Intervista al Ven. Ghesce Thubten Dargye

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1 Intervista al Ven. Ghesce Thubten Dargye Estratto da: La mente liberata. Dialoghi sulla pratica del buddhismo nell era della crisi e della Disponibile su Amazon in formato cartaceo e digitale: ref=sr_1_1?ie=utf8&qid= &sr=8-1&keywords=la+mente+liberata

2 La mente liberata Dialoghi sulla pratica del buddhismo nell era della crisi e della Libro intervista a cura di Leonardo Libenzi Introduzione di Maria Immacolata Macioti (Sapienza - Università di Roma) Illustrazioni fotografiche di Gabriella Parra

3 Sommario Leonardo Libenzi Nota del curatore Maria Immacolata Macioti (Sapienza - Università di Roma) Introduzione Parte prima Maestri di Dharma Scuola tibetana Gelug Intervista al Ven. Ghesce Thubten Dargye Istituto Samantabhadra, Roma Intervista al Ven. Ghesce Tenzin Tenphel Istituto Lama Tzong Khapa, Pomaia Intervista alla Ven. Cristiana Ciampa Tsomo

4 LCL, Tārā House, Madonie Intervista al maestro Khyentse Yeshe International Dzogchen Community Intervista al Ven. Ajahn Chandapalo Monastero Santacittārāma, Poggio Nativo Dzogchen Scuola Theravāda Scuola Tendai Intervista a Riccardo Chushin Venturini Istituto di Cultura Buddhista Intervista al maestro Mario Thanavaro Associazione Amita Luce Infinita Buddhayāna Intervista al Rev. Franz Seiun Zampiero Tempio Tenryuzanji del Lagorai Seon (Zen coreano) Intervista al Rev. Taeri sunim Tempio Zen Musang Am, Comunità Bodhidharma, Lerici Parte seconda Unione Buddhista Italiana e Fondazione Maitreya Intervista a Giorgio Raspa Presidente Unione Buddhista Italiana Intervista a Maria Angela Falà Presidente Fondazione Maitreya

5 Parte terza Buddhismo e scienze umane Intervista a Bianca Pescatori e Loredana Vistarini Centro Italiano Studi Mindfulness Intervista ad Antonino Raffone Dipartimento di Psicologia Sapienza - Università di Roma Intervista a Francesco La Rocca Associazione Dare Protezione

6 Intervista al Ven. Ghesce Thubten Dargye Istituto Samantabhadra, Roma

7 Ghesce Thubten Dargye nasce nel 1949 a Tashigang, in Bhutan. All età di quindici anni conosce il suo primo maestro, un Lama Gelug 1 dal monastero di Tawang, in Arunachal Pradesh (India), giunto in Buthan per dare insegnamenti: studierà sotto la sua guida per i successivi quattro anni. Nel 1960 è il primo monaco buddhista di tradizione Gelug ad essere ordinato in India dopo la fallita rivolta tibetana del 1959 e l esilio indiano di SS. il Dalai Lama 2 e di molti altri grandi maestri. Riceve i voti dal Ven. Serkong Tsenshab Rinpoche, maestro dello stesso Dalai Lama e riconosciuto all epoca come il più alto tra i lama reincarnati presenti al monastero di Gaden 3. Studia presso il medesimo monastero 1 La Gelug - termine tibetano che possiamo tradurre come I virtuosi, o Modello di virtù - è una scuola buddhista riformata, nota anche come Scuola dei Cappelli Gialli, fondata in Tibet da Lama Tsongkhapa ( ), il quale ripristinò una corretta disciplina monastica e si dedicò alla diffusione delle dottrine fondamentali del Mahāyāna e del Vajrayāna, proponendo una sintesi tra la Via dei Sūtra e la Via dei Tantra. Il suo testo Lam-rim Chen-mo ( Il grande sentiero graduale ), commentario al Lam Rim del monaco buddhista bengalese Atiśa ( ), è tutt oggi il fondamento della dottrina e della pratica di questa scuola. Il capo supremo della tradizione Gelug è il Ganden Tripa (in tibetano Detentore del Trono di Ganden ), il cui lignaggio risale al anno in cui Lama Tsongkhapa fondò vicino a Lhasa il monastero di Ganden, uno dei più importanti centri di studio e pratica di questa tradizione, trasferito a Karnataka, nell India meridionale, dopo l invasione cinese del Tibet. La Gelug, al pari delle altre scuole di buddhismo tibetano, riconosce inoltre il Dalai Lama come massima autorità spirituale del Tibet, in quanto manifestazione di Avalokiteśvara, il Buddha della Compassione. Figura centrale, nella scuole del buddhismo tibetano Mahāyāna, è il bodhisattva che coltiva la mente del risveglio (Bodhicitta), l aspirazione a raggiungere la suprema illuminazione di un buddha per il beneficio di tutti gli esseri senzienti, senza eccezioni. Tutta la vita del bodhisattva, dal gesto più eroico fino alla più piccola azione quotidiana, è incentrata su questa assunzione di responsabilità. Al mattino, quando vi alzate, scrive Lama Zopa Rinpoche, guida spirituale della FPMT - Fondazione per la Preservazione della Tradizione Mahāyāna, pensate al significato della vostra responsabilità universale: «Sono responsabile di tutti gli esseri. Agirò per pacificare la loro sofferenza e offrire loro la felicità». Mentre vi vestite, pensate: «Indosso questi abiti perché ho bisogno di assumermi la responsabilità universale». Quando mangiate, ricordate di nuovo il significato, lo scopo di questa preziosa vita umana. Pensate al cibo come a una medicina per mantenervi forti, così da servire meglio tutti gli esseri. Andando a dormire, ancora una volta, ricordate il significato di questa vita umana. Anche il sonno è una medicina: andate a letto per riposarvi, in modo che l indomani possiate di nuovo lavorare con diligenza per assumervi la vostra responsabilità universale. Svolgete tutte le vostre attività per gli altri. Mangiate per gli altri, dormite per gli altri, lavorate, vivete per gli altri. E quando sarà giunto il momento di morire, morite per gli altri. (Lama Zopa Rinpoche. Il cammino della felicità. Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2011) 2 Tenzin Gyatso (nato nel 1935), attualmente in carica come XIV Dalai Lama del Tibet. Sito ufficiale: 3 Per approfondimenti: fpmt.org/teachers/lineage-lamas/ serkong

