5.1 La violenza di genere in Italia Lo dico con tutto il rammarico, ma sarebbe bene che le donne di sera non uscissero da sole 1. Queste le parole del Procuratore Capo di Bergamo Francesco Dettori a seguito della violenza sessuale contro una giovane ventiquattrenne nel gennaio 2013, aggredita mentre percorreva a piedi un paio di isolati che la separavano dalla propria macchina, intorno alle due del mattino. Tale dichiarazione è stata poi in parte ritrattata, ma è esemplificativa, insieme all approccio che ha avuto la stampa rispetto a tale episodio, della complessa relazione del nostro Paese con la problematica della violenza di genere: l allarme sociale scatta quando avvengono aggressioni a sfondo sessuale commesse da sconosciuti, e ci si concentra alternativamente sulle corresponsabilità della vittima nel crimine -principalmente l incoscienza o la superficialità- e sulla nazionalità dell aggressore. Vi è difatti una pericolosa tendenza ad associare il fenomeno della violenza di genere alla presenza di uomini stranieri sul territorio nazionale, e di conseguenza a ricercare una soluzione al problema nella promozione di politiche di sicurezza finalizzate a reprimere il fenomeno della clandestinità, piuttosto che a riconoscere le reali dimensioni del fenomeno 2. Di fatto, la maggior parte degli episodi di violenza contro le donne nel nostro Paese si dà all interno delle mura domestica, ed è causata da uomini italiani, come illustrano tragicamente i dati relativi al femminicidio nel nostro Paese 3, e come si evince dal rapporto della Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite per il contrasto della violenza sulle donne: Rashida Manjoo segnala come non solo dagli anni 90 il numero di omicidi di uomini sia diminuito mentre quello delle donne assassinate da uomini sia aumentato, ma anche che il 76% degli autori di femminicidio nel 2010 sono di nazionalità italiana, e nel 54% dei casi l aggressore è il partner o l ex partner delle vittime, mentre solo nel 4% dei casi si tratta di persone sconosciute alla vittima (A/HRC/20/16/Add.2, 2012: par.19). Sul fenomeno più generale della violenza di genere si dispone invece di pochissimi dati ufficiali, giacché l Italia è uno dei Paesi europei che dispone del minor numero di statistiche ed è anche uno 1 http://bergamo.corriere.it/bergamo/notizie/cronaca/13_gennaio_15/dettori-donne-sera-a-casa-bergamo-stupro-borgosanta-caterina-2113558813034.shtml 2 Diversi movimenti sociali di donne hanno in tal senso denunciato l ennesima strumentalizzazione del corpo delle donne, finalizzata in questo caso a giustificare politiche repressive di contenimento dell immigrazione. 3 Si veda ad esempio in tal senso http://www.inquantodonna.it/argomenti/uomini/, raccolta di femminicidi comunque limitata in quanto si escludono parecchi casi di femminicidi di donne migranti e lavoratrici sessuali.
dei pochissimi Stati del continente in cui non si realizza sistematicamente una analisi dei costi sociali della violenza -in termini di sofferenza umana e perdita economica che ricade sulla collettività nel settore sociale, sanitario, giudiziario ecc-, e tantomeno si dispone di dati sul numero di ordini di protezione richiesti ed emessi a favore delle vittime di violenza genere, né sulle denunce e sull esito dei processi, perché la maggior parte delle Procure e dei Tribunali italiani utilizza metodi di raccolta dei dati differenti e non li disaggrega per genere (Lavori in corsa: 30 anni CEDAW (Piattaforma) 2011: 116 e 117). Le statistiche più recenti sono relative a un indagine dell ISTAT 2006 - La violenza e i maltrattamenti contro le donne dentro e fuori la famiglia - che denuncia una situazione grave e allarmante giacché rivela che il 55,2% del totale delle donne italiane con un età tra i 14 e i 59 anni ha subito per lo meno una molestia sessuale nel corso della vita, e solamente il 7,4% delle donne che ha subito una tentata o consumata violenza sessuale ha denunciato il fatto, rivelando quindi un sommerso altissimo che sfugge alle statistiche ufficiali, soprattutto per quanto riguarda le violenze sessuali in famiglia. La debolezza della statistica su questo tipo di fenomeno è sintomo della scarsa attenzione dedicata dai differenti Governi alla problematica e alle sue radici, ed è concausa dell inefficacia delle politiche pubbliche e degli strumenti legislativi addottati negli ultimi anni per contrastare il fenomeno, giacché senza una dimensione aggiornata del fenomeno, un analisi delle radici e dei costi di tale violenza, è complicato per i Governi poter stanziare i finanziamenti necessari e promuovere politiche di protezione delle vittime di violenza adeguate, così come di prevenzione. Di fatto, come segnala il Rapporto Ombra della CEDAW 4, le campagne istituzionali promosse dal 4 La CEDAW è stata ratificata dal Governo Italiano nel 1985. Come viene segnalato nell introduzione del Rapporto Ombra: Da allora, da parte delle Istituzioni non è stato dedicato maggior riguardo alla promozione e alla discussione pubblica sulla Convenzione e alla sua attuazione. È tuttavia cresciuta l indignazione delle donne per l indifferenza verso questo prezioso strumento