GIORGIO DE CHIRICO E LISA SOTILIS La forma segreta nel grembo di Afrodite



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Floriano De Santi GIORGIO DE CHIRICO E LISA SOTILIS La forma segreta nel grembo di Afrodite Sculture, dipinti, gioielli ed opere su carta ARCHIVIO UMBERTO MASTROIANNI

HOTEL REAL FINI Via Emilia Est, 441 41122 Modena Tel: +39 059 2051511 Fax: +39 059 2051590 http://www.hotelviaemilia.it http://www.facebook.com/hotelrealfiniviaemilia Facilmente raggiungibile, si trova ad 1 Km. dal centro storico, 400 metri dal policlinico e a 10 Km. dai caselli autostradali 87 camere di cui 6 Junior Suite TV LCD 32 in tutte le camere! New Accessibile ai disabili Centro Congressuale dotato di sale modulari, capace di ospitare fino a 500 persone Servizio di Ristorazione a richiesta American Bar Ampio parcheggio e Garage sotterraneo Internet wi-fi GRATIS in tutto lʼhotel Servizio Estetica & Massaggi! New Palestra! New Servizio Transfer su richiesta Animali benvenuti

Giorgio de Chirico tra Maria Beatrice di Savoia e Lisa Sotilis (a destra), Casa di Iolas ad Atene, 1969

La mostra è stata promossa: GIORGIO DE CHIRICO E LISA SOTILIS La forma segreta nel grembo di Afrodite Hotel Real Fini, Modena, Via Emilia Est 441 dal 23 marzo al 30 giugno 2013 dall Hotel Real Fini di Modena dal Comune di Modena dall Archivio Umberto Mastroianni di Brescia Catalogo e mostra a cura di Floriano De Santi Redazione testi Lucia Danesi Allestimento della mostra e Ufficio Stampa Adriana Renga (tel. 059 2051511) Referenze fotografiche Pierre Kaloussian Velissiotis, Atene Paolo Pugnaghi, Modena Massimo Regallo, Treviglio Assicurazione Lonham Broker Italia Progetto grafico e stampa Publi Paolini, Mantova Si ringrazia vivamente l'artista internazionale Lisa Sotilis che, prestando le opere più preziose della sua collezione, ha reso possibile la realizzazione di questo straordinario evento espositivo. Inoltre, si ringraziano anche Francesco Boni, gli storici dell'arte Giovanna Dalla Chiesa e Gérard Xuriguera, Silvia Bonvicini della Fonderia di Sommacampagna, Michele Barberi, Pierre Kaloussian Velissiotis e Massimiliano Giovanelli

Floriano De Santi GIORGIO DE CHIRICO E LISA SOTILIS La forma segreta nel grembo di Afrodite ARCHIVIO UMBERTO MASTROIANNI

PRESENTAZIONE Una mostra con opere di due artisti di fama mondiale Una città come Modena, resa famosa dalle esperienze eccellenti che ha saputo realizzare in diversi campi della vita economica, sociale, sportiva e culturale, grazie a iniziative, prodotti, marchi la cui unicità e pregevolezza sono diventati sinonimo di qualità in tutto il mondo, non può che trovare una particolare sintonia con un evento di straordinaria rilevanza artistica e culturale come la mostra Giorgio De Chirico e Lisa Sotilis. La forma segreta nel grembo di Afrodite. Siamo infatti onorati che la nostra città ospiti una rassegna espositiva di opere di due artisti di fama mondiale, protagonisti di primo piano dell'arte contemporanea, accomunati da una vicinanza che li ha visti condividere la ricerca plastica ed espressiva, con i diversi esiti creativi che hanno poi definito le grandezze unanimemente riconosciute del Maestro della Metafisica e dell'artista celebrata da Salvatore Quasimodo. L'opportunità di ammirare a Modena le opere di Giorgio De Chirico e di Lisa Sotilis sarà un'esperienza emozionante non solo per gli appassionati e gli esperti d'arte, ma per i tanti concittadini che condividono il tradizionale amore dei modenesi per il bello, per ciò che è fuori dall'ordinario, di alta qualità, risultato di una ricerca appassionata. Per questo esprimo un sentito ringraziamento a tutti coloro, a cominciare dal curatore della mostra Floriano De Santi, che hanno reso possibile lo svolgimento di questo grande evento culturale nella nostra città. Giorgio de Chirico, Ettore e Andromaca, 1971. Bronzo patinato, cm. 98x46x38,5 AVV. GIORGIO PIGHI Sindaco del Comune di Modena 4

Giorgio de Chirico e Lisa Sotilis: la forma segreta nel grembo di Afrodite DI FLORIANO DE SANTI I. L arte come enigma della bellezza Con i dipinti, le sculture, le opere su carta di Giorgio de Chirico e di Lisa Sotilis i miti ritornano a popolare le figure del moderno. E giustamente Walter Benjamin, anziché respingere come irrazionale questa rinascita mitica, avrebbe parlato, per esempio, di fronte ai bronzi dorati Le muse inquietanti del 1972 di Giorgio de Chirico e a L omaggio a Fidia del 2005 di Lisa Sotilis, di una profezia filosofica come enigma della bellezza, di una realtà che è al di fuori della storia esistenziale, che è al di fuori di ciò che è stato definito desiderio, epithymia del razionale. Senonché, questa realtà può prefigurare i confini dell anima come sostiene Eraclito, le frontiere di un diverso sapere, di una diversa immagine del mondo. Nel segreto l arte occulta può condurre al punto in cui ogni cosa, anzitutto ciò che nel linguaggio estetico chiamiamo materia (hyle) e forma (eidos), verrà cancellata e ridisegnata dal nostro sapere, dalla nostra seconda vista. E allora vedremo quello che si era occultato nella favola, quello che era nascosto nelle figure del meraviglioso. Ma questo esito è possibile in quanto la scienza visiva si è posta come il primo gradino della scala iniziatica, da cui abbiamo potuto ancora ascendere al gradino della conoscenza vera, della conoscenza della verità abscondita. In effetti, la mostra Giorgio de Chirico e Lisa Sotilis. La forma segreta nel grembo di Afrodite 1, raccoglie cinque sculture, Lisa Sotilis, Testa di Afrodite, 2007. Bronzo lucidato e patinato, cm. 56 40 9 tre dipinti e nove stampe d arte del Pictor Classicus e una trentina tra dipinti, gioielli e sculture dell artista greca, nota anche per essere stata l unica assistente di studio del Maestro della Metafisica nel campo della ricerca plastica. Quale 1 Dai Romani identificata con Venere, la dea greca dell amore Afrodite è di origine fenicio-babilonese. Anche il suo nome, benché in seguito posto in rapporto con la parola aphor, con allusione alla sua nascita appunto dalla schiuma del mare, pare sia semitico. Ma atteniamoci a quanto scrive Erodoto parlando del santuario di Afrodite Urania, che sorgeva ad Ascalona in Francia: Questo santuario è, per quanto io ho trovato nelle mie ricerche, il più antico di tutti i santuari di questa dea, perché il santuario di Cipro è derivato da questo, come affermano gli stessi Ciprioti, e anche il santuario di Citera lo eressero alcuni Fenici, che provenivano da quella stessa parte della Siria. Per Omero Afrodite è figlia di Zeus e di Dione. Esiodo invece ci racconta nella sua Teogonia un altro mito, probabilmente più antico, che pur partendo dal mythos cosmico del Cielo e della Terra, ci dà un Afrodite perfettamente greca. Narra dunque Esiodo che Urano, il dio del Cielo, si stese 5