8 sotto la guida di vari maestri qualificati, tra cui gli abati Kensur Yeshe Gawa, Kensur Sonam Gyaltsen 4 e Khenpo Atso Sonam Kunga. Nel 1994 consegue il titolo di studio di Ghesce Lharampa 5. Dopo gli esami, viene scelto per dibattere davanti a Sua Santità il Dalai Lama a Dharamsala, davanti a un assemblea di Maestri e monaci proveniente dai più grandi monasteri in India. Una volta conseguito il titolo, trascorre un anno nel monastero tantrico di Gyudmed 6, dove studia i testi tantrici. Successivamente torna in Bhutan, e nei sei anni successivi fa numerosi ritiri in alta montagna, accompagnato da un piccolo gruppo di discepoli. Nel 2002 viene richiamato dal suo monastero per guidare un tour di monaci della durata di un anno negli Stati Uniti e in Canada. Nel 2005, sempre su richiesta del monastero, conduce un tour simile in Italia e in altri paesi europei. Tra il 2006 e il 2007 insegna in un centro buddhista in Taiwan. Dalla primavera del 2012 è maestro residente e guida spirituale dell Istituto Samantabhadra di Roma. Conduce ritiri e dà insegnamenti in vari centri di Dharma del territorio italiano. 4 5 Per approfondimenti: Termine tibetano, letteralmente «dottore in studi buddhisti». Titolo conferito agli studiosi di filosofia monastica delle principali scuole buddhiste tibetane (Kadampa, Sakyapa, Gelug e Bönpo) che abbiano seguito un iter completo di studi. Ogni scuola, prevede livelli progressivi di erudizione: il livello più alto, per i Gelug, è quello di Ghesce Lharampa. 6 Sito ufficiale: gyudmedschool.org

9 L Istituto Samantabhadra, Centro per lo studio e la pratica del buddhismo Mahāyāna 7 di tradizione tibetana Gelug, è stato fondato nel 1981 dal Ven. Maestro Ghesce Jampel Senghe 8, discepolo diretto del grande Lama Pabongka Rimpoce 9, e a partire dallo stesso anno ha avuto come Tutore spirituale Dagpo Rinpoce 10. Nel 1985, su espressa indicazione di S.S. Ling Rimpoce, tutore maggiore di S. S. il Dalai Lama, il Ven. Ghesce Sonam Cianciub 11 è divenuto Maestro Residente dell Istituto. Membro fondatore dell UBI - Unione Buddhista Italiana, l Istituto Samantabhadra si prefigge inoltre di preservare e tramandare nella loro integrità gli originali aspetti della millenaria cultura del Tibet, organizzando, in sede o in 7 Mahāyāna, letteralmente Grande Veicolo, è un termine utilizzato per indicare tutti gli insegnamenti buddhisti che mettono al centro della pratica la realizzazione della vacuità e la grande compassione del bodhisattva che desidera raggiungere la suprema illuminazione al fine di liberare tutti gli esseri senzienti dalla sofferenza. La dottrina del buddhismo Mahāyāna è stata sviluppata nell India settentrionale dalle scuole Mādhyamika e Cittamātra, in particolare presso l università buddhista di Nalanda. La figura del bodhisattva Mahāyāna, in questa prospettiva, va ad integrare e superare, pur senza contrapporvisi, la figura dell arhat assorto nel proprio stato di emancipazione, definito Nirvāṇa statico, in cui non è in grado di fare nulla per il beneficio degli altri esseri: solo la benedizione di un buddha gli consentirà di uscire da questa condizione e di intraprendere il sentiero del bodhisattva. Mahāyāna è comunque un termine tardivo, che appare nelle scritture buddhiste a partire dal V-VI secolo d.c. Discordanti, scrive Luis O. Gòmez. sono le opinioni degli studiosi occidentali riguardo all epoca e alla collocazione geografica delle origini del Mahāyāna. Alcuni propendono per una origine antica, intorno agli inizi dell era volgare, tra le comunità dei Mahāsāṃghikā della regione sud-orientale dell Andhra. Altri propongono un origine nordoccidentale, tra i sarvāstivādin, tra il II e il III secolo d.c. Ma forse è più verosimile pensare, per la formazione del Mahāyāna, a un processo graduale e complesso, sviluppatosi in varie regioni dell India. (Luis O. Gòmez. Enciclopedia delle Religioni, vol.10. Milano, Jaca Book, 2004) Il Mahāyāna, alla luce di ciò, non è in alcun modo riconducibile a uno scisma religioso. 8 9 Per approfondimenti: Pabongka Rinpoche, Jampa Tenzin Trinlay Gyatso ( ), uno dei più importanti lama tibetani del XXI secolo, autore di Liberazione nel palmo della tua mano, uno dei principali testi contemporanei di Lam Rim adottati della scuola Gelug. 10 Per approfondimenti: 11 Per approfondimenti:

10 ubicazioni esterne, corsi di lingua tibetana, arte del maṇḍala 12, astrologia tibetana, musica, conferenze, mostre, eventi, interventi didattici, in collaborazione con istituzioni pubbliche ed associazioni culturali. Contatti: Maṇḍala, letteralmente cerchio, o essenza, è un termine sanscrito mutuato dalla tradizione induista, utilizzato nel buddhismo per indicare la struttura dell universo esteriore e interiore. I primi maṇḍala buddhisti fanno la loro prima apparizione nell ambito della scuola Theravāda, ma hanno poi la loro massima diffusione nel buddhismo Vajrayāna tibetano. Il maṇḍala è innanzitutto una rappresentazione mentale dell universo e della mente; tale struttura può anche essere rappresentata a livello esteriore, ad esempio per il tramite del mudrā (gesto simbolico) dell offerta, o di immagini figurative simboliche che utilizzano forme geometriche e colorate - in primis, i noti dipinti di sabbia. Ancora, nel Vajrayāna il termine maṇḍala viene utilizzato per designare la dimora, il palazzo celestiale delle divinità tantriche di meditazione.

11 I tempi e i luoghi dell intervista Nel marzo del 2011 ho iniziato a seguire con regolarità le lezioni di buddhismo tibetano condotte da Ghesce Dargye presso l Istituto Samantabhadra di Roma. Sono rimasto colpito fin dal primo momento dalla sua saggezza, dalla sua gentilezza e dal suo spiccato senso dell umorismo, e ho deciso di diventare suo allievo. Ho intervistato il maestro nel corso di due incontri, nel luglio del Ci siamo ritrovati nella sua stanza di pratica, al secondo piano dell Istituto Samantabhadra. Immagini sacre alle pareti, offerte davanti all altare, candele, profumo di incensi. Era pomeriggio, fuori dalla finestra, i raggi del sole filtravano attraverso i rami degli alberi. Il maestro stava seduto a gambe incrociate su un divano. Il divano era coperto da una stoffa color zafferano. Al termine dell intervista, come da tradizione, mi ha annodato intorno al polso un braccialetto tibetano di fili intrecciati. Leonardo Libenzi