di riferimento e il loro attivismo nel sensibilizzare le Amministrazioni locali e nazionali al rispetto del quadro normativo comunitario e internazionale di promozione dei diritti delle donne nello sviluppo delle politiche di loro competenza. Nonostante ciò ad oggi la Convenzione resta poco conosciuta e considerata anche dalle esperte in materia e dalle Istituzioni. Per tale motivo si è deciso di costituire una Piattaforma nazionale capace di porsi come interlocutore autorevole per le istituzioni e di veicolare alla società civile informazioni sul meccanismo e sui principi della Convenzione. La piattaforma 30 anni CEDAW: Lavori in corsa è stata creata nel 2009 in occasione del XXX anniversario della CEDAW e raggruppa associazioni e singole donne impegnate in attività di ricerca, formazione e promozione dei diritti delle donne e dell uguaglianza di genere in Italia e nella cooperazione internazionale. Quando nel dicembre 2009 il Governo italiano ha presentato il suo VI Rapporto Periodico al Comitato ONU per l eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, alcune realtà aderenti alla Piattaforma hanno promosso l elaborazione di un Rapporto Ombra per evidenziare gli aspetti critici del sistema di tutela contro le discriminazioni di genere in Italia. Il Rapporto Ombra costituisce un importante mezzo di controinformazione offerto alla società civile e al contempo una testimonianza delle principali sfide affrontate dalle donne in Italia nella lotta per l autodeterminazione e per il godimento dei diritti fondamentali. Il documento contiene le problematiche principali identificate dalle autrici che quotidianamente lavorano, fanno volontariato e ricerca per promuovere i diritti delle donne e sviluppare pratiche a garanzia delle pari opportunità. Il Rapporto Ombra rappresenta il risultato di un ampia consultazione con le principali attiviste, accademiche e professioniste appartenenti alla società civile, all associazionismo femminile e femminista, al movimento femminista e lesbico, e ad esperte in materia di discriminazione di genere. Raccoglie inoltre i suggerimenti l esperienza di organizzazioni non governative
Governo, come quella di Respect Women Respect the World 5, tendono spesso a rafforzare determinati stereotipi legati alla violenza di genere nel nostro Paese. Il messaggio della campagna denunciava che La violenza sulle donne è ignoranza e follia, rafforzando l idea che gli aggressori siano persone con problemi mentali o appartenenti a fasce deboli o comunità degradate, e non assumendo invece che purtroppo si tratta di un fenomeno trasversale e di larga diffusione sul territorio nazionale. Il ruolo dei media nel rafforzamento di tali stereotipi è purtroppo cruciale, come denunciano tanto il Rapporto Ombra come il Rapporto della Manjoo: segnala in particolare il Rapporto Ombra che Gli stereotipi più diffusi e che comportano le conseguenze più gravi sono quelli relativi al ruolo della donna e dell uomo nella relazione sentimentale. I media spesso presentano gli autori di femminicidio come vittime di raptus e follia omicida,ingenerando nell opinione pubblica la falsa idea che i femminicidi vengano perlopiù commessi da persone portatrici di disagi psicologici o preda di attacchi di aggressività improvvisa. Al contrario, [ ] i pregiudizi che legano la violenza sulle donne a cause di sofferenza psichica o a vere e proprie malattie mentali risultano ampliamente smentite sia dai dati ufficiali raccolti dall Eures e dal Ministero dell Interno nel Rapporto sulla criminalità in Italia, sia dalle ricerche sul femminicidio eseguite a partire dai casi riportati dalla stampa da parte della Casa delle Donne per non subire violenza di Bologna, un centro antiviolenza parte della rete nazionale Donne in rete contro la violenza ( Lavori in corsa: 30 anni CEDAW (Piattaforma) 2011: 140), e prosegue E interessante notare che i delitti commessi da uomini italiani su donne italiane vengono identificati dalla stampa come delitti passionali, mentre ai delitti commessi da stranieri sulle loro mogli o sulle loro figlie ci si riferisce individuandoli come delitti d onore. Tale classificazione è indubbiamente discriminatoria in quanto sottende l idea che commettere atti criminali per motivi di onore sia una peculiarità delle comunità straniere, con tradizioni diverse, dimenticando che identiche tradizioni d onore (giuridicamente configurate come attenuanti o scriminanti per i reati) hanno caratterizzato la società italiana fino a pochi decenni or sono) (Ibid). È bene qui ricordare che, essendo la violenza di genere la manifestazione più estrema della disuguaglianza di genere, se non si incide sul sistema culturale patriarcale di una società risulta molto difficile affrontare efficacemente il fenomeno. Come evidenziato dalle osservazioni del Comitato CEDAW, il problema è di carattere culturale, di conseguenza per prevenire la violenza di rappresentative che operano per la difesa e la promozione dei diritti delle donne in Italia. (Lavori in corsa: 30 anni CEDAW (Piattaforma) 2011:1 e 2) 5 Campagna di comunicazione promossa nel 2009 dalla Presidenza italiana del G8 per promuovere la Conferenza.
