Osservatorio Sta s co dei Consulen del Lavoro I 23, I

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Osservatorio Sta s co dei Consulen del Lavoro I 23, I # L a v o r o ef u t u r o

Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro 1 I 23 milioni di occupati prima e dopo la crisi, le modifiche della struttura occupazionale in Italia 1 Principali evidenze: Dopo la grande crisi economica, finanziaria e occupazionale, la struttura dell occupazione è profondamente cambiata anche se, nel confronto 2008-2017, il numero di occupati è rimasto pressoché uguale. In particolare: 1) ci sono 2,8 milioni di lavoratori over 44 in più e 2,9 milioni di lavoratori under 45 in meno; 2) i dipendenti part-time sono passati da 2,5 a 3,5 milioni, pari ad un aumento del 40%; 3) l industria ha perso 900 mila occupati, mentre i servizi sono aumentati di 800 mila unità; 4) il Mezzogiorno ha perso 310 mila occupati, mentre nella Regione Lazio si è registrato un aumento di 193 mila unità e in Lombardia di 125 mila; 5) sono "scomparsi" un milione di operai e artigiani e gli addetti ai servizi sono aumentati di 810 mila unità. SOMMARIO Gli aspetti demografici... 2 L occupazione cambia: da tempo indeterminato full time a tempo determinato part-time... 3 Lauree "a mezzo servizio"? 4 Da working poor a retired poor... 4 Un milione di operai e artigiani in meno... 5 Aumenta il divario con il Sud del Paese... 7 1 A cura di G. De Blasio e S. Mustica

Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro 2 Gli aspetti demografici La grande crisi economica e finanziaria che ha investito l economia mondiale sembra ormai alle spalle. Nel 2017 in Italia il numero di occupati è tornato agli stessi livelli del 2008, intorno ai 23 milioni di unità. Tuttavia, la struttura dell occupazione è profondamente cambiata negli ultimi 10 anni. La crisi ha colpito soprattutto le giovani generazioni di lavoratori. Da un punto di vista demografico, ci sono 2,8 milioni di occupati over 44 in più, a fronte di una perdita di 2,9 milioni di lavoratori under 45. La diminuzione più consistente si è registrata fra i lavoratori di età compresa fra 25 e 34 anni (-1,4 milioni), mentre sono cresciuti di oltre 1,8 milioni gli occupati over 54. Tavola 1: occupati 15 anni e oltre per classi di età, anni 2008 e 2017, valori assoluti in migliaia, variazioni assolute e variazioni percentuali Tipologia di occupazione 2008 2017 Variazioni assolute Variazioni percentuali 15-24 1.443 1.004-439 -30,4% 25-34 5.519 4.092-1.426-25,8% 35-44 7.315 6.258-1.056-14,4% 45-54 5.967 6.967 1.001 16,8% 55 e oltre 2.847 4.701 1.854 65,1% Totale 23.090 23.023-67 -0,3% Figura 1: occupati 15 anni e oltre per classi di età, anni 2008 e 2017, valori assoluti in migliaia, variazioni assolute 8.000 7.000 6.000 5.000 4.000 3.000 2.000 1.000 - -1.000-2.000 7.315 6.967 6.258 5.967 5.519 4.701 4.092 2.847 1.854 1.443 1.004 1.001-439 -1.056-1.426 15-24 25-34 35-44 45-54 55 e oltre 2008 variazione 2017 L aumento dell età media della popolazione in età da lavoro non basta da sola a spiegare il determinante aumento del numero di occupati adulti. Il blocco del turn over nella Pubblica Amministrazione e il graduale e continuo aumento dell età pensionabile, infatti, concorrono ad un'iniqua lotta fra le generazioni.

Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro 3 Il dato sugli stranieri, inoltre, incide in modo determinante: se nel 2008 gli stranieri residenti erano 3,4 milioni, il 5,8% della popolazione, 10 anni dopo sono più di 5 milioni e rappresentano l'8,3% della popolazione. Nel mercato del lavoro questo cambiamento si riflette nella variazione in valore assoluto del numero di occupati: 672 mila stranieri in più e 204 mila italiani in meno. In 10 anni l occupazione degli stranieri residenti nel nostro Paese è aumentata di 733mila unità e quella italiana è diminuita di 800mila unità. In percentuale, l incremento dell occupazione degli stranieri dal 2008 è del 43%, mentre gli occupati italiani sono diminuiti del 3,7%. L occupazione cambia: da tempo indeterminato full time a tempo determinato parttime Il mondo del lavoro, nel suo complesso, negli anni della crisi 2008-2017 perde 67 mila posizioni lavorative ma con una significativa variazione tra dipendenti e indipendenti, contratti a tempo determinato ed indeterminato e ancora tra full time e part-time, a loro volta volontari o involontari. I lavoratori a tempo indeterminato sono la maggioranza (14,9 milioni di persone) e sono sostanzialmente stabili (+0,2%), con un aumento pari a 30 mila unità. I lavoratori automi sono diminuiti di 535 mila unità (-9,1%), mentre i lavoratori a tempo determinato sono aumentati di 438 mila unità (+19,2%), passando dai 2,2 del 2008 ai 2,7 milioni del 2017. Se consideriamo l'orario di lavoro stabilito dal contratto, notiamo che i dipendenti a tempo parziale sono aumentati di oltre 1 milione, mentre i dipendenti full time sono diminuiti di 547 mila unità. Tavola 2: occupati 15 anni e oltre per tipologia di occupazione, valori assoluti in migliaia, variazioni assolute e variazioni percentuali Tipologia di occupazione 2008 2017 Variazioni assolute Variazioni percentuali Dipendenti 17.213 17.681 468 2,7% dei quali a Tempo pieno 14.667 14.120-547 -3,7% tempo indeterminato 12.916 12.250-665 -5,2% tempo determinato 1.752 1.870 118 6,8% a Tempo parziale 2.546 3.561 1.015 39,9% tempo indeterminato 2.012 2.708 695 34,5% tempo determinato 533 853 319 59,9% Indipendenti 5.877 5.342-535 -9,1% Totale 23.090 23.023-67 -0,3%

Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro 4 Lauree "a mezzo servizio"? Vediamo cosa accade se analizziamo il fenomeno del part-time dal punto di vista del titolo di studio: nel 2008 i laureati rappresentavano il 14% del totale dei part-time, mentre nel 2017 la percentuale passa al 20%, con un incremento di 375 mila in valore assoluto. Per questo, provocatoriamente, si può parlare di lauree "a mezzo servizio". Figura 2: occupati part-time 15 anni e oltre per livello di istruzione, anni 2008 e 2017, valori assoluti e variazioni percentuali lavoro part-time per titolo di studio 1.800.000 1.600.000 1.400.000 1.200.000 1.000.000 800.000 600.000 400.000 200.000-32.468 29.529 Nessun titolo -9,1% 223.772 156.231-30,2% Licenza elementare 1.234.272 1.009.546 22,3% 28,3% 347.339 270.806 1.691.070 1.266.733 33,5% 476.437 78,8% 851.797 Licenza media Diploma 2-3 Diploma 4-5 Laurea 2008 2017 incr/decr % 100,0% 80,0% 60,0% 40,0% 20,0% 0,0% -20,0% -40,0% Da working poor a retired poor L'81% dell'incremento dei part-time, dal 2008 al 2017, si concentra nelle classi di età comprese tra i 45 e i 64 anni. L'aumento induce a ritenere che questo tipo di contratto, in Italia, rappresenti uno strumento di precarietà lavorativa, in particolare nella fascia over 45, e di vantaggio per le imprese. Interessante è l'andamento nel tempo dell'incidenza del part-time involontario rispetto al totale degli occupati a tempo parziale: si passa dal 41% nel 2008 al 63% nel 2017 (solo Cipro e la Grecia hanno percentuali più alte). Perché? La risposta può essere duplice: da un lato, la legislazione ha favorito il contratto a tempo parziale per una migliore conciliazione del lavoro con la vita personale; dall'altro, il part-time e, più in generale, tutte le forme di lavoro flessibile sono opportunità per le aziende nelle situazioni di crisi, purché, però, il lavoro part-time sia ben organizzato al fine di aumentare la produttività e diminuire i costi.

Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro 5 Figura 3: Quota percentuale di lavoratori part-time involontari sul totale degli occupati parttime (anni 2008-2017) In tutti i contesti socio-economici, quando alcuni fattori cambiano, entrano nuove variabili a dettare regole e comportamenti. Ed è quello che è accaduto al contratto di lavoro part-time con la crisi economica, il conseguente crollo dell'occupazione e gli effetti negativi sulle famiglie. Negli ultimi anni si è verificato un cambiamento di rotta evidente: sempre meno persone desiderano il part-time, sempre più lavoratori sono costretti ad accettarlo, i cosiddetti "sottoccupati involontari". Il part-time si cerca sempre meno perché è cambiata la composizione delle famiglie. Sono sempre di più quelle formate da una sola persona ma sempre di meno quelle con figli, quindi aumenta il tempo disponibile per lavorare. A ciò si deve aggiungere la maggiore necessità di soldi, soprattutto nelle grandi città dove il costo della vita è più elevato. E' infatti il contratto part-time a generare i "nuovi poveri" o "working poor", persone che lavorano ma guadagnano troppo poco per avere una vita dignitosa e per crearsi un futuro. Ed è proprio sul futuro che si addensano le ombre maggiori, a partire dall'idea di lavorare una vita per avere (forse) una pensione da retired poor. Un milione di operai e artigiani in meno Come riportato anche nel rapporto annuale dell ISTAT, nel periodo 2008-2017 sono "scomparsi" un milione di operai e artigiani (-16,2%) e 362 mila professioni qualificate e tecniche (-4,3%), mentre sono aumentati del 20% (+437 mila) gli occupati non qualificati e del 13,9% (+861 mila) le professioni esecutive nel commercio e nei servizi.

Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro 6 Tavola 3: occupati 15 anni e oltre per professione, valori assoluti in migliaia, variazioni assolute e variazioni percentuali professioni 2008 2017 Variazioni assolute Variazioni percentuali Qualificate e tecniche 8.373 8.011-362 -4,3% Esecutive nel commercio e nei servizi 6.195 7.056 861 13,9% Operai e artigiani 6.194 5.193-1.001-16,2% Personale non qualificato 2.086 2.523 437 20,9% Totale (incluse le forze armate) 23.090 23.023-67 -0,3% Se analizziamo i diversi settori economici, l industria ha perso 895 mila occupati, 537 mila dei quali nel solo settore delle costruzioni. Il settore dei servizi, viceversa, è cresciuto di 810 mila unità anche se in modo diversificato nei vari sotto-settori. Infatti, l aumento degli occupati si registra nei settori dei servizi socio-sanitari (+230 mila) e di supporto alle famiglie (+346 mila), nel settore turistico (+291 mila unità) e in quello dei servizi alle imprese (+ 169 mila unità). Di contro, il commercio ha perso 165 mila occupati e l amministrazione pubblica e la difesa altri 173 mila. Tavola 4: occupati 15 anni e oltre per settore economico, valori assoluti in migliaia, variazioni assolute e variazioni percentuali Settori 2008 2017 Variazioni assolute Variazioni percentuali Agricoltura 854 871 17 2,0 Industria 6.881 5.986-895 -13,0 Industria in senso stretto 4.929 4.571-358 -7,3 Costruzioni 1.953 1.416-537 -27,5 Servizi 15.355 16.165 810 5,3 Commercio 3.453 3.288-165 -4,8 Alberghi e ristorazione 1.160 1.451 291 25,1 Trasporti e magazzinaggio 1.065 1.110 45 4,2 Informazione e comunicazione 542 565 23 4,3 Attività finanziarie e assicurative 647 638-9 -1,4 Servizi alle imprese (a) 2.398 2.567 169 7,0 Amministrazione pubblica e difesa 1.433 1.260-173 -12,1 Istruzione 1.596 1.614 18 1,1 Sanità e assistenza sociale 1.633 1.863 230 14,1 Servizi alle famiglie 411 757 346 84,4 Altri servizi collettivi e personali 1.019 1.053 34 3,4 TOTALE 23.090 23.023-67 -0,3 (a) Comprende le attività immobiliari, le attività scientifiche e tecniche, le attività di noleggio, agenzie di viaggio e attività di supporto alle imprese (divisioni dalla 68 alla 82 dell Ateco).

Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro 7 Aumenta il divario con il Sud del Paese A livello territoriale si registra un forte aumento degli occupati del Centro Italia (+169 mila), un lieve aumento al Nord (+74 mila occupati) e una severa riduzione di occupati nelle Regioni del Mezzogiorno (-310 mila). L analisi regionale permette di osservare dinamiche divergenti all interno delle ripartizioni territoriali. Infatti sull'incremento nel Centro Italia influisce la performance della Regione Lazio, e il risultato del Nord è largamente determinato dal contributo dei 125 mila occupati in più della Regione Lombardia. Fra le regioni del Nord che hanno superato i livelli occupazionali del 2008 troviamo però solo due regioni: l Emilia Romagna e il Trentino. Numerose le regioni, a partire dalla Liguria (-33 mila), ancora in ritardo rispetto ai livelli di 10 anni fa. Nel Mezzogiorno la sola Regione Campania ha superato - sebbene di sole 3 mila unità - il numero di occupati del 2008, mentre la Sicilia (-112 mila), la Puglia (-80 mila), la Sardegna (-40 mila) e la Calabria (-48 mila) subiscono tuttora una crisi occupazionale che va oltre le dinamiche globali e denuncia ritardi strutturali che continuano ad acuire il divario con le altre regioni italiane. Tavola 5: occupati 15 anni e oltre per regione di residenza, valori assoluti in migliaia, variazioni assolute e variazioni percentuali Regioni 2008 2017 Variazioni assolute Variazioni percentuali Nord 11.896 11.970 74 0,6% Val D'Aosta 57 55-2 -3,7% Piemonte 1.861 1.819-42 -2,2% Lombardia 4.274 4.399 125 2,9% Liguria 636 603-33 -5,1% Emilia Romagna 1.950 1.973 23 1,2% Friuli Venezia Giulia 518 505-13 -2,6% Trentino Alto Adige 459 490 31 6,7% Veneto 2.141 2.126-15 -0,7% Centro 4.763 4.931 169 3,5% Marche 653 616-36 -5,5% Toscana 1.558 1.582 24 1,5% Umbria 367 355-12 -3,4% Lazio 2.185 2.378 193 8,8% Mezzogiorno 6.432 6.122-310 -4,8% Abruzzo 511 491-20 -3,9% Molise 113 105-8 -7,1% Campania 1.671 1.674 3 0,2% Puglia 1.278 1.198-80 -6,3% Basilicata 194 188-6 -2,9% Calabria 585 537-48 -8,2% Sardegna 602 562-40 -6,6% Sicilia 1.478 1.367-112 -7,5% Totale Italia 23.090 23.023-67 -0,3%

Osservatorio Statistico dei Consulenti del Lavoro 8 Il Nord genera l'83% (385 mila unità) dell'incremento occupazionale nazionale, il Centro il 51% (239 mila unità) mentre il Mezzogiorno partecipa con un -33% (-157 mila unità). Numeri che fanno pensare che non solo si è ancora lontani da un riequilibrio economico e, di conseguenza, occupazionale, ma, che la forbice del divario continua ad allargarsi.