sarà, per il bronzo patinato I grandi archeologi, un capolavoro dechirichiano realizzato nel 1968, il principium della forma? Con puntiglio critico scrissi qualche anno fa: Si può dire che la forma nasca dalla distruzione dello spazio, raggiunga la propria pienezza quando abbia fatto intorno a sé il vuoto, quando cessi di reagire alla luce e all atmosfera, al vicino e al lontano, e determini da sé, con il ritmo sicuro e dei piani, le proprie condizioni prospettiche. Questa scultura monumentale non accetta leggi, ma le detta 2. Nelle opere tridimensionali e nei dipinti della Sotilis, il mito metafisico si afferma presentando tutto il suo complesso apparato metaforico, come un enigma da indovinare, come un discorso alchemico offerto agli iniziati. Esso fa parte del vissuto, si prolunga rispetto a de Chirico in atteggiamenti esistenziali: abita luoghi conosciuti, ma scelti con cura per accoglierlo, indossa i costumi di cui l ha rivestito la storia per riconoscerlo, intona il suo canto sommesso all ombra degli Dei. Sul suo singolarissimo lavoro puntualizza nel 1967 il poeta Salvatore Quasimodo: Sono figure che si ritrovano come ghirlande, o corolle dai petali di carne. Sulla tela o nel metallo, perfino nelle rifrangenze delle pietre preziose che proseguono il mito frastagliato della metamorfosi nelle forme ridotte dei gioielli. È la natura ellenica, l abbandono della stagione fiorita alla certezza che è nel grembo di Afrodite 3. II. I confini dell anima della metafisica Con la morte di Giorgio de Chirico, avvenuta trentacinque anni fa, è scomparso il più grande argonauta ita- liano del 900. Con il suo theatrum alchemicum, si conclude quella scoperta del meraviglioso e dell inconscio iniziata dai pittori fantastici e visionari dell 800 e, quindi, portata avanti dai simbolisti alle portentose intuizioni delle quali Freud darà, poco dopo, il crisma della scienza. In effetti, de Chirico sin dall inizio s ispirava ad antichi trattati di magia e chiromanzia, di alchimia, di egittologia ermeneutica e d indagine mistica sulle corrispondenze deterministiche tra macro e microcosmo, fondendo ogni suggestione di queste iconografie in una visione misteriosa, volta a esplorarne luminosamente le ombre del destino 4. Egli con la sua complessità di formazione e di sviluppo, con la continuità di una ricerca che riteniamo non si arresti alla stagione de La lassitude de l infini del 1912 e de Le muse inquietanti del 1916, come troppo spesso si è scritto, è il segno del nostro tempo, delle sue contraddizioni e dei suoi desideri. Se, come diceva Adorno, l arte moderna ha portato alla luce tutto ciò che avremmo voluto magari nascondere, la luce di de Chirico è quella di uno scandaglio figurativo che vuole ritrovare se stesso nella sua funzione: uno scandaglio che non ha avuto timore di scoprire le sue ragioni nei drammi medesimi che affollano la coscienza, ma che nella sua logica suprema, nella normatività dei precisi procedimenti tecnici supera l alternativa di dionisiaco e apollineo, del tempo aiòn e del tempo chronos, compie una deviazione precisa nella quale non permangono tracce del programma estetico di Marées: rifare l antico sulla natura 5. Senza dubbio la formazione culturale di de Chirico, sin dagli anni della Grecia natale (era nato a Volos, capitale della Tessaglia, nel 1888), e quindi di Monaco, si costituinell amplesso amoroso sulla Terra, quand ecco sul più bello sopraggiungere Crono che lo mutila. Il membro staccato galleggia sulle onde finché non si trasforma in bianca spuma nella quale si forma la fanciulla divina. Afrodite è la dea della primavera in fiore: le sono sacre le rose, ma pure molte altre piante, quali il melograno e il mirto. Anche la mela, remoto simbolo dell amore, si trova nella sua mano. Dice Lucrezio nel poema De rerum natura: Quando tu vieni fuggono i venti e si dileguano le nuvole, per te la terra fa fiorire il leggiadro ornamento dei fiori, per te sorride lo specchio delle acque del mare, e gli spazi lucenti del cielo splendono in silenzio. 2 Floriano De Santi, De Chirico. I grandi archeologi, catalogo della scultura esposta nella Rotatoria Croce dei Missionari di Urbino, Piero Guidi editore, Urbino, 2007, p. 3. Si veda anche, dello stesso De Santi, Il sogno Metafisico di Giorgio de Chirico e di Lisa Sotilis, Edizioni dell Archivio Umberto Mastroianni, Brescia, 2012. 3 Lisa Sotilis, catalogo della personale di scultura, gioielli e disegni colorati alla Galleria Iolas, Milano, 1967. Ripubblicato in Visti da Salvatore Quasimodo, Edizioni Trentadue, Milano, 1969, p. 123. 4 Maurizio Calvesi, De Chirico e le metamorfosi del destino, in De Chirico nel centenario della nascita, catalogo della mostra nell Ala Napoleonica del Museo Correr di Venezia, Mondadori- De Luca, Roma, 1988, p. 11. 5 Marisa Volpi Orlandini, Artisti contemporanei. Saggi, Il Bagatto, Roma, 1985, p. 45. 6

sce all interno di una tradizione in cui fortissime sono le sollecitazioni romantiche che giungono a costruire immagini cariche di significati simbolici, o addirittura mitici. Nel 1899-1906 lo studio al Politecnico di Atene, l esercizio nelle lingue e nella musica, la frequentazione costante dei classici, le letture appassionate di Shopenhauer, di Weininger, di Nietzsche e del misterioso sogno di eternità di Zarathustra, le visite ai musei, formarono un adolescente che subito iniziò a disegnare e a dipingere ad olio nature morte e ritratti. Ma più di tutto ebbe influenza su de Chirico quella terra dell Attica che in una miracolosa misura di paesaggio trasudava miti e storia; sebbene il futuro Pictor Classicus abbia poi sdegnosamente negato, il giovane che per lunghe stagioni girovagò tra reliquie di templi e di colonne, tra memorie pagane e cristiane giocando all ombra di Prassitele e sognando un mondo omerico, attinse evidentemente da quella sua nostalgia i motivi metafisici delle Piazze d Italia e della Partenza degli Argonauti. Certo, quadri come Il centauro morente del 1909 rimandavano direttamente a Böcklin e a Klinger, nell iconografia, nella forzatura stessa del procedimento tecnico; ma nel Pictor Optimus non c è contorsione psicologica, stravolgimento verso un passato che egli sa improponibile. Il mito metafisico enuncia i significati del presente, di conseguenza trasforma le densità cromatiche, prima ancora che il processo di costruzione dell immagine. L enigma dell oracolo del 1910 ci dà già a quella data il segno della diversità. La composizione ripete quella dell Ulisse e Calipso del Kunstumuseum di Basilea, che Böcklin aveva dipinto nel 1883, ma ne semplificava le valenze allegoriche: le rocce, la caverna, sono sostituite da un muro di mattoni da una tenda dietro la quale la testa di una statua prefigura i manichini metafisici degli anni successivi. Bisogna tener presente che de Chirico si era trovato a Monaco di Baviera giusto negli anni immediatamente prossimi al 1910, quando anche in Germania, come a Parigi e a Milano, avveniva il grosso schieramento antirealista e antimpressionista, con Matisse e i fauves, Picasso e i cubisti, Kandinskij e il gruppo del Blaue Reiter. Non di meno, non ebbe necessità di ricorrere alla lunga polemica e alle violente scomposizioni dei suoi colleghi; anzi, preso da epithymia, da desiderio ed ammirazione per la pittura di Böcklin, si trovò nella pericolosa situazione di perdersi in quella sconvolgente scenografia romanticheggiante. Senonché, sta di Giorgio de Chirico, Le muse inquietanti, 1968. Bronzo dorato, cm. 32,7 16 15,7 fatto che nel dipinto La meditazione del mattino del 1912, si scorgono chiari i segni del suo metamorfico Retour au classicisme, che muove figure avvolte in pepli mediterranei nell ombra mattutina di alcune case prese a prestito dagli affreschi toscani e ferraresi del Rinascimento, e ridesta un senso di stupore, una spazialità estatica, più celeste che terrena. È chiaro da questo esempio che de Chirico non crede affatto all ottimismo naturalistico degli impressionisti, i quali trovano la loro poetica nello studio amoroso dell en plein air e della luce. Alla fine, in Pissarro o in Monet, l emozione è tutta d occhio, un occhio restituito alla sua prima e veloce impressione. Lo sguardo di de Chirico, invece, è più lento e ironico e non si persuade alla variabilità nervosa della visione luministica: guarda più addentro alle cose, non cura tanto la loro superficie quanto la loro immagine interna, se- 7

