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8 METODI DI CONTROLLO NON DISTRUTTIVI 8.1.1. Proprietà dei raggi X Natura dei raggi X I raggi X sono radiazioni elettromagnetiche penetranti e aventi una lunghezza d onda cortissima, originati dalla collisione di elettroni ad alta velocità contro un bersaglio metallico (anodo). L energia della collisione deve essere sufficiente a produrre l estrazione di elettroni dalle orbite più interne; i posti che si rendono vacanti vengono subito occupati da elettroni periferici il cui salto verso il livello interno è accompagnato dall emissione di raggi X. Produzione dei raggi X Per la produzione di raggi X attualmente si impiegano le seguenti apparecchiature: apparecchi con tubi e trasformatori convenzionali (tubi Röntgen), da 150 kv per il controllo dell acciaio e della ghisa (per materiali non ferrosi da 50 a 220 kv), capaci di emettere, dall anticatodo, dei raggi X la cui lunghezza d onda è tanto minore quanto maggiore è l energia cinetica degli elettroni incidenti e quindi la tensione applicata al tubo; trasformatori a risonanza (Maxitron) oppure acceleratori elettrostatici (Van de Graaff); acceleratori ciclici circolari (betatroni). Il betatrone è un apparato che impartisce alte velocità, e quindi energia cinetica, in un orbita circolare agli elettroni emessi da sostanze radioattive naturali fino alla velocità dei raggi beta. Le particelle così accelerate producono raggi X ad alta energia che possono penetrare nella materia. Nella tabella 1 sono riportate le apparecchiature a raggi X con la gamma degli spessori utili di penetrazione per acciaio, rame e leghe base di nichel. Si tenga inoltre presente che, poiché la visibilità dei Tensione acceleratrice massima (kv) o energia massima della radiazione (MeV) Tipo di generatore di raggi X Spessore radiografabile di acciaio o ghisa (mm) min max fino a 150 kv tubo a raggi X 18 fino a 200 kv tubo a raggi X convenzionale 6 30 fino a 300 kv tubo a raggi X convenzionale 9 60 fino a 400 kv tubo a raggi X convenzionale 12 85 400 a 3000 kv acceleratore di Van de Graaff 12 85 400 a 3000 kv trasformatore a risonanza ecc. 37 200 3 a 8 MeV acceleratore lineare 40 250 8 a 35 MeV acceleratore lineare, betatrone 60 500 Tabella 1 Tipi di generatori a raggi X e spessore radiografabile di acciaio o ghisa. 23

difetti dipende dall assorbimento differenziale delle radiazioni tra le zone sane del materiale e quelle difettose, ne consegue che i difetti stessi sono tanto meglio rilevati quanto più il loro orientamento è tale da presentare le dimensioni massime nella direzione dei raggi. Di conseguenza, se nella direzione dei raggi i difetti hanno dimensioni inferiori all 1% circa dello spessore del pezzo, non sono più visibili. Per ottenere radiografie con buon contrasto, è necessario lavorare col minimo potere penetrante, sufficiente però ad attraversare il pezzo in esame. Per l analisi di ogni spessore si deve quindi scegliere correttamente la tensione da applicare. Devono inoltre essere scelti accuratamente gli altri fattori, come l esposizione e l intensità di dose, il tempo di esposizione, la distanza tra la sorgente e il pezzo e tra il pezzo e la pellicola, il tipo di materiale fotografico, i filtri e gli schermi di rinforzo, le condizioni di trattamento in camera oscura ecc. La sensibilità al contrasto di un immagine radiografica (o sensibilità allo spessore) del particolare in esame è influenzata dal grado d individuabilità degli eventuali piccoli difetti. La sensibilità è espressa dal rapporto percentuale tra lo spessore del più piccolo elemento visibile e lo spessore del materiale in esame. Questa definizione consente di fissare o di valutare quantitativamente la qualità dell immagine ottenuta. Ad esempio, una radiografia con sensibilità dell 1% su di un particolare dello spessore di 20 mm, consente di rilevare difetti il cui spessore sia uguale o maggiore di 0,2 mm. La sensibilità di un immagine è analizzata posizionando sul particolare, prima dell esame, un indicatore della qualità dell immagine (IQI), che si può presentare come un filo o gradini forati e calibrati, di dimensioni note e fabbricato con lo stesso tipo di materiale del pezzo da esaminare. La sensibilità è pertanto definita dalla dimensione del più piccolo filo o foro visibile di un immagine radiografica o radioscopica, espressa in percentuale rispetto allo spessore complessivo del provino. 8.2. Utilizzo dei raggi gamma Natura e produzione dei raggi gamma I raggi gamma sono la conseguenza di radiazioni elettromagnetiche ionizzanti emesse spontaneamente dai nuclei atomici di isotopi radioattivi quando decadono a un livello energetico minore, più stabile di quello precedente. Gli isotopi radioattivi (radioisotopi) usati nella gammagrafia sono in genere artificiali, prodotti dopo un adeguata permanenza in un reattore nucleare mediante irraggiamento neutronico di isotopi naturali non radioattivi (itterbio 169, iridio 192, tulio 170, cobalto 60). I raggi gamma, oltre che dai parametri elencati per i raggi X, sono caratterizzati dall attività e dal tempo di dimezzamento. L attività di una sorgente radioattiva è il numero di disintegrazioni nucleari spontanee che l unità di massa di un dato materiale subisce nell unità di tempo. L unità di misura nel sistema SI è il becquerel (simbolo Bq), che è l attività corrispondente a un decadimento al secondo, dimensionalmente equivalente 1 s -1. 24

Il tempo di dimezzamento di una sorgente radioattiva rappresenta l intervallo di tempo trascorso il quale l attività della sorgente diminuisce della metà del suo valore iniziale. I principali radioisotopi usati in gammagrafia sono il cobalto 60 (spessore radiografabile per acciai o ghisa 40-180 mm), l iridio 192 (spessore radiografabile per acciai 10-110 mm) e il tulio 170 per spessori inferiori a 5 mm. Radioisotopo Energia (MeV) Tempo di dimezzamento Spessore radiografabile di acciaio o ghisa (mm) min max cobalto 60 1,17 1,33 5,3 anni 40 180 iridio 192 0,310 0,470 0,600 75 giorni 10 110 tulio 170 0,084 130 giorni 5 Tabella 2 Principali radioisotopi usati in gammagrafia e spessore radiografabile di acciaio e ghisa. 1 MeV corrisponde a 10 6 ev; in fisica nucleare si usa riferire la quantità di energia in gioco in una trasformazione a un singolo atomo, esprimendola in una unità di misura del Sistema Internazionale (SI) il cui valore è ottenuto sperimentalmente, l elettronvolt (ev). Questa è pari all energia cinetica che acquista un elettrone che si muove nel vuoto in un campo elettrico uniforme sotto la differenza di potenziale di 1 V. Dal valore della carica e di un elettrone si trova che 1 ev 1,602 10 19 J. Apparecchi per gammagrafia Sono apparecchi che consentono di ottenere radiografie industriali mediante l impiego di una sorgente di raggi gamma. Le caratteristiche degli apparecchi in oggetto sono la leggerezza e il limitato ingombro, la flessibilità d impiego e l assoluta sicurezza relativamente alla protezione dalle radiazioni (norme internazionali). Le parti costitutive di un apparecchio sono: la sorgente radioattiva sigillata, il porta-sorgente costituito da un albero mobile longitudinalmente alla cui estremità è incastonata la sostanza radioattiva, il blocco di schermatura con l otturatore, il contenitore di esposizione, cioè il contenitore schermato in modo tale da consentire l impiego controllato delle radiazioni provenienti da una sorgente sigillata per radiografia. Numerosi sono gli accessori per l esecuzione della radiografia, per i controlli, per l automazione, per la diversità di applicazioni, per il trasporto, per il fissaggio ecc. La figura 1 (a pagina seguente) riporta una serie di prodotti per gammagrafia. 25

Protezione radiologica In considerazione dell azione distruttrice dei raggi X e gamma sulla materia vivente, la protezione radiologica riguarda: l insieme dei dati (e non il singolo evento) concernenti la quantità di radiazione cui può essere sottoposto senza pericolo l uomo; le norme per il calcolo; la realizzazione delle protezioni che devono soddisfare le disposizioni di legge vigenti in materia. L equivalente di dose ammissibile settimanalmente per il corpo umano è stabilita nella misura massima di 1000 msv (1 Sv) per individui professionalmente esposti, di 300 msv per individui non professionalmente esposti ma che hanno saltuario accesso alla zona controllata e di 100 msv per individui estranei al servizio radiologico. L equivalente di dose è, per qualsiasi tipo di radiazione ionizzante, la dose assorbita in tessuti viventi, che ha la stessa efficacia biologica di 1 Gy di radiazione X. L unità di misura SI per l equivalente di dose è il siviert (simbolo Sv) usato nelle scienze per la tutela della salute umana: 1 Sv = 1 J/kg. La