MEMORIE DI VIAGGIO: UCHIDESHI IN IWAMA



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MEMORIE DI VIAGGIO: UCHIDESHI IN IWAMA Viaggiare dall Italia al Giappone, ecco la mia cosa preferita! La prima volta che potei osservare il suolo Giapponese dall aereo ciò che colpì la mia attenzione e fantasia fu la visione di tetti con lucide tegole di un intenso blu. Ho avuto la possibilità di andare in Giappone diverse volte per studio, allenamento o puro piacere e sempre ho avuto in mente la visione di quei tetti blu; potrei dire che ogni volta che vado in Giappone non mi sento veramente lì finché non li vedo dall'oblò dell'aereo e mi rendo conto di essere cosi lontano.. ma a casa. Nei primi viaggi che feci in Giappone mi dedicai quasi interamente al Kendo ed allo Iai-Batto Do, soltanto nel 2004 trovai ad Osaka un dojo di Aikido dove si praticava lo stile di Iwama. L' esperienza fu traumatica.. nonostante il dojo in cui praticavo ad Ostia, la mia città, fosse un dojo che seguiva lo stile di Iwama ed io avessi preso lo shodan alcuni mesi prima constatai con rammarico che ciò che credevo di saper fare in realtà non era sufficiente per il grado che avevo. A quel tempo era già venuto a mancare da un paio di anni il M Morihiro Saito, che con la sua enciclopedica conoscenza delle tecniche di O' Sensei Morihei Ueshiba aveva portato l' Aikido praticato ad Iwama in Europa, quindi non mi preoccupai troppo di cercare un dojo dove praticare Aikido. A distanza di qualche anno ho avuto la possibilità tramite il mio maestro, Paolo Corallini, di poter passare ad Iwama, nel dojo del fondatore, dei periodi come uchideshi, ovvero allievo interno del dojo, e provare sulla mia pelle la differenza che intercorre tra il praticare Aikido e vivere L'Aikido. Una bella domenica mattina a Tokyo ci trovammo con gli amici Andrea Bonesi ed Anthony Montoya per andare ad allenarci allo honbu dojo nel quartiere di Shinjuku ed avemmo l' occasione di praticare alla lezione dell' attuale Doshu Moriteru Ueshiba, alle dieci circa del mattino se non ricordo male. Molto comodo. Devo dire che per me l' esperienza dell' allenamento all' Honbu dojo fu alquanto deludente, un allenamento molto atletico ma in definitiva non molto tecnico..fu cmq un' esperienza..imparai cosa non fare in certe occasioni. Io Andrea ed Anthony portammo al Doshu un regalo da parte nostra e del nostro Sensei, quindi essendo l' unico dei tre che masticava un pò di giapponese, oltre che essere il Senpai in quella particolare occasione, mi apprestai a parlare con il Doshu il

quale ci chiese delicatamente se avevamo intenzione di fermarci all' Honbu dojo per gli allenamenti durante tutto il nostro soggiorno... beh... ho imparato negli anni che i Giapponesi quando si relazionano tra loro raramente contraddicono qualcuno o usano la parola no con decisione come siamo abituati a fare di solito noi occidentali!! In effetti per far trasparire un po di disappunto o quella che potrebbe essere una risposta negativa preferiscono tergiversare e girare intorno all'oggetto del discorso finché l' interlocutore non afferra il concetto che tutto quel da fare significa solo NO... diciamo che in fondo è un modo solo un tantino più diplomatico di negare qualcosa perché usare quella parola non è considerato molto educato! Tutto ciò lo avevo spiegato ai ragazzi circa cinque minuti prima di incontrare il Doshu sicché quando mi pose la fatidica domanda risposi con un sorriso da ebete... NO... NO... (uno non bastava).. noi partiamo questa sera per l' Ibaraki shibu dojo!! Il Doshu non espresse a parole quello che pensava... ma il suo sguardo fu abbastanza eloquente. Poi gli portai i saluti del nostro maestro e degli altri presenti, lui rispose molto cordialmente e ci congedò. Bella figura. Il pomeriggio stesso partimmo per Iwama. In effetti avendo passato il sabato sera nei locali di Shibuya, quartiere piuttosto vivace per quanto riguarda la vita sociale, quel che trovammo quella sera in Iwama ci lascio un po di sasso.. in effetti c'era la bellezza di... niente! Desolazione ecco cosa..il nostro riferimento per trovare il dojo dalla stazione dovevano essere degli alberi che spiccavano per la loro altezza, solo che quando arrivammo era buio pesto. Così girando un po a caso alla fine trovammo il dojo, anche un po seguendo alcuni vaghi ricordi di una mia visita puramente turistica di circa cinque anni prima. Arrivati al dojo tutti provammo il forte desiderio di fuggire e tornare a Shibuya tra i locali e le bellezze locali ma alla fine prevalse il nostro spirito di praticanti e ci presentammo agli uchideshi del dojo. Ovviamente fino a quel momento il dojo era stato per gli occupanti un luogo tranquillo dove cercare attraverso la pratica dura l' autoperfezionamento tecnico e spirituale; dopo il nostro arrivo le cose cambiarono un pochino. Effettivamente il dojo si presentava come un padiglione in stile tradizionale, il vero e proprio dojo, con annessa quella che era l' abitazione di O'Sensei, un piccolo dormitorio per le donne sul lato opposto ed un altro edificio, piu simile ad un capannone, che era lo shokudo o cucina degli uchideshi.