greta. Gli oggetti, la natura, le figure, che negli impressionisti appaiono ancor per quel che sono o, almeno, per quel che il papillotage della luce, colpendoli, li rivela nella tavolozza dechirichiana acquistano un soprasenso, per il fatto che il pittore entra in relazione con essi in un modo più complesso e ambiguo, carico di suggestioni culturali 6 ; egli infatti staccandoli dalla loro momentaneità descrittiva, li spinge dentro uno spazio percorso dalla fantasia e dal sogno, dove si arricchiscono perciò di traslati, di significati magici, e rivelano, nel silenzio cristallino delle geometrie quattrocentesche, prospettive non soltanto fisiche. Un popolo ha precisato de Chirico in un saggio pubblicato su Valori Plastici nel 1919 sul principio della sua esistenza ama il mito e la leggenda, il sorprendente, il mostruoso, l inspiegabile e si rifugia in essi con l andare del tempo, maturandosi in una civilizzazione, sgrossa le immagini primitive, le riduce, le plasma secondo le esigenze del suo spirito chiarito e scrive la sua storia scaturita dai miti originari. Un epoca europea come la nostra, che porta in sé il peso stragrande di tante civilizzazioni e la maturità di tanti periodi spirituali è fatale che produca un arte che da un certo lato somigli a quella delle mitiche inquietudini; tale arte sorge per opera di quei pochi dotati di particolare chiaroveggenza e sensibilità 7. Ci pare di dover osservare come in questa dichiarazione di poetica, torni e al tempo stesso venga superata l antitesi che era a fondamento della cultura romantica, così almeno come era stata proposta da Schiller nel saggio sulla poesia spontanea e continentale; quell antilogia sulla quale aveva meditato Leopardi, cosciente di una perduta innocenza del mondo dubbioso, della possibilità di affidarsi completamente alla rêverie. Con dipinti quali Arianna del 13, La surprise del 14 e La pureté d un rêve del 15, de Chirico sembra voler risolvere questa antitesi, sembra voler credere alla coesistenza della spontaneità del mito, tuttavia inquieto, e alle ragioni, anche sentimentali, e dunque di partecipazione, della vita moderna; e, come Leopardi, riesce a darci l immagine dell infinito attraverso cose finite: nelle prospettive serrate e geometriche, nei muri che delimitano le piazze, nelle architetture bloccate dei palazzi, nei portici immanenti sulle partiture d ombra e di luce delle composizioni metafisiche. Anche il periodo metafisico di de Chirico, quello che tra il 1915 e il 1918 lo vede dialogare con Savinio e con Carrà, con Morandi e con de Pisis, propone una poiesis artistica assai diversa dalle avanguardie storiche che rende visibili gli eraclitei confini dell anima. E non che del Cubismo e del Futurismo non abbia raccolto qualche suggestione, come è logico avendone vissuto da vicino gli sviluppi impetuosi e come appare dalla cognizione profonda che di esse ha avuto certi passi dechirichiani di Hebdomeros 8 potrebbero addirittura far pensare a Locus Solus di Roussel, ma di Picasso e di Boccioni non ha condiviso poetiche, comportamenti ed elaborazioni linguistiche. Citiamo un solo esempio, ma fondamentale: le perspectives médusées di de Chirico, così dense di significati evocanti un aria d oeil crevé, sono sempre delineate all interno del parallelepipedo di derivazione rinascimentale. Anzi, è nell esasperazione di questa tipologia tridimensionale che l artista coglie il significato metafisico degli oggetti, è attraverso la delineazione di precise linee prospettiche; l accentuazione di fuga nelle torri de La pureté d un rêve del 1915, ma anche dopo, nei dipinti Il saluto agli Argonauti partenti del 1920 e I Gladiatori / L amor fraterno: il fantasma di Breton del 1928, che l artista realizza quella sorpresa rivelatrice del carattere fatale delle cose moderne di cui parlò Guillaume Apollinaire 9. 6 Per l analisi di questo problema si confrontino gli studi dedicati all arte italiana nel catalogo della mostra Letteratura Arte Miti del 900, a cura di Zeno Birolli, Idea editions, Milano, 1979. 7 Sull arte metafisica, Roma, a. I, n. 4-5, aprile maggio, 1919, pp. 15-18. 8 Dopo quella apparsa il 25 luglio 1929 nel numero 2 della rivista parigina Bifur, si è avuta una versione italiana di Hebdomeros (Longanesi, Milano, 1971), con una singolare prefazione di Giorgio Manganelli: Ebdòmero non è un personaggio, ed Ebdòmero non è un romanzo; il primo è un nome consapevole, il secondo un itinerario, un deposito di immagini, un catalogo di simboli, un collage di simboli, paesaggi interni di abitazione, appunti di disegni, accesi, tutti, da una fosforescenza che sa di memoria, di visione, di mistificazione. La favola di Ebdòmero si stende come un labirinto proliferante, un edificio capace di riprodursi, di progettare nuove ali, aditi ed esiti. 9 Le varie riflessioni sul rapporto di de Chirico con Apollinaire sono contenute nell agile volumetto di Maurizio Fagiolo dell Arco Giorgio de Chirico. Il tempo di Apollinaire 1911-1915, De Luca editore, Roma, 1981. 8

Giorgio de Chirico, Il Minotauro pentito, 1969. Bronzo dorato, cm. 40 30,5 13 È un procedimento compositivo completamente diverso, e potremmo dire addirittura di opposizione, da quello che conducono le avanguardie, nella linea di quella tradizione che era cominciata almeno con Delacroix, agli scompaginamenti ottico-plastici che sono una loro caratteristica fondamentale. E aggiungeremmo ancora che la sorpresa così peculiarmente capita da Apollinaire non ha nulla a che fare con lo choc sur nos sens di cui parlava Matisse, come non è quella paradossale dei ready-made di Duchamp, delle azioni e dei comportamenti antitradizionali dei Dada, e non è nemmeno quella degli automatismi surrealisti. Comunque sia, un simile discorso alternativo a quello delle avanguardie ha esercitato su di esse un influenza determinante ed anche perturbante : e adoperiamo il termine proprio nel senso proposto qualche anno più tardi da Freud in un suo saggio famoso, in quanto le opere metafisiche di de Chirico ci pongono di fronte ad un universo che ci appare nello stesso tempo conosciuto e ignoto, familiare ed estraneo, heimlich e unheimlich, come appunto dice l autore de L interpretazione dei sogni e dell Al di là del principio del piacere. È stato un punto di riferimento per il Dada di Grosz e di Hausmann, è stato necessario per Max Ernst nel periodo giovanile, è stato presente sia pure secondo modalità che riteniamo di deperimento dei significati metafisici in Magritte e in Delvaux, è stato preso in considerazione e travisato meccanicisticamente da alcuni esponenti della Neue Sachlichkeit (Schad, Wunderwald), si è ripercosso, ed è questione che andrebbe approfondita, su parecchi artisti statunitensi: dagli immacolati ai cosiddetti realisti degli anni Trenta: da Georgia O Keeffe a Sheeler. Anche per questo è tuttora prodigiosa l intuizione critica di Apollinaire, che parlava della étrangeté des énigmes plastiques que nous propose M. De Chirico, prodigiosa proprio perché fatta dal poeta di Alcoos e dei Calligrammes 10 il quale capisce perfettamente che non avrebbe potuto inserire il maestro italiano in quell ampia categoria dei pittori orfici da lui creata nel 1913. In definitiva, la logica dello straordinario di de Chirico (ed in questo contesto non sembra occasionale un lontano 10 I Calligrammi-Poèmes de la paix et de la guerre 1913-1916 furono pubblicati nel 1918, con un ritratto di Apollinaire per mano di Picasso. Il libro comprende 86 componenti, di cui 19 calligrammi, oltre 6 di scrittura alternata, normale e ideografica. Come suggeriscono le date del titolo, esso raccoglie tutta la produzione poetica di Apollinaire successiva ad Alcools (escluso Vitam impendere Amori). Anche qui, i componimenti sono disposti fuor di ordine cronologico e senza data; ma se il termine a quo indicato nel titolo (1913) può sostanzialmente accettarsi, il termine ad quem (1916) deve ritenersi inesatto: almeno per La jolie rousse, pubblicata nella rivista il 15 marzo 1918, e che presuppone l incontro con Jacqueline Kolb. Nel 1930 de Chirico, con l editore Gallimard di Parigi, disegna 66 litografie per illustrare i Calligrammes. In esse il passato ha cambiato carattere. Tutto il tempo che una volta stava alle sue spalle, ordinato e diviso secondo gli anni e le epoche, ha perduto ogni spessore: tutto ciò che chiamava assenza umana si è trasformato in una sola interminabile galleria, in un vivace museo senza tempo, nel qule ogni istante diventa il nostro presente e futuro (Floriano De Santi, I Calligrammes di Giorgio de Chirico, Edizioni del Centro Internazionale Umberto Mastroianni, Brescia, 1992, pp.13-14). 9

suo giudizio di ammirazione per Jules Verne), ha rifiutato la linea della ragione cartesiana del postimpressionismo e del cubismo, come ha anche rifiutato il vitalismo, per lui troppo contingente, del futurismo e dell espressionismo. La pittura metafisica prima, quindi il suo trasferimento nelle dimensioni sia pure più caute dei Valori Plastici, e tutta l esperienza successiva fino al dopoguerra e agli anni della sua operosa vecchiaia, appaiono come la ricerca costante di un essenza fatale delle cose, che sia al di là della contingenza delle mere apparenze, poiché scrive giustamente Giuliano Briganti de Chirico è davvero maestro nell arte di confondere le acque, di cambiare le carte in tavola, di volgere verso il muro e immergere nell ombra gli antichi volti degli dei, di giocare insomma, al momento giusto, la carta segreta dell Enigma 11. III. Tra i frammenti classici della rivelazione C è in Amor fraterno: il fantasma di Breton, che Claudio Bruni Sakraishik nel suo Catalogo generale dell opera di Giorgio De Chirico pubblica con il titolo I Gladiatori, un evoluzione stilistica durante l esecuzione nel 1928 di questo quadro? A prima vista, si direbbe, di sì, e notevolissima; rispetto a Le combat dello stesso anno la scena si fa meno affollata ed anedottica; il colore cessa di essere elementare e contrapposto in modo aspro per divenire più accordato e lirico; le proporzioni dei corpi si allungano; il racconto, anche se impostato su pochi protagonisti, diventa in tutti i sensi corale, e proprio per ragioni apparentemente opposte a quelle per cui si designa. Intanto sul leitmotiv dei guerrieri o dei gladiatori l Amor fraterno: il fantasma di Breton, un olio su tela che misura cm. 65 81, è il più espressivo, ancora più inquietante del Combattimento di gladiatori in una stanza del 1927, in cui l archetypos filosofico è la guerra degli elementi che secondo Eraclito animerebbe: uno scontro di opposti che continuamente si ricompone in unità, un dinamismo che coincide con la stasi più assoluta. Questa apparentemente eccessiva espressività parrebbe, all occhio profano, una ragione sufficiente per l elevazione, l apprezzamento e, all occhio critico, una causa per diffidarne, in quanto scrive Plotino nel trattato Dell impossibilità degli incorporei che difendere la teoria secondo la quale la materia è sensibile, come substrato dei corpi, è un incorporeo, un asomaton: essa precede il corpo per farne un composto. Ad ogni modo, un errore uguale e inverso si troverebbe nei due giudizi fondati su questa apparenza, che un certo eccesso di storia finisce per frantumare la storia stessa, o meglio il senso stesso della storia che l artista sta raccontando. In realtà la pittura di de Chirico resta in Amor fraterno: il fantasma di Breton indiroccabile nella sua monumentalità, malgrado riceva la sua irresistibilità da ciò che non ha apparenza; e dove i gesti dei tre protagonisti accentuino l espressione di un emozione violenta, questa emozione non oltrepassa mai il gesto, l attitudine delle facce, rimanendo chiusa in una messinscena teatrale disadorna e severa. L arte di de Chirico scopre l inapparente mistero della vita, dove si trova tutto l enigma della rivelazione che viene d improvviso. È qui il platoniano kalon, la bellezza della variegata superficie del mondo che nasconde la profondità: è l ombra di ciò che è e di ciò che può diventare: è la stanza tremenda della verità, che si apre per chi sappia creare non solo le forme per esprimerla, ma anche l uomo che possa vederla. Nell Amore fraterno: il fantasma di Breton si oserebbe dire che al di sopra di un ipotetico reticolo tragico c è un controllo che arriva quasi allo straniamento; non tutto è saputo, mai tutto è saputo, poiché dietro l enigma della Sfinge, come ben sa Edipo, c è un altro enigma. Allo stesso modo dell École des gladiateurs del 1928 e dei Gladiatori in riposo del 1928-29 il controllo della malinconia è pari all impeccabile tenuta stilistica: non una sbavatura, non un eccesso, neppure negli scudi colorati accartocciati in se stessi. Entro questa misura classica che fa pensare ad Euripide, tale sentimento di dolore è il massimo consentito, non sale un gradino di più, se non nella direzione del Nietzsche di Così parlò Zarathustra: Io passo in mezzo agli uomini, come in mezzo a frammenti dell avvenire: di quell avvenire che io contemplo. 11 Giuliano Briganti, Il viaggiatore disincantato. Brevi viaggi in due secoli d Arte moderna, recensioni critiche pubblicate nella pagina culturale de la Repubblica, Einaudi, Torino, 1991, p. 160. 10

