DI ROBERTA GIUDETTI INTRODUZIONE L a prima volta che mio figlio Jacopo mi ha messo in imbarazzo facendo i capricci, aveva circa due anni ed eravamo in un ipermercato, uno di quelli sterminati pieni di reparti impossibili in cui prima di riuscire a trovare quello che serve si perdono delle ore, e da dove si esce con un carrello stracarico di cose inutili. Lì per lì non mi è tornato in mente niente di quello che avevo studiato anni prima sui manuali di pedagogia o di psicologia dell età evolutiva; mi sono solo sentita gli occhi del mondo puntati addosso. Non ho pensato minimamente che mio figlio avesse ragione dopo ore che lo scarrellavo avanti e indietro, e che piangendo oltremodo e urlando che voleva un enorme camion rosso stava certamente comunicandomi qualcos altro, un disagio, la noia, o chissà cosa. No: ho pensato solamente che tutti avrebbero creduto che mio figlio era un bambino viziato, abituato a ottenere sempre tutto con quattro schiamazzi. E che io non ero un bravo genitore. Ho impiegato qualche anno a imparare a interpretare «i bisogni» dei miei figli e ho ancora molta strada da fare perché, come dice Freud, fare i genitori è uno dei mestieri impossibili. Sono troppe le ansie e i dubbi, prima fra tutte quella di sbagliare e di sentirsi inadeguati. Ma con molta pazienza, desiderio di ascoltare, un po di buonsenso educativo e un po di ironia, si hanno ottime probabilità di stabilire con i propri figli una bella relazione, serena e gioiosa dove, ovviamente, ogni tanto si darà spazio anche a qualche zuffa e a qualche capriccio, ma non sarà questo l unico mezzo per comunicare. «Allora per prima cosa dovremmo accettare di non essere perfetti e accontentarci di essere genitori sufficientemente buoni» (Maiolo, 2000, p. 35). Per seconda cosa dovremmo riuscire a trovare più tempo per i nostri figli. Anche se il lavoro e la vita ci divorano e non abbiamo nemmeno due minuti per seguire le notizie del telegiornale, dobbiamo imporci di ascoltarli di più e di trascorrere qualche ora ogni giorno a giocare con loro, a leggere un bel libro di favole, a costruire un castello con i mattoncini colorati, a preparare una torta al cioccolato insieme, a colorare con le dita, a cantare o a correre con 7
loro. A lungo andare, noi ci sentiremo molto meglio e loro comprenderanno sempre di più quanto li amiamo. E faranno sempre meno capricci. Questo libro non vuole essere né un manuale né un ricettario pieno di rimedi contro i capricci (magari fosse così semplice), ma solo un mezzo per creare dei nuclei di attenzione sui quali il genitore viene invitato a riflettere e, nello stesso tempo, un modo per rappresentare i piccoli problemi quotidiani da un altra angolazione, quei piccoli problemi che tutti i genitori del mondo hanno con le loro meravigliose creature. I capricci dei nostri figli che a volte non sappiamo decodificare, che non riusciamo ad arginare e che spesso ci mettono in imbarazzo nei luoghi pubblici creando un ansia difficile da contenere, sono frutto di una normale difficoltà del genitore di interpretare i bisogni del proprio bambino. Questo non deve essere vissuto come un fallimento da parte del genitore, perché è assolutamente normale: non dobbiamo fare l errore di stupirci, arrabbiarci con noi stessi o crederci inadeguati solo perché non siamo stati in grado di intervenire tempestivamente trovando un modo per far smettere il pianto di nostro figlio e magari, non sapendo che altro fare, abbiamo ceduto al suo ricatto. Errare è umano, ma perseverare nel medesimo errore è pericoloso. I ricatti dei nostri figli possono mettere seriamente in crisi un genitore ma soprattutto possono compromettere la relazione genitori-figli. A volte è necessario dire un no esplicito per aiutarli a crescere. Altre volte bisognerebbe essere in grado di inventarsi dei modi alternativi di dire di no, delle situazioni in grado di distrarre il bambino dall oggetto del suo desiderio. È sufficiente confrontarsi con altri genitori, ascoltare qualche storia analoga, chiedere un semplice aiuto per scoprire che non siamo stati i soli a vivere quella scenata. Quella volta che in mezzo al negozio nostra figlia urlava: «Voglio la Babbi» piuttosto che nostro figlio al parco, pur di non far toccare la propria macchinina, ha dato 8