grandezza derivata dall equivalente di dose è l intensità di equivalente di dose la cui unità è J / (kg s). Gli strumenti per il controllo radiologico (dosimetri integrali, intensimetri, proteximetri) sono generalmente di due tipi. 1. La camera di ionizzazione (contatore Geiger). Il tubo Figura 1 Geiger (involucro riempito di argo o di neon rarefatti) Serie di prodotti specifici per gammagrafia con porta due elettrodi di cui l interno (anodo) è un sottile filo di tungsteno. La radiazione, penetrando nel sorgente di iridio 192 e selenio 75. tubo, ionizza il gas, dando luogo a una scarica tra gli elettrodi e quindi a un passaggio di corrente nel circuito esterno che attraversa una resistenza in serie. La tensione generata alimenta un circuito elettronico per ottenere un segnale luminoso o acustico. 2. Il dosimetro fotografico individuale (film badge). Un astuccio di plastica contiene un emulsione fotografica che viene sviluppata al termine del periodo di controllo (ad esempio dopo un mese) e confrontata con pellicole tarate esposte a dosi note (ad esempio da 0,1 a 0,9 millisievert). La determinazione dello spessore delle schermature o barriere si esegue con formule e grafici: con le prime si determina un coefficiente di trasmissione espresso in sievert/ma min a un metro di distanza 26

in funzione dei parametri fondamentali (equivalente di dose ammissibile, distanza sorgente-barriera, fattori di lavoro, d uso ecc.), mentre con i secondi si definisce lo spessore (asse delle ascisse) in funzione del coefficiente di trasmissione (asse delle ordinate) del materiale impiegato per la schematura e della tensione di esercizio indicata dalle curve del grafico. 8.3.1. Sistemi di magnetizzazione Effetti della corrente di magnetizzazione La profondità d indagine con il metodo magnetoscopico dipende, oltre che dalle dimensioni e dalle caratteristiche elettriche e magnetiche del pezzo in esame, anche dall intensità e dal tipo della corrente di magnetizzazione; in particolare dipende: dalla corrente continua, come le correnti erogate da batterie, accumulatori, dinamo, correnti raddrizzate a onda intera, trifasi, polifasi; dalla corrente alternata; dalla corrente raddrizzata in semionda o onda intera monofase. Con il primo tipo di corrente si raggiunge la massima profondità, poiché manca l effetto pelle proprio della corrente alternata. Per questo la corrente continua è idonea per la rilevazione di difetti subsuperficiali su impianti fissi. La corrente alternata è di norma usata alla frequenza di rete, ma a causa dell effetto pelle la possibilità di rilevazione di difetti subsuperficiali è praticamente nulla; d altra parte però il problema della magnetizzazione residua è trascurabile. La corrente raddrizzata si ottiene raddrizzando una sola o ambedue le semionde della corrente alternata monofase di rete per mezzo di raddrizzatori. La corrente raddrizzata a una sola semionda è quella normalmente usata nella magnetizzazione, perché il campo magnetico da essa generato assomma le caratteristiche positive dei due tipi di corrente sopra descritti. La corrente alternata trifase è utilizzata su impianti fissi con rilevatore liquido. La rilevazione dei difetti si effettua mediante polveri o liquidi contenenti finissime particelle magnetiche dotate di altissima permeabilità magnetica e bassissima forza coercitiva. Le polveri sono essenzialmente costituite da grani di ferro o di ossido di ferro (Fe 3 O 4 ), con l aggiunta di un pigmento colorato che facilita la visione per effetto del contrasto cromatico con la superficie in esame. La grossezza del grano influisce sul contrasto e sulla definizione; pertanto le polveri grosse si usano per i grandi difetti (maggiore contrasto e minore definizione). I liquidi magnetici si distinguono in liquidi visibili a luce normale e fluorescenti. I primi sono sospensioni di polveri magnetiche finissime (diametro della particella di qualche micrometro) in speciali veicoli (liquido o polvere in cui sono disperse le particelle magnetiche) contenenti pigmenti neri (per superfici bianche) o rossi (per superfici nere). I secondi si differenziano solo per la presenza nei veicoli di sostan- 27

ze fluorescenti che consentono, in camera oscura, la visione del difetto colorato in verde brillante nel campo nero del pezzo; in tal caso è necessaria una lampada di Wood o lampada a luce nera, in quanto è munita di uno speciale filtro che lascia passare solo i raggi ultravioletti (lunghezza d onda compresa tra 300 e 400 nm). L apporto delle particelle magnetiche sulla superficie del pezzo in esame avviene per irrorazione, se sono disperse in un veicolo liquido, o per soffio d aria, se sono impiegate a secco. 8.7.3 Elasticimetria Tensiovernici Il rilievo della distribuzione delle sollecitazioni in una struttura in esercizio può essere fatta con particolari vernici applicate sulle superfici delle parti in esame mediante una pistola ad aria compressa. Dopo l essiccazione della vernice la struttura viene caricata con le normali sollecitazioni d esercizio (e quindi entro il campo elastico). Durante questa fase si producono delle linee di frattura nella vernice, dovute a trazione, in una direzione normale a quella delle tensioni principali, iniziando dalla zona più sollecitata e quindi propagandosi alle zone meno sollecitate. Quando la struttura viene scaricata si rilevano delle nuove linee di frattura dovute alle zone soggette a compressione, in quanto la vernice, compressa sotto carico, tende a rilassarsi e quindi a fratturarsi per effetto della graduale diminuzione delle sollecitazioni. Spettrofotometria e spettroanalisi La spettrofotometria riunisce un complesso di tecniche che hanno in comune il fine dell analisi chimica di una sostanza desumibile dall interazione tra gli atomi in essa contenuti e una radiazione monocromatica (luminosa visibile o non visibile ecc.) che la colpisce o l attraversa. Una tecnica abbastanza diffusa è quella dell assorbimento o estinzione che subisce la radiazione incidente quando attraversa un liquido, contenuto in una vaschetta, costituito da una soluzione tra un particolare solvente e l elemento da misurare, allo scopo di isolarlo dagli altri componenti e aumentare la densità ottica. La radiazione emergente attenuata dalla presenza e dallo spessore attraversato, è raccolta da un rilevatore il cui segnale è tradotto, di solito, mediante delle curve di taratura. La spettroanalisi ha gli stessi scopi del metodo precedente, ma differisce nel principio fisico, in quanto si tratta di un arco voltaico che viene fatto scoccare tra un elettrodo di ferro puro e il materiale metallico in esame. Data l alta temperatura dell arco, una piccola parte del materiale in esame volatilizza e gli atomi gassificati ed eccitati sia per via termica sia, in parte, per urto elettronico, emettono delle radiazioni luminose con più lunghezze d onda, le quali, attraversando un prisma di materiale trasparente, vengono separate nelle singole lunghezze d onda sulla base di un fenomeno fisico denominato dispersione. Questo metodo nacque e si sviluppò a partire dal 1666 con la prima esperienza di New- 28

ton, che scompose con un prisma di vetro la luce bianca del Sole nei colori di cui è composta e che si ricompone quando i fasci di colore vengono fatti riconvergere in uno stesso punto. L insieme dei valori assunti da ciascuna lunghezza d onda prende il nome di spettro: dal punto di vista strumentale ognuna di esse è visualizzabile con una riga, detta riga spettrale. Lo spettro può quindi essere considerato come la risposta dei singoli elementi alla sollecitazione che lo spettrometro attiva sulla radiazione incidente. Ciò significa che ogni lunghezza d onda è associabile a un elemento chimico presente nella sorgente, e pertanto ciascun elemento chimico è identificato da una propria lunghezza d onda caratteristica soltanto di quell elemento. Una volta effettuata l identificazione (analisi qualitativa), si passa alla determinazione della concentrazione mediante la calibrazione, la quale consiste nell analizzare elementi chimici a concentrazione nota, correlando poi matematicamente quest ultima con la rispettiva intensità di riga spettrale. Nota la curva di calibrazione e la sua equazione, è possibile quantificare i singoli elementi chimici di un qualsiasi campione (analisi quantitativa). Gli strumenti più recenti, automatizzati al massimo, consentono di analizzare simultaneamente e in poche decine di secondi, fino a 60 elementi presenti nei metalli e nelle loro leghe, spingendo il campo di validità anche all analisi delle impurezze nei limiti percentuali di disturbo, ai fini dell impiego tecnologico pratico del prodotto finito. La rappresentazione schematica del funzionamento di un quantometro (ossia di un misuratore di quanti di energia) è riportata nella figura 2. Tra il campione (1) e il pezzo (2) scocca un arco voltaico provocato da un generatore (3), preselezionato in (4), regolato nel potenziale e nella potenza in (5) e innescato in (6) da un avviatore a bassa potenza controllato elettronicamente. La luce dell arco è condensata dalla lente (7) e attraverso la fenditura (9) è inviata nella camera a vuoto, dove viene dispersa dai due prismi di fluorite (10) che generano lo spettro messo a fuoco dalla lente (11) e raccolto sulla superficie incurvata (12). La luce attraversa più fenditure d uscita posizionate accuratamente in corrispondenza delle diverse lunghezze d onda desiderate (righe spettrali), le quali mediante gli specchi (13) e le lenti (14) vengono deviate ai tubi fotomoltiplicatori (15) destinati a convertire l intensità luminosa delle righe spettrali in corrente elettrica, le cui intensità sono funzione di ciascun elemento analizzato. Figura 2 Schema di un quantometro: 1. campione; 2. pezzo in esame; 3. generatore; 4. preselettore; 5. regolatore di potenziale e di potenza; 6. circuito d innesco; 7. lente condensatrice; 8. serbatoio argo; 9. fenditura; 10. prismi; 11. lente focale; 12. piano focale curvo; 13. specchi 14. lenti; 15. fotomoltiplicatori; 16. pompa per vuoto. 29

Figura 3 Aspetto complessivo di un quantometro. All uscita dai tubi fotomoltiplicatori una catena elettronica di elaborazione provvede alla pulizia dei segnali da componenti spuri o da disturbi, alle determinazioni, alle registrazioni digitali dei dati e delle operazioni. L aspetto estetico del complesso di cui è stato riportato lo schema è illustrato nella figura 3. L applicazione principale consiste nell analisi di elementi che sono contenuti in piccole quantità o in tracce nelle leghe metalliche. Questo metodo inoltre è insostituibile nella determinazione delle impurezze contenute nei metalli ad alto titolo di purezza: 99,99-99,999%. Nelle fonderie il quantometro è l unico mezzo analitico rapidissimo, indispensabile per le correzioni delle cariche prima della colata. L analisi può anche essere eseguita per fluorescenza a raggi X (spettroscopia elettronica a raggi X). In questo caso, un fascio primario di raggi X, emesso dall apparecchio, illumina il campione che a sua volta emette fotoelettroni con le caratteristiche degli elementi contenuti nel campione stesso. I fotoelettroni sono elettroni espulsi dai fotoni incidenti di energia sufficientemente elevata da catturare elettroni del materiale in esame. L apparecchio esegue l analisi qualitativa determinando l energia (o la lunghezza d onda di questi fotoelettroni), mentre il numero di fotoelettroni corrispondenti a una determinata energia consente l analisi quantitativa dei principali elementi di lega. Endoscopia L endoscopia è una tecnica per l esame interno di corpi cavi (tubi, caldaie, scambiatori, corpi valvole, ) che impiega come strumento l endoscopio. Quest ultimo è costituito da due fasci flessibili di fibre ottiche che recano all estremità rispettivamente la sorgente di luce e l obiettivo. L immagine di una porzione della superficie illuminata è raccolta dall obiettivo e trasmessa lungo le fibre ottiche fino all oculare, con un ingrandimento in genere di poche unità. Le fibre ottiche sono costituite da un nucleo, detto anche core o anima, di filamenti sottili (10-100 mm) e flessibili, di vetro (o di altro materiale sintetico) a elevato indice di rifrazione. L indice di rifrazione è dato dal rapporto tra la velocità di propagazione della luce nel vuoto e quella nel materiale in esame. Riunite in un fascio di pochi millimetri di diametro si comportano come una guida di luce a riflessione totale, consentendo la propagazione del segnale luminoso e pertanto l ispezione visiva a distanza anche di parecchi metri, anche se il percorso è tortuoso o incurvato. Il nucleo è avvolto da un mantello di materiale diverso che costituisce il secondo mezzo rifrangente e infine da un rivestimento plastico protettivo esterno resistente alle eventuali azioni meccaniche. L oculare può essere sostituito con una camera fotografica o cinematografica. Gli apparecchi più moderni sostituiscono la visione ottica con quella elettronica (video-endoscopia); in questo caso una telecamera miniaturizzata, sistemata sulla punta dell endoscopio, manda un segnale a un monitor. 30