Jasmine Manari Rosa d inverno BookSprint Edizioni
Prefazione Rosa d inverno di Jasmine Manari Book Sprint Edizioni, 2011 Recensione di Lorenzo Spurio Ho accolto con piacere la richiesta di Jasmine Manari, giovanissima poetessa abruzzese che esordisce il suo percorso letterario con un ampia e interessante silloge poetica. Mi sono molto interpellato sul titolo, Rosa d inverno, su quale potesse essere il significato che la Manari volesse abbracciare per le sue liriche. Mi è sembrato a prima vista enigmatico, ma questo non ha offuscato minimamente la mia attenzione nei confronti della suddetta raccolta di poesie. L ho interpretato, inizialmente, mediante una figura retorica, quella dell ossimoro: una rosa, espressione del colore e della vita e l inverno, espressione dei toni grigi della malattia e della morte. Ho concluso così che le liriche avrebbero trattato principalmente di storie d Amore e storie di morte, temi che spesso nella poesia sono speculari o che finiscono per costituire un tutt uno. La Manari ha utilizzato una variegata scelta di citazioni colte che esplicitano il suo Amore nei confronti della letteratura, di una letteratura che potremmo definire classica, fatta dai grandi. 3
Ci sono varie citazioni in epigrafe tra cui una curiosa definizione del veggente/poeta maledetto Arthur Rimbaud, estratti di conversazioni di Ungaretti e Oscar Wilde e un frammento di Saffo. Questi iniziali riferimenti intertestuali non sono ridondanti e, anzi, incanalano il lettore verso l oggetto di questa raccolta: l Amore e le sue varie sfaccettature, i diversi modi di amare, il dolore e la sofferenza che dall Amore scaturiscono. E sufficiente la prima poesia della silloge per comprendere quale sia il senso che la Manari vuole trasmettere attraverso il suo titolo: la rosa, con le sue varie fasi di crescita (lo sbocciare, il crescere), non è altro che la metafora di un Amore che, ugualmente, nasce e si sviluppa. Ma la rosa della Manari non appassisce, non conosce fine e così dobbiamo interpretare che l Amore, alla stessa maniera, non deperisce né si consuma ma rimane eterno. La raccolta di poesie verte principalmente su alcuni temi dominanti: l Amore, la felicità, la vita e la morte, il senso di abbandono e il ricordo di un età ormai passata, l infanzia. Nelle liriche della Manari si fa infatti spesso riferimento a un tempo passato che si evoca a volte con nostalgia come in Bambina mentre altre volte ci si domanda quali siano i limiti tra ricordo ed oblio. E un percorso difficile, questo che la poetessa affronta con un linguaggio semplice ma allo stesso tempo altamente simbolico. L infanzia è celebrata un po ovunque nella raccolta e in Ci 4
chiamiamo grandi la poetessa osserva che gli adulti, in fondo, non sono altro che bambini che hanno perso la propria originaria spontaneità. La vita, dunque, sembra suggerire, è un infanzia perenne, un evoluzione interiore. E in quel presente liquido e spesso difficile la poetessa ricava ricordi positivi di un passato trascorso ma che, in un certo senso, è ancora presente perché ricavato da frammenti di ricordi che si impongono nel qui ed ora, nella vita di tutti i giorni: «Somigli tanto a una bambina che conoscevo» in Quale è il tuo nome. La silloge celebra così i tempi passati, un infanzia felice e spensierata che viene ricordata con nostalgia e a cui, paradossalmente, si vorrebbe ritornare, annullando il normale corso del tempo. La protagonista delle liriche, che intuitivamente mi viene da immaginare abbia un riferimento autobiografico nella stessa Manari, è una donna che sa soffrire ma che sa anche ribellarsi per non lasciarsi soggiogare, come nella brevissima lirica Rivoluzionaria che si chiude proprio con la volontà di fare della propria vita una battaglia. E una donna forte e decisa, che non manca di evocare idee discutibili e che la Chiesa definirebbe immorali, come il suicidio in Osceno paradiso d indolenza per «chi, egoista con se stesso, non vuole più sperare». Parlare della vita significa innegabilmente trattare anche quegli aspetti meno belli che però fanno parte di essa: la vecchiaia, la malattia e la morte. Il ritratto complessivo che la Manari trasmette con questa 5