9 uno spintone a un altro bambino. E noi avremmo voluto urlare: «Ve lo giuro! Non ho insegnato io a mio figlio a picchiare! Non l ho mai sfiorato nemmeno con un dito!». E, nonostante ciò, non siamo riusciti a dire con fermezza a nostro figlio che queste cose non si fanno mai. Sicuramente è così, non gliel abbiamo insegnato noi a picchiare, eppure qualcosa, nel percorso educativo, è successo, perché di fatto il bambino non è abituato all ascolto e soprattutto non è abituato a sentirsi dire di no. Lui sa perfettamente che se urlerà, strepiterà, piangerà fino a diventare paonazzo, prima o poi mamma o papà cederanno. E lui avrà ottenuto quello che desiderava. Non importa che questo sia un gioco, le patatine fritte prima dell ora di cena, stare a casa dall asilo, non andare a fare il riposino, piuttosto che mostrare le tonsille al dottore o urlare «Sei brutta!» alla nonna. I nostri figli non vogliono veramente tutto quello che ci chiedono, ma verificano quotidianamente fin dove possono arrivare. Sin da quando nascono, continuano a metterci alla prova, a volte con richieste assurde proprio perché hanno bisogno di essere guidati, hanno bisogno di regole che solo noi possiamo dargli. Altre volte ci chiedono di comprenderli, di spiegare loro cosa sta succedendo, di coinvolgerli maggiormente e di non tenerli sotto una campana di vetro per proteggerli da qualcosa che loro ancora non conoscono. Magari non ce lo chiedono con il linguaggio verbale, ma attraverso una serie di gesti, pianti, grida o silenzi che ci confondono ma che sono da decodificare. Altre volte ancora hanno bisogno di rompere quelle stesse regole che implicitamente ci hanno chiesto di imporgli, allora a modo loro ci chiedono di essere responsabilizzati e di poter scegliere, e anche in questo caso lo fanno per affermarsi, per farci capire che ci sono e che sono altro da noi. Finché i problemi sono di questo genere, siamo nell assoluta normalità. Vi sono certamente casi più seri e complicati in cui, per imparare a comprendere nostro figlio, non basta leggere un libro insieme ma occorre
rivolgersi a un addetto ai lavori, uno psicologo infantile. Ma quello che stiamo per affrontare noi con questo progetto vuole essere la rappresentazione di tutta una serie di situazioni, di piccoli capricci a cui tutti, almeno una volta, abbiamo assistito e che ci hanno reso isterici, ma che possono essere contenuti e speriamo risolti con modesti suggerimenti. Ecco il motivo di questo libro: racconti per genitori e bambini in età prescolare, da leggere e scoprire insieme, seduti uno accanto all altro, dove il bambino può identificarsi e confrontarsi con il protagonista, e il genitore può trovare un aiuto, un consiglio su come eventualmente affrontare tale situazione in un altra occasione. Ma non solo: papà e mamma potranno trovare lo spunto per parlare con il proprio bambino di quello che magari è capitato anche a loro e, se possibile, scherzarci sopra, perché non dimentichiamoci mai di quanto sia importante ridere insieme ai nostri figli e di quanto sia indispensabile portare sempre con sé una buona dose di umorismo. Fra queste pagine, troveremo mamme orse al supermercato che non sanno come far tacere il proprio bambino, papà elefanti che cercano di far smettere di piangere il proprio coccolino di fronte al dottore, racconti dedicati all arrivo di un fratellino con una serie di consigli su come far vivere questo evento al primogenito nel modo meno traumatico possibile. Storie semplici, pensate per un pubblico prescolare, ma efficaci e molto utili a genitori e figli. Uno strumento divertente e un modo creativo per bambini e per adulti di elaborare insieme la quotidianità. Nessuna pretesa di compiere miracoli, ma la speranza, a volte la certezza, di essere un piacevole aiuto. Bibliografia Maiolo G. (2000), L occhio del genitore: L attenzione ai bisogni psicologici dei figli, Trento, Erickson. 10
Ora Tobia è davvero arrabbiato: Insomma, ma la mamma lo capisce sì o no che io sono stufo? Se non l ha capito ecco cosa faccio! pensa Tobia. E inizia a scalciare così forte da schiacciare le banane che la mamma ha appena messo nel carrello. 24
N o n v o g l i o l a p a p p a! V o g lio il ci o c c o l a t o! ADESSO BASTA! D EVI STARE FERMO! MI FAI SEMPRE ARRABBIARE: HO DETTO DI NO!
M amma orsa non è proprio contenta che Tobia mangi il cioccolato, ma si gode quei cinque minuti di pace e continua a fare la spesa. Ecco che Tobia, terminato il suo ovetto, con la bocca ancora sporca di cioccolato, ricomincia a urlare 28
E questa volta Clara non ne può più e si mette a urlare anche lei IO NON NE POSSO PIU! HO DETT O DI NO! 29