretesa punitiva è stata disattesa da una sentenza di proscioglimento, contrasta con l art. 112 C. la norma che impedisce al P.M. di esercitare le sue funzioni di controllo anche con lo strumento dell appello. Gazzetta Ufficiale, 1 serie speciale, n. 18 del 9 maggio Ordinanza n. 306 del 3 ottobre appellare la sentenza di proscioglimento. Parametro: Costituzione, artt. 3, 111, comma 2, 112. Oggetto: Codice di procedura penale, art. 593, comma 2, come sostituito dall art. 1 l. n. 46/

3 La questione ha origine in un procedimento penale: dopo l assoluzione in primo grado dell imputato, il P.M. propone appello e alla prima udienza dinanzi alla Corte d appello propone eccezione di incostituzionalità dell art. 593, comma 2, c.p.p., come modificato dall art. 1 della l. 46/2006, che consente al P.M. e all imputato di proporre appello contro le sentenze di proscioglimento solo allorché con i motivi di impugnazione venga richiesta la rinnovazione dell istruzione dibattimentale ai sensi dell art. 603 c.p.p. per l assunzione di prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado e sempre che a dette prove sia riconosciuto il carattere di decisività. Il giudice a quo, dopo aver giudicato manifestamente infondati i motivi addotti dal procuratore generale sulla base degli artt. 97 e 111 C., ritiene la questione non manifestamente infondata per i seguenti motivi: in primo luogo a essere violato sarebbe l art. 111, comma 2, C., dal momento che il nuovo art. 593 c.p.p., impedendo sostanzialmente al P.M. l appello in caso di esito assolutorio del giudizio di primo grado e consentendo invece all imputato di proporre appello in caso di sentenza di condanna, ha finito con l introdurre un rilevante squilibrio fra le parti. In secondo luogo, a essere violato sarebbe l art. 3 C. sotto il profilo della ragionevolezza: sebbene la Corte costituzionale abbia avuto modo di sottolineare che il principio di parità nel contraddittorio non comporta necessariamente l identità tra i poteri processuali delle parti, è anche vero che della disparità eventualmente introdotta in deroga all equilibrio imposto dalla norma costituzionale il legislatore è tenuto a dare una giustificazione che risponda a criteri di ragionevolezza. Secondo il giudice a quo nessuna giustificazione si trova nei lavori preparatori, mentre nel testo stesso della riforma si trovano indici di irragionevolezza: l art. 576 c.p.p., come modificato dall art. 6 della l. n. 46/2006, conserva alla parte civile il potere di impugnare, ai soli effetti della responsabilità civile, anche contro le sentenze di proscioglimento, mentre analoga facoltà viene negata al P.M., portatore non di un interesse proprio bensì di istanze di legalità e di difesa sociale. Inoltre, ulteriore motivo di irrazionalità viene desunto dal fatto che si continua a riconoscere al P.M. la possibilità di proporre appello in caso di condanna dell imputato, al solo scopo di ottenere una pena diversa da quella comminata (a sostegno di questa argomentazione viene richiamato il messaggio del Presidente della Repubblica che accompagnava il rinvio alle Camere della l. n. 46/2006). In terzo luogo, a essere violato sarebbe anche l art. 112 C.: a questo proposito il giudice a quo richiama i precedenti della Corte costituzionale che hanno negato che il potere d appello sia riconducibile all obbligo di esercitare l azione penale per chiederne un superamento, dal momento che è quantomeno opinabile che tale obbligo costituzionale sia limitato soltanto alla fase dell avvio del procedimento e non investa invece tutto il processo, connotando e qualificando l attività del P.M. sino all accertamento definitivo della verità o comunque sino alla riparazione dell ordine giuridico violato. La Corte costituzionale (s.n. 363/1991), infatti, nel considerare non illegittima costituzionalmente l abolizione del potere di impugnare del P.M. in relazione al giudizio abbreviato ha considerato che la sentenza di condanna costituisce la realizzazione della pretesa punitiva fatta valere nel processo attraverso l azione penale: ne deriva la logica conseguenza che se la pretesa punitiva è stata disattesa da una sentenza di proscioglimento, contrasta con l art. 112 C. la norma che impedisce al P.M. di esercitare le sue funzioni di controllo anche con lo strumento dell appello Gazzetta Ufficiale, 1 serie speciale, n. 18 del 9 maggio Ordinanza n. 307 del 5 dicembre appellare la sentenza di proscioglimento. Parametro: Costituzione, artt. 3, 24 e 111.

4 Oggetto: Codice di procedura penale, art. 593, comma 2, come sostituito dall art. 1 l. n. 46/ L. n. 46/2006, art. 10. Il giudice a quo solleva questione di incostituzionalità nei confronti dell art. 593, comma 2, c.p.p., come sostituito dall art. 1 l. n. 46/2006, che preclude al P.M. di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, e dell art. 10 della stessa legge, che impone al giudice di emettere ordinanza non impugnabile di inammissibilità dell appello proposto prima dell entrata in vigore della novella. A essere violati sarebbero gli artt. 3, sotto il profilo della ragionevolezza, e 111 C., dal momento che senza plausibile ragione la normativa in questione pone le parti del processo su un piano di palese disparità sulla base dell assioma, contrario all esperienza giudiziaria e alla dialettica processuale, che sempre esista un ragionevole dubbio in ordine alla responsabilità dell imputato solo perché il giudice di primo grado lo abbia considerato innocente, escludendo a priori che quello stesso giudice, che può sicuramente errare nell accertare la responsabilità penale dell imputato, possa fallire nell affermare l innocenza. Si è così sottratto a una sola delle parti del processo uno strumento processuale volto a vedere affermata nel giudizio la sua pretesa, pretesa che trova esplicita legittimazione costituzionale al pari di quella dell imputato che invece conserva gli strumenti per perseguirla. Ulteriore motivo di irragionevolezza è rappresentato dal fatto che al P.M. viene invece conservata la possibilità di impugnare sentenze di condanna, in tal modo tutelando un interesse processuale di ben minore consistenza. A essere violato sarebbe inoltre l art. 24 C., dal momento che l esercizio dell azione penale da parte del P.M. spiega anche la funzione di offrire alle vittime dei reati l essenziale tutela del loro interesse a ottenere giustizia a prescindere dal ristoro patrimoniale: questo legittimo interesse viene irragionevolmente compresso attraverso la limitazione del diritto d appello del P.M. Gazzetta Ufficiale, 1 serie speciale, n. 18 del 9 maggio Ordinanza n. 308 del 12 dicembre Giudizio in via incidentale Interruzione volontaria della gravidanza Gestante minorenne Autorizzazione del giudice tutelare. Parametro: Costituzione, art. 111, comma 6. Oggetto: L. n. 194/1978, art. 12. La questione ha origine in un procedimento per volontaria giurisdizione di autorizzazione all interruzione di gravidanza di una minorenne sulla base della l. n. 194/1978. Il giudice a quo lamenta il contrasto della giurisprudenza costituzionale precedente, che ha più volte dichiarato inammissibili questioni di illegittimità costituzionale sollevate nei confronti dell art. 12 di tale legge sulla base del fatto che la decisione di interrompere la gravidanza è rimessa esclusivamente alla responsabilità della donna. A suo parere questa affermazione contrasterebbe con la lettera della norma, derivante dal combinato disposto degli artt. 4, 5 e 12 della l.n. 194/1978, che darebbe una facoltà al giudice tutelare, dal momento che questi, sentita la donna e tenuto conto della sua volontà, delle ragioni che adduce e della relazione trasmessagli, può autorizzare la donna a decidere l interruzione della gravidanza. A fronte di questo dettato normativo o il giudice tutelare conserva un effettivo potere discrezionale o non fa altro che assumere una decisione del tutto immotivata e immotivabile, poiché sia che ritenga effettivamente liberamente manifestata la volontà della donna, sia che non lo ritenga, è di fatto obbligato a emettere il provvedimento.

5 Questa situazione contrasterebbe con l art. 111, comma 6, C. che sancisce il principio dell obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali. Anche a voler ritenere che il potere discrezionale del giudice sia limitato al solo fatto di ritenere completa la volontà già manifestata dalla donna, gli è negata comunque la possibilità di esprimersi nel senso di non ritenerla completa: ciò renderebbe evidente l estrema contraddittorietà di una norma che da un lato richiede un provvedimento giurisdizionale discrezionale (che dovrebbe per Costituzione esser sempre motivato) e dall altro impone (così come è sempre interpretata) un mero provvedimento autorizzativi svincolato da qualsiasi potere discrezionale del giudice. Gazzetta Ufficiale, 1 serie speciale, n. 18 del 9 maggio Ordinanza n. 309 del 7 giugno Giudizio in via incidentale Circolazione stradale Sanzioni accessorie per violazioni del codice della strada Confisca obbligatoria del ciclomotore o motoveicolo. Parametro: Costituzione, artt. 3 e 27. Oggetto: Codice della strada (d.lgs. n. 285/1992), art. 213, comma 2-sexies, introdotto dall art. 5- bis del d.l. n. 115/2005, convertito con modificazioni con l. n. 168/2005. La questione ha origine in un procedimento di opposizione a verbale di contestazione davanti al Giudice di pace: a seguito della violazione dell art. 171 comma 1, 2 e 3 del codice della strada viene sequestrato il ciclomotore condotto da chi ha commesso l infrazione. Lo stesso presenta eccezione di incostituzionalità in quanto la previsione, da parte dell art. 213, della sanzione accessoria della confisca obbligatoria del ciclomotore o del motoveicolo nel caso in cui il mezzo sia stato adoperato per commettere una delle violazioni amministrative di cui agli artt. 169, comma 1 e 7, 170 e 171 del codice della strada, sarebbe incostituzionale per violazione degli artt. 3 e 27 C. Il giudice a quo aderisce all eccezione dal momento che la normativa in questione violerebbe l art. 3 C., sotto il profilo della ragionevolezza, per l evidente sproporzione tra violazione, sanzione principale e sanzione accessoria: l incongruità emergerebbe confrontando la sanzione pecuniaria principale fissata in misura modesta con la sanzione accessoria notevolmente penalizzante la libertà del cittadino, soprattutto se usa il veicolo per motivi inderogabili di lavoro. Ci sarebbe inoltre disparità di trattamento tra il conducente di un ciclomotore e quello di un veicolo a quattro ruote, in relazione alle stesse violazioni, essendo solo nel primo caso prevista la confisca. Ad essere violato sarebbe anche l art. 27 C., che sancisce il principio della responsabilità penale personale, dal momento che il proprietario del ciclomotore si vede applicare una sanzione pur potendo essere estraneo alla violazione nel caso di assenza di identità tra conducente e proprietario. Gazzetta Ufficiale, 1 serie speciale, n. 18 del 9 maggio Ordinanza n. 310 del 14 aprile Giudizio in via incidentale Circolazione stradale Sanzioni accessorie per violazioni del codice della strada Confisca obbligatoria del ciclomotore o motoveicolo. Parametro: Costituzione, artt. 3 e 42. Oggetto: Codice della strada (d.lgs. n. 285/1992), art. 171, come modificato dall art. 3, comma 11, del d.l. n. 151/2003, convertito con modificazioni con l. n. 214/2003.

6 La questione ha origine in un procedimento di opposizione a verbale di contestazione davanti al Giudice di pace: a seguito della violazione dell art. 171 del codice della strada viene sequestrato il ciclomotore dell opponente. Lo stesso presenta eccezione di incostituzionalità che il giudice a quo accoglie. Ad essere leso sarebbe in primo luogo l art. 3 C., dal momento che, a parità di gravità della violazione commessa tra automobilisti e motociclisti, solo i secondi si vedono puniti con la confisca del mezzo. Inoltre sarebbe violato anche il principio di ragionevolezza-proporzionalità, visto che la sanzione si presenta oltremodo gravosa e affittiva, quale misura accessoria, in relazione alla condotta sanzionata. Ad essere violato sarebbe pure l art. 42 C., dal momento che la disposizione impugnata farebbe venir meno il carattere di eccezionalità proprio della confisca, comprimendo illegittimamente il diritto di proprietà garantito dalla Costituzione. Gazzetta Ufficiale, 1 serie speciale, n. 18 del 9 maggio Ordinanza n. 311 del 26 ottobre Giudizio in via incidentale Giudizio in materia di responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei Conti. Parametro: Costituzione, artt. 3, 24, 97, 101, 103 e 111. Oggetto: l. n. 266/2005, art. 1, comma 231, 232 e 233. La questione ha origine in un giudizio in materia di responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei Conti: un messo comunale tarda a notificare un verbale di infrazione al pagamento di ,28 Euro. Viene condannato al pagamento di Euro. In grado di appello chiede, basandosi sull intervenuto art. 1 della l. n. 266/2005, di definire il procedimento mediante pagamento di una somma non inferiore al 10% e non superiore al 20% del danno quantificato nella sentenza di primo grado. Il giudice a quo sospetta dell incostituzionalità di questa disposizione sulla base di molti articoli della Costituzione: in primo luogo, se è vero che sulla base della giurisprudenza costituzionale la concreta garanzia dei principi costituzionali di eguaglianza, di buon andamento e di controllo contabile è affidata al discrezionale apprezzamento del legislatore, è anche vero che dagli artt. 97 e 103, comma 2, C. è possibile ricavare la regola secondo la quale l esercizio della discrezionalità del legislatore, per essere considerato ragionevole, deve determinare e graduare, caso per caso, i tipi e i limiti della responsabilità in riferimento alle diverse categorie di dipendenti pubblici e alle diverse situazioni concrete, fissando, per ciascuna di esse, le forme più idonee a garantire i principi del buon andamento e del controllo contabile. Le nuove norme sarebbero irragionevoli, dal momento che non è identificabile altra ratio che non sia quella della limitazione del risarcimento patrimoniale del soggetto condannato in primo grado, circostanza che caratterizza l innovazione normativa per la sua irrazionalità e arbitrarietà (la motivazione è svolta comparando tale disciplina con quella dello scudo fiscale e del patteggiamento). In secondo luogo ci sarebbe anche una compressione dei poteri del giudice incompatibile con l art. 101 C., il cui libero convincimento sarebbe limitato da disposizioni che riducono in maniera predeterminata e pressoché automatica la responsabilità e la misura del risarcimento. Il principio di eguaglianza, oltre ai profili di irragionevolezza che accompagnano la lesione dei parametri costituzionali sopra menzionati, è anche violato direttamente in considerazione del fatto che la normativa risulta applicabile solamente ai soggetti nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di condanna, con la conseguenza che potrebbe darsi il caso dell assolto in primo grado,

7 con sentenza appellata dal P.M. e impossibilità di chiedere la definizione del procedimento mediante pagamento (si fa presente che non è possibile alcuna interpretazione conforme a Costituzione per evitare questo esito). Appare violato inoltre anche l art. 24 C., dal momento che il P.M. presso la Corte dei Conti viene evocato nel solo comma 232 per essere sentito in Camera di consiglio quando la Sezione di appello deve deliberare in merito alla richiesta: con sostanziale pretermissione della funzione di parte del P.M., che è garantita pure dall art. 111 C. Gazzetta Ufficiale, 1 serie speciale, n. 18 del 9 maggio Ordinanza n. 312 del 18 settembre Giudizio in via incidentale Giudizio dinanzi a una Commissione tributaria provinciale Imposte e tasse Notificazione presso il domicilio fiscale del contribuente persona fisica non residente nel territorio dello Stato. Parametro: Costituzione, artt. 3 e 24. Oggetto: D.P.R. n. 600/1973, artt. 58, comma 1 e 2, e 60, comma 1, lett. c), e) e f); D.P.R. n. 602/1973, art. 26, comma 5. La questione ha origine in un giudizio dinanzi a una commissione tributaria provinciale: un persona residente all estero chiede che venga dichiarata la nullità della notificazione della cartella esattoriale emessa nei suoi confronti per assenza di notificazione. La società concessionaria dei servizi di riscossione affermava di aver agito rispettando la normativa di cui in oggetto, che sancisce la presunzione iuris et de iure di domiciliazione di ogni contribuente nel territorio dello Stato con la conseguente regolarità della notificazione, in caso di cittadino iscritto all Anagrafe degli italiani residenti all estero (A.I.R.E.), effettuata presso l ultimo domicilio noto in Italia. La commissione tributaria solleva una prima volta questione di incostituzionalità, ma la Corte dichiara la manifesta inammissibilità, indicando l incompletezza e dunque l erroneità dell indicazione delle norme oggetto di censura quale motivo portante. La commissione tributaria risolleva la questione includendo, come indicato dalla Corte, anche l art. 60 D.P.R: n. 600/1973, sulla base degli artt. 3 e 24 C.: il complesso normativo indicato, escludendo l applicazione delle disposizioni contenute nell art. 142 c.p.c., che riguarda la notificazione di atti a persona che non ha residenza, dimora o domicilio nello Stato; è evidente la garanzia assicurata a questo soggetto in via generale dal legislatore. Va quindi registrata una palese violazione dei principi di eguaglianza e di diritto alla difesa da parte di un sistema che assicura minore tutela al contribuente penalizzandolo pesantemente per il solo fatto di non risiedere nel territorio dello Stato. Gazzetta Ufficiale, 1 serie speciale, n. 18 del 9 maggio Ordinanza n. 313 del 30 agosto Giudizio in via incidentale Giudizio dinanzi a una Commissione tributaria regionale - I.C.I. Nozione di area fabbricabile rilevante per l applicazione dell imposta Sopravvenienza disposizione di interpretazione autentica. Parametro: Costituzione, artt. 3 e 53.

8 Oggetto: d.l. n. 203/2005, art. 11-quaterdecies, comma 16, convertito con modificazioni dalla l. n. 248/2005; d. l. n. 223/2006, art. 36, comma 2, convertito in legge n. 248/ La questione ha origine in un procedimento dinanzi a una Commissione tributaria regionale avente a oggetto due avvisi di liquidazione e accertamento in rettifica relativi al pagamento dell I.C.I. Vengono sospettate di incostituzionalità due disposizioni interpretative riguardanti il concetto di fabbricabilità che sanciscono che un area è da considerarsi comunque fabbricabile se è utilizzabile a scopo edificatorio in base allo strumento urbanistico generale, indipendentemente dall adozione di strumenti attuativi del medesimo. Il giudice a quo solleva la questione di incostituzionalità sulla base degli artt. 3 e 53 C. e dei principi di ragionevolezza, razionalità e non contraddizione: l I.C.I. è un imposta patrimoniale annuale che non intende colpire il reddito, ma il valore intrinseco del bene; equiparare sotto il profilo dell edificabilità un terreno sito in zona munita di strumento attuativo a uno sito in zona solo ritenuta edificabile dal piano regolatore generale significa violare i principi di logica e di non contraddizione, oltre che di uguaglianza, dal momento che edificabilità è concetto che indica la potenzialità rispetto all atto, cioè l edificazione. Ma la potenzialità, per essere tale, deve all atto da un legame di consequenzialità diretta; quando tra la presunta potenzialità e il suo atto si inseriscono ulteriori passaggi, ciascuno dei quali caratterizzati dalle due condizioni di potenzialità e atto, è logicamente evidente che tra la prima potenzialità e l atto finale non sussiste alcuna correlazione. Poiché tra l edificabilità e l edificazione si inserisce necessariamente il permesso di costruire, e questo è rilasciato solo sul presupposto dell esistenza dello strumento attuativo, ne consegue che l edificabilità in questione non è potenza della edificazione, ma del rilascio del permesso di costruire e, quindi non vi è nessuna conseguenza diretta sul piano patrimoniale. La graduazione di una tale consequenzialità sarebbe possibile nella discrezionalità del Legislatore, ma le disposizioni denunciate non hanno operato alcuna graduazione, equiparando puramente e semplicemente due situazioni tra loro diverse e non correlate. Sembra quindi che la norma di interpretazione autentica denunciata violi non solo l art. 53 C. poiché prescinde dalla capacità contributiva reale che è necessariamente mediata dalle norme imperative relative allo ius edificandi, ma anche l art. 3 C., poiché sottopone al medesimo trattamento giuridico situazioni oggettivamente diverse: se lo stesso ordinamento disciplina in maniera difforme i terreni in funzione dell adozione o meno di uno strumento amministrativo, non può poi assimilarne le conseguenze sul piano patrimoniale equiparando, ad altri fini, quelle medesime situazioni giuridiche che esso ha consapevolmente separato. Gazzetta Ufficiale, 1 serie speciale, n. 18 del 9 maggio Ordinanza n. 314 del 24 ottobre Giudizio in via incidentale Circolazione stradale Sanzioni accessorie per violazioni del codice della strada Confisca obbligatoria del ciclomotore o motoveicolo. Parametro: Costituzione, artt. 3 e 27. Oggetto: Codice della strada (d.lgs. n. 285/1992), art. 213, comma 2-sexies, introdotto dall art. 5- bis del d.l. n. 115/2005, convertito con modificazioni con l. n. 168/2005. La questione ha origine in un procedimento di opposizione a verbale di contestazione davanti al Giudice di pace: a seguito della violazione dell art. 171 comma 1 e 2 del codice della strada viene sequestrato il ciclomotore condotto da chi ha commesso l infrazione. Lo stesso presenta eccezione di incostituzionalità in quanto la previsione, da parte dell art. 213, della sanzione accessoria della confisca obbligatoria del ciclomotore o del motoveicolo nel caso in cui il mezzo sia

9 stato adoperato per commettere una delle violazioni amministrative di cui agli artt. 169, comma 1 e 7, 170 e 171 del codice della strada, sarebbe incostituzionale per violazione degli artt. 3 e 27 C. Il giudice a quo aderisce all eccezione dal momento che la normativa in questione violerebbe l art. 3 C., sotto il profilo della ragionevolezza, per l evidente sproporzione tra violazione, sanzione principale e sanzione accessoria: l incongruità emergerebbe confrontando la sanzione pecuniaria principale fissata in misura modesta con la sanzione accessoria notevolmente penalizzante la libertà del cittadino, soprattutto se usa il veicolo per motivi inderogabili di lavoro. Ci sarebbe inoltre disparità di trattamento tra il conducente di un ciclomotore e quello di un veicolo a quattro ruote, in relazione alle stesse violazioni, essendo solo nel primo caso prevista la confisca. Ad essere violato sarebbe anche l art. 27 C., che sancisce il principio della responsabilità penale personale, dal momento che il proprietario del ciclomotore si vede applicare una sanzione pur potendo essere estraneo alla violazione nel caso di assenza di identità tra conducente e proprietario. Gazzetta Ufficiale, 1 serie speciale, n. 18 del 9 maggio Ordinanza n. 315 del 5 settembre Giudizio in via incidentale Circolazione stradale Sanzioni accessorie per violazioni del codice della strada Confisca obbligatoria del ciclomotore o motoveicolo. Parametro: Costituzione, artt. 3, 27 e 42. Oggetto: Codice della strada (d.lgs. n. 285/1992), art. 213, comma 2-sexies, introdotto dall art. 5- bis del d.l. n. 115/2005, convertito con modificazioni con l. n. 168/2005. La questione ha origine in un procedimento di opposizione a verbale di contestazione davanti al Giudice di pace: a seguito della violazione dell art. 171 comma 1 e 2 del codice della strada viene sequestrato il ciclomotore condotto da chi ha commesso l infrazione. Lo stesso presenta eccezione di incostituzionalità in quanto la previsione, da parte dell art. 213, della sanzione accessoria della confisca obbligatoria del ciclomotore o del motoveicolo nel caso in cui il mezzo sia stato adoperato per commettere una delle violazioni amministrative di cui agli artt. 169, comma 1 e 7, 170 e 171 del codice della strada, sarebbe incostituzionale per violazione degli artt. 3 e 27 C. Il giudice a quo aderisce all eccezione dal momento che la normativa in questione violerebbe l art. 3 C., sotto il profilo della ragionevolezza, per l evidente sproporzione tra violazione e sanzione, per la disparità di trattamento tra violazioni del codice della strada commesse da conducenti di ciclomotori rispetto a quelle commesse da conducenti di autoveicoli, in rapporto alla medesima ratio di salvaguardia dell integrità fisica. In secondo luogo sarebbe violato l art. 27 C. [qui però il giudice a quo non sembra argomentare in maniera pertinente la violazione del principio della personalità della sanzione penale, n.d.a.]. In ultimo luogo a essere violato sarebbe l art. 42 C., dal momento che non può una norma di carattere amministrativo compromettere una proprietà privata. Gazzetta Ufficiale, 1 serie speciale, n. 18 del 9 maggio Ordinanze nn (8 novembre 2006; 223 novembre 2006). appellare la sentenza di proscioglimento.

10 Parametro: Costituzione, artt. 3, 97, 111, comma 2, 6 e 7, 112. Oggetto: Codice di procedura penale, art. 593, comma 2, come sostituito dall art. 1 l. n. 46/ L. n. 46/2006, art. 10. Il giudice a quo solleva questione di incostituzionalità nei confronti dell art. 593, comma 2, c.p.p., come sostituito dall art. 1 l. n. 46/2006, che preclude al P.M. di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, e dell art. 10 della stessa legge, che impone al giudice di emettere ordinanza non impugnabile di inammissibilità dell appello proposto prima dell entrata in vigore della novella. In primo luogo a essere violati sarebbero gli artt. 3, 111, comma 2, e 112 C.: si profila infatti un ingiustificata compressione della parità delle parti nel processo, dal momento che a fronte del legittimo potere riconosciuto all imputato e costituzionalmente tutelato dall art. 24 C. di esercizio del proprio diritto di difesa in ogni stato e grado del procedimento, non vi è dubbio che anche il P.M. è chiamato a esercitare la propria pretesa punitiva in ossequio al principio della obbligatorietà dell azione penale (art. 112 C.). Nessuna ragione giustificativa sussiste in relazione a questa limitazione del potere d appello del P.M., astrattamente compatibile con la Costituzione in presenza di ragionevoli giustificazioni, così come segnalato dal Presidente della Repubblica nel messaggio di rinvio alle Camere. In secondo luogo vi è anche un irragionevolezza intrinseca, dal momento che non è dato comprendere in base a quale criterio al P.M. è dato appellare sentenze di condanna, se ritenute troppo miti rispetto alla gravità del fatto e non è dato appellare avverso sentenze di assoluzione del tutto incoerenti rispetto alle risultanze processuali. In terzo luogo a essere violato sarebbe l art. 111, comma 1, 6 e 7, dal momento che la nuova disciplina porta a uno sconvolgimento del sistema delle impugnazioni con modifica del ruolo della Cassazione, che tenderebbe a divenire un giudice di merito, e con conseguente allungamento dei tempi di definizione dei processi. In quarto luogo a essere violati sarebbero gli artt. 3 e 97 C., dal momento che la disciplina transitoria ha di fatto portato a un abrogazione ex lege di tutti gli appelli proposti dal P.M. relativamente ai processi pendenti alla data di entrata in vigore della legge: il rispetto del principio di buon andamento dell attività giudiziaria avrebbe dovuto imporre la previsione di norme di salvaguardia delle attività processuali compiute dalle parti prima dell entrata in vigore della legge, per evitare il collasso dell intero sistema processuale. E anche sotto questo profilo, nessuna ragionevole giustificazione di questa scelta appare presente, dal momento che il mutamento improvviso della disciplina per i processi in corso, senza alcuna garanzia di effetti conservativi appare del tutto priva di giustificazione logica. Gazzetta Ufficiale, 1 serie speciale, n. 18 del 9 maggio Ordinanza n. 318 del 15 giugno Giudizio in via incidentale - Detenzione e traffico di stupefacenti - Recidiva reiterata - Impossibilità di bilanciare le circostanze aggravanti e attenuanti Parametro: Costituzione, artt. 3, 25, comma 2, 27. Oggetto: art. 69, comma 4, c.p., come modificato dall art. 3 della l. n. 251/2005; art. 99, comma 4, come modificato dall art. 4 della l. n. 251/2005. La questione ha origine in un procedimento penale a carico di una persona arrestata in flagranza di reato per detenzione di modica quantità di cocaina. Alla luce delle modalità della

11 condotta, delle condizioni soggettive dell imputato e del quantitativo esiguo della sostanza, dovrebbe applicarsi la circostanza attenuante a effetto speciale (fatto di lieve entità) prevista dal comma 5 dell art. 73, d.p.r. n. 309/1990. Tuttavia, a seguito della modifica dell art. 69, comma 4, c.p., effettuata dall art. 3 della legge n. 251/2005, in caso di recidiva reiterata tale circostanza attenuante si bilancia con la recidiva stessa e non è più utilizzabile in sede di giudizio di comparazione delle circostanze del reato. Secondo il giudice a quo, la nuova formulazione dell art. 69 c.p. impedisce al giudice penale di adeguare la sanzione in concreto alla misura reale della offensività penale della condotta posta in essere, per come accertata in causa, in presenza di alcune condizioni personali dell imputato. Questa nuova situazione determina la violazione dell art. 3 C., sotto il profilo della ragionevolezza, dal momento che i soggetti rientranti nella categoria recidivi reiterati saranno destinatari del medesimo trattamento sanzionatorio a prescindere dalla loro posizione personale più o meno favorevole: è evidente il rischio di un appiattimento della pena per situazioni completamente diverse, imponendosi al giudice in ogni caso un mero giudizio di equivalenza tra recidiva reiterata e circostanze attenuanti, a prescindere dal numero di queste ultime, con effetti irragionevoli rilevanti. Ulteriore profilo di irragionevolezza si rinviene nella disparità di trattamento sanzionatorio che verrebbe a profilarsi tra il recidivo che ha agito da solo, commettendo un fatto di lieve entità ai sensi dell art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309/1990, e il recidivo reiterato facente parte di un organizzazione dedita alla commissione di fatti descritti dal comma 5 della medesima disposizione, che a fronte di un comportamento caratterizzato da maggior disvalore penale, verrebbe punito di meno. A essere violato sarebbe poi anche l art. 25, comma 2, C., che ha sancito il principio di materialità del reato, che impone al legislatore di costruire l illecito penale come un accadimento esteriore: tale precetto risulterebbe svuotato di ogni contenuto se il giudice, nel commisurare la pena, potesse tener conto esclusivamente di fattori imperniati sull essenza soggettiva dell autore del fatto. A essere violato sarebbe infine l art. 27 C., che ha sancito i principi della personalità della responsabilità penale e della funzione rieducativa della pena: la nuova normativa, impendendo al giudice di formulare un giudizio di prevalenza delle attenuanti sulle contestate aggravanti, di escludere l aumento di pena per effetto della recidiva o di determinare l aumento suddetto in misura diversa da quella rigidamente prefissata, anche laddove lo stesso lo ritenesse possibile e opportuno nell ottica della richiamata disposizione costituzionale, si pone in tensione con questi principi. Gazzetta Ufficiale, 1 serie speciale, n. 18 del 9 maggio Ordinanza n. 319 del 24 novembre appellare la sentenza di proscioglimento. Parametro: Costituzione, artt. 3, 24, 111 e 112. Oggetto: Codice di procedura penale, art. 593, comma 2, come sostituito dall art. 1 l. n. 46/ Il giudice a quo solleva questione di incostituzionalità nei confronti dell art. 593, comma 2, c.p.p., come sostituito dall art. 1 l. n. 46/2006, che preclude al P.M. di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, motivando la non manifesta infondatezza sulla base degli artt. 24, 111 e 112 C., dal momento che la lesione degli stessi non avrebbe alcuna ragionevole motivazione ex art. 3 C.: il principio di obbligatorietà dell azione penale è centrale nel nostro ordinamento non solo in virtù del suo contenuto specifico, ma anche in virtù della sua funzionalità alla concreta attuazione di valori di rango costituzionale, quale ad esempio il principio di legalità che, nel suo aspetto

12 sostanziale, esprime la necessità che alla commissione di reati, lesivi di interessi e valori spesso a loro volta di rango costituzionale, segua l inflizione di una pena. La nuova normativa frustra tale principio dal momento che in sostanza si è eliminato il potere di ricorrere in appello, essendo i casi in cui questo è ancora previsto del tutto marginali. Il diritto di difesa garantito dall art. 24 C. anche alle parti offese dei reati viene frustrato nel momento in cui si toglie alle stesse la possibilità di vedersi sostenere in sede di appello dalla pubblica accusa. Il principio del contraddittorio in condizione di parità previsto dall art. 111 C. è anch esso frustrato nel momento in cui si impedisce l appello. Tutti questi principi potrebbero sì essere bilanciati e vedere limitazioni dei poteri propri del P.M., ma per essere costituzionalmente legittime queste limitazioni dovrebbero ragionevoli giustificazioni, del tutto assenti nel caso in questione, dal momento che né sono ravvisabili risultati nel senso dell accelerazione dei tempi di decisione, né è possibile giustificare dette limitazioni sulla base della particolare posizione istituzionale del P.M. Costituisce inoltre motivo di irragionevolezza intrinseca il mantenimento della potere del P.M. di appellare una sentenza di condanna, in tal modo privilegiando la cura di un interesse processuale di minore consistenza. Gazzetta Ufficiale, 1 serie speciale, n. 18 del 9 maggio Ordinanze nn (29 marzo 2006; 5 aprile 2006). appellare la sentenza di proscioglimento. Parametro: Costituzione, artt. 3 e 111. Oggetto: Codice di procedura penale, art. 593, comma 2, come sostituito dall art. 1 l. n. 46/ L. n. 46/2006, art. 10. Il giudice a quo solleva questione di incostituzionalità nei confronti dell art. 593, comma 2, c.p.p., come sostituito dall art. 1 l. n. 46/2006, che preclude al P.M. di proporre appello avverso le sentenze di proscioglimento, e dell art. 10 della stessa legge, che impone al giudice di emettere ordinanza non impugnabile di inammissibilità dell appello proposto prima dell entrata in vigore della novella. A essere violati sarebbero gli artt. 3 e 111 C., dal momento che la nuova disciplina crea un irragionevole disparità di trattamento a sfavore del P.M., che non può trovare giustificazione né nel fatto che la proposizione dell appello sia formalmente preclusa a entrambe le parti, ben diverso essendo il rispettivo interesse sostanziale a proporre impugnazione avverso la sentenza di proscioglimento, né in alcuna altra apprezzabile esigenza. Sarebbe violato anche il principio della ragionevole durata del processo sancito dall art. 111 C., dal momento che a fronte dei tre gradi di giudizio normalmente previsti prima dell emanazione della disposizione impugnata si potrebbe arrivare addirittura a cinque (assoluzione in primo grado, annullamento in Cassazione, condanna in primo grado, conferma in appello, rigetto del ricorso in Cassazione) con il correlativo aumento dei tempi processuali che, unitamente alla riduzione dei termini di prescrizione, rende ancor più irragionevole e priva di giustificazione la normativa in questione. La disciplina transitoria contenuta nell art. 10 contrasterebbe anch essa con il principio della ragionevole durata, dal momento che comporta l inevitabile differimento della presentazione del ricorso in Cassazione all eseguita notifica del provvedimento di inammissibilità, pertanto a un termine futuro e incerto.

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