opera è complesso ed articolato e non manca di trattare questi temi languidi, tristi e crepuscolari come nella brevissima poesia Alzheimer che va letta tutta d un fiato e che condensa una serie di tragedie: la malattia, la sofferenza per un congiunto malato e incurabile e la decisione di porre fine a quelle sofferenze per liberarsi da entrambi i mali. La Manari non parla di eutanasia ma di matricidio. E questo a trasmettere una cupissima presenza su tutta la lirica, lasciando drammaticamente sorpresi per la vivezza e, allo stesso tempo, per il laconismo con cui fotografa una realtà difficile e disperata. Il linguaggio è semplice e spesso usa immagini forti, come volesse suscitare un qualche effetto nel lettore. La poesia Non appartengo a voi indecisi, sono un poeta maledetto ha tutte le caratteristiche della poetica bohemien che si riallaccia alla citazione iniziale di Rimbaud. C è in un certo senso anche un riferimento, consapevole o no non saprei dirlo, a Palazzeschi e alla sua poesia E lasciatemi divertire dove il poeta abbatteva i canoni poetici tradizionali riconoscendo una poetica tutta nuova, bizzarra e strampalata ma che almeno, lo lasciasse divertire. La Manari si auto considera un poeta maledetto, di quelli che non le mandano a dire e che non hanno paura di parlare di niente: «Se sono un verme che si dimena appeso a un amo, certo di durare meno e poco più». Spesso prevalgono i toni grigi e cupi e un amara analisi della vita come quando ne Il consigliere scrive: «No figliuolo, le 6
persone non vogliono la verità, loro non sanno che farsene: la odiano. È troppo pericolosa, meglio la menzogna si può fare molto di più con la menzogna». Non si tratta però di un pessimismo fine a se stesso ma ricalca, in maniera quanto mai fedele, la società nella quale viviamo. Verso la conclusione della raccolta è presente un brano che abbandona il metro poetico per adattare i pensieri, quasi in maniera plastica, impiegando la prosa. Ne La felicità in un palazzo di cristallo la poetessa affronta temi difficili, le canoniche questioni dell essere: cos è la felicità e, se esiste, come si raggiunge? E la pace? Lo fa in maniera lucida e schietta ma è difficile non riconoscere un certo tono cupo ed esistenzialista che, per certi aspetti, richiama addirittura il poeta recanatese, Leopardi: «l uomo vive tormentato ed è proprio la felicità la sua ossessione: egli non la possiede, eppure può renderla sua. Per questo la felicità non è nella morte e nemmeno nella pace». Ma la conclusione che la Manari trae non è altrettanto negativa, c è possibilità di speranza: la felicità è intorno a noi, dobbiamo saper riconoscerla, è dietro l angolo, dobbiamo saperla individuare: «Dipende dagli occhi di chi guarda: per questo la felicità è per chi di noi sa trovarla, per chi trova il punto dove guardare, non necessariamente il punto per eccellenza». Una raccolta di liriche affascinante che va letta in profondità e che è arricchita nel suo ampio contenuto, già altamente carico di simboli, da un sonetto di Shakespeare il quale, proprio come ha 7
fatto la Manari, nelle sue poesie ha sempre parlato anche degli aspetti meno felici dell Amore e della transitorietà del genere umano. Non avevo sbagliato di molto nella mia iniziale interpretazione del testo a riconoscere già nel titolo la presenza di un ossimoro di cui, in effetti, la silloge è strapiena: vita-morte, felicità-sofferenza, ricordo-oblio, miracolo-condanna, presentepassato, alba-tramonto e addirittura il titolo di una poesia, Il buio bianco. Non è un caso che la Manari citi Shakespeare, poeta neoplatonico che nelle sue liriche utilizzò spesso l allegoria del chiaroscuro, che la poetessa nella sua opera sintetizza in maniera mirabolante in questo modo: «il sole c è ma non si vede». Jesi, 05-07-2011 Lorenzo Spurio 8
Jasmine Manari Rosa d inverno
Lettera del veggente Io dico che bisogna essere veggente, farsi veggente. Il poeta si fa veggente mediante un lungo, immenso e ragionato sregolamento di tutti i sensi. Tutte le forme d Amore, di sofferenza, di pazzia: cerca egli stesso, esaurisce in sé tutti i veleni per non conservarne che la quintessenza. Ineffabile tortura in cui ha bisogno di tutta la fede, di tutta la forza sovrumana, nella quale diventa fra tutti il grande infermo, il grande criminale, il grande maledetto - e il sommo sapiente!. Egli giunge, infatti, all ignoto poiché ha coltivato la sua anima, già ricca, più di qualsiasi altro! Egli giunge all ignoto e, quand anche sbigottito, finisse col perdere l intelligenza delle proprie visioni, le avrebbe pur viste! Che crepi nel suo balzo attraverso le cose inaudite e innominabili: verranno altri orribili lavoratori; cominceranno dagli orizzonti sui quali l altro si è abbattuto. Arthur Rimbaud