Conclusioni. 1 - Le produzioni nell età di transizione (VI-prima metà del VII secolo)

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Transcript:

Gian Pietro Brogiolo, Sauro Gelichi 221 Conclusioni Alcuni contributi, pubblicati in questi atti, rispecchiano esattamente il contenuto della relazione presentata al seminario; altri se ne discostano, più o meno decisamente, nel tentativo, positivamente favorito dalle discussioni, di rapportarsi ad un progetto di ricerca confrontabile. L impressione, al di là dei risultati raggiunti dal singolo ricercatore, è che si sia imboccata la strada giusta e la decisione, maturata nel corso del seminario, di costituire un gruppo di ricerca permanente (denominato Ceramiche alto medievali dell Italia settentrionale: acronimo C e r a m I s) conferma del comune interesse ad affrontare uno studio coordinato e programmato allo scopo di delineare finalmente un quadro esaustivo delle produzioni e degli scambi dei prodotti ceramici. Tali temi mantengono infatti una posizione rilevante, seppur diversa rispetto alla tarda antichità, nella ricostruzione della storia sociale ed economica dell alto medioevo. Questo volume è una prima tappa significativa, anche se copre a macchia di leopardo l Italia settentrionale; riguarda infatti tre regioni solamente: il Piemonte, Brescia e l alto Adriatico veneziano. Per alcune zone qui non rappresentate (aree alpine, Liguria, Emilia Romagna, Friuli) esistono poi lavori già editi in altra sede, che consentono, per quanto siano talora riferiti a periodi e materiali non sempre confrontabili, di tracciare un primo disegno, pur con molti spazi ancora in bianco. In queste conclusioni si terrà conto inoltre degli interessanti contributi presentati al convegno da Gianni Rizzi e da Maurizio Buora, relativi rispettivamente all Alto Adige ed al Friuli, purtroppo non presentati alla pubblicazione. In questo quadro, la lacuna più vistosa rimane il Veneto centro occidentale, da dieci anni ormai assente in ogni sintesi sull altomedioevo nonostante i numerosissimi scavi stratigrafici che vi sono stati condotti. La sintesi che qui si propone ha poi dei limiti oggettivi, nell impossibilità di confrontare informazioni in parte disomogenee che, nonostante lo sforzo fatto, contraddistingue ancora questo volume. Talora per la differente cronologia che in parte sfonda l arco cronologico proposto; talaltra per alcune periodizzazioni ancora troppa ampie; in una certa misura anche per un diverso approccio metodologico. Non possiamo peraltro sottrarci dal tracciare una sintesi, consci che anche questa rappresenta una tappa di un percorso che necessita di successive periodiche relazioni. Ci sembra che, pur nell arretratezza che ancor contraddistingue questo genere di studi, stigmatizzata forse fin troppo duramente da Gloria Olcese nel suo contributo, si vadano prospettando, nelle regioni e nell ambito cronologico considerati, tendenze omogenee pur nel variare di situazioni vieppiù frammentate. 1 - Le produzioni nell età di transizione (VI-prima metà del VII secolo) Le produzioni tardo antiche, seppur importanti per comprendere i mutamenti dei secoli successivi, sono state deliberatamente trascurate da chi ha organizzato questo seminario con l obiettivo di focalizzare maggiormente i problemi del cambiamento nei secoli centrali dell alto medioevo. I problemi dell età di transizione emergono tuttavia con prepotenza e non poteva essere diversamente nella maggior parte delle relazioni, dalle quali si evince una marcata differenziazione tra l area alto adriatica, rappresentata da quattro relazioni (Spagnol, Castagna, Ardizzon, Bortoletto), e la Padania occidentale, testata negli interventi relativi a Brescia (Guglielmetti, Massa, Portulano e Vitali) e al Piemonte (Pantò). Da questo confronto si configura un netto rinnovamento delle produzioni di area longobarda, ove compaiono nuove forme e nuove tecnologie, dovute presumibilmente all arrivo di nuovi artigiani: qui sono documentate non soltanto le caratteristiche ceramiche a stampiglia e stralucido che propongono nuovi tipi funzionali, ma una ben più vasta gamma di tipi che spaziano dalle imitazioni delle sigillate alle invetriate, alle ceramiche comuni da mensa e da dispensa. Queste ultime, pur rientrando nei tipi funzionali dell età precedente, se ne discostano per gli impasti ed il trattamento superficiale, spesso confrontabili con quelli del primo gruppo. Nell alto adriatico, le trasformazioni appaiono, invece, almeno a considerare le ceramiche comuni, graduali e valutabili solo nel lungo periodo. 1. 1 -Importazioni di ceramiche fini ed imitazioni locali Le importazioni di terra sigillata sono ancora attive nei centri costieri della Liguria (S. Antonino di Perti è l esempio più eclatante), e anche in quel-

222 LE CERAMICHE ALTOMEDIEVALI (FINE VI - X SECOLO) IN ITALIA SETTENTRIONALE: PRODUZIONE E COMMERCI li dell area alto adriatica (Ravenna, Aquileia, Capodistria etc.). La distribuzione nell entroterra padano sembrerebbe legata esclusivamente alla mediazione adriatica, attraverso percorsi est-ovest. Le importazioni mediterranee non sono infatti documentate in Piemonte, ed è questo un dato assai significativo che potrebbe trovare una spiegazione nella difficoltà dei percorsi stradali nord-sud o nella maggior impermeabilità della frontiera bizantinalongobarda, mentre continuano a raggiungere la Lombardia, non solo orientale (Brescia) ma anche occidentale (Castelseprio), presumibilmente attraverso percorsi fluviali non interrotti e fors anche grazie ad una distribuzione più frastagliata dei territori bizantini e longobardi. Si potrebbe inoltre richiamare alla mente, a riprova della vitalità di questi rapporti, il famoso capitolare stipulato, sotto il regno di Liutprando, tra longobardi e comacchiesi (sudditi di Bisanzio), per il commercio del sale, a maggior ragione se, con il Mor, volessimo retrodatarlo alla prima metà del VII sec. (MOR 1977). Certamente si tratta di una presenza estremamente rarefatta: a Brescia solo il 3% del totale delle sigillate raccolte negli scavi di S. Giulia appartiene al periodo IIIB, che copre peraltro un periodo assai ampio (568-650), all interno del quale la presenza di sigillate è da presumere non abbia poi una distribuzione non omogenea. Una presenza che non va tuttavia sottovalutata né giudicata accidentale, dal momento che nei medesimi contesti compaiono, in una percentuale relativa assai più alta (63% del totale delle ceramiche fini), prodotti che imitano le sigillate, a testimonianza di una domanda che, seppur ristretta, non era del tutto scemata. Per le imitazioni vengono utilizzate differenti tecnologie: impasti e rifiniture a stecca che si ritrovano nella ceramica longobarda e, in alcuni casi, rivestimenti con vetrina sparsa. A mitigare l impressione di vitalità che il dato qualitativo pur suggerisce, va ribadita l esiguità del campione, di gran lunga inferiore all 1% del totale delle ceramiche presenti, ancora più trascurabile se si considera, come si è detto, la lunga scansione del periodo IIIB. Rimane il significato culturale: nella Brescia di fine VI-inizi VII secolo una parte pur ristretta della popolazione richiedeva ancora un corredo da mensa proprio della tradizione tardo antica. 1.2-Produzioni longobarde L elemento di maggior novità, con l arrivo dei Longobardi, è senza dubbio costituito dalla comparsa di alcuni centri di produzione che, come è ora evidente dalle preziose informazioni prodotte dai nuovi scavi di Brescia, realizzano con nuove tecnologie non soltanto le caratteristiche ceramiche a stampiglia e stralucido, note da tempo per essere state rinvenute nei contesti funerari, ma anche una più ampia gamma di prodotti che comprende, oltre alle imitazioni delle sigillate, anche ceramiche comuni ed invetriate. Per quanto riguarda le longobarde tipiche si conferma come siano quasi esclusivamente rappresentate forme da servizio potorio, tipiche dei contesti funerari. La resa a stralucido si ritrova anche su una lucerna ad alto piede e su un recipiente ornato da bugne impresse con il polpastrello; in un piatto che imita le sigillate vi è anche la decorazione a stampiglia (GUGLIELMETTI). Ben più articolato è poi il repertorio dei recipienti da mensa e da cucina che, pur privi di quelle rifiniture, sono realizzati con una pasta assai simile; comprende infatti ciotole, bicchieri, recipienti cilindrici, bottiglie e brocche, olle coperchi e catini-coperchi. Ad imporre cautela e ad impedire, allo stato attuale delle conoscenze, una generalizzazione, sta la scarsa attestazione, o addirittura l assenza, in altri contesti coevi bresciani, di questi prodotti, a fronte di un altissima frequenza (800 frammenti restituiti dagli scavi di S. Giulia) nella zona di produzione identificabile con la corte regia bresciana. Al contrario una situazione simile è segnalata in contesti piemontesi, come nelle sequenze coeve di Torino, palazzo Madama, dove sono attestate olle con impasti sabbiosi, leggermente micacei, affini alle longobarde e altre ceramiche con un trattamento di superficie a stralucido. E, ancor più significativa, è la somiglianza, per impasti e tecnologia, con la ceramica stampigliata rinvenuta a Mombello Monferrato e con quella a patina nera di Centallo. Assai simili sono anche le ceramiche longobarde scoperte a Mantova, in una capanna presso il battistero paleocristiano e in un contesto della prima metà del VII secolo nel castello di Monselice. E dunque evidente che, anche in regioni lontane, ma sotto il controllo longobardo, si manifestavano tendenze parzialmente simili. Se le somiglianze, mediante analisi, diverranno identità, verrebbe attestata una distribuzione interregionale delle ceramiche prodotte nei forni della corte regia bresciana, pur lasciando irrisolta la questione se tale diffusione seguisse le regole del libero mercato o quelle più sinuose delle relazioni all interno dei beni fiscali. Un ultimo, ma importante elemento, da considerare è l innovazione tecnologica e, in parte, funzionale per l introduzione del servizio potorio, che trova la più logica spiegazione nella presenza di ceramisti alloctoni, estranei alla tradizione tardo antica, della quale tuttavia imitano molti tipi funzionali. 1.3-Ceramiche invetriate Questo seminario ha confermato che la produzione di invetriate dalla seconda metà del VI fino almeno agli inizi del VII continua ad essere attestata nella Padania longobarda. A Brescia S. Giulia compaiono ancora ciotole, talora provviste di listello, ed olle che ripetono forme già presenti nella prima metà del secolo. Rinnovati paiono tuttavia gli impasti (più grossolani) e la tecnologia (cottura in ambiente meno controllato), mentre la vetrina, generalmente sparsa, non ha più funzione di impermeabilizzazione, ma è soltanto decorativa, indizio di una continuità culturale più che funzionale. Una nuova forma che sembra comparire solo

Gian Pietro Brogiolo, Sauro Gelichi 223 nel VI secolo inoltrato è l orcio di medie dimensioni, forse, come suppone Gabriella Pantò, in sostituzione degli anforacei che non compaiono più nei contesti piemontesi. Lo ritroviamo, oltre che a Castelseprio, dove è stato segnalato per la prima volta (LUSUARDI-SANNAZARO 1985), a Mombello Monferrato, Belmonte, S. Giulio d Orta e nei contesti di S. Giulia a Brescia. La notevole varietà della vetrina e di impasti (orci con invetriatura assorbita in Piemonte; vetrina assorbita verde sottile con effetto lucente violaceo a Torino, palazzo Madama; vetrine ancora diverse nelle fiasche di Biella e Testona; cinque differenti impasti nelle invetriate del periodo IIIB di Brescia S. Giulia: PANTO e PORTULANO) pone il problema, da risolvere anch esso con analisi, se si tratti di produzioni di differenti officine, o di tecnologie adattate a differenti tipi. Rimane poi da chiarire l area di diffusione di questi prodotti. 1.4-Ceramiche dipinte di rosso Non sono state segnalate, nelle cinque regioni oggetto di relazioni, ceramiche depurate dipinte di rosso che in Italia centrale (infra) e in Emilia, dove sono state rinvenute nei pozzi deposito datati alla fine del VI-prima metà del VII secolo (GELICHI 1993) costituiscono il principale fossile guida dell età di transizione. Tali ceramiche, almeno in questa area, sono state quasi sempre studiate in relazione ai prodotti di importazione (sigillate chiare), dei quali, in taluni casi, costituiscono effettivamente una palese imitazione. Questo approccio non solo ha condizionato le ipotesi di datazione (sempre ancorate, piuttosto strettamente, ai prototipi nobili), ma, nel contempo, ha impedito di individuare l eventuale esistenza di un percorso produttivo autonomo (ed inoltre di scandirne le tappe). Le cronologie seriori ora proposte per un gruppo di questi recipienti provenienti dal territorio modenese, in parte ancora supportato da riferimenti diretti con tarde forme di sigillata chiara (GIORDANI 1994), trova una parziale conferma con quanto avviene in altre aree della penisola (es. Toscana: vd. VALENTI), dove la produzione di questo tipo di ceramiche, pur con diversificate caratterizzazioni, continua nel corso del VII sec. Quanto riscontrato nel territorio modenese, oggi l area certamente meglio studiata da questo punto di vista sembra comunque riflettersi anche in altre zone della padania a sud del Po, sia della fascia occidentale che orientale. 1.5-Ceramiche prive di rivestimento Si è già fatto cenno alle produzioni di ceramiche prive di rivestimento, attestate a Brescia e in Piemonte, che per impasto e tecnologia sono affini ai manufatti longobardi, prodotti presumibilmente nei medesimi forni. Tipi del tutto nuovi sono anche i bicchieri ed i recipienti cilindrici, talora provvisti di listello, che imitano la pietra ollare e sembrano comparire in Piemonte nel corso del VII secolo (PANTO ). Recipienti cilindrici con orlo indistinto, sono presenti anche a Brescia S. Giulia, in contesti coevi, ma non si nota alcuna affinità con le produzioni piemontesi. Accanto a questi prodotti innovativi, permangono peraltro anche in area longobarda sintomi di continuità che si manifestano nell utilizzo di impasti e di forme proprie della tradizione tardo antica. Questa evidenza presuppone che accanto a produzioni di officine longobarde se ne conservassero altre di tradizione romana. Ma su questo tema vi è ancora molto da lavorare per delineare un quadro sufficientemente articolato regione per regione. Un rinnovamento graduale sembra testimoniato dalle ceramiche grezze dei centri bizantini dell area e della vicina terraferma, anche se occorre rilevare che i materiali dei quattro siti presentati al seminario non sono comparabili, almeno per la fase di transizione ex VI-VII. Di Oderzo non sono state illustrate ceramiche di questo periodo; per S. Pietro in Castello e S. Lorenzo di Ammiana la periodizzazione proposta (rispettivamente V- VIII e V-VII secolo) è ancora troppo ampia e non sappiamo quali altri manufatti ceramici fossero in associazione alle grezze, il che non consente di valutare il ruolo di queste ceramiche nei contatti con il mondo bizantino, ben attestati dalle monete auree e dai sigilli imperiali in piombo. Quanto ad Eraclea, si tratta, nelle fasi di V-VI, di un insediamento rurale nel quale non compaiono altre produzioni oltre alla grezza, presumibilmente quindi poco rappresentativo della realtà veneziana. Le variazioni sia della tecnologia che dei tipi funzionali che delle morfologie vi appaiono nella lunga durata, apprezzabili, come vedremo, solo per un confronto con un taglio cronologico di circa due secoli. Per quanto il quadro delle restituzioni pertinenti all Emilia Romagna sia tutt altro che modesto (basti pensare alle ceramiche rinvenute negli scavi di Classe (RA)), associazioni utilizzabili ai fini di una possibile scansione cronologica nell evoluzione delle grezze da fuoco e, contestualmente, impiegabili per una comparazione tra aree diversificate, o sono ancora inedite (es. le ceramiche provenienti da una serie di scavi, urbani e rurali, del territorio bolognese), o sono condizionate da approcci epistemologici tutt altro che ortodossi. I nuclei finora meglio individuati sono quello recuperato a Classe negli anni 70, già studiato e nelle linee generali pubblicato (GELICHI 1983), e il recente complesso delle ceramiche dai pozzideposito (GELICHI 1994): altri materiali provengono da contesti meno sicuri di Imola (BO), Villa Clelia (CURINA et Al. 1990). Le ceramiche scoperte da Classe e quelle modenesi dovrebbero essere all incirca coeve, ma documentano due diversi livelli tecnologici, nonchè un diversificato quadro dei tipi funzionali. Le prime sono ancora fabbricate al tornio veloce, sono sufficientemente standardizzate sul versante dimensionale, presentano decori sulla spalla di un unico tipo (a pettine), vicini comunque a quelli diffusi in questo periodo in un area molto ampia. Il numero delle forme è abbastanza limitato e, sopratutto, ancora strettamente legato alla funzione: in questo tipo di ceramica sono realizzate solo olle e catini - coperchi. Ceramiche con queste caratteristiche sono state

224 LE CERAMICHE ALTOMEDIEVALI (FINE VI - X SECOLO) IN ITALIA SETTENTRIONALE: PRODUZIONE E COMMERCI scoperte nel territorio dell antica Esarcato Pentapoli (Rimini, Comacchio, Argenta), ma compaiono anche nei livelli di inizi VII a Monselice (dunque in contesti oramai longobardi): recipienti simili sono segnalati anche in Abruzzo (STAFFA) e perfino a Roma (nello scavo della Crypta Balbi)(ex inf. RICCI). I problemi che pongono non sono affatto marginali. Innanzitutto sarebbe da definire se questa aria di parentela significa identità di provenienza (da Ravenna o da qualche altro centro e dunque da dove?) o semplicemente costituisca il frutto di una identità culturale (cioè quella bizantina, ancora forte nella prima metà del VII secolo anche in alcuni territori longobardi, a maggior ragione se da poco conquistati). In ogni caso il nucleo classicano che per petizione di principio non necessariamente dovremmo considerare di produzione locale, si discosta nettamente dalle coeve grezze presenti nel territorio modenese. Qui mancano alcuni tipi funzionali (esempio il catino coperchio), mentre al contrario compaiono, in ceramica grezza alcune forme come il boccale, che rappresentano, per questo periodo, una sorta di apax. Le ceramiche poi, sono fabbricate a mano o al tornio lento, sono definite a stecca, i motivi che documentano, quando presenti, sono dei cordoni a tacche ben diversi dalle più comuni onde a pettine. In poche parole il territorio modenese riflette, anche a livello di ceramiche grezze, una sorta di precoce isolamento avvicinandosi, per certi versi, ad un quadro che meglio si definirà, in tutto il nord della penisola, solo a partire dal secolo VIII (vd i n f r a). Classe e il territorio dell Esarcato-Pentapoli (ma bisognerebbe conoscere meglio la circolazione delle merci ceramiche al suo interno) riflettono, anche per quanto concerne le produzioni grezze, l inserimento in un circuito di importazioni o, comunque, di specifica connotazone culturale-tecnologica, ancora nel solco della tradizione romana. Dopo i pioneristici e sistematici lavori di Mannoni, che hanno interessato anche i periodi in esame e che sono confluiti nella sintesi del 1965, la ricerca in Liguria ha segnato un ulteriore passo in avanti grazie agli scavi del castello di S. Antonino di Perti e agli studi sulle ceramiche di Ventimiglia (OLCESE 1993). In quest ultimo caso non si tratta di nuove scoperte, bensi una revisione analitica e sistematica coadiuvata da analisi chimico - fisiche degli impasti, di recipienti provenienti dai vecchi scavi di Lamboglia dell area del cardine ed in parte già editi. L analisi si è sviluppata su tutto l arco cronologico interessato dallo scavo e su tutta la gamma delle ceramiche comuni, ma a noi interessano in particolare i risultati conseguiti sulle fasi più recenti, non tanto perché siano contrassegnate da una più affinata analisi dei recipienti con lo scopo di una datazione più precisa dei contesti (rimasta ancorata alle indicazioni del Lamboglia: strato I, V-VIII), quanto per l ipotesi sulle aree di provenienza dei manufatti (e dunque sulla loro circolazione). I dati più significativi sono costituiti dall individuazione di una categoria di prodotti che, anche per la presenza di scarti di fornace, sono stati riconosciuti come di produzione locale. Questo tipo di recipienti (forme aperte e chiuse, da fuoco, prevalenti e non) sembrano essere stati fabbricati con una certa continuità fino alle fasi di abbandono del sito (dunque VIII), senza che si possano individuare le differenze tipologiche tra la ceramica comune di un secolo e l altro; lo stacco evidente è nel IV sec. d.c., in seguito sembra dominare una certa uniformità morfotipologica (OLCESE 1993, p.99). Ceramica comune da fuoco e da mensa, prodotta a Ventimiglia, è stata scoperta in altri luoghi della liguria e della Gallia meridionale in contesti del VI sec. (ibidem p. 105). L impressione che se ne ricava è quella dell esistenza di fabbriche urbane che producevano ancora una variegata gamma di tipi funzionali e morfologici per un mercato non solo locale, ma resta ancora da determinare fino a quando perdurò questa situazione. La Olcese sembra non porsi più di tanto questo problema, lasciando sottinteso che le tradizionali cronologie delle fasi tardive di Ventimiglia (VIII sec.) siano compatibili ancora con un quadro quali quello delineato: fatto questo che non sembra emergere più di tanto nelle coeve e meglio scavate sequenze francesi, come ad esempio Saint Blaise, dove i contesti non scendono il VII secolo (DEMIANS D ARCHIMBAUD 1994). 2-Le trasformazioni in età alto medievale (VIII-X secolo) Solo alcune relazioni hanno preso in esame contesti posteriori al VII secolo e anteriori al X: Angela Guglielmetti per Brescia, Gabriella Pantò per il Piemonte, Stefania Spagnol per Eraclea, ancora la Spagnol e Daniela Castagna per Oderzo, Gianni Rizzi (non pervenuta) per l Alto Adige. Si tratta di campioni di realtà geografiche e culturali assai differenziate, ma significativamente convergenti su alcune conclusioni comuni. L assenza o la trascurabile (e talora controversa) presenza di ceramiche fini. Nei siti considerati, compaiono solo due frammenti di ceramica invetriata ad Oderzo, altrettanti ad Alba, indizio di una sporadica introduzione di prodotti che altrove (rispettivamente nell area romagnola e nella Francia meridionale) hanno una ben più cospicua attestazione. La diversa evoluzione tecnologica: progressivamente decadente nella terraferma veneziana (SPAGNOL), altalenante in Piemonte (PANTO ) con una crisi nel VII secolo e una generale sostituzione, dal IX secolo, degli impasti grezzi in cottura riducente con altri semidepurati o depurati in cottura ossidante. Una riduzione selettiva delle forme: continuano a prevalere, con l eccezione di Brescia, le olle, costantemente al di sopra del 60% nei contesti veneziani e sempre prevalenti in quelli piemontesi. Una forma ovunque in ascesa è costituita dai catini-coperchi: ben attestati ad Eraclea nel IX-X secolo (SPAGNOL), a Brescia sono pressoché esclusivi dall VIII secolo fino al Basso Medioevo. Scompaiono le ciotole e diminuiscono decisamente i bacili, non sempre distinguibili peraltro dai catini coperchi. Trascurabili sono poi le presenze di brocche e di coperchi per olle, che pur spesso hanno sull orlo una scanalatura per accoglierlo.

Gian Pietro Brogiolo, Sauro Gelichi 225 Probabilmente erano realizzati in materiale diverso, forse in legno. E a questo proposito va ribadito che la mancata conservazione, in quasi tutti gli scavi, del materiali organici ci priva della possibilità di valutare correttamente il corredo da mensa medievale. Conferma questa asserzione il recente rinvenimento, in contesti presumibilmente alto medievali di Fidenza (CATARSI DELL AGLIO in stampa), di piatti in legno, che va ad aggiungersi a quello, posteriore al Mille, di Ferrara porta Reno. La sostituzione di recipienti metallici con altri in ceramica è, al contrario, all origine di una nuova forma, la pentola con lobo sopraelevato, che compariva sinora in contesti di IX-X secolo, ma che ora viene segnalata dall VIII ad Oderzo (CASTAGNA- SPAGNOL). La selezione delle forme si accompagna ad un uso diverso delle ceramiche, sottoposte direttamente al riverbero della fiamma del focolare: olle e pentole per cuocere cibi liquidi, catini-coperchi per cuocere il pane. Contestuale all impoverimento ed alla nuova funzionalità dei tipi è anche la progressiva riduzione delle aree di confronto, che stanno ad indicare quantomeno una omogeneità culturale che non implica di necessità una similare diffusione dei prodotti. Nell alto adriatico, da confronti interregionali che nei secoli VII e VIII coinvolgono Friuli, Slovenia e Istria si passa, nei secoli IX e X, a confronti decisamente più locali, trevigiano-padovani. Anche in Lombardia e Piemonte i confronti si vanno distribuendo in aree subregionali. Anche su questo dato occorrerà riflettere, tenuto conto che è contraddittorio con la più ampia diffusione della pietra ollare che dalle regioni alpine raggiunge capillarmente i mercati dell Italia settentrionale, spingendosi anche più a sud. 3-Confronti con l Italia centrale 3.1-Toscana I siti del senese studiati da Marco Valenti indiziano una prevalenza della continuità sulle trasformazioni. Per l età di transizione (V-in. VII) tale continuità si esprime non soltanto nell imitazione delle sigillate in ceramiche dipinte di rosso, con un campionario stabilizzato (imitazioni delle forme HAYES 61B e 73 che continuerebbero dal V al VII secolo) che viene incrementato continuamente da nuove forme (quali la HAYES 91C e 99C), ma anche nella standardizzazione e persistenza della ceramica da fuoco (olle globulari a fondo piano e bordo nastriforme ) che coprono il medesimo arco cronologico delle ceramiche coperte di rosso. Siamo evidentemente in presenza della continuità di officine di tradizione romana che operano per un mercato regionale ancora pienamente recettivo. Dalla metà del VII secolo, le produzioni sembrano articolarsi in due gruppi distinti. Da un lato fornaci per consumi locali che manifestano una netta cesura con le produzioni tardo antiche, sia sul piano tecnologico (torniture lente, filettature ben impresse sul vaso ) che formale, con nuove forme per un campionario che va subito stabilizzandosi, ma con più varietà rispetto all Italia settentrionale: a Poggibonsi il sito che fornisce le informazioni per questo periodo, troviamo oltre alle olle (43%), le ciotole (17%) ed i testi (18%). Dall altro materiali depurati, probabilmente realizzati da un organizzazione produttiva estranea al contesto locale, che in parte dipendono ancora dalla tradizione tardo antica (ciotole a bordo rientrante, pari al 24% delle depurate), in parte se ne discostano come nei contenitori per liquidi (boccale trilobato e boccale ad alto collo che ricorda la forma dei vasi a sacco longobardi). 3.2-Abruzzo Alle produzioni tardo antiche, basate su mercati regionali, di ceramiche da fuoco e depurate (imitazioni delle sigillate ed un ampio repertorio di forme aperte e chiuse di buona qualità), si sovrappone, nell interpretazione di Andrea Staffa, una marcata influenza orientale, con la caratteristica ceramica tipo Crecchio, dapprima presumibilmente importata (ma sono indispensabili le analisi per confermarlo) poi prodotta localmente. Motivi orientali sarebbero presenti anche nelle ceramiche da fuoco, per la caratteristica pentola biansata con fondo umbonato, che anticiperebbe quelle più tardi testimoniate a Otranto. Da segnalare anche ceramiche a vetrina pesante da contesti di VI-VII secolo. Nei contesti posteriori di IX-XI secolo, il panorama delle produzioni si articola in acroma (caratterizzzata da una verticalizzazione degli orli) e ceramica a vetrina pesante (solo brocche), realizzata nelle medesime officine. 4-Considerazioni finali Il sottotitolo di questo seminario (produzioni e commerci) intendeva proporre agli intervenuti una linea di ricerca da percorrere; non ci attendevamo dunque risultati di sintesi definitivi, che nessuno di noi era in grado di produrre. Nonostante questo dato di fatto, è emerso un primo quadro d insieme. Nell area longobarda, si manifesta un radicale rinnovamento alla fine del VI secolo. Le ceramiche a stampiglia e stralucido costituiscono solo un vertice di una rete di produzioni ben più articolata che spazia, almeno in alcune zone, dalle imitazioni delle sigillate, alle invetriate, alle comuni. Si tratta di produzioni di buona qualità la cui distribuzione, o quanto meno l area di diffusione culturale, è interregionale. Rimangono peraltro, per queste produzioni, alcuni interrogativi aperti. Quali le modalità di scambio? In alcuni siti arrivano solo ceramiche con stampiglia e stralucido e non il campionario più ampio delle produzioni affini: forse perché, avendo un prevalente uso funerario, circolavano in un ambito culturalmente riservato? Questo significa che vi erano circuiti di diffusione riservata?

226 LE CERAMICHE ALTOMEDIEVALI (FINE VI - X SECOLO) IN ITALIA SETTENTRIONALE: PRODUZIONE E COMMERCI Non vi è dubbio che queste produzioni compaiano con l arrivo in Italia dei Longