1. Prosa e poesia: livello grafico e formale. (Angelo Poliziano, Rime)

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1 Il metodo 15 Il metodo 1. Prosa e poesia: livello grafico e formale Herman Gombiner aprì un occhio: era così che si svegliava ogni mattina, adagio adagio, aprendo prima un occhio, poi l altro. Il suo sguardo cadde sulle crepe del soffitto e su una fetta dell edificio di fronte. Era andato a letto alle ore piccole, verso le tre, e ci aveva messo un bel po prima di addormentarsi. desso erano quasi le dieci. Da qualche tempo Herman soffriva di una sorta di amnesia: quando si svegliava di notte non riusciva a ricordare dov era, chi era, e nemmeno come si chiamava. Ci metteva qualche secondo a capire che non stava più a Kalomin o a Varsavia ma a New York, in una strada popolare tra Columbus venue e Central Park West. (Isaac. Singer, L uomo che scriveva lettere) I mi trovai, fanciulle, un bel mattino di mezzo maggio in un verde giardino. Eran d intorno vïolette e gigli fra l erba verde, e vaghi fior novelli, azzurri, gialli, candidi e vermigli: ond io porsi la mano a côr di quelli per adornare e mie biondi capelli, e cinger di grillanda el vago crino. (ngelo Poliziano, Rime) Dei due testi che abbiamo riportato il primo è scritto in prosa, il secondo, invece, è un testo in poesia. Come lo sappiamo? Quali sono le differenze tra prosa e poesia? Il primo brano è in prosa: descrive un personaggio, che non coincide con chi scrive (tutti i verbi sono alla terza persona singolare). Nonostante la brevità del testo, ci vengono offerti molti dati e, dopo soltanto poche righe, riusciamo già a sapere molte cose del protagonista, che ci sembra vicinissimo: possiamo quasi vederlo mentre si sveglia. ll interno del brano si possono isolare tre diversi momenti, che si susseguono l uno all altro: - innanzitutto c è la descrizione del risveglio; - poi un flash-back (un ritorno indietro nel tempo) che ci porta alla notte precedente; - infine un ritorno al presente con la considerazione dello stato in cui l uomo si trova da qualche tempo: svegliandosi nel cuore della notte, egli non sa più dove si trova, se in Europa o in merica, e non riesce nemmeno a ricordare il proprio nome. In poche righe abbiamo tutti questi dati.

2 16 Canone Occidentale - La poesia Rileggendo questo breve brano, ci accorgiamo che lo scrittore di prosa prosegue l azione dello scrivere fino in fondo alla riga, senza andare a capo, se non ogni tanto: la prosa è dunque una scrittura continua. La parola prosa deriva dall aggettivo latino prorsus, che significa ciò che va in linea retta. Il secondo brano è in poesia. differenza del primo, è scritto in prima persona: qualcuno racconta e descrive una situazione avvenuta nel passato. Viene ricordata una mattina di primavera in cui, all interno di un giardino, il personaggio che parla ha raccolto alcuni fiori per farne una ghirlanda con cui adornare i propri capelli. Il testo rivela che la poesia non sfrutta tutto lo spazio a sua disposizione, si ferma prima della fine della riga e va a capo dopo alcune parole, ovvero è scritta in versi. La parola verso deriva dal verbo latino vertere, tornare indietro, girare, ovvero andare a capo. Il verso: una prima importante caratteristica che contraddistingue un testo poetico da un testo in prosa consiste nel fatto che i versi in cui è scritta la poesia tradizionale sono costituiti da una regolarità, data dal numero di sillabe che li compongono: I / mi / tro/vai, / fan/ciul/le, un / bel / mat/ti/no di / mez/zo / mag/gio in / un / ver/de / giardino. E/ran / d in/tor/no / vï/o/let/te e / gi/gli fra / l er/ba / ver/de, e / va/ghi / fior / no/vel/li, az/zur/ri, / gial/li, / can/di/di e / ver/mi/gli: on/d io / por/si / la / ma/no a / côr / di / quel/li per / a/dor/na/re e / mie / bion/di / ca/pel/li, e / cin/ger / di / gril/lan/da el / va/go / cri/no. Ognuno di questi versi ha undici sillabe 1 : quindi è sempre lo stesso verso che ripete la propria misura e lunghezza per tutto il componimento. Questo tipo di verso si chiama endecasillabo. I versi possono essere di diversa lunghezza, secondo questo schema: binario 02 sillabe La / cà ternario 03 sillabe La / ca/sa quaternario 04 sillabe La / ca/set/ta quinario 05 sillabe U/na / ca/sa / blu senario 06 sillabe U/na / ca/sa / gial/la settenario 07 sillabe U/na / ca/sa / az/zur/ra ottonario 08 sillabe U/na / ca/sa / a/ran/cio/ne novenario 09 sillabe U/na / bel/la / ca/set/ta / ros/sa decasillabo 10 sillabe U/na / bel/la / ca/set/ta / mar/ro/ne endecasillabo 11 sillabe U/na / ca/set/ta / con / un / bel / giar/di/no dodecasillabo 12 sillabe U/na / ca/sa / con / giar/di/no / e / pi/sci/na La rima: c è poi un secondo importante aspetto che caratterizza il testo poetico nei confronti della prosa. 1 lcuni ne hanno di più, ma bisogna considerare che, in poesia, spesso due vocali che si trovano ad essere vicine vengono considerate una sola, per un fenomeno che si chiama elisione e che verrà approfondito tra poco.

3 Il metodo 17 Riscriviamo ancora una volta il secondo brano: I mi trovai, fanciulle, un bel mattino di mezzo maggio in un verde giardino. Eran d intorno vïolette e gigli fra l erba verde, e vaghi fior novelli, azzurri, gialli, candidi e vermigli: ond io porsi la mano a côr di quelli per adornare e mie biondi capelli, e cinger di grillanda el vago crino. Osserviamo l ultima parola di ogni verso. Prendiamo le prime due e l ultima: «mattino», «giardino» e «crino». Queste tre parole hanno, nelle loro parti finali, identità di scrittura e di suono. E così anche le altre: «gigli» e «vermigli», e infine «novelli», «quelli» e «capelli». Tra queste parole avviene il fenomeno della rima, che ha come sede principale la parte finale del verso. Quindi diciamo che «mattino», giardino» e «crino» rimano tra loro. La presenza della rima in poesia era talmente importante che questa parola divenne sinonimo di versi, e rimare significò comporre versi. Il ritmo: leggiamo ora un brano di un famoso testo in prosa, il Decamerone di Giovanni occaccio, una raccolta medievale composta da cento novelle: Manifesta cosa è che, sì come le cose temporali tutte sono transitorie e mortali, così in sé e fuor di sé esser piene di noia, d angoscia e di fatica... Se rileggiamo attentamente, ci accorgiamo che questo brano contiene una particolare regolarità che potremmo dire più comune alla poesia che alla prosa. Per vedere meglio questa regolarità, proviamo a scomporre il testo e a rileggere: Manifesta cosa è che, sì come le cose temporali tutte sono transitorie e mortali, così in sé e fuor di sé esser piene di noia, d angoscia e di fatica Questa nostra versione del brano mette in luce la presenza di una costante, di un qualcosa che ritorna. Proviamo ora a scomporre in sillabe: Ma/ni/fe/sta / co/sa / è che, / sì / co/me / le / co/se / tem/po/ra/li tut/te / so/no / tran/si/to/rie e / mor/ta/li, co/sì in / sé / e / fuor / di / sé es/ser / pie/ne / di / no/ia, d an/go/scia e / di / fa/ti/ca Il primo verso è formato da 7 sillabe; il secondo da 11; il terzo ancora da 11, se consideriamo la «e» dopo «transitorie» talmente flebile da venire assimilata, nella lettura, alla

4 18 Canone Occidentale - La poesia parola precedente (per un fenomeno che si chiama elisione); il quarto verso contiene, come il primo, 7 sillabe (con elisione tra «così» e «in»); il quinto ha 7 sillabe, così come l ultimo verso (che, come il terzo, ha la congiunzione «e» talmente flebile che possiamo non contarla come sillaba a sé stante, ma attaccarla alla parola precedente «angoscia»). Ciò significa che, secondo tale scomposizione, il testo è composto da settenari (7 sillabe) e da endecasillabi (11 sillabe). Ci sono poi, a sorpresa, delle vere e proprie rime : Manifesta cosa è che, sì come le cose temporali tutte sono transitorie e mortali, così in sé e fuor di sé esser piene di noia, d angoscia e di fatica Questa disposizione grafica conferisce un certo ritmo alle parole, che stanno bene anche in forma poetica, come dimostra la presenza delle rime.

5 Il metodo L uso della lingua La lingua utilizzata dalla poesia si distingue dalla lingua che viene detta comune per vari aspetti. 1) La lingua comune La lingua comune, quella che utilizziamo normalmente ogni giorno, è fondata sulla corrispondenza tra le parole che usiamo e il significato che attribuiamo loro. d esempio, se dico: Giorgio mangia la mela conosco il significato di ogni parola: - so che Giorgio è il nome di una persona; - so cosa vuol dire il verbo mangiare; - so cos è una mela. Dunque, conosco anche il significato del loro insieme: una persona che si chiama Giorgio si sta cibando con un frutto rotondo, la mela. La parola è: - un insieme di suoni (nel caso della parola detta) -o un insieme di segni grafici (nel caso della parola scritta) - che simboleggiano qualcosa, di concreto (ad esempio un oggetto) -o di astratto (ad esempio un sentimento). Potremmo rappresentare le principali caratteristiche della parola attraverso un triangolo: SIGNIFICNTE REFERENTE SIGNIFICTO Se prendiamo la parola mela : significante è il suono o la grafia della parola: m+e+l+a; significato è il senso che diamo a quel simbolo grafico o a quel suono (quindi l idea della mela) che ci permette di collegarlo all oggetto a cui corrisponde; referente è l oggetto mela, il frutto che, convenzionalmente, prende questo nome.

6 20 Canone Occidentale - La poesia La parola è composta soltanto dal significato e dal significante; ma essa non potrebbe esistere se non ci fosse un oggetto esterno da nominare e da significare (il referente), perché sarebbe inutile, dato che la funzione della lingua è quella di comunicare nella realtà. Lo schema non cambia se il referente è qualcosa di astratto: infatti se parliamo di amicizia, pur non potendo toccarla con mano, il contenuto di questa parola è reale e riconosciuto nell uso della lingua. 2) Denotazione e connotazione quanto detto finora a proposito dell uso della lingua, aggiungiamo ora un elemento. Con la parola pietra indico un preciso oggetto naturale, senza alcun dubbio sulle sue caratteristiche generali. In questo caso, il rapporto preciso, senza possibilità di incertezza, tra parola e oggetto a cui essa si riferisce si chiama denotazione. Ovvero: la parola pietra denota quell elemento naturale che tutti conosciamo (e non un altro). Ma se prendo l espressione cuore di pietra, ecco che il significato della parola pietra si fa più incerto. Non indica più l oggetto preciso di cui si è parlato sopra, ma una condizione, una disposizione particolare in cui l uomo può trovarsi. Potremmo dire che il significato della parola pietra, in questo caso, diventa più esteso, e i confini che lo determinano nei confronti delle sfere di significato delle altre parole diventano meno precisi. Il suo significato esatto, denotativo, è scomparso; al suo posto troviamo un significato più esteso e più incerto: quello connotativo. Denotazione e connotazione sono due diversi tipi di rapporto tra simbolo e significato, tra parola e referente, che noi usiamo normalmente. nzi, spesso non ci accorgiamo quando passiamo da una forma all altra. d esempio, si sente parlare sempre più spesso degli hacker, parola inglese che in italiano viene tradotta con pirata informatico. È ovvio che le persone così chiamate non si aggirano nel Web con baffi, barba e uncino... In questo caso la parola pirata, che esiste autonomamente e indica un fenomeno di rapina storicamente avvenuto a bordo delle navi, assume un altro significato. Mentre la lingua della prosa è in prevalenza denotativa, quella della poesia è più frequentemente connotativa. 3) La lingua della poesia a) Concentrazione della lingua e densità di significato: proponiamo ora un altro confronto tra un brano di prosa e un testo poetico: Un tale, che era un agente segreto, parcheggiò in una piazza bagnata dalla pioggia la macchina che aveva preso a nolo, e salì sull autobus per andare in città. Quel giorno compiva quarantun anni e, buttandosi su un sedile a caso, chiuse gli occhi sprofondando in tetre meditazioni sulla natura del suo compleanno. lla prima fermata, l autobus che rallentava lo riportò alla realtà e vide due ragazze che si sedevano sui sedili liberi davanti a lui. La ragazza di sinistra aveva i capelli color bronzo, bronzo scuro che brillava di riflessi d oro. I capelli erano lisci e raccolti sulla nuca con un nastro di velluto nero, annodato a fiocco. Il nastro, come i capelli, si distingueva per un senso di fresca pulizia, il genere di pulizia caratteristico delle cose che la mano irrequieta non ha ancora toccato. Chi le ha annodato il nastro con tanta cura, pensò il quarantunenne. Poi

7 Il metodo 21 attese il momento in cui si sarebbe voltata verso la sua amica; appena lei si girò verso l amica e lui vide i tratti del suo viso, spalancò la bocca in un urlo soffocato in gola. Forse gli sfuggì. I viaggiatori, in ogni modo, non reagirono. (. Tammuz, Il minotauro) In questo brano il tempo è lineare: i fatti si susseguono l uno all altro senza stravolgere lo scorrere naturale del tempo. Le descrizioni dei particolari e dei dettagli sono molto approfondite e ricche di aggettivi. Il discorso che l autore porta avanti è chiaro, fatto di termini precisi e immediatamente comprensibili. Ora vediamo una famosa poesia di Giuseppe Ungaretti: Si sta come d autunno sugli alberi le foglie (G. Ungaretti, Soldati) Nel confronto col testo in prosa, colpisce innanzitutto la differenza di quantità delle parole. La poesia di Ungaretti è costituita da pochissime parole, attraverso le quali il poeta restituisce al lettore la precarietà della condizione umana, particolarmente avvertita durante un esperienza così totale ed estrema come quella della guerra di trincea (attraverso il titolo sappiamo infatti che sono i soldati ad essere paragonati alle foglie). La lunghezza minima dei versi trasmette un senso di grande desolazione. Le parole, immerse nel bianco della pagina, ci offrono l immagine della solitudine; emergono dal silenzio, offrendo un linguaggio poetico fatto di essenzialità. Spesso, come in questo esempio, la poesia è caratterizzata da un alta concentrazione verbale, a cui corrisponde, per contrapposizione, un ampio contenuto semantico. Le parole della poesia sono dense di significato (come si è visto, sono prevalentemente connotative). Nel testo di Ungaretti l aspetto descrittivo è ridotto al minimo, ma allo stesso tempo, con nove parole soltanto, il poeta rappresenta una condizione umana che percepiamo immediatamente con una vertigine per quanto è nettamente, lucidamente ed efficacemente descritta. Tutti ci immedesimiamo un po nella descrizione della fragilità dell uomo, qui rappresentato come una foglia che un evento improvviso può far cadere dal ramo. b) L ordine delle parole: un altro elemento importante in poesia è la disposizione delle parole, che può essere estremamente libera. L ordine delle parole all interno di un componimento è dettato dall estro del poeta, dalla musicalità che vuole ottenere ma anche dal significato che cerca di restituire. La disposizione delle parole in poesia non risponde alle consuete norme sintattiche, secondo le quali la poesia di Ungaretti dovrebbe essere scritta così: Si sta come le foglie sugli alberi d autunno Ma in questa riscrittura la poesia si indebolisce; l ordine consueto delle parole la rende

8 22 Canone Occidentale - La poesia meno efficace. Infatti in Soldati la condizione di precarietà dell uomo in guerra è resa anche dalla condizione di precarietà delle parole disposte all interno della poesia: esse sono frammentate e divise tra loro, così come sono spezzati i loro legami logici. In questo modo il poeta ottiene un potenziamento dell immagine principale del testo, fatta di desolazione e instabilità, rendendola più intensa e coinvolgente. c) Le immagini: il poeta non svela ma suggerisce il significato, e lo fa attraverso l uso delle immagini. L immagine poetica nasconde i legami logici, lasciandoli sottintesi; in questo consiste la grande forza della poesia, che non esplicita il suo senso, ma lo custodisce come un segreto. d esempio, nella poesia di Ungaretti l immagine delle foglie in balía del vento suggerisce il senso del fragile destino dell uomo. È un immagine simbolica, e in quanto simbolica non immediatamente comprensibile: occorrono, per coglierla, una lettura approfondita e uno sforzo nella comprensione. Questo avviene perché il metodo con cui la poesia procede non è l analisi o la descrizione, tipiche della scrittura in prosa, ma il rapporto sintetico, la rapida scoperta dei rapporti e delle analogie tra le parole della poesia e i significati, i sentimenti e le cose a cui essa si riferisce. È proprio da questo rapporto di tipo sintetico che nascono le immagini della poesia. Un testo in prosa, nella maggior parte dei casi, è trasparente, e i significati che trasmette sono per lo più immediati. La poesia si comporta diversamente: ci chiede uno sforzo maggiore, dobbiamo rischiare di entrarci dentro e andare a fondo, perché spesso l involucro (la forma, la lingua) non permette di cogliere immediatamente il suo contenuto (il significato). Un grande critico e scrittore inglese scriveva: «Nessuna poesia rivelerà il suo segreto a un lettore che le si pone di fronte considerando il poeta come un potenziale ingannatore e che è deciso a non cascare nel tranello. Dobbiamo rischiare di cascarci, se vogliamo ottenere qualcosa. La migliore salvaguardia contro la cattiva letteratura è un ampia esperienza di quella buona; come un rapporto reale e di affetto con le persone oneste protegge meglio dai furfanti che una sfiducia abituale nei confronti di tutti» (C.S. Lewis, Lettori e letture). d) Polisemia (pluralità di significati): In fondo alla china, fra gli alti cipressi è un piccolo prato. Si stanno in quell ombra tre vecchie giocando coi dadi. Non alzan la testa un istante, non cambian di posto un sol giorno. Sull erba in ginocchio si stanno in quell ombra giocando. (. Palazzeschi, ra Mara mara) Questo componimento di Palazzeschi è un efficace esempio della compresenza di

9 Il metodo 23 diversi significati in poesia. d una prima lettura, sembra che il testo sia la semplice descrizione di un gioco che tre vecchie fanno all ombra degli alberi. Il linguaggio è chiaro e lineare, e non ostacola l interpretazione. Una lettura più attenta, però, porterebbe a qualche sorpresa. La presenza di alcuni elementi, infatti, rimanda a una poesia sul destino: il gioco dei dadi simboleggia la legge del caso che governa la vita degli uomini, mentre le tre vecchie richiamano le Parche, dee pagane che presiedevano alla vita degli uomini. Infine, altri due elementi simbolici conducono la nostra interpretazione di questa poesia al senso della vita e alla sua precarietà: la china (che rappresenta la vita stessa) e i cipressi (che simboleggiano la morte, dove la vita inevitabilmente si conclude). Quindi una lettura più approfondita, condotta in chiave simbolica, mostra come il componimento sia fondato sul tema della casualità della vita, costretta a sottostare alle leggi di un cieco destino. Questo esempio è utile per comprendere che anche in campo semantico il poeta gode di grande libertà. e) L insieme dei suoni: nel testo poetico al significato delle parole si aggiunge e si allea quello dei suoni; infatti il significato e i suoni si richiamano, fondendosi tra loro. Prendiamo come esempio un famoso verso di Leopardi: e chiaro nella valle il fiume appare Le vocali accentate in modo più forte sono due: la /a/, che compare tre volte («chiaro», «valle», «appare») e la /u/, che compare una volta soltanto («fiume»). Il suono della /a/ suggerisce chiarezza, mentre la /u/ è una vocale scura: quello che il verso ci fa vedere, con l insieme sonoro oltre che con il significato delle parole che lo compongono, è un paesaggio immerso nel chiarore che ha al suo interno una macchia scura, il fiume.

10 24 Canone Occidentale - La poesia 3. Il ritmo I testi poetici di tipo tradizionale rispondono a una serie di regole di composizione, che vanno sotto il nome di metro o metrica, cioè misura. Studiare le regole metriche è importante, anche se non bisogna mai credere che un componimento si riduca a tali regole. Lo studio del metro deve essere lo studio di un aspetto del linguaggio, non diverso dagli altri (la tessitura fonica, ovvero l insieme dei suoni dato dalle parole di una poesia, la scelta delle parole, la gamma dei significati che un testo assume, l uso della lingua che il poeta fa in una determinata poesia...), che, come gli altri, ci deve guidare a comprendere l espressione poetica nella sua totalità. Possiamo paragonare una poesia ad un quadro: è importante conoscere la tecnica pittorica con cui è stata realizzata una tela, ma questo non deve allontanarci troppo dalle considerazioni sui colori utilizzati, il soggetto dipinto, le forme presenti... l di là del metro, quindi, noi dobbiamo cogliere il ritmo. Il ritmo è connaturato alla poesia, perché alle sue origini essa era strettamente legata alla musica. Molti tipi di testi poetici, oltre alle parole che li compongono e che oggi conosciamo, erano provvisti di uno spartito musicale, e prevedevano un esecuzione cantata e, a volte, anche ballata. Il ritmo è presente anche quando parliamo e quando scriviamo; capita spesso di accorgersi che una parola non stia bene in un posto e vada collocata altrove perché, come si usa dire, suona male. Se voglio raccontare dei miei successi nel gioco del calcio ad un amico, posso dire: il mio allenatore dice che sono il giocatore migliore della squadra oppure, anche se non è esattamente la stessa cosa, posso dire: nel calcio io sono il migliore, lo dice anche l allenatore. Le due frasi contengono le stesse identiche informazioni, ma nella seconda compaiono alcuni elementi che sono immediatamente riconoscibili come poetici : tra i due versi c è un episodio di rima, e dall insieme nasce un ritmo tale che le due frasi si assomigliano, pesano allo stesso modo (hanno ciascuna 10 sillabe). Quello che il poeta fa, a differenza di una persona comune che si accinge a scrivere o a parlare, è potenziare ciò che tutti gli uomini comunque possiedono: la dimensione ritmica del discorso. Nel discorso quotidiano le parole si esauriscono col fine per cui esse servono: tornando all esempio di prima sarà più probabile, parlando con un amico, pronunciare la prima frase piuttosto che i due versi, poiché sicuramente ciò che interessa di più è fargli sapere cosa ha detto l allenatore, e non come trasmettergli questa informazione. Il ritmo in poesia è strettamente connesso con gli accenti delle parole che formano i versi.

11 Il metodo L accento e le sillabe a) Gli accenti della parola: parole piane, sdrucciole, tronche Ogni parola ha una sillaba su cui, nel pronunciarla, si posa in modo speciale la voce, su cui ci si sofferma un po più a lungo: questa sillaba si chiama tonica, mentre la posa della voce si chiama accento tonico. Per capire come funziona il sistema degli accenti della lingua italiana prendiamo una parola qualsiasi e accentiamola in tutti i modi possibili: avremo, ad esempio pàtata patàta patatà Quale di queste parole ha il corretto accento? È patàta. La maggior parte delle parole italiane ha l accento come patàta, ovvero sulla penultima sillaba: si chiamano parole piane (càsa, scuòla, formàggio, marmellàta). Le parole che hanno l accento sulla terzultima sillaba, come pàtata, si chiamano sdrucciole, perché dopo la sillaba accentata è come se la parola scivolasse via (àlbero, telèfono, rigàgnolo, pèndolo, bàmbola). Le parole che hanno l accento sull ultima sillaba, come patatà, si chiamano tronche, ed è facile distinguerle perché spesso hanno l accento grafico (più, così, sarà, carità, virtù). Le parole che hanno l accento ancora più indietro delle sdrucciole (sulla quartultima sillaba, bisdrucciole: fàbbricano, e sulla quintultima, trisdrucciole: lìberacene) sono piuttosto rare, e nella maggior parte dei casi sono parole composte da verbi e particelle. b) Versi piani, sdruccioli, tronchi ll interno del verso l accento più importante è l ultimo, quindi ciò che definisce il verso è l ultima parola che lo compone. Se un verso finisce con una parola piana, viene detto piano; se finisce con una parola tronca si chiama tronco; se termina con una parola sdrucciola, è detto sdrucciolo. c) Le particelle atone isogna poi considerare una serie di parole molto piccole e brevi: gli articoli, le particelle pronominali mi, ti, ci, si, vi, ve, ce, ne, le preposizioni (di, a, da, in...) e le congiunzioni monosillabiche, cioè formate da una sola sillaba (e, ma...). Tutte queste parole hanno di regola un accento così tenue, che se ne considerano quasi prive, e perciò vengono chiamate atone (senza tono, ovvero senza accento). d) Gli accenti del verso Quello che succede all interno di una parola, in poesia succede all interno del verso: infatti come la parola ha una sillaba privilegiata, sede dell accento tonico, così il

12 26 Canone Occidentale - La poesia verso ha sedi privilegiate per gli accenti, che non sono mai messi a caso dal poeta: Nel mèzzo del cammìn di nostra vìta Mi ritrovài per una sèlva oscùra La presenza degli accenti all interno del verso, oltre a conferire il ritmo di cui si è parlato, funziona anche da argine per la voce: la lettura, seguendoli, non risulterà né monotona né disordinata, rispettando così la misura dei versi. Come si vede dai due versi sopra riportati, gli accenti principali del verso (chiamati accenti ritmici o ictus) non coincidono con tutti gli accenti tonici delle parole che lo costituiscono, che risultano più numerosi. Questo significa che la metrica dispone di regole sue proprie, diverse da quelle della grammatica. Gli elementi essenziali del ritmo nel verso italiano sono due: il primo è un numero stabilito di sillabe; il secondo è il succedersi di accenti tonici su sedi determinate, ad intervallo di tempo fisso. Questi due elementi formano il metro, che è la misura del ritmo. Grazie al succedersi di accenti a intervalli regolari, noi percepiamo una musicalità della poesia. È proprio la ripetizione che conferisce al testo poetico un particolare ritmo. La cesura: il ritmo del verso viene sottolineato anche dalla presenza di pause, chiamate cesure, le cui possibili posizioni sono indicate dalle regole della metrica tradizionale. Le cesure però sono presenti solo nei versi lunghi, dove spesso coincidono con le pause segnalate dalla punteggiatura; esse dividono il verso in due parti, che prendono il nome di emistichi: Questo di tanta speme // oggi mi resta (U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni)

13 Il metodo Il verso Il verso, con i suoi accenti, le rime e i suoni, è la manifestazione più appariscente del ritmo di cui abbiamo parlato, e permette alle parole che compongono una poesia di emergere dalla pagina bianca. Il loro significato è più profondo, più denso, più vario e sfuggente. Prendiamo una poesia di Ungaretti: E subito riprende il viaggio come dopo il naufragio un superstite lupo di mare Se questo testo non fosse scritto in versi, diventerebbe: E subito riprende il viaggio come dopo il naufragio un superstite lupo di mare È evidente, non è la stessa cosa. Le parole, nella versione poetica, si stagliano con tutta la loro intensità, vengono isolate e come protette dagli spazi bianchi che le circondano, emergono con più forza e sono maggiormente suggestive. Come riconoscere un verso. I nomi dei versi italiani traducono il numero di sillabe da cui sono composti: ci si basa sul numero delle sillabe che realmente ha il verso quando è piano, poiché è il più diffuso dei versi. Questo significa che quando il verso è tronco ha una sillaba in meno di ciò che indica il suo nome, e quando è sdrucciolo ne ha una in più. d esempio, il verso settenario quando è piano ha sette sillabe: E / già / per / me / si / pie/ga Quando è tronco, invece, ne ha sei: Che / na/tu/ra / mi / diè Se è sdrucciolo, ha otto sillabe: Per/ché / tur/bar/mi / l a/ni/ma (da Parini, La vita rustica) Quindi, più semplicemente, per riconoscere i versi italiani bisogna contare le sillabe fino all ultima che ha l accento, e aggiungere uno: settenario, 6 + 1; = endecasillabo. Dopo il regolare accento tonico dell ultima parola, il verso italiano in un certo senso non tiene più conto delle sillabe che seguono.

14 28 Canone Occidentale - La poesia 4.1. Le principali figure metriche Le principali figure metriche riguardano l incontro di vocali, sia tra due parole che all interno di una stessa parola. Sappiamo che una sillaba, per essere tale, deve contenere almeno una vocale. Laddove due (o più) vocali si incontrano, il nostro conteggio delle sillabe diventa più incerto: se casa ha due sillabe, quante ne ha la parola aria? Le seguenti regole metriche sfruttano questa indecisione, accordando al poeta una notevole libertà. ELISIONE O SINLÈFE È una delle principali particolarità metriche. Per evitare lo iato, cioè il suono prodotto dall incontro di più vocali (cuoca), di regola, quando una parola finisce con una vocale non accentata e la seguente comincia pure per vocale (amore amaro), avviene una specie di fusione o di contrazione tra queste vocali: Ma pur ne tremi, o Psyche, ancora e mesta (Pascoli, Psyche) Se contiamo tutte le sillabe di questo verso, risultano essere 14. Il poeta quindi, volendo scrivere un endecasillabo, sembra aver esagerato, ma non è così: considerando le elisioni che si possono fare nel verso (tra «tremi» e «o», tra «Psyche» e «ancora», tra «ancora» e «e»), esso risulta in effetti un endecasillabo. Quel che impone i comandi o addita i fati (D nnunzio, La canzone di Umberto Cagni) In questo verso le sillabe sono addirittura 16; ma evidenziando gli episodi di elisione («che impone», «impone i», «comandi o», «o addita», «addita i»), il verso è nuovamente un endecasillabo. volte l elisione viene sottolineata anche graficamente, attraverso un apostrofo messo al posto della vocale da elidere. Questo fenomeno prende il nome di afèresi: Preme l cor di desio, di speme il pasce (Petrarca, Canzoniere CCLXIV) Ch addorna e nfiora la tua riva manca (Petrarca, Canzoniere CCVIII) Il poeta, più che obbedire a norme prestabilite, obbedisce al suo senso armonico. Laddove potrebbe esserci l elisione, non è detto che il poeta vi ricorra. d esempio, Dante non usa l elisione quando potrebbe: O in eterno faticoso manto! (Dante, Inferno XXIII) Come sappiamo che non utilizza questo espediente? asta contare le sillabe: come tutti i versi della Divina Commedia anche questo è un endecasillabo e se, contando, non ci risul-

15 Il metodo 29 tano 11 sillabe ma un numero maggiore o minore, abbiamo la certezza che il poeta ha sfruttato alcune particolarità metriche. In questo verso c è un caso che richiederebbe l elisione, tra la O iniziale e in. Ma contando le sillabe ci accorgiamo che Dante non utilizza questo espediente: O / in / e/ter/no / fa/ti/co/so / man/to! La mancata elisione, in questo caso, dà la sensazione della faticosa lentezza del tempo, se vissuto nell eternità delle pene infernali. Tra «O» e «in» si verifica il fenomeno della dialèfe, esattamente contrario alla sinalefe/elisione: ha luogo quando due vocali vicine di parole diverse vengono calcolate separate. Se sinalefe/elisone e dialefe riguardano l incontro tra due vocali appartenenti a parole diverse, l incontro tra due vocali di una stessa parola determina fenomeni di dièresi o di sinèresi. DIERESI E SINERESI Dièresi: consiste nel pronunciare separate, come se fossero due sillabe distinte, due vocali contigue di una stessa parola. Una volta veniva segnata con due puntini sulla prima delle due vocali su cui cadeva tale fenomeno, ora spesso questo segno si tralascia. Tal fra le Perse torme infurïava L ira de greci petti e la virtude. (Leopardi, ll Italia) L effetto principale della dieresi è di dare al verso un espressione di armonia lenta, quasi di riposo, o d insistenza, poiché tende a prolungare il suono e a rallentare il ritmo. Sinèresi: è il fenomeno opposto alla dieresi, e consiste nel pronunciare unite in una sillaba sola due vocali consecutive appartenenti alla stessa parola, di regola atone. Nella parola grazioso di solito si contano 4 sillabe (gra/zi/o/so), ma con la sineresi diventano tre: gra/zio/so. LTRE FIGURE METRICHE fèresi: si ha quando una parola si diminuisce di una sillaba iniziale (la a di aferesi indica qualcosa che manca, che viene tolto): Limosina di messe Dio sa quando Io ne potrò toccare (Parini, l canonico gudio) Pròtesi: al contrario è l aumento di una sillaba al principio di parola (protesi nel senso di aggiunta): Ciascuna par dolente e sbigottita, come persona discacciata e stanca (Dante, Rime XLVII) dove discacciata sta per scacciata.

16 30 Canone Occidentale - La poesia Sìncope: è la caduta di una vocale o di una consonante all interno della parola, per cui questa diminuisce di una sillaba: Spirto gentil che quelle membra reggi (Petrarca, Canzoniere LIII) Rompea la notte e la rendea più truce (Monti, assviliana I) Epèntesi: è il fenomeno contrario alla sincope, cioè l aumento di una vocale o di una consonante all interno della parola: Similemente il mal seme d damo (Dante, Inferno III) pòcope: si ha quando si abbrevia una parola di una sillaba finale, come negli esempi: son per sono, andaro per andarono (anche in questo caso la a di apocope indica una mancanza, qualcosa che viene meno, che si toglie): Levossi chille piè veloce e disse (Omero, Iliade I) Paragòge: è il contrario dell apocope, e consiste nell aggiunta di una sillaba alla fine di una parola: fue per fu, die per dì: Voi vigilate nell eterno die. (Dante, Purgatorio XXX) e priegalami per la sua bontate che la mi degia tener lealtate. (Federico II, Oi lasso, non pensai) Sìstole: indica il ritrarsi, lo spostamento dell accento dalla sillaba tonica verso il principio di parola:...minaccia gl itali penati Ànnibal diro (Carducci, lle fonti del Clitumno) Quando verrà la nimica podèsta (Dante, Inferno VI) Diàstole: è lo spostamento dell accento verso la fine della parola. Si ha di frequente con nomi propri derivati dal greco: Umìle per ùmile, gamennòn per gamènnone: Quasi aspettando, pallido ed umìle (Dante, Purgatorio VIII) Tmesi: riguarda le parole che possono essere soggette al doppio accento. vviene di regola tra parole composte e si verifica quando una parola si scinde nei suoi componenti e si

17 Il metodo 31 spezza tra la fine del verso e il principio del seguente: E poi li volge a una a una lentamente (Pascoli, Il libro) 4.2. I versi tradizionali Una prima distinzione tra i versi italiani è quella tra parisillabi e imparisillabi, in base al numero pari o dispari di sillabe che li compone. I poeti italiani spesso hanno preferito i versi imparisillabi, perché permettono una maggior varietà di armonia e composizione, mentre i versi composti da un numero pari di sillabe corrono il rischio di risultare monotoni. Non esistono, se non raramente, versi di una, due o tre sillabe. Di solito versi così brevi non esistono di per sé: si trovano misti ad altri versi, a cui si appoggiano o s intercalano, di regola con rima. d esempio, Pascoli usa un verso binario alla fine di ogni strofa che compone L assiuolo, per restituire il verso di questo uccello notturno: Dov era la luna? ché il cielo notava in un alba di perla, ed ergersi il mandorlo e il melo parevano a meglio vederla. Venivano soffi di lampi da un nero di nubi laggiù; veniva una voce dai campi: chiù... Un esempio, molto raro, di trisallabo è il seguente: Si tace, non getta più nulla. (Palazzeschi, La fontana malata) Il quaternario: è un verso composto da 4 sillabe, con accento ritmico fisso sulla 3ª. Da solo è assai poco usato, come si vede da questo esempio in cui lo troviamo alternato al settenario: ccusato, tormentato, condannato sia colui, che in pian di Lècore prim osò piantar le viti; infiniti capri, e pecore si divorino quei tralci

18 32 Canone Occidentale - La poesia e gli stralci pioggia rea di ghiaccio asprissimo (Redi, acco in Toscana) Essendo un verso molto breve, difficilmente ha senso compiuto da solo: ad esempio il verso capre, e pecore preso singolarmente non dice veramente niente quanto a significato e armonia. Il quinario: ha un solo accento ritmico sulla 4ª sillaba. È un verso antico, adoperato sia in strofe da solo (strofe monocole) sia con settenari e endecasillabi. Esempio di quinari piani: Or che si tace - sia per brev ora - quanto m accora, in me, nel mondo; ed alla pace che m ha beato è il cuor grato quanto è profondo (Saba, Canzonetta nuova) Esempio di quinari sdruccioli: Sempremai tornino di nuovo a bevere l altera porpora, che in Monterappoli da neri grappoli sì bella spremesi. (Redi, acco in Toscana) Esempio di quinario misto con settenari: La vïoletta, che in sull erbetta apre al mattin novella, dì, non è cosa tutta odorosa, tutta leggiadra, e bella? (Chiabrera, Rime XVIII) Il senario: è un verso che va considerato diviso in due emistichi (mezzi versi) di tre sillabe ciascuno; gli accenti principali generalmente cadono sulla penultima sillaba di ognuno di questi, ovvero sulla 2ª e sulla 5ª: Evviva la vigna Che l arti raccoglie, Che il gelo discioglie

19 Il metodo 33 Di barbare età! (Carducci, Il rindisi) Si può trovare misto ad ottonari: Che buon pro facesse il verbo imbeccato a suon di nerbo nelle scuole pubbliche... Tutti noi, che grazie al Cielo non siam più di primo pelo, lo diremo ai posteri. (Giusti, Gl immobili e i semoventi) Il settenario: è uno dei nostri versi più antichi e più usati. Si trova agli albori della letteratura italiana, e via via per tutti i secoli, compresi i tempi moderni, da solo o misto ad altri versi (specie con l endecasillabo). Ha due accenti principali, sulla 6ª e su una delle prime quattro sillabe, a piacimento. Ecco un esempio molto antico, che risale al Duecento: O gemma lezïosa, adorna villanella, che se più vertudiosa che non se ne favella: per la vertude c hai per grazia del Signore, aiutami, ché sai ch i son tuo servo, more. (Ciacco dell nguillaia) D nnunzio l ha usato non legato in strofe, e rimato a volontà: Nostra spiaggia pisana, amor di nostro sangue, vita di sabbie e d acque silvana e litorana, o ferma creatura nella qual si compiacque un arte che non langue non trema e non s offusca, terra lieve e robusta che lineata pare dalla mano sicura del figulo onde nacque il purissimo vaso (D nnunzio, I cammelli) L ottonario: anche questo verso è antichissimo. Nella sua forma più antica è composto dall unione di due quaternari, quindi gli accenti principali sono sulla 3ª e sulla 7ª sillaba. Un altro tipo di accentazione è 1ª, 4ª e 7ª.

20 34 Canone Occidentale - La poesia Carducci lo usò misto ai quaternari, come si vede nella poesia lla rima: ve, o rima! Con bell arte Su le carte Te persegue il trovadore; Ma tu brilli, tu scintilli, Tu zampilli Su del popolo dal core. Modernamente è stato adoperato anche con altra posizione di accento, per rompere la monotonia che facilmente potrebbe prodursi da un ritmo così ugualmente cadenzato: revi chiomate sorelle, api operaie, già sparve l ombra del verno, e già fanno l api il lor miele per quelle ch oggi son torpide larve, oggi, ma che voleranno domani. (Pascoli, lle «Kursistki») Il novenario: nella sua forma tradizionale ha gli accenti sulla 2ª, 5ª e 8ª sillaba. Questo verso ha un armonia poco spiccata, tanto che non è difficile trovarlo in prosa (I promessi sposi di lessandro Manzoni cominciano proprio con un novenario: «Quel ràmo del làgo di Còmo»): Dal Libano trema e rosseggia Su l mare la fresca mattina: Da Cipri avanzando veleggia La nave crociata latina. poppa di febbre anelante Sta il prence di laia, Rudello, E cerca co l guardo natante Di Tripoli in alto il castello. (Carducci, Jaufré Rudel) In Versilia di D nnunzio gli accenti sono posti molto liberamente: Non temére, o uómo dagli ócchi gláuchi! Erómpo dalla cortéccia frágile io nínfa boscheréccia Versília, perché tu mi tócchi. Il decasillabo: è un verso divisibile armonicamente in 3 parti di 3 sillabe ciascuna, con l accento sull ultima sillaba di ogni parte, a cui si aggiunge una sillaba finale. Poiché la posizione dell accento è quasi sempre fissa (3ª, 6ª e 9ª), il decasillabo ha un suono cadenzatamente monotono, che in certi casi può servire per onomatopea (armonia imitativa): Da le vètte dell Ètna fumànti en ti lèvi, o facèlla di guèrra:

21 Il metodo 35 Su le tòmbe de vècchi gigànti Come bèlla e terrìbil sei tù! (Carducci, Sicilia e la Rivoluzione) Per evitare la monotonia che spesso caratterizza il decasillabo, i poeti moderni ne hanno variato l accentatura ritmica: Dunque, róndini róndini, addío! Dunque andáte, dunque ci lasciáte per paési tánto a noi lontáni. È finíta qui la róssa estáte. ppassísce l órto; i miei geráni più non hánno che i bécchi di grú. (Pascoli, ddio!) L ENDECSILLO È il re dei versi italiani, chiamato da Dante celeberrimo. È un verso che, per la sua lunghezza, si adatta tanto all espressione dei sentimenti quanto al racconto e al dialogo. Risale alle origini della nostra poesia e fu adoperato ininterrottamente da tutti i nostri poeti. L endecasillabo deve la sua fortuna alla sua grande duttilità, e anche al fatto che, essendo un verso di una certa lunghezza, permetteva al poeta di esprimere più contenuti. Fu usato in molti modi e diede voce a una grandissima varietà di atteggiamenti: ha raccontato l universo della Divina Commedia, ha rivestito la malinconia del Petrarca, ha narrato le gesta di eroi e cavalieri, venne utilizzato nella satira, nella poesia comica ecc. nche quando, nel Cinquecento e più tardi, si volle trovare una veste italiana adatta per i poemi antichi sottoposti a traduzione, si ricorse all endecasillabo. Si è utilizzato rimato in tutte le forme di strofa, da solo o con altri versi. Ha due tipi di accenti principali: 6ª e 10ª, 4ª, 8ª e 10ª, ma anche, più raramente: 4ª, 7ª e 10ª. Esempi di 6ª e 10ª: Nel mezzo del cammìn di nostra vìta (Dante, Inferno I) Canto l arme pietòse e l capitàno (Tasso, Gerusalemme Liberata, canto I) Esempi di 4ª, 8ª e 10ª: Cantami, o dìva, del Pèlide chìlle (Monti, Traduzione Iliade, canto I) Le cortesìe, l audaci imprèse io cànto (riosto, Orlando Furioso, canto I)

22 36 Canone Occidentale - La poesia Esempi di 4ª, 7ª e 10ª: Quivi le strìda, il compiànto, il lamènto (Dante, Inferno V) Spinta dal vènto al frangènte del màre (D nnunzio, L Olenadro) La maggior parte degli endecasillabi segue una di queste disposizioni di accenti; tuttavia sono possibili anche altri tipi di accentazione. L endecasillabo generalmente è divisibile in due membri di cui il primo è il maggiore e il secondo il minore, o viceversa. Nel primo caso la prima parte risulta un settenario piano, tronco o sdrucciolo e la seconda rispettivamente un quaternario, un quinario o un ternario. Settenario piano più quaternario: Come campo di biada / già matura (Monti, assvilliana II) Settenario tronco (sei sillabe) più quinario: Né mai più toccherò / le sacre sponde (Foscolo, Zacinto) Settenario sdrucciolo (otto sillabe) più ternario: Di varïate polveri /ne sparse (Monti, Feroniade) Quando invece risulta più breve la prima parte del verso, questa è formata da un quinario tronco o piano o sdrucciolo. Quinario piano più senario: Voi ch ascoltate in / rime sparse il suono (Petrarca, Canzoniere I) Quinario tronco più settenario: Chi è? Non so. / Che fai? Più nulla (Pascoli, Il naufrago) Quinario sdrucciolo più quinario (raro): Che, tutta libera a / mutar convento (Dante, Purgatorio XXI)

23 Il metodo 37 I VERSI DOPPI Il doppio quinario: è costituito da due quinari, tra i quali non si ammette elisione. Fu poco usato fino ai nostri tempi, in cui i poeti lo ripresero con non molta frequenza. l mio cantuccio, donde non sento se non le reste brusir del grano il suon dell ore viene col vento dal non veduto borgo montano: suono che uguale che blando cade, come una voce che persuade. (Pascoli, L ora di arga) Esempio con il primo dei due quinari sempre sdrucciolo: Me non contamini venduta lode, Non premio sordido d util perfidia: Vinca io con semplice petto l invidia, Vinca la frode. (Carducci, O.T.T.) Il doppio senario o dodecasillabo: è un verso composto da due senari, che rende un suono cadenzatamente monotono. Fu poco usato: Il sole declina fra i cieli e le tombe Ovunque l inane caligine incombe. Udremo sull alba squillare le trombe? Ricordati e aspetta. (D nnunzio, Canti della ricordanza e dell aspettazione) C è anche un altro tipo di dodecasillabo, che risulta da un quaternario più un ottonario, e che ha quindi accenti sulla 3ª, 7ª e 11ª: Sotto i ponti che s inarcan trionfali passa l rno tra due linee di fanali tra i palagi storici, e i fanali, capovolti con le sponde, rifiammeggiano e s allungano nell onde come razzi penduli. (Marradi, Notte fiorentina) Il doppio settenario o martelliano: dei versi composti è stato ed è uno dei più adoperati, perché il settenario è un verso armonicamente vario: Rosa fresca aulentissima c apar inver la state, le donne ti disiano pulzelle e maritate: traimi d este focora se t este a bolontade. (Cielo d lcamo, Contrasto) Due parole soltanto. Dunque dirò così. Grande fu la sapienza del mio illustre antenato

24 38 Canone Occidentale - La poesia Il marchese lamanno. Il quale non c è stato Nessuno più illustre e più dotto di esso! Per cui, diremo noi questo nobil consesso È vero, che ha, diremo, radice in casa mia. Ma siam tutti suoi figli anche la libreria. (Colombi, Il Parini e la satira) Il doppio ottonario: venne usato raramente. Riportiamo un esempio di Carducci, La sacra di Enrico Quinto: Quando cadono le foglie quando emigrano gli augelli E fiorite a cimiteri son le pietre de gli avelli, Monta in sella Enrico quinto il delfin da capei grigi, E cavalca a grande onore per la sacra di Parigi.

25 Il metodo 39 Laboratorio IL VERSO 1 Riconoscete i seguenti versi, indicando a fianco il numero delle sillabe che li compongono e il nome corrispondente di ciascuno: VERSO NUMERO SILLE NOME Perché di me pietà non vi ritene? Ma che vad io narrando Di doman non c è certezza Discende l alba Perché turbàrmi l ànima Era la parola come vento ndorra serena 2 Riconoscete i seguenti versi, facendo attenzione ad applicare le regole per il calcolo metrico delle sillabe: VERSO Io son sì stanco sotto l fascio antico Questa selva selvaggia ed aspra e forte Venendo qui è affannata tanto Venivano soffi di lampi Da un nero di nubi laggiù rbor vittorïosa trïonfale Uno il core, uno il patto, uno il grido: Né stranieri né oppressori mai più NOME 3 Leggete ad alta voce i seguenti endecasillabi, e segnate a fianco di ciascuno su quali sillabe cadono gli accenti principali: Sì lunga guèrra i begli òcchi mi fànno 4ª, 7ª, 10ª

26 40 Canone Occidentale - La poesia Mi ritrovài per una sèlva oscùra Erano i capei d òro a l aura spàrsi Io son sì stanco sotto l fascio antico Poi che se sgòmbro de la maggiòr sàlma Solo d un lauro tal selva verdeggia La bella donna che cotanto amavi Or con sì chiara luce, et con tai segni _ VERSI E STROFE 1 Riconoscete i versi che compongono le seguenti strofe: Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, Silenziosa luna? Sorgi la sera, e vai, Contemplando i deserti; indi ti posi. (Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell sia) Fate attenzione al finale di verso: Tu dalle stanche ceneri Sperdi ogni ria parola: Il Dio che atterra e suscita, Che affanna e che consola, Sulla deserta coltrice ccanto a lui posò. (Manzoni, Il Cinque Maggio) Dagli atri muscosi, dai Fori cadenti, Dai boschi, dall arse fucine stridenti, Dai solchi bagnati di servo sudor, Un volgo disperso repente si desta (Manzoni, delchi, atto terzo, coro) Soletto su l orlo d un lago, che al rosso tramonto riluce, v è un uomo col refe e con l ago che cuce tra l erica bassa (Pascoli, Il mendico)

27 Il metodo 41 ccusato, tormentato, condannato, sta colui, che in pian di Lècore prim osò piantar le viti (Redi, acco in Toscana) San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l aria tranquilla arde e cade, perché sì gran pianto nel concavo cielo sfavilla. (Pascoli, X gosto) VERSI PINI, TRONCHI E SDRUCIOLI 1 Leggendo ad alta voce questi versi, riconoscete se essi sono piani, tronchi o sdruccioli: Dall lpe alle Piràmidi La terra al nunzio sta La sua cruenta polvere Sentier della speranza La gloria che passò

28 42 Canone Occidentale - La poesia 5. La rima Prima di analizzare i diversi tipi di rima, occorre sapere cos è lo schema metrico: Signori e cavallier che ve adunati Per odir cose dilettose e nove, Stati attenti e quïeti, ed ascoltati La bella istoria che l mio canto muove; E vedereti i gesti smisurati, L alta fatica e le mirabil prove Che fece il franco Orlando per amore Nel tempo del re Carlo imperatore. (oiardo, Orlando innamorato, canto I) C C } schema metrico Con schema metrico si indica una descrizione grafica composta da una serie di lettere, in cui ciascuna di esse indica la rima di un verso. Per costruire lo schema metrico di una poesia vengono usate le lettere dell alfabeto a partire dalla a: due lettere uguali tra loro stanno ad indicare un episodio di rima. Per convenzione, si usano le minuscole per i versi inferiori all endecasillabo, e le maiuscole per i versi uguali o più lunghi dell endecasillabo. Si è già visto che la rima ha come sede principale la parte finale del verso. volte però si può trovare anche l uso un po artificioso della rimalmezzo (o rima al mezzo), quando rimano tra loro una parola finale di un verso e una parola nel corpo di un altro verso: Vedete, amanti, com egli è umìle, Ed è gentile - e d altero barnaggio, Ed ha l cor saggio - in fina canoscenza. (Lapo Gianni, more i non son degno...) Odi greggi belar, muggire armenti gli altri augelli contenti, a gara insieme per lo libero ciel fan mille giri. (Leopardi, Il passero solitario) Ci può essere rima anche tra due parole nel corpo dello stesso verso: questo tipo di rima è un mezzo efficace per richiamare l attenzione sulle parole che si vogliono sottolineare e contrapporre: I tetti adorni di canto: io sol di pianto il carcer tetro fo risonar. (Tasso, Sonetto alla duchessa Margherita)

29 Il metodo 43 Rima interna: è un tipo di rima che assomiglia alla rimalmezzo; riguarda parole in versi diversi e può verificarsi anche all interno dello stesso verso. Le rime interne sono molto usate nella poesia novecentesca, a sottolineare una scansione dei versi diversa da quella graficamente riportata: Noncuranza e dolore avevano saldato il galletto Di ferro sul tetto delle case e si tolleravano uniti. (Vittorio Sereni da René Char) Rima a coppia: si ha quando i versi sono rimati a due a due: Lo tesoro comenza. a l tempo che Fiorenza a fiorio e fece frutto b sì ch ell era del tutto b la donna di Toscana c ancora che lontana c ne fosse l una parte d rimossa in altra parte. d (runetto Latini, Il Tesoretto) SCHEM METRICO: aa bb cc dd. Rima alternata: quando rimano tra loro il primo e il terzo verso, il secondo e il quarto, alternandosi tra loro: O tiranno signore a De miseri mortali b O male, o persuasore a Orribile di mali. b (Parini, Il bisogno) SCHEM METRICO: ababab. Rima baciata: quando due versi consecutivi, dopo una serie di rime alternate, rimano tra loro: Già l aura messaggiera erasi desta a nunziar che se ne vien l aurora; ella intanto s adorna, e l aurea testa di rose colte in paradiso infiora, quando il campo, ch a l arme omai s appresta in voce mormorava alta e sonora, e prevenia le trombe; e queste poi C dièr più lieti e canori i segni suoi. C (Tasso, Gerusalemme liberata, canto III) SCHEM METRICO: CC.

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