Ora de Chirico nell Amor fraterno: il fantasma di Breton vuole rappresentare, ma non coinvolgere; vuole esprimere, ma non lasciarsi trascinare; resta perfettamente padrone e delle emozioni che la finzione del tragico fatto suscita e dei mezzi che impiega per raffigurarlo. Questi mezzi sono formali e non naturalistici: la linea di contorno assiepata e sintetica fino alla stilizzazione; il volume proposto come compresso e appiattito, ma denso e petrigno nelle ombre, e, in questa compressione, come scattante; il colore campito quasi a sillabare e a tenere diviso quello che il rilievo, pensato come continuo, unifica al di là delle cesure. L impatto che ha così la scena dechirichiana sul fruitore è duplice, sotto l azione immediata della rivelazione purificatrice, della katharsis inscritta nelle figure, la malinconia deflagra di colpo. Ma al secondo momento, di successiva riflessione, la limpidezza del contrasto la congela; se la dinamica è interna ai volumi compressi e al succedersi, anche parallelamente, delle diagonali, la composizione si realizza senza un vuoto, eppure senza apparire congestionata dalla sospensione che questa contesa apre nel tempo: sospensione che rappresenta lo spiraglio da cui l eterno, l aidios entra nel divenire o meglio in cui il divenire si fa eterno divenire. Giorgio de Chirico, Cavalli antichi/gruppo cavalli, 1969. Bronzo patinato, cm. 36,5 23,5 34,5 IV. Amor fraterno : una metafora ironica della rivalità Che cosa sono nel capolavoro Amor fraterno: il fantasma di Breton quei tre gladiatori se non i Marmidoni, come racconta de Chirico nel romanzo Hebdomeros, che combattono nelle camere vuote? Chi rappresentano e, soprattutto, cosa significano? Nella destra della tela è raffigurato Alberto Savinio che pugnala il cranio del fratello Giorgio de Chirico, nel tentativo disperato di esorcizzare ogni influenza, ogni syllogismos surealista che Breton, nascosto dietro di loro, possa inculcare nella poikilometis, nella mente colorata del fondatore della Metafisica. Le sue opere sono la traduzione pittorica delle grandi figure filosofico-poetiche di Nietzsche, con un nodo inestricabile di gioia e di dolore che appunto nel tragico si manifesta e che è la verità degli enti, o meglio degli esseri. Dopo la fortuna presso i surrealisti dei dipinti eseguiti tra il 1915 e il 1918, è questa l epoca del noto passo di André Breton in cui condanna nel 1926 la consuetudine di de Chirico di rifare soggetti del primo periodo nel quale l accusa, con tono di anatema, di falsario, addirittura di truffatore. Nel giro di due anni s inasprisce la polemica con Breton e i surrealisti che allestiscono in una stanza della Galerie Surréaliste una vetrina contenente delle parodie della sua opera; contemporaneamente, in La révolution surréaliste, compare una foto molto kitsch, dedicata a lui, in cui le Piazze d Italia vengono trasformate in Torre di Pisa, con l aggiunta della scritta funebre Ci-git G.D.C. Non escluderei così in quegli anni, sotto l impressione traumatica di quell asserzione bretoniana, che de Chirico si abbandonasse ad una ricerca di illusione, perché credeva, o faceva credere di non sentire la scissione profonda che divideva, tra il suo passato e il suo presente, la sua anima di pittore saturnino. Il gusto del molteplice fa dell opera di de Chirico una sorta di brulicante, coloratissima enciclopedia di immagini e oggetti: un sontuoso catalogo di destini e di maschere; un regesto immenso di voci e di corpi, di sapori e di paesaggi. Nell Amor fraterno: il fantasma di Breton misurandosi con 11

tanti orizzonti, il suo volto nato sotto l ora di Saturno, questo impietoso Dio-astro della melancholia, si sdoppia, si triplica, si moltiplica: assume via via i lineamenti del pittore fluente e del pittore puntinista, dell intarsiatore e del tessitore, dell ebanista e dell orafo, dell attore e del giocoliere. Ma il Male, se pur sempre in agguato, è un abisso sempre pronto a dischiudersi sulla scena del tempo: De Quincey lo contempla, allucinato, nel gesto che trasfigura gli assassini in demoni; Dostoevskij lo riconosce nel gelido sorriso di Raskol nikov e nell odioso delitto consumato da Stavrogin su una bambina; Stevenson lo percepisce nell orrore che emana da Hyde o negli occhi, ridotti a capocchie di spillo, di John Silver mentre pugnala il marinaio fedele. Sia pure molto meno tragico, il Male in de Chirico sfugge alla presa della ragione e della morale. Attraverso e oltre una lotta serrata tra giusto e ingiusto, fra strazio e luce, fra candore e colpe, è possibile identificare alcune coppie di gladiatori in riposo, con le figure dei due fratelli de Chirico, e quindi ipotizzare per estensione che alcuni degli scontri raffigurati siano la metafora ironica di una rivalità, non tanto artistica, quanto ancestrale e relativa ai rapporti affettivi col padre e la madre 12. In Amor fraterno: il fantasma di Breton questa è forse la risposta-mistero più convincente all antico monito della profetica roccia di Delfi: Conosci te stesso, che ritroviamo sempre sul nostro cammino, senza che ci sia dato di capire chiaramente se questo monito per de Chirico contenga un invito o una proibizione, o addirittura la sfida all impossibile. V. La finzione simbolica de Il cavaliere frigio Un piccolo racconto di Honoré de Balzac, Il capolavoro sconosciuto scritto intorno al 1830, profetizza l arte della modernité. Ma il termine avanguardia comincia ad avere senso solo a partire dalla Lettera del veggente, che il giovanissimo Rimbaud manda a Paul Demeny il 15 maggio 1871; in essa si avanza l illusione, che sarà propria di tutte le avanguardie storiche del Novecento, di un essenza, divina phronesis artistica come avamposto del mutamento effettivo della realtà. Già Giuseppe Ungaretti nel 1935, nel suo saggio sui Caratteri dell arte moderna, sottolineava l urgenza di riportare nei nostri spiriti gli antichi miti, non come modi neoclassici di imitazione oziosamente accademica, ma come figure di una giovinezza spirituale ritrovata 13, che confina tra l infinito e il finito, tra l essere e il non essere. Al pari di un fiume che trascina verso il nulla, senza che il nulla spenga lo sguardo dell artista per abbagliarlo di buio, Giorgio de Chirico ha cercato nei dipinti L Enigma di un pomeriggio d autunno del 1910, La nostalgia dell infinito del 1911 e Malinconia / Solitudine del 1912 di rappresentare questo interstizio in vari modi. Ma sempre si è perduto, e al tempo stesso e ciò è lo straordinario paradosso della sua opertio immaginativa, perdendosi, ha mostrato e reso visibile l inespresso, in un punto in cui il linguaggio mostra la sua insufficienza e superando i propri limiti si spinge nell inesprimibile: incomincia, profetizza il Maestro di Volos in Zeusi l esploratore, a scorgere i primi fantasmi d un arte più completa, più profonda, più complicata e, per dirlo in una parola [...] più metafisica 14. Duplice come la luce crepuscolare che tiene dentro di sé l oscurità della notte e la luce del giorno, nel quadro dechirichiano Il cavaliere frigio del 1938 la forza del cavallo si trasmette al cavaliere, manifestando una diversa tensione: non più, o non ancora, quella tra cosmos e logos, l impetuoso agone tra l essenza di forma del dionisiaco e l eccesso di forma dell apollineo, che si sospende miracolosamente sulla soglia dell istante, del tempo ora, in cui tutto si affaccia davanti all artista e davanti a noi. Senonché, l urgenza della materia e la volontà della forma si attraggono con la stessa intensità con cui queste confliggono. Malgrado siano raffigurati da dietro, il cavallo e il cavaliere, simboli dell umanità nel crepuscolo del mattino, viaggiano verso il futuro, che trasforma il noto in ignoto, l abituale nello strano, il solito 12 Paolo Baldacci e Gerd Roos, De Chirico, catalogo della mostra antologica al Palazzo Zabarella di Padova, Marsilio Editori, Venezia, 2007, p. 202. Ma si consulti anche Paolo Baldacci, Giorgio de Chirico. Gladiatori 1927-1929, Skira editore, Milano, 2003, p. 131. 13 In Vita d un uomo. Saggi e interventi, a cura di M. Diacono e L. Rebay, prefazione di Carlo Bo, I Meridiani Mondadori, Milano, 1974, p. 280. 14 Valori Plastici, a. I, n. 1, Roma, novembre 1918, p. 10. 12

nell insolito. Ma il loro sguardo è volto tra il qui e l altrove: resta aperto anche al passato; verrebbe voglia di dire con Baudelaire, in ogni luogo purché via dal mondo. Come in altre tele coeve quali Cavalieri sulla spiaggia del 1937 e Dioscuri del 1939, ne Il cavaliere frigio, che misura cm. 42 32, il movimento della storia non è finito; non c è nessuna visione ultima, nessuna sosta definitiva, nessuna meta raggiunta per sempre. Rivisitando la Metafisica di Aristotele, dice de Chirico: cosa dobbiamo dunque vedere con la noesis, il pensiero stesso per il quale Dio è Dio? Forse è giunto al punto segreto dove il tempo e l eterno, l aidios coincidono. Il tempo, una volta così espressivo, ha accettato il ritmo estatico dell infinito: mentre l eterno, invece di cristallizzarsi in un punto immobile, si muove senza fine, come la sorgente d acqua che zampilla verso la vita eterna. Quando Giovanni Evangelista scrive l Apocalisse non procede mai in linea retta, da un punto all altro, seguendo la conseguenza logica e narrativa dei fatti: muove secondo cerchi successivi, onde concentriche, che variano e rinnovano i temi e le immagini, crescono disperatamente d intensità, via via che si avvicina la fine; e tuttavia, all inizio dei cerchi, sta sempre qualche segno che anticipa gli eventi, qualche voce d angelo che li dà già per realizzati, accrescendo la nostra tensione e l attesa. Così, nelle dieci litografie ideate nel 1934 per il testo Mythologie di Jean Cocteau, de Chirico proietta nel futuro le sue esperienze presenti o passate, i sogni e le speranze che nutrono la sua vita di esiliato. Se Ulisse, nove anni dopo ritornato a Itaca, mostra di essere un maestro di inganni, il fondatore della Metafisica avverte sulla carta bianca la presenza dell evento che sta per erompere davanti ai nostri occhi: le immagini disegnate sulla pietra, labirintiche come Arianna tanto da anticipare i Bagni misteriosi, impenetrabili e profetiche ci sembrano frammenti di futuro, aeroliti di futuro che una mano prodigiosa ha strappato all ignoto del tempo. Non c è, per Il cavaliere frigio, che un punto di riferimento: l idea del movimento di Rubens, ma senza la qualità delle textures policrome, sulla quale il Maestro fiammingo precisa Gombrich deve fissare l attenzione Giorgio de Chirico, Il segreto della fontana, 1971. Litografia colorata a mano, cm. 70x53 dopo aver assimilato le forme dell antichità 15. De Chirico non sottolinea e non commenta: la sua formazione classicista l ha abituato ad un obbiettività formale, ad una fermezza compositiva assoluta. La struttura di questo quadro ha un rigore, una puntualità, quali si possono trovare, tanto per restare alla produzione della stessa stagione creativa, soltanto ne Il buon Samaritano del 1939 e nel Perseo libera Andromeda del 1942. Entro una simile koinè ponderata e guardinga, però, vi sono un fervore e una concitazione tanto maggiori in quanto compressi; la sommarietà della resa pittorica è estrema come può vedersi specialmente 15 Ernst H. Gombrich, Reflections on the history of art: views and reviews, Phaidon Press Limited, Oxford, 1987; trad. it. Riflessioni sulla storia dell arte, Einaudi, Torino, 1991, p. 174. 13

VI. Nel museo ideale dell artista Paysage de la Seine Giorgio de Chirico, Il guardiano delle Termopili, 1970. Litografia colorata a mano, cm. 70 57 nella criniera e nella coda di cavallo: un ordito figurativo che ci ricorda Delacroix più di Géricault. È una visione rapida, captata e fissata nella sua essentia, in quanto è un compendio che diviene traccia della coscienza. Non è un abbozzo, come quello del Cavaliere con berretto rosso e manto azzurro della Galleria Nazionale d Arte Moderna di Roma, ma una forma pittorica conclusa e assoluta. Nel Cavaliere frigio de Chirico si muove in mezzo a frammenti di futuro, orrida casualità, enigmi e ancora frammenti che vengono dal passato e che si accumulano davanti a noi. La forza del pensiero deve comporre in una forma questa pluralità incontenibile: una morphe che li contenga, ma che anche li esprima in quella tensione che impedisce che essi siano pacificati all interno, di una costellazione o, come dice Nietzsche, nella finzione di un mondo vero. Tutto il Fedro di Platone è all insegna del pathos, della passione dell ora immota, dunque di un ora sottratta al prima e al dopo del procedere del tempo. L ora immota, l ora athanatos, immortale, vale a dire l ora senza tempo, è anche il grande attimo dello Zarathustra nietzscheano, l attimo che il filosofo greco nel Parmenide aveva definito un atopon, letteralmente un tempo che non ha luogo: un mondo di mezzo, un interstizio che quando si muove muta nella quiete e quando è fermo muta nel movimento. L ibridazione dei tempi, assai lontana tanto dall imperativo di Rimbaud di essere absolument moderne quanto dalla via della salvezza indicata da Rilke nei Sonetti a Orfeo, domina la pittura e la scultura di Giorgio de Chirico, con una Zwilicht, una luce doppia, in cui notte e giorno, finzione e verità, si compenetrano e si dilatano come nei momenti epifanici della creazione. Fin dall inizio non è un caso che il Pictor Classicus decida di dedicarsi alla ricerca figurativa, incominciando a rivisitare l arte del passato, partendo dalle sale del museo, dalla pittura e non dalla realtà, dall eidos, dall idea estetica e non dalla physis, dalla natura fenomenica e che, nella sua mente echeggino idealmente capolavori dell archeologia greca e romana; dei primitivi toscani Giotto, Agnolo Gaddi e Pietro Lorenzetti; Paolo Uccello, Luca Signorelli, Mantegna, Raffaello, Michelangelo, Dürer, Tiziano, Tintoretto, Rubens, El Greco, Agostino Carracci, Nicolas Poussin, Friedrich Delacroix, Arnold Böcklin e Max Klinger. La purificazione, la katharsis anche del sentimento è un intima aspirazione di de Chirico, un polo magnetico composto di silenzio e di abbandono ai suoi echi d infinito, che tende a richiamare a sé ogni moto d esuberanza. Certo, ne L antichità come futuro per dirla con il titolo di un significativo libro di Rosario Assunto, egli vuole chiudersi deliberatamente, volontario esiliato da qualsiasi cadenza e theoria delle avanguardie e postavanguardie, convinto che i giochi siano ormai compiuti per sempre e che alla sfilata di stanze di un museo ideale non sia più possibile aggiungerne alcuna, e non resti quindi che ripercorrerle di continuo attraverso secoli e secoli di storia dell arte: il paesaggio classico con templi e statue, le prospettive quattrocentesche, l esagitazione barocca, l illusionismo romantico) in tutti i sensi. Se però il termine di museo appare troppo severo ed im- 14

pegnativo, allora si può ricorrere alla nozione molto più pertinente di sogno: questo riciclare, in effetti, è simile all esperienza onirica che, come ci suggerisce Freud nei motti di spirito e nei lapsus, ed Heidegger nelle pagine iniziali del suo Nietzsche, non porta alla produzione di immagini radicalmente nuove, ma a un diverso impiego di quelle accumulate nelle teche della memoria. Nel Paysage de la Seine, che è databile intorno al 1926, cioè lo stesso anno in cui viene pubblicato Il Gusto dei Primitivi di Lionello Venturi, c è quasi con i rettangoli e i trapezi delle facciate delle case, del quadrato del molo, del triangolo della vela un omaggio a Giotto, il pittore il cui senso architettonico raggiunse alti spazi metafisici. Tutte le aperture (porte, arcate, finestre) che accompagnano le sue figure lasciano presentire il mistero cosmico 16. In de Chirico la natura non è, come nei surrealisti Max Ernst e Joan Miró, il luogo delle forze misteriose ed oniriche: è il luogo ove gli enigmi dell esistenza, santificati dal soffio dell arte, svestono l aspetto ingrovigliato e pauroso che fuori dell arte l uomo s immagina, per rivestire l apparenza eterna, tranquilla e consolante, della costruzione geniale 17. Non vi sono gerarchie: le nuvole in corsa, un guizzo di luce sulla corteccia di un tronco o su una piega del terreno grasso, sono tutti fenomeni e hanno la stessa forza d appello. Su che cosa? Non la sensazione oggettiva, corporea, che basta a se stessa, ma sul Mysterium mirabile di un albero, di un corso d acqua, di una roccia: non c è uno spazio che contenga le cose, ci sono soltanto le cose, e la loro determinazione determina lo spazio o quanto meno un estensione infinita della metamorfosi della luce e dell ombra, del conosciuto e dell ignoto, del rivelato e del nascosto. Non si può dire che Paysage de la Seine, un olio su tela che misura cm. 38 46, sia un quadro arcadico, invitante, e offra la pace della vita rustica all affaticato abitante della città; semmai è il fervore dell esistenza moderna che si trasmette alla natura e la mette in prospettiva psicologicamente [...], la sola scrive Ardengo Soffici che si confaccia al carattere lirico dell arte 18. Certo, c è ancora, sotto, l impianto prospettico del paesaggio classico, benché trasformato in pardeigma visivo; e, non di rado le stesse implicazioni storico-mitologiche-allegoriche di Argonauti del 1925, Il riposo di Alcmena del 1933 e Il ritorno di Ulisse del 1968. È uno schema che si rianima: la natura si rifenomenizza, risale tumultuosamente dal passato e dal presente al futuro. Nel dipinto Paysage de la Seine sensibilità e interesse convergono, fanno sintesi: la sensibilità non dà l attualità, ma l attesa, la verità del valore poetico. Mentre Poussin aveva applicato il metodo del classicismo, come Cartesio i principi formali della logica, de Chirico sostituisce il metodo al sistema: rinuncia al mathesis, allo studio classico, stabilisce la giustezza dei valori attraverso il ragguaglio, il confronto, la riduzione delle scale quantitative alla giustapposizione delle qualità immaginative. VII. Nell opera della Sotilis il teatrino delle meraviglie Nel lavoro pittorico e scultoreo di Lisa Sotilis il mito si afferma presentando tutto il suo complesso apparato metaforico, come un enigma da indovinare, come un discorso ermetico offerto agli iniziati; o meglio ancora come un gioco letterario sull enigma, una sua abilissima melodia, al pari nell Edipo re della cupa cantatrice che è al contempo dipus, tripus, tetrapus. Ma le immagini dell artista sono cariche di una vita simbolica reale che oggi ci tocca profondamente: le creature mutanti, le prospettive distorte e i piani sfuggenti che sembrano corrispondere ad una allucinata degenerazione della percezione provocano un senso di vertigine. Puntualizza ancora Salvatore Quasimodo: È certo che la Sotilis non lavora sugli anni o sui secoli, ignora la spinta di un riferimento presuntuoso alle esperienze dei maestri immediati, ma la sua dimensione affonda nei millenni, è come una materia (ecco che ritornano le zolle di Afrodite e di Persefone) nella quale si sciolgono le antinomie delle scuole, le inimicizie delle generazioni 19. 16 Giorgio de Chirico, Il senso architettonico nella pittura antica, Valori Plastici, a. III, n. V-VI, Roma, maggio-giugno 1920, p. 60. 17 Idem. 18 Le due prospettive, in Divagazioni sull arte, La Voce, Firenze, 22 settembre 1910. 19 Visti da Salvatore Quasimodo, ed. cit., pp. 122-123. Sullo stesso tema si rammentino di Floriano De Santi almeno tre 15

Lisa Sotilis, Apollo, 2000. Bronzo lucidato e patinato, cm. 85 55 15 Con le tempere Il giardino di Iside del 1957 e Omaggio a Esopo dell anno seguente la Sotilis introduce un teatrino di meraviglie, che il caleidoscopio delle luci e dei colori pare muovere e trasformare come nell eterno e mai uguale ripetersi delle ore e apparire delle stelle. Le sue composizioni rimandano al concetto del cosmo: la vibrazione di una foglia al flusso della vita, l equilibrio armonioso di un cavallo o di un nudo muliebre all infinito bilanciarsi delle sostanze e delle energie nei fenomeni epicuriani della physis, della natura. Così, dalla magia per i bambini delle carte ritagliate che divengono le caravelle che solcano i mari della fantasia, tutti i personaggi e le cose del castello, l artista ateniese fa nascere un linguaggio che come quello di Alice del paese delle meraviglie coltiva sistematicamente il non-sense della metamorfosi metafisica e surrealista: scava nel Regno dello Specchio, oltre la luminosa nebbia d argento, dove tutto è capovolto. Nel bronzo Fenicottero di Alice del 1980 la Sotilis sceglie i simboli più visibili, attraverso un discorso lirico nutrito di antichi riferimenti culturali, che portano il procedimento del gioco al suo valore più profondo di rivelazione del vero nelle regole della finzione. Con la sua pittura dall Autoritratto del 1959 ad Afrodite del 1972 e alle Due atlete del 1980 la Sotilis mostra di voler aiutare la bambina che è ancora in lei, a tener ben fermo nel suo cuore ciò che ama e non vuole perdere: il piacere del volo fantastico, il volo nello spazio cosmico, il volo intorno all eraclitea psyches peirata, confine dell anima, per attraversare la strada della favola legata a un tempo puro e distanziante, ad una grazia intatta intessuta di realtà e simboli, che possiedono la semplicità festosa dell infanzia insieme a una profonda spiritualità. Ma ciò che elude l intelligibile non elude l intuibile e consegna alla visione un reale potere suggestivo, un sospetto sottile e malinconico di attualità. Nella materia policroma di Terra di Agamennone del 1969, Tramonto a Cartagine del 1980 ed Esplosione vitale del 2008, le forme bruciano come impronte; la luce emerge piano dalle grotte, dai fondi, dagli orizzonti; ali oscure ovunque fremono, si distendono, proteggono e minacciano; a volte dagli spessori abbruniti delle nuvole nasce uno smeraldo d aria o dalle onde dense come lava un taglio di azzurro; a volte i bruni del cielo e i bruni del mare si fondono così mirabilmente da formare una sola parete di viola. Oltre al mito, la Sotilis e de Chirico hanno in comune proprio l elaborazione del sogno, e l aver intrapreso quepubblicazioni: Il mito nell opera di Giorgio de Chirico e di Lisa Sotilis, catalogo della mostra nella Rampa di Francesco di Giorgio Martini ad Urbino, Vallecchi, Firenze, 2009; Sotilis. Le figure della seduzione, catalogo della mostra al Teatro Rossini di Pesaro, Umberto Allemandi, Torino, 2009; Giorgio de Chirico e Lisa Sotilis. I mille occhi della Sfinge, catalogo della mostra nella Pinacoteca del Porto/Centro Culturale di Hermoupolis, Isola di Syros (Grecia), 2010. 16

sta via non significa affatto aver aderito alla poiesis surrealista; anzi nessuno dei due si è mai riconosciuto nel movimento di Breton. Nel caso del maestro della Metafisica la causa di questo rifiuto è forse più complessa, ma rasenta, benché apoditticamente e con violenza polemica, quelle stesse motivazioni anti-programmatiche che nella Sotilis appaiono chiarissime e serenamente ragionate. Per la scultrice di Omaggio a Fidia del 2005, Poesia di Saffo del 2006 e Metamorfosi di Persefone del 2007, la dimensione del miracoloso è qualcosa che si manifesta abnormemente nell ambito del naturale, servendosi delle sue leggi sia pure per sconvolgerle, o semplicemente capovolgerle. Il surreale è invece l autre, un altra realtà, ignota e allucinante, suprema ma anche sotterranea, dotata di leggi e meccanismi diversi, suoi propri, inaccessibili, oscuramente profondi. Laddove nella Sotilis non è mai l oscurità ad annunciarne il messaggio, ma come un improvviso intensificarsi di luce; quella luce che modula il bassorilievo di bronzo dorato Autoritratto con fiori del 1975 come se fosse tessuto da un ape: come un moto d onda o una caduta di piuma, che continuamente debordino dall assiologia e dall assioma del presente. Lisa Sotilis, Omaggio a Fidia, 2005. Bronzo lucidato e dorato, cm. 47 29 8,5 VIII. La malinconia della materia Forse è vero, come scrive Walter Benjamin in Passagen-Werk, che si desidera solo ciò che si vede. Forse è vero anche che si può desiderare l ignoto, lo sconosciuto, ciò che è altro, che questo abbia vita nella realtà visibile e palpabile o meno, nel suo essere visibile anche come pensiero, come phronesis attraverso cui si esercita un potere di seduzione. Ma l incanto non vuol dire probabilmente attrarre? Non significa pertanto avvicinare a sé? Non lo si può negare, ma quello che il filosofo berlinese suggerisce è che tale avvicinamento è anche una distanza. Mantenere l ousia, l essenza della distanza, in altri termini, è quanto la seduzione esige per la percezione della bellezza o della scoperta nel processo conoscitivo dell arte. Partendo da questo punto di vista puntualizza María Zambrano ne El sueño creador: A cominciare di lì, finché si mantiene la tensione si vive dentro un sogno. Nella produzione d oreficeria di Lisa Sotilis avvicinare vuol dire allontanare, accostare respingendo, accogliere esiliando. Si tratta di uno strano ossimoro, di un curioso paradosso che il doppio significato del termine seduzione dovrebbe contribuire a porre in rilievo. Poiché, se per un verso seduce ciò che attira, dall altra parte attira ciò che porta altrove. Dunque da un lato ducere ad se: è il significato più ovvio, quello che se assunto in termini esclusivi cattura la seduzione, l incatturabile stesso entro gli schemi, di un rito un po banale; dall altro se(d)-ducere (l etimologia ci richiama a questa radice, l unica realmente corretta): condurre via, sviare, allontanare. Il movimento dell actio in distans, così come la Sotilis lo prefigura, si sviluppa in un simile spazio, che apre e che chiude l opera come il coro nella tragedia attica, anch esso testimone dell affiorare, dice Sofocle nell Edipo re, di ciò che è nascosto, dell inapparente. Il lavoro fantasmatico di un immagine non si risolve mai in un punto isolato, ma nella dinamografia come ha dimostrato Warburg della sostanza immaginativa nel suo complesso. Rispetto alla pittura e alla scultura e alle 17

Lisa Sotilis, Canto di Saffo, 2006. Bronzo lucidato e dorato, cm. 58 50 8 loro verificate possibilità tecniche, i colori dei gioielli della Sotilis appaiono di una qualità diversa, che non dipende da un accelerazione di frequenza o di vibrazione, ma all opposto da una loro improvvisa fissazione, e cioè non soltanto dal loro immedesimarsi con la durezza del metallo o della pietra, ma dal loro inserirsi in un contesto plasticodinamico, dal loro trovarsi coinvolti in quella deflagrazione del nucleo con cui l eidos, la forma non soltanto si espande ma si esalta a fuoco con lo spazio. Più che frammenti proiettati i colori sono lembi strappati alla realtà visiva del mondo, ricaduti nell epicentro del fenomeno o dell evento. In Fleur de l Eden del 1981 e in Danse byzantine del 1992 la Sotilis si rende conto che la kalon, la bellezza non è più quella pensata da Platone o da Plotino. Quella è letteralmente saltata, come la cintura di Sancho nel Don Chisciotte ha fatto esplodere quella di Venere. È saltata, definitivamente esplosa sotto la passione della materialità, che essa aveva occultato, ma che non aveva potuto sopprimere: l urgenza della materia sensibile (aisthete), che non può essere fatta tacere, per quanto sia sottoposta a una sorta di macerazione intelligibile (noete), che finisce per generare i fantasmi, fin troppo materiali, che hanno tormentato e tentato sin dalle prime prove l artista greca. Il soggetto (da Hommage à Agamennon a Hommage à Toutankhamon), preso tra questa ansia di assoluto e l opacità del mondo, è lacerato, straniero, senza luogo, in un epoca in cui la freccia del tempo, che sembra correre verso un progresso indiscutibile, si è invece definitivamente spezzata. Quasi un secolo e mezzo fa è Flaubert che ha parlato di una malinconia della materia, come una sorta di substrato ontologico costitutivo del mondo: malinconia che penetra tutta di fronte alla percezione di un inarrestabile oscillazione del mondo, che deve però essere, in qualche modo, contenuta o arrestata, perché in esso si possa avere luogo e dare alla malinconia stessa una forma 20. La Sotilis cerca questa traccia di consistenza, e la cerca in ciò che sembra essere più distante dalle ansie del nostro tempo, in quella ricerca del frammento archeologico non più come conquista, ma come etimologia assoluta nella sua ellissi senza confini (così, l ha suggestivamente definita Quasimodo). Il legame tra i disegni e le sculture, le pitture e gli ori è sottile. Certo, nelle collane, nelle spille, negli anelli e nei bracciali si arriva subito alla rottura della superficie bidimensionale, all insorgere della plasticità dell immagine. Distrutta dalla ritmica penetrante della techne incisoria, quella superficie non è del tutto annullata, rimane come un diaframma nello spazio su cui le infinite sostanze policrome e presenze luminose vengono intercettate e sistemate, come se si accendessero di un ultimo e decisivo guizzo prima di spegnersi. 20 Al pari di de Chirico, il mistero di Arianna, l enigma di una vita che contiene dentro di sé, congelata nella malinconia, anche la morte, adombra il lavoro creativo della Sotilis. Figlia di Minosse re di Creta, Arianna è la donna di un eroe, Teseo, e di un dio, Dioniso. È congiunta al Minotauro e, al tempo stesso, fornisce a Teseo il filo per distruggerlo. Nei Frammenti postumi recita Nietzsche: Oh Arianna, tu stessa sei il labirinto: da te non si esce più fuori. 18