Tutto intorno verde e davanti l' ingresso del complesso del dojo un piazzale sterrato con l'aiki Jinjya, il tempietto Aiki,fatto costruire dal fondatore, dove sono custodite le quarantatré divinità guardiane dell'aikido. Le regole del Dojo erano tanto semplici quanto inflessibili. Sveglia alle 5 del mattino e pulizia del piazzale antistante l' Aiki Jinjya con rustiche scope di bamboo, poi seguiva il primo allenamento alle sei del mattino. Questo era tenuto tre volte a settimana da Inagaki Sensei Shihan, persona di notevoli capacità tecniche amante della pratica dura. Il suo motto era no pain no gain. Le sue lezioni comprendevano la pratica del makiwara... ovvero prendere a colpi di Atemi gli alberi e tirare serie di pugni su delle tavolette ricoperte di corda. Se poco poco si cercava di ammorbidire i colpi prontamente interveniva il Sensei prendendo la tavoletta e spingendola verso il pugno in arrivo dello sfortunato che in quel momento tirava i colpi.. con effetti facilmente immaginabili per le mani!! Intervallate alle serie di colpi sui makiwara ci si riposava con serie di piegamenti sui pugni da fare sul basamento di cemento del portale del Dojo.. oppure su di una tavola di legno. Poi lezione di Buki Waza.

Nei giorni che non era presente il Sensei ci si dilettava per la lezione del mattino cominciando con suburi alternati a serie di Tanren uchi tirati con un suburi-to, un bokken più massiccio e notevolmente più pesante di uno standard, su di un makiwara fatto con assi di legno e pneumatici, si continuava con ken awase e si finiva con tanren uchi con i Bokken, cinquanta a testa..moltiplicato per il numero dei praticanti dipendeva da quanti eravamo al keiko ma su per giù erano circa seicento o settecento suburi alla fine di ogni allenamento! Insomma l' allenamento del mattino si presentava sempre molto divertente. Poi si aveva un po di tempo per fare colazione ed eravamo liberi fino alle 10 circa quando iniziava il turno di pulizie. In questa ora e mezza si svolgevano attività di routine per la manutenzione del Dojo, pulizie del giardino, bagni, dormitori, aiki jinjya, dojo, sistemare l' orto e così via. Poi pranzo e possibilità di allenarsi di nuovo dalle 14 alle 15 circa. Di solito andavamo avanti fino alle 16 circa e poiché era molto apprezzato il nostro modo di praticare il buki waza ci veniva spesso chiesto di insegnare le armi nonostante in Iwama la questione delle armi fosse un po delicata. In effetti la prima volta fu molto imbarazzante. Il caso ha voluto che nei periodi passati in Iwama fossi io il Senpai più alto in grado tra gli uchideshi, sicché il pomeriggio dopo il nostro arrivo quando io, Andrea Bonesi ed Anthony ci unimmo agli altri ragazzi per l' allenamento pomeridiano ad un certo punto dopo il saluto tutti si girarono verso di me. Sul momento pensai di avere fatto qualcosa di sbagliato, che ne so durante il saluto, finché Erica la più anziana degli uchideshi disse.. Douzo Sensei..guardando verso di me. Il peso di quelle parole mi schiacciò e mi fece venire la sudarella... perché afferrai d' un tratto che mi trovavo, nonostante la mia scarsa esperienza, a fare lezione nel Dojo del fondatore. Lo stesso che avevo visto per anni in vecchi e piu recenti filmati e nel quale non avrei mai creduto di potermi allenare figuriamoci fare Io lezione. Eppure accadde proprio questo, così sia nel 2009 che nel 2010 capitò che fossi l' uchideshi più anziano e nei pomeriggi passati ad allenarci, poiché i Sensei facevano lezione solo la sera o la mattina, toccò a me fare lezione, alternandomi a volte con Andrea, di Buki Waza e di Tai Jutsu.

L'ultimo allenamento era dalle 7 di sera alle 8 od 8.30 e si finiva la giornata con la cena ed il coprifuoco dalle 22, che veniva puntualmente violato per i vari party di benvenuto, sayonara party o più semplicemente per delle bevutine con gli amici del dojo o con i Sensei nel dojo o nell' unico locale aperto in tutta Iwama. A parte gli allenamenti e l' aspetto ludico era profondamente intima l'esperienza di gioia e spensieratezza che si provava a vivere così profondamente ogni momento, dalla pulizia dell' Aikijinjya al bere con i Sensei. In effetti i rituali della pulizia del dojo erano più una sorta di misogi, oltreché una necessità igienica. Pulire il jinjya ed il dojo significava pulire se stessi, e giorno dopo giorno si acquisiva spontaneamente coscienza di questo. Le foglie venivano sì spazzate via dal piazzale.. ma le stesse foglie venivano spazzate via dai nostri cuori e dal nostro spirito.. giorno dopo giorno, senza fretta, senza meta. Fino a portare alla luce la fonte di vita e di bontà che sgorga dalla nostra anima. L' esperienza dell'uchideshi è intensamente spirituale oltreché tanto materiale nei vari dolorini che provoca per l' intensità degli allenamenti. É difficile descrivere cosa si prova a vivere l' Aikido in ogni momento, in ogni gesto, in ogni sguardo in quel dojo costruito dal fondatore in una atmosfera intrisa di Aiki e di spirito marziale, anziché praticarlo semplicemente 3 volte a settimana in posti per lo più arrangiati a dojo nei migliori dei casi. E' una esperienza, surreale per gente spesso abituata a dar sfogo al proprio ego con la corsa al titolo ed al certificato, che tutti i cosidetti maestri dovrebbero provare sulla propria pelle..e magari messi a confronto con un forte spirito di sacrificio ed una pratica intensa e talvolta frustrante, ci si renderebbe conto della vanità di tante dispute e chiacchiere e che il vero valore aggiunto di quello che O' Sensei ci ha lasciato è la possibilità di praticare.. e praticare senza chiedersi il perchè e per come, semplicemente farlo per migliorare se stessi.. e prima o poi il disegno, se ne esiste uno, di questo grande spirito Aiki si rivelerà in noi da solo, con il tempo, senza chiacchiere e dispute ma solo con pratica intensa, vera, in armonia con lo spirito del Budo. Nei periodi trascorsi in Iwama un ricordo particolarmente vivido riguarda un episodio in cui Inagaki Sensei, in occasione della visita all' Ibaraki shibu Dojo di un gruppo di circa 30 o 40 praticanti dell' Aikikai, durante la lezione di Buki Waza all' aperto chiese a me, all' amico Andrea Bonesi ed un altro paio di uchi deshi stanziali di insegnare alcuni esercizi con le armi a questi praticanti separati in gruppi di circa 6 o 7 persone. Come già detto in precedenza il nostro modo di praticare il Buki waza era molto apprezzato dagli uchi deshi ma anche da Inagaki Sensei, infatti durante questa lezione nel pratone antistante il Dojo ad un certo punto si sentì una voce che diceva

Riccardo san. INSTRUCTOR all' inizio non capii subito..al solito sono un po lento, poi per fortuna Inagaki Sensei chiamò anche Andrea ed un paio di suoi Uchideshi, quindi capii cosa esattamente voleva che facessimo. Fu molto imbarazzante cercare di insegnare a praticanti, giapponesi, perdipiù con una esperienza trentennale, il lavoro del bukiwaza di Iwama, non molto conosciuto ed ancor meno praticato. Comunque la lezione andò bene e i praticanti del gruppo furono molto carini con noi, ovviamente finì a mangiare e bere birra e sake tutti insieme in amicizia. Oltre agli allenamenti abbiamo avuto per ben due volte la fortunata occasione, per la visita al dojo di personaggi legati all' Aikikai, di assistere a cerimonie all' interno dell' Aikijinjya, dico fortunata perchè effettivamente il tempio Aiki, che ospita le divinità protettrici dell' Aikido, viene aperto veramente poche volte e solo in occasione di cerimonie particolari ed è stato veramente entusiasmante per non dire surreale poter assistere, in una atmosfera carica di energia e solennità, a queste cerimonie, una delle quali tenute dal Doshu in persona, all' interno del tempio che il fondatore costruì. Anche in questa occasione si finì con le gambe sotto il tavolo, seduto peraltro a un posto di distanza dal Doshu, tra cibo, birra e Sake. In effetti i giapponesi non perdono occasione per avere il bicchiere pieno di birra! Ho ricordi molto belli e vivi dei giorni passati ad Iwama, anche per i legami che si stabilivano con gli altri uchideshi. Una parte del tempo libero la passavo a studiare giapponese o leggere, a volte si passava anche molto tempo a giocare in giardino oppure a giocare a scacchi o in innocenti scherzi goliardici..da buoni Italiani l' eco delle nostre gesta risuona ancora tra le mura del dojo. Con l'amico Marco Carra, Andrea e Stefano nonché con gli uchideshi contagiati dal nostro buon umore non ci si lasciava sfuggire occasione per ridere e scherzare insieme, sempre nel rispetto della sacralità del luogo in cui eravamo ospiti. Come quando preparammo il caffè italiano per tutti, non abituati ma conquistati dal sapore ne bevvero in quantità eccessiva con il risultato che erano tutti un po più..vivaci. Sembravano aver preso degli anabolizzanti!! O come quando in occasione di Halloween si organizzò una piccola festa con tanto di dolci e maschere. Era molto bello ed interessante anche semplicemente parlare ed ascoltare genti diverse parlare dei loro paesi o delle loro esperienze di vita fuori e dentro il contesto dell' Aikido. Era come avere una finestra aperta sul mondo... giapponesi, cinesi, italiani, russi, tedeschi, polacchi, canadesi, americani, spagnoli, croati, ecc ecc.. tutti insieme, legati dal comune amore per questa disciplina. Una volta un ragazzo russo in occasione di una gita alla famosa cascata nei boschi intorno Iwama riusci a convincermi a provare a purificarmi, più

che altro fu un bagno, sotto la cascatella di acqua gelida appunto sotto cui lo stesso Morihei Ueshiba andava a praticare il misogi.ci avviammo dal dojo in bicicletta attraverso la campagna silenziosa passando accanto a case dai bassi muri di cinta e dai giardini molto curati, con i loro alberi potati a cuscinetti... tetti a pagoda piu o meno raffinati ma sempre molto curati. Da tutto traspariva un senso di pace e serenità e dopo una bella passeggiata di circa trenta minuti dovemmo percorrere l' ultimo piccolo tratto sterrato in bicicletta. Non eravamo soli, un furgoncino sostava nei pressi della cascata ed un uomo non più giovane si stava avvicinando a quel suo furgone con i capelli ancora bagnati. Un getto d' acqua limpida sgorgava da un canaletto di cemento, che sbucava tra le rocce, e cadeva nel vuoto per qualche metro fino a formare un ruscello di acqua limpida ed al tatto.. gelida! Non so come ma mi lasciai convincere a mettermi, in mutande, sotto l'acqua ghiacciata dal nuovo uchideshi di nazionalità russa il quale molto probabilmente era abituato a questo genere di passatempi. Fatto sta che resistei un pochino poi dovetti scappar fuori. Fu comunque una gita molto divertente e tutt'oggi sento molto la mancanza di quei luoghi suggestivi e degli amici che vi ho trovato. Nostalgia dei momenti vissuti e della tranquillità che avevo conquistato in comunione con le persone, con i luoghi e con me stesso. Diceva uno scrittore che raramente gli appartenenti ad una stessa famiglia crescono sotto lo stesso tetto. Nel dojo si viveva ogni giorno per imparare qualcosa, dagli allenamenti, dalla routine della pulizia rituale del piazzale dell' Aikijinjya alle 5 di mattina, dai lavori anche umili eseguiti per il buon vivere comune di tutti gli uchideshi e dal contatto con le persone di altre culture ed etnie. Vivere lì senza altra pretesa che condividere e poter imparare qualcosa, poter vivere l' Aikido. É questa l 'esperienza illuminante dell' uchideshi. Quiete interiore e serenità. Niente fretta o smania di avere, ma sete di essere.. e di vivere. Niente necessità di vincere o superare qualcuno se non le proprie paure e debolezze. Niente competitività.. solo la voglia di imparare insieme, è questo il vero miracolo, la vera grande eredità del fondatore e del suo Aikido. L' esuberanza del nostro ego filtrata, epurata di tutti i bisogni non necessari di cui ci appesantiamo l'anima. Questa nostra anima questo nostro essere disimpara l' inutile ed impara a danzare ai ritmi lenti ma più vivi della vita semplice e bucolica del dojo.

Riccardo Canavacci