12 Intervista Com è avvenuto il suo incontro con il buddhismo? Mio nonno era un monaco di origini tibetane. Anche mio padre era un praticante buddhista, e mi ha insegnato i fondamenti del Dharma 13 e della lingua tibetana scritta e parlata. Date queste premesse, il mio incontro con il buddhismo è stato spontaneo e naturale sin dal primo momento. 13 Il termine sanscrito Dharma, nel corso del tempo, è stato oggetto di molteplici interpretazioni. La traduzione più generale è manifestazione, realtà, fenomeno (sia sacro che non). Si distinguono comunque quattro utilizzi fondamentali del termine: 1) il Dharma, generalmente con l iniziale maiuscola, inteso come corpus delle dottrine del Nirvāṇa, ossia degli insegnamenti di Buddha Śākyamuni e di tutti i buddha che nel corso del tempo hanno indicato ai discepoli la via per conseguire la perfetta illuminazione; in quanto tale, il Dharma è uno dei Tre Gioielli del Rifugio; 2) i dharma con l iniziale minuscola, intesi come i vari fenomeni fisici e mentali dell universo; 3) i dharma mondani, anch essi con l iniziale minuscola, intesi come dottrine del saṃsāra, ossia come qualsiasi teoria e credenza (filosofica, politica, morale, ecc.) che non consenta di trascendere la dimensione della realtà ordinaria; 4) la Legge Cosmica che regola tutti gli eventi materiali e fisici del mondo.

13 Successivamente ho iniziato a studiare e praticare sotto la guida di un monaco, che era stato a sua volta in Tibet. A seguito del suo trapasso, mi sono recato in India per prendere parte ai riti funebri che si sarebbero tenuti in un distretto al confine tra l India e il Buthan: lì ho assistito a un grande raduno di monaci tibetani che si erano trasferiti in India insieme a Sua Santità il Dalai Lama a seguito del suo esilio del Vedendoli, ho subito provato il desiderio di prendere i voti 14 e di unirmi a loro. Così mi sono trasferito nel sud dell India, dove via via venivano ricostruiti nuovi monasteri, e dove ho studiato a lungo per ottenere il titolo di Ghesce. C è stato poi un successivo incontro, quello con l Europa, e in particolare con l Italia. Nel 2005 sono stato incaricato di guidare un tour in Occidente dei monaci del mio monastero di Gaden Jangtse 15. In quell occasione ho subito creato un legame con l Istituto Samantabhadra di Roma, dove sono stato invitato tre anni più tardi per condurre un ciclo di insegnamenti, e dove infine mi sono trasferito stabilmente. Fin dalla prima volta, sono rimasto colpito dalla grande quantità di chiese e monasteri cattolici che si trovano nel vostro paese. Ho intrattenuto solo rapporti formali con i monaci cattolici, e non intendo in alcun modo esprimere giudizi sulla loro formazione e sul loro iter di studi; ciò nonostante, trovo che l organizzazione della vita monastica in Occidente abbia molti punti di contatto con la vita di un monaco buddhista - gli spazi comuni, i ritmi della vita quotidiana, il modo in cui 14 Il termine Vinaya, letteralmente Disciplina, indica il corpus degli insegnamenti e l insieme dei voti e dei precetti, ispirati allo stile di vita di Śākyamuni Buddha, che regolano il comportamento individuale e la convivenza sociale dei monaci buddhisti: l essenza di questa disciplina monastica si riassume nel termine pāli Prātimokṣa, che possiamo tradurre letteralmente come liberazione mediante l eliminazione (di ciò che arreca sofferenza). Il Vinaya, nelle principali tradizioni buddhiste, pone sei principi di armonia basati sul presupposto dell interdipendenza: 1) armonia nella condotta etica: tutta la comunità condivide i medesimi principi morali; 2) armonia nelle visioni: tutta la comunità condivide la comprensione del Dharma - ossia, fondamentalmente, il percorso per liberarsi dal saṃsāra - e lavora alla sua applicazione; 3) armonia nei requisiti, ovvero una distribuzione e un utilizzo delle risorse materiali che si basano sui principi dell equità e del non attaccamento; 4) armonia nelle azioni del corpo, ovvero la convivenza pacifica all interno dello stesso territorio; 5) armonia della parola, ovvero evitare le dispute; 6) armonia della mente, ovvero apprezzarsi e sostenersi a vicenda. Nello specifico, esistono due tipologie principali di voti: per i laici e per i monaci (o i novizi); in entrambe le tipologie sono inclusi alcuni voti specifici destinati agli uomini, e altri destinati alle donne. Nel corso dei secoli, a seconda della scuola o tradizione di riferimento, nuove regole si sono aggiunte a quelle originarie, e altre sono cadute in disuso. Nei tre Canoni buddhisti (pāli, cinese e tibetano), i testi relativi al Vinaya sono contenuti nel canestro denominato Vinayapiṭaka. 15 Sito ufficiale: gadenjangtse.com

14 viene preparato il cibo nelle cucine, le attività giornaliere, il voto di castità, e così via. Questa cosa mi ha fatto un ottima impressione. Per quanto riguarda i laici occidentali, di nuovo, non ho avuto modo di conoscerli uno ad uno, quindi non posso che esprimere un impressione generale. Ho visto intorno a me un grande progresso e tanto benessere materiale. Inoltre, sono rimasto colpito dal grande interesse che occidentali nutrono nei confronti del buddhismo. Sono molti, insomma, gli aspetti di questa cultura che mi piacciono. C è una cosa, però, che mi ha colpito negativamente fin dall inizio: il rapporto tra genitori e figli che caratterizza gran parte delle famiglie occidentali. Facendo visita a molte abitazioni private, ho notato che di rado i figli hanno quell atteggiamento di rispetto e di dedizione nei confronti del genitore che invece è così diffuso nella mia terra d origine. Ad esempio, quando ci si siede a tavola, le madri cucinano, apparecchiano, sparecchiano e lavano i piatti; i figli restano a sedere per tutto il tempo, e si fanno servire e riverire come se fossero degli ospiti. Dalle mie parti, una cosa del genere sarebbe inconcepibile! [ride] Ancora, mi ha colpito il modo in cui gli occidentali intendono e vivono il rapporto di coppia - e non mi riferisco nello specifico al sacramento del matrimonio. Nella mia terra, i coniugi si prendono realmente l impegno di affrontare insieme gli alti e i bassi della vita, come recita il famoso detto Finché morte non vi separi : l uomo si prende cura della moglie nel bene e nel male, in tutto e per tutto, e non la abbandona mai; la moglie fa lo stesso con il marito. Qui in Occidente, invece, ci sono tantissimi casi di divorzio, le coppie si dividono con grande facilità, e questa cosa mi è parsa molto strana. Vorrei ora analizzare con Lei alcuni dei principali equivoci e fraintendimenti che possono sorgere al giorno d oggi quando si parla di buddhismo tibetano. Partiamo dal Lam Rim, il Sentiero graduale verso l Illuminazione di Lama Tsongkhapa 16: un testo fondamentale, a cui molti occidentali si accostano in modo frettoloso o distratto. 16 Maestro e studioso tibetano ( ), Lama Tsongkhapa viene ordinato con il nome Lobsang Drakpa. Dopo un lungo di periodo di pratica e studio, nel corso del quale riceve insegnamenti da grandi maestri di tutte le tradizioni tibetane, all età di trentasei anni fonda la scuola Gelug. È autore di diciotto volumi di insegnamenti che approfondiscono molteplici e complesse tematiche relative ai sūtra, ai tantra e ai Vinaya (la disciplina morale dei laici, dei novizi e dei monaci): tra i suoi scritti più noti e importanti ricordiamo La Grande Esposizione dei Tantra (Sngags rim chen mo), e La Grande Esposizione degli Stadi del Sentiero (Lam Rim chen mo), testi centrali della scuola Gelug.