genere è necessario decostruire i mandati e gli stereotipi di genere che caratterizzano profondamente la nostra società. Secondo il Word Economic Forum, che ogni anno stila un rapporto di analisi sulla breccia di genere nei diversi Paesi del pianeta, l Italia nel 2012 si trovava all 80esimo posto di una classifica di 135 Stati, svelando una preoccupante permanenza della disuguaglianza di genere nel nostro Paese, peggiore non solo dei nostri vicini europei, ma anche di molti Paesi africani e americani 6. Di fatto, secondo il rapporto della Rappresentante Speciale delle Nazioni Unite per il contrasto della violenza sulle donne, nel nostro Paese gli stereotipi di genere sono fortemente radicati, le donne sono sovraccaricate dalle responsabilità di cura e riproduzione sociale, mentre il contributo degli uomini in tali aree è tra i più bassi del mondo (A/HRC/20/16/Add.2, 2012: par.11). Le donne sono inoltre sottorappresentate nelle sfere di impiego pubblico e privato (CEDAW/C/ITA/CO/6, 2011: par.32): secondo i dati governativi, tanto nel settore pubblico come in quello privato, le posizioni dirigenziali sono ancora dominate dagli uomini, anche nei luoghi di lavoro in cui le donne rappresentano la maggioranza della forza lavoro. Ad esempio, solo il 38% dei medici sono donne; all interno della Polizia di Stato, le donne rappresentano il 14,9% del personale, mentre nelle Forze Armate le agenti costituiscono appena il 3,48% del totale degli integranti, e gli agenti femminili che possono vantare un rango superiore a quello di sottoufficiale nell Arma dei Carabinieri sono meno dell 1,5% (A/HRC/20/16/Add.2, 2012: par.12). Riprendendo per un attimo il ruolo giocato dai media nell immaginario e rappresentazioni relativi ai ruoli e relazioni di genere, è preoccupante notare inoltre che nel 2006 il 53% delle donne che sono apparse in televisione non parlavano, mentre il 46% erano associate a temi quali il sesso, la moda e la bellezza, e solamente il 2% a questioni di impegno sociale e professionalità (A/HRC/20/16/Add.2, 2012: par.13). È quindi all interno di tale quadro di discriminazione generalizzata che si dà la violenza di genere, ed è pertanto necessario affrontare seriamente le radici di tali disuguaglianze per poter dare una risposta pertinente ed efficace al fenomeno. È altresì importante segnalare che se quindi in Italia le donne in generale sono discriminate, esistono alcune categorie in particolare più esposte all emarginazione, alla violazione dei propri diritti, e alla violenza, che vengono indicate nei distinti rapporti della CEDAW, delle Nazioni Unite e delle organizzazioni della società civile: si tratta in particolare delle donne disabili, delle lavoratrici sessuali, delle donne Rom e Sinti e delle donne migranti, particolarmente vulnerabili soprattutto nelle situazioni detentive, come si vedrà nel paragrafo 5.3. 6 L indice di breccia globale di genere si calcola a partire dall articolazione di 4 indicatori di breccia di genere, relativi all accesso all economia, all educazione, alla salute e alla rappresentazione politica. L'Indice è ideato per misurare il divario di genere nell'accesso alle risorse e alle opportunità nei singoli Paesi, piuttosto che i livelli effettivi delle risorse disponibili e le opportunità in tali Stati, di conseguenza il Global Gender Gap è indipendente dal livello di sviluppo delle nazioni e si concentra piuttosto sull effettivo accesso equo alle opportunità e risorse disponibili.
Per quanto riguarda la risposta statale al problema, sono da riconoscere gli sforzi del Ministero delle Pari Opportunità di questi ultimi anni che hanno portato all approvazione della legge sullo stalking e l adozione del Piano Nazionale Antiviolenza, tuttavia l ordinamento italiano è ancora privo di una definizione normativa di violenza di genere, in violazione di quanto disposto dalla Raccomandazione Generale n.19. L assenza di tale definizione, unita alla mancanza di un organismo che sia competente esclusivamente in materia di discriminazione e violenza genere contro le donne e che possa influenzare anche l attività delle altre istituzioni sul tema, riflette una inconsapevolezza generale dell origine comune di ogni forma di violenza commessa contro le donne in quanto donne, e contribuisce a esporre a una maggior vulnerabilità la popolazione femminile che abita il nostro Paese. Come segnala il Rapporto Ombra, difatti, La legislazione (italiana, ndr) vigente è fondata prevalentemente da una parte sulla logica della salvaguardia dell ordine pubblico e della sicurezza dei cittadini e dall altra su un ottica familista. Sotto il profilo della salvaguardia dell ordine pubblico e di sicurezza essa risponde ad esigenze contingenti di contenimento dell allarme sociale provocato da cruenti fatti di violenze sessuali, focalizzando l attenzione su quelle commesse da stranieri, piuttosto che riconoscere la violenza di genere come una grave discriminazione della donna in quanto donna, che è agita soprattutto nelle relazioni familiari (Raccomandazione generale n. 19, 11 sessione 1992, 6). [ ] Tali interventi normativi risultano inadeguati ed inefficaci sul piano della sensibilizzazione contro la violenza [ ] Sotto il profilo della prevalenza della tutela della famiglia, in contrasto con la Racc. generale n. 19, 11,21,24 lett. e-f, le leggi italiane in materia di violenza contro le donne sono orientate alla salvaguardia e alla ricomposizione del nucleo familiare anche in caso di conflitto esacerbato, piuttosto che alla tutela e all empowerment della vittima di violenza di genere. Ciò è confermato, ad esempio, dall art. 342 ter comma 2 c.c., che prevede l intervento di un centro di mediazione familiare in caso di violenza domestica. (Lavori in corsa: 30 anni CEDAW (Piattaforma) 2011: 115). L eccessiva durata dei processi penali e il rischio di prescrizione rappresentano due ulteriori mancanze del nostro Stato nello sforzo di garantire un accesso alla giustizia efficace ed effettivo per le donne vittime di violenza di genere, giacché se da un lato la durata dei processi è condizionata dall assenza di risorse economiche destinate all apparato giudiziario, dall altro per i reati di violenza di genere non sono incentivati il coordinamento tra gli uffici, la celerità dell attività di indagine e di accertamento di responsabilità, così come accade in materia di criminalità organizzata. Come segnala nuovamente il Rapporto Ombra Uno dei rischi più gravi per i procedimenti penali in materia di stalking e maltrattamenti in famiglia, è quello della prescrizione, che vanifica qualsiasi richiesta di giustizia da parte delle vittime di reati gravi come questi contro la persona. Con la legge
ex Cirielli (L.n.251 del 2005), infatti, questi reati si prescrivono in soli sette anni e mezzo, troppo pochi, considerata la complessità che presentano, per due gradi di giudizio di merito ed il controllo di legittimità in cassazione. Quasi sempre soprattutto nei grossi Tribunali, come Roma, i processi finiscono con una sentenza di non doversi procedere in sede di appello per intervenuta prescrizione del reato (Lavori in corsa: 30 anni CEDAW (Piattaforma) 2011: 132). Risulta quindi evidente come la mancanza di un approccio di genere positivo tanto nelle politiche pubbliche come nella formulazione degli strumenti legislativi che tenga conto delle relazioni di potere che pervadono le relazioni tra i generi rappresenti tra i principali ostacoli alla lotta alla violenza di genere in Italia, contribuendo anzi a una normalizzazione del fenomeno, e comporti una risposta inefficace al profondo radicamento degli stereotipi sessisti nel nostro Paese, che come ha riconosciuto il nostro stesso Governo costituisce il maggior impedimento alla realizzazione femminile in tutti gli ambiti. Tutti i diritti d autore sono riservati da Fondazione Goria e Fondazione CRT.