15 Io cerco innanzitutto di far capire alle persone che intraprendere questo sentiero è molto importante, ma ancora più importante è percorrerlo fino in fondo: solo in questo modo avremo la possibilità concreta di trasformare alla radice la nostra mente e la nostra esistenza e di migliorare noi stessi da tutti i punti di vista - la nostra condotta morale, il nostro carattere, e così via. Solo così diventeremo oggetto di rispetto e di riverenza per tutti quelli che ci circondano. Ancora, illustro alle persone le quattro caratteristiche - o qualità eccelse - che contraddistinguono tutti gli insegnamenti contenuti nel Lam Rim, e i vantaggi che derivano da tali qualità. Innanzitutto, grazie a una pratica costante e sincera, saremo in grado di recepire ogni singola parola del Buddha come un istruzione preziosa particolare: in altri termini, tutte le parole del Buddha ci saranno ugualmente utili e indispensabili, e non ci sarà nessun aspetto da scartare. In secondo luogo, riusciremo a capire e a recepire in un tempo relativamente breve tutti gli infiniti insegnamenti del Buddha contenuti in centinaia e centinaia di volumi: il Lam Rim è infatti la perfetta sintesi dell intero Canone buddhista tibetano 17 - il Kangyur e il Tenjur - e ci aiuta a comprendere facilmente, senza sforzare la mente, una gamma infinitamente ampia di concetti e di significati. In terzo luogo, saremo in grado di percepire l assenza di contraddizioni interne tra i vari insegnamenti del Buddha: senza questa profonda visione d insieme, è facile 17 Il Canone tibetano è uno dei tre canoni che vanno a comporre il Canone buddhista, l insieme dei testi sacri buddhisti: gli insegnamenti contenuti in questi testi sono direttamente attribuiti alla parola di Buddha Śākyamuni. Il Canone pāli, noto anche come Triplice canestro (in sanscrito Tripiṭaka, in pāli Tipiṭaka), è la più antica raccolta di testi canonici buddhisti a noi pervenuta fino ad oggi. È suddiviso in tre sezioni: 1) il Suttapiṭaka, o canestro dei discorsi ; 2) il Vinayapiṭaka, o canestro della disciplina monastica ; 3) l Abhidhammapiṭaka, o canestro della conoscenza superiore dei fenomeni. A questo primo Canone, tutt ora utilizzato dai praticanti Theravāda, si sono in seguito aggiunti il Canone cinese e il Canone tibetano. Il Canone cinese è la raccolta sistematica di tutte le traduzioni in cinese di testi buddhisti realizzate a cavallo tra il I e il XII secolo d.c.. La prima stesura del Canone è attribuita al monaco Dao an (IV secolo d.c.); la raccolta, nel corso del tempo, è stata sottoposta a numerosi aggiornamenti e revisioni, e dalla Cina si è diffusa in Corea in Vietnam e in Giappone. Il Canone tibetano si è formato gradualmente a cavallo tra l VIII e il XIII secolo d.c., e ha assunto la sua forma definitiva grazie al monaco Butön Rinchen Drup ( ). Il Canone è formato da due grandi raccolte di testi: il Kangyur, La raccolta delle parole del Buddha, che comprende una selezione di scritti attribuiti direttamente a Buddha Śākyamuni, in quanto provenienti, senza eccezione, dai sūtra e dai tantra dei canoni indiani; e il Tenjur, La raccolta degli insegnamenti tradotti, che comprende inni e lodi al Buddha, commentari a vari sūtra e testi di tantra, più alcuni trattati di medicina e opere della letteratura indiana. Ogni Canone, ad oggi, contiene alcuni testi specifici che non appaiono più o non sono mai apparsi all interno degli altri due Canoni.

16 cadere in errore, come accade ad esempio quando le persone affermano che il tantra 18 non è un vero insegnamento del Buddha, o come chi, al contrario, si interessa 18 Termine mutuato dal buddhismo Vajrayāna (letteralmente Veicolo adamantino ), noto anche come Tantrayāna ( Veicolo dei Tantra ), o Mantrayāna ( Veicolo dei mantra segreti ), che comprende le scuole e i lignaggi Mahāyāna che hanno accolto al proprio interno i cosiddetti mezzi abili (upāya), pratiche e dottrine che consentono al praticante di accedere più velocemente possibile alla conoscenza suprema (Prajñā), anche nell arco di poche vite, o di una sola esistenza. Ad oggi, il Vajrayāna è conosciuto e praticato in numerosi stati europei ed americani, grazie specialmente alle scuole tibetane, il che porta molti occidentali ad identificare erroneamente questa tradizione unicamente con il buddhismo tibetano: le prime testimonianze storiche del Vajrayāna risalgono in realtà all India del VI-VII secolo d.c.; successivamente la tradizione si è diffusa in tutta l area culturale del Tibet, e anche in Giappone (scuola Shingon). Le origini del Vajrayāna sono tutt oggi avvolte nel mistero: secondo gli storiografi, la tradizione ha avuto origine dall integrazione sincretica tra il buddhismo Mahāyāna ed elementi mutuati dalla tradizione induista, dallo sciamanesimo e dalla magia popolare; secondo il Vajrayāna, le medesime pratiche sono state insegnate segretamente ai primi maestri dallo stesso Buddha Śākyamuni e da altri buddha e bodhisattva trascendenti, e sono state divulgate gradualmente, nel corso dei secoli, ogniqualvolta si sono create le condizioni appropriate - da qui l imprescindibilità della relazione diretta con il maestro spirituale, o guru, che non si limita ad insegnare le pratiche al discepolo, ma gli trasmette benedizioni e iniziazioni in accordo a un lignaggio ininterrotto che risale, di in maestro in maestro, fino alla rivelazione originaria. Il termine tantra indica da un lato l insieme dei testi Vajrayāna in cui i mezzi abili vengono esposti a livello sia teorico che pratico; dall altro, il contenuto stesso dei testi. Dal punto di vista metodologico, i tantra comprendono specifiche sequenze di pratiche e rituali, dette sādhanā (letteralmente, mezzo di realizzazione ), che variano a seconda delle scuole di riferimento. Ogni sādhanā è composta di volta in volta da una serie di meditazioni, visualizzazioni, recitazioni di mantra, tecniche di veicolazione del prāṇa (energia vitale), e così via. Elemento centrale della sādhanā è il cosiddetto Yoga della Divinità, che consente al praticante di realizzare uno stato di completa unione con uno specifico Yidam (divinità di meditazione), visualizzato all interno della propria dimora divina (maṇḍala); l Yidam e la sua Terra Pura, in questo contesto, sono espressioni trascendenti di particolari aspetti della mente illuminata del Buddha, che è a sua volta un tutt uno con ogni fenomeno ed ogni forma di vita. La deità prescelta per la meditazione, scrive Philippe Cornu, è, nel Vajrayāna, l equivalente del Dharma. Non si tratta di una divinità esterna o personale, ma d un archetipo dell Illuminazione, il cui potenziale è in ogni essere senziente. [ ] Esistono numerosissime forme di Yidam: forme maschili o femminili, pacifiche, semi-irate o irate, tutte rappresentazioni dei buddha nel Saṃbhogakāya. [ ] L Yidam è infatti un espressione formale dell Illuminazione. Dotato di tutte le qualità della saggezza, può tuttavia impersonarne uno in modo più pronunciato. Un Yidam simboleggerà in modo particolare la saggezza (esempio: Mañjuśrī), un altro la compassione (esempio: Avalokiteśvara), ma né all uno né all altro mancheranno la saggezza o la compassione. Si tratterà piuttosto di una «qualità più visibile», maggiormente manifesta all interno della natura dell Yidam in questione. Scegliendo come deità di meditazione un Yidam particolare, con il quale egli sente un affinità, lo Yogi prende dimestichezza gradualmente con la sua mente di saggezza, gli si avvicina e realizza le qualità e i poteri dell Yidam, fino a scoprire che l Yidam non è altro che la sua stessa natura di buddha. (Philippe Cornu, a cura di, Dizionario del Buddhismo. 2003, Bruno Mondadori, Milano). Le pratiche tantriche, secondo i maestri Vajrayāna, hanno una profonda efficacia, ma solo nella

17 unicamente al tantra e non si applica nello studio e nella pratica dei sūtra 19. Il Lam Rim, invece, ci mostra come tutti i diversi aspetti dell insegnamento del Buddha siano perfettamente integrati tra di loro: non solo non si contraddicono a vicenda, ma sono indispensabili l uno all altro. Infine, grazie alla pratica del Lam Rim, tutte le nostre negatività si pacificheranno e svaniranno automaticamente. 19 Il termine sanscrito sūtra (in pāli, sutta), letteralmente filo (inteso come filo del discorso ), si riferisce in ambito buddhista a qualsiasi testo contenente insegnamenti attribuiti a Buddha Śākyamuni. Quest ultimo, nel corso dei suoi quarant anni di predicazione, diede insegnamenti esclusivamente orali; secondo la tradizione, tutti i discorsi furono imparati a memoria dai suoi discepoli, e vennero tramandati oralmente, per poi essere trascritti nei secoli successivi. La stesura dei primi sūtra è dovuta ad Ānanda, che, oltre ad essere cugino del Buddha e uno dei suoi principali discepoli, era noto per la sua straordinaria memoria. Sua è la frase Così ho udito, utilizzata anche successivamente come incipit di ogni sūtra. Secondo le cronistorie Theravāda, gli insegnamenti furono fissati in forma orale nel primo concilio di Rājagaha immediatamente dopo la morte del Buddha e furono trascritti su foglie di palma in Sri Lanka nel I secolo a.c. La lingua del Canone Theravada è il pāli, mentre in India le altre scuole utilizzarono contemporaneamente il sanscrito per redigere i loro testi. I sūtra della tradizione Mahāyāna cominciano ad apparire in forma scritta tra il I secolo a.c. e il VI secolo d.c.: la lingua di preferenza, in questo caso, è il sanscrito.

18 Per quanto riguarda, infine, i tre aspetti principali del sentiero 20 - la Nisharana, 20 I tre aspetti principali del sentiero è un breve testo composto dal maestro tibetano Lama Tsongkhapa, fondatore della scuola Gelug, il quale, secondo la tradizione, ricevette questo insegnamento direttamente da Mañjuśrī, il Buddha della saggezza (divinità di meditazione del buddhismo Vajrayāna), che gli trasmise l essenza dell intero insegnamento di Buddha Śākyamuni. Nel testo vengono esposti i tre sentieri graduali che conducono all illuminazione: 1) la Nisharana, o rinuncia, detta anche rifiuto del saṃsāra, ossia il desiderio di affrancarsi definitivamente dall esistenza samsarica, che il praticante riconosce come fonte perpetua di insoddisfazione e dolore; 2) la Bodhicitta, o mente compassionevole del risveglio, ossia il desiderio del bodhisattva di ottenere la suprema illuminazione al fine di beneficiare tutti gli esseri senzienti, senza eccezioni; 3) la Śūnyatā, o vacuità, ossia la corretta visione della natura vuota, impermanente e interdipendente del sé e della realtà fenomenica. I tre aspetti del sentiero sono interdipendenti: solo la loro perfetta integrazione consente al praticante di affrancarsi dalle sofferenze del saṃsāra e di raggiungere il supremo risveglio di un buddha.

19 o rifiuto del saṃsāra 21, la generazione della mente di Bodhicitta 21 Il termine sanscrito saṃsāra viene utilizzato nel buddhismo - e, con differenti interpretazioni, in tutte le religioni indiane - per designare il ciclo di nascita, morte e rinascita all interno del mondo materiale. Questa dimensione è un autentico oceano di sofferenza. Come ha predicato Śākyamuni Buddha nel suo insegnamento relativo alle Quattro Nobili Verità, nessun piacere samsarico è autentico e duraturo; tutto è insostanziale e pervaso dal dolore, ogni fenomeno è simile a un miraggio, a un illusione ottica. È proprio questa condizione di ignoranza intrinseca a tenere gli esseri senzienti saldamente ancorati al saṃsāra: confondendo la felicità con l illusione, essi continuano ad accumulare karma negativo e si auto-condannano a nuove, infinite rinascite. Maggiore è la sofferenza accumulata, peggiori saranno le condizioni sperimentate nella vita successiva, e così via, in una spirale senza fine. Lo scopo del Buddha è indicare ai propri discepoli la via per emanciparsi dall ignoranza e dalle negatività accumulate, raggiungendo così la suprema illuminazione. Il saṃsāra è simboleggiato dalla Ruota dell esistenza, composta da sei raggi, ai quali corrispondono altrettanti mondi, a loro volta suddivisi in tre reami inferiori e tre superiori. Essendo determinata dal karma, la permanenza all interno dei sei mondi non è mai definitiva: dai reami inferiori è possibile accedere ai reami superiori, e viceversa. I tre reami inferiori sono: 1) gli inferni, suddivisi in sedici livelli: otto inferni freddi, e a salire, otto inferni caldi; la permanenza all interno degli inferni è tanto più lunga e insopportabile quanto più si scende in profondità; generalmente si rinasce in questo mondo a seguito di esistenze dominate dalla rabbia e dalla violenza; 2) il mondo dei preta, o spiriti affamati, esseri deformi, dalle sembianze semi-umane, che vivono in preda alla bramosia, a desideri smodati, che non sono mai in grado di appagare; convivono con gli animali e gli esseri umani, che solo di rado riescono a percepirli con i sensi; generalmente si rinasce in questo mondo a seguito di esistenze dominate dall avidità e dall avarizia; 3) il regno degli animali, che vivono in preda all ignoranza e agli istinti primari, e sono quasi sempre costretti a lottare per la propria sopravvivenza, difendendosi dai pericoli dell ambiente e dai predatori, inclusi gli esseri umani; generalmente si rinasce in questo mondo a seguito di esistenze dominate dagli istinti e dai desideri. I tre reami superiori sono: 4) il regno umano, l unico all interno del quale è concretamente possibile liberarsi dai condizionamenti dal saṃsāra: anche gli esseri umani, al pari degli abitanti degli altri cinque regni, sperimentano condizioni molto intense di piacere o di dolore, ma non ne sono mai posseduti del tutto, e conservano quel margine minimo di libero arbitrio che consente loro di coltivare un sincero desiderio di liberazione; 5) il mondo degli Asura, semi-dei o demoni che vivono intense passioni e sono destinati a rinascite inferiori a causa del sentimento di gelosia e di invidia che nutrono nei confronti degli dei del sesto regno, contro i quali ingaggiano continue lotte; 6) il mondo dei Deva, divinità mondane che vivono nei loro paradisi, dedicandosi ai piaceri sensoriali, o ritirandosi in uno stato prolungato di meditazione, ma senza di fatto porre cause per la propria liberazione; a causa di ciò, sono dominati dall orgoglio, e sono immancabilmente destinate a rinascere nei reami inferiori. Alla luce di ciò, quando si parla di rinascita preziosa, si fa riferimento essenzialmente a una rinascita nel regno degli esseri umani, in un luogo in cui il Dharma fiorisce e sono presenti dei maestri buddhisti, o un buddha. I reami del saṃsāra, a seconda della scuola buddhista di riferimento, possono essere intesi come veri e propri mondi, oppure come differenti stati della mente. Lo stesso concetto di illuminazione assume significati diversi a seconda delle epoche e delle tradizioni.

20 22 e la Śūnyatā, la saggezza che percepisce la vacuità o mancanza di esistenza 22 Termine sanscrito, letteralmente Mente del risveglio o Mente dell Illuminazione, utilizzato nell ambito del buddhismo Mahāyāna e Vajrayāna per indicare la coscienza primaria che è congiunta al desiderio del bodhisattva di raggiungere la suprema illuminazione per il beneficio di tutti gli esseri, senza distinzione alcuna. Tutte le pratiche spirituali e tutti i comportamenti del bodhisattva, dalla più piccola azione quotidiana al gesto più eroico, sono finalizzati all abbandono dell egoismo e al conseguimento di questo scopo supremo. Nello specifico, si distingue tra Bodhicitta dell aspirazione e dell azione. 1) La Bodhicitta dell aspirazione, o Bodhicitta convenzionale, coincide con il voto di raggiungere l illuminazione per il bene di tutti gli esseri. Tale voto è sostenuto da uno specifico addestramento mentale, che si basa a sua volta sulla meditazione sui Quattro Incommensurabili (gentilezza illimitata, compassione illimitata, gioia compartecipe illimitata ed equanimità illimitata - con una particolare enfasi sull equanimità, che dà coerenza e un senso definitivo alle tre virtù precedenti), e su due pratiche meditative fondamentali: scambiare se stessi con gli altri (tong-len), e riconoscere tutti gli esseri senzienti come le proprie gentili madri dall infinito passato. 2) La Bodhicitta dell azione coincide con la pratica delle perfezioni, o Pāramitā (generosità, disciplina, pazienza, impegno entusiastico, concentrazione e saggezza), e con tutte le azioni compassionevoli concrete che il bodhisattva compie lungo il sentiero che lo conduce alla suprema illuminazione. Nel buddhismo Mahāyāna esistono solo due veicoli, scrive il Dalai Lama, il Veicolo dei Sūtra e il Veicolo dei Tantra. Qualunque scegliate, l unico accesso è comunque attraverso la mente del risveglio. [ ] Dunque, essendo nati in questa vita preziosa sotto forma di esseri umani, e avendo incontrato gli esaurienti insegnamenti del Buddha, dovremmo fare tesoro della mente del risveglio. Il fatto di includere tecniche preziose per generarla è ciò che rende il buddhismo tibetano così importante. [ ] La mente del risveglio è come un seme per raggiungere la buddhità; è come un campo in cui si possono coltivare tutte le qualità positive; è come il fondamento su cui poggia ogni cosa; [ ] è come la tempesta che disperde tutti gli ostacoli mentali e le loro cause; è come l insegnamento concentrato che racchiude tutte le preghiere e le attività dei bodhisattva. (Dalai Lama. Il nostro bisogno d amore. Milano, Mondadori, 2009)

21 intrinseca di tutti i fenomeni 23 - di nuovo, la cosa più importante è aiutare le persone a comprendere che nessuno di questi tre aspetti, se separato dagli altri due, sarà sufficiente per liberarsi dalle sofferenze del saṃsāra e raggiungere l illuminazione di un Buddha. Analizziamo insieme il primo di questi tre punti fondamentali: la Nisharana, o rifiuto del saṃsāra. Come si fa, in quanto laici, a realizzare un atteggiamento di autentica rinuncia? Si può realizzare la Nisharana senza per questo sentirsi in dovere di abbandonare il proprio lavoro, il proprio coniuge, e così via. Lo stesso stato di buddha può essere raggiunto senza necessariamente abbandonare la vita laica. Ce lo insegna, ad esempio, la storia del re indiano Indrabhuti, il quale chiese a Buddha 23 Il termine vacuità, derivante dal sanscrito Śūnyatā, ha assunto varie interpretazioni a seconda della tradizione buddhista di riferimento. Nel suo senso più ampio, sta ad indicare lo stato ultimo, naturale e indifferenziato della realtà. Nelle scuole antiche del cosiddetto buddhismo Hīnayāna si considera principalmente la vacuità dell io, ossia l assenza di un sé individuale che si percepisce in modo separato dai fenomeni esterni, creando di fatto il dualismo soggetto/oggetto. Non mancano interpretazioni di respiro più ampio, come ad esempio quella a posteriori del monaco e maestro tibetano Lama Tsongkhapa, secondo cui il praticante del sentiero di liberazione individuale realizza anche la vacuità dei fenomeni, ma non in modo esteso e articolato. Nel Mahāyāna si considera la vacuità di tutti i fenomeni, sia interni che esterni all io: si parla a tal proposito di doppia vacuità - del percipiente, e del fenomeno percepito. Ogni fenomeno, inclusa la coscienza, è dunque vuoto di esistenza a sé stante. Nulla esiste inerentemente, oppure per sua stessa causa, scrivono Matthieu Ricard e Trinh Xuan Thuan. Un oggetto può essere definito solo in termini di un altro oggetto. L interdipendenza è essenziale nel manifestarsi dei fenomeni. In sua assenza, il mondo non sarebbe in grado di funzionare. Così un dato fenomeno può manifestarsi solo se connesso ad altri. La realtà non può essere localizzata e suddivisa, bensì considerata come olistica e globale. [ ] La nozione di interdipendenza ci porta direttamente all idea di vacuità/spazio, che non significa il nulla, bensì assenza di esistenza inerente. Poiché ogni cosa è interdipendente, niente può autodefinirsi ed esistere inerentemente. L idea di proprietà intrinseche che esistano di per se stesse e da se stesse deve quindi essere completamente scartata. [ ] La nozione buddhista di interdipendenza è sinonimo di vacuità/spazio, che è a sua volta sinonimo di impermanenza. Il mondo è come un vasto flusso di eventi e di correnti dinamiche, tutte interconnesse e costantemente interagenti. Questo concetto di mutamento perpetuo, onnipresente, si accorda con la moderna cosmologia. Gli immutabili paradisi di Aristotele e lo statico universo di Newton non hanno più senso. Ogni cosa si muove, muta ed è impermanente, dal minuscolo atomo all intero universo, galassie, stelle e genere umano inclusi. (The Quantum and Lotus. A journey to the frontiers where science and Buddhism meet. New York, Crown Publishers, 2001) Grazie alla meditazione sulla vacuità, il praticante ha l opportunità di svincolarsi gradualmente dall illusione del sé che si pone al centro dell universo, cristallizza percezioni, sensazioni e pregiudizi, e valuta qualsiasi esperienza in termini egoistici di perdita o guadagno.

22 Śākyamuni, di cui era discepolo, un insegnamento che gli consentisse di raggiungere la suprema illuminazione senza per questo abbandonare la propria dimora e senza dover abdicare al ruolo di guida del proprio reame: il Buddha, per aiutarlo a realizzare questo scopo, gli trasmise il tantra di Guhyasamāja 24. Anche il venerabile Marpa 25 raggiunse lo stato di Buddha pur avendo moglie e figli. Quindi, dov è il problema? Non solo, al giorno d oggi chiedere a un laico di abbandonare le proprie attività quotidiane sarebbe davvero illogico, perché la mancanza di un lavoro gli impedirebbe di sostentarsi: qui in Occidente tutti, anche i monaci che prendono i voti, hanno bisogno di una rendita economica, a differenza di quanto accade in Oriente, dove i monaci possono dedicarsi a tempo pieno alla pratica, ricevendo sostentamento dai monasteri o dalla società stessa, anche tramite l elemosina. E una rendita economica, ancora, non basta: abbiamo tutti bisogno di un corpo sano. Senza cibo, senza vestiti, senza medicine, come potremmo dedicarci alla pratica? Qual è, allora, il vero significato della Nisharana? Significa continuare a vivere la nostra vita di tutti i giorni, senza abbandonare nessuno dei nostri impegni essenziali, utilizzando al tempo stesso la pratica per giungere a un punto in cui riusciremo a percepire ogni aspetto di questo mondo, anche il più incredibile e sublime, alla stregua di un precipizio pieno di lava infuocata. È questa la realizzazione che possiamo raggiungere grazie alla pratica della meditazione. Se riusciamo a comprendere che il mondo, così com è, è un immensa fonte di sofferenza, non avremo nemmeno bisogno di abbandonarlo: semplicemente, smetteremo di anelare ad esso. Alcune persone si scoraggiano, quando sentono parlare di Bodhicitta: la mente compassionevole del risveglio è vista come un traguardo irraggiungibile. 24 Guhyasamāja, Il Re dei Tantra, è una delle principali divinità tantriche di meditazione del buddhismo Vajrayāna. Per approfondimenti, vedi Introduction to the Guhyasamaja System of Anuttarayoga Tantra, di Alexander Berzin (Moscow, october 2012): intro_guhyasamaja_system_anuttarayoga_tantra_/ introduction_guhyasamaja_system_anuttarayoga_tantra.html 25 Importante maestro della scuola Kagyü, il cosiddetto lignaggio della Trasmissione Orale, una delle quattro principali scuole del buddhismo tibetano, insieme alla Nyingma, alla Sakyapa e alla Gelug. La scuola nasce nell XI secolo d.c., in coincidenza con il cosiddetto Rinascimento spirituale del buddhismo tibetano, e si fonda su un lignaggio che da Śākyamuni Buddha è giunto a importanti maestri indiani come Padmasambhava, Tilopa, Naropa, e da loro al maestro tibetano Marpa e al suo allievo Milarepa, a sua volta maestro di Gampopa. Per approfondimenti:

23 C è un solo modo per superare questo timore: fare del Lam Rim la nostra bussola, la nostra guida, e ricordarci ogni giorno che, se continueremo a seguire con costanza questo insegnamento, i risultati desiderati non mancheranno di manifestarsi. La prima cosa da fare, per realizzare le qualità del Buddha che adesso ci sembrano così irraggiungibili, è abbandonare il fattore oscurante del mantenere caro il proprio sé, e coltivare al tempo stesso il fattore di mantenere cari tutti gli altri esseri senzienti. Perché dal fattore di mantenere caro il proprio sé hanno origine tutti, ma proprio tutti i nostri problemi, i nostri dolori, le nostre illusioni, e così via. Viceversa, dal fattore di mantenere cari gli altri derivano tutte le nostre fortune e tutte le nostre felicità. Poi, come viene esposto nella sezione del Lam Rim relativa alla preziosa rinascita umana 26, è importante meditare sul fatto che le occasioni per incontrare la pratica buddhista e impegnarsi nella meditazione di equanimità sono davvero molto rare. Le persone che ci circondano, intanto, continuano a vivere sotto il dominio del proprio ego: ma noi, anziché scoraggiarci, dovremmo ricordarci in ogni istante che incontrare questo sentiero è stata per noi un incredibile fortuna. La cultura capitalistica incoraggia da sempre l individualismo e la competizione: il concetto di vacuità, da questo punto di vista, può essere interpretato come un espressione di debolezza o mancanza di amor proprio. È vero: la vita mondana - non solo in Occidente - è completamente incentrata sull individualismo e sull esaltazione dell io: ma se ci impegniamo ogni giorno per coltivare ed enfatizzare un atteggiamento altruistico, riusciremo gradualmente a sottrarci al predominio dell ego. L importante è ricordare che l esaltazione della personalità e il desiderio di ottenere la vittoria a tutti i costi sono i due aspetti fondamentali di quello che nel buddhismo tibetano viene definito come il fattore di afferrarsi alla natura inerente o illusoria del sé: l illusione nasce nel momento in cui ci convinciamo che il nostro sé, 26 Nel buddhismo, quando si parla di rinascita preziosa, si fa riferimento essenzialmente a una rinascita nel regno degli esseri umani, con facoltà psicofisiche intatte, in condizioni ambientali favorevoli, e in un luogo in cui il Dharma fiorisce e sono presenti dei maestri buddhisti, o un buddha. Il regno degli esseri umani, nel mondo materiale, coincide con il quarto dei cosiddetti regni del saṃsāra.

24 che viene definito sulla base dei cinque aggregati indistruttibili 27, esista in modo indipendente rispetto a tutti gli altri fenomeni. Da questo punto di vista, possiamo affermare che la vacuità è davvero la perfetta antitesi della competizione e dell individualismo. Credo comunque che la cosa migliore, per le persone, sia esaminare con attenzione gli effetti del proprio individualismo, ogni volta che esso si manifesta concretamente nelle loro vite. E chiedersi: Questo atteggiamento, in ultima analisi, è per me fonte di felicità o di sofferenza? Se non facciamo costantemente questo tipo di esame, non riusciremo mai a capire che l essenza dell io e di tutti i fenomeni differisce in modo sostanziale dal loro modo illusorio di apparire: io stesso, in questo momento, potrei cedere a questa apparenza illusoria e affermare di essere qualcosa di concreto e indipendente che parla seduto su un letto, che a sua volta esiste come oggetto concreto e indipendente. Se ci basiamo sulla convinzione che l io esista in modo indipendente, nessuna delle nostre azioni andrà a buon fine, e tutto, in un modo o nell altro, sarà per noi fonte di sofferenza. Dovremmo sempre esaminare con attenzione il vero modo di esistere di tutte le cose: solo chi riesce ad andare al di là di questa apparenza illusoria può affrancarsi dalla sofferenza interiore che si innesca ogni volta che osserviamo i fenomeni come esistenti dalla propria parte. 27 Il termine aggregato deriva dal sanscrito Skandha, che in questo ambito possiamo tradurre come gruppo, o insieme. I cinque aggregati, nell insegnamento del Buddha, costituiscono l intera realtà fenomenica dell universo, inclusa la personalità di ogni individuo, e comprendono: 1) la forma (in sanscrito rūpa), relativa alla dimensione del corpo e dei fenomeni fisici; 2) la sensazione (in sanscrito vedanā), che comprende tutti gli effetti piacevoli, o spiacevoli, o neutri che l individuo sperimenta ogniqualvolta i suoi sensi entrano in contatto con suoni, immagini, odori, sapori, temperature, e così via; 3) la percezione (in sanscrito saṃjñā), ossia tutte le discriminazioni, le concettualizzazioni e i giudizi che la mente elabora sulla base delle sensazioni; 4) la formazione karmica, o fattore di composizione (in sanscrito saṃskāra), che indica il complesso di attitudini mentali e comportamentali (riflessi, ricordi, reazioni automatiche, impressioni, ecc.) che si formano sulla base delle esperienze che l individuo ha sperimentato in questa vita e in quelle precedenti, di fatto condizionando il suo destino nel presente e nel futuro; 5) la coscienza (in sanscrito vāsanā), che registra tutte le informazioni derivanti dai primi quattro aggregati, andando così a costituire una mente che conosce e testimonia gli oggetti percepiti dai sensi; tale coscienza si manifesta a sua volta in sei modi diversi, in base alla natura dell oggetto percepito - parliamo così di coscienza della vista, coscienza dell udito, coscienza dell olfatto, coscienza del gusto, coscienza del tatto e coscienza mentale. Gli esseri del saṃsāra vivono in preda all ignoranza e percepiscono erroneamente il proprio sé come un entità stabile, che esiste in modo indipendente rispetto agli altri fenomeni: in tal caso, si parla di aggregati impuri, o dell attaccamento. Il praticante si libera dal dolore meditando sull impermanenza e sulla vacuità, e realizzando l essenza vuota dei cinque aggregati e del proprio sé.

25 Prendiamo in esame, per fare un esempio, la sconfitta della Nazionale di calcio italiana alle finali del Campionato europeo del 2012: un evento che è stato trasmesso e amplificato da tutti i giornali e da tutte le televisioni, e al quale ho casualmente assistito nel corso di un viaggio. Anche un evento apparentemente così banale, se analizzato nel dettaglio, è un occasione davvero formidabile per analizzare la vera natura delle nostre attività samsariche: ci aiuta a comprendere quanta negatività si celi nell esaltazione del sé e quanta tristezza e quanto dolore possano sorgere dalla competitività e dal desiderio di vincere a tutti i costi. Cosa succede, alla fine di un campionato? Pensate ai tifosi che hanno fatto sacrifici e hanno speso tutti i soldi che avevano messo da parte nei mesi precedenti per andare all estero a seguire le gare allo stadio: il tutto per assistere alla sconfitta della propria squadra del cuore, e per arricchire al tempo stesso una minoranza di persone - quelle che gli hanno venduto i biglietti. Quanta fatica per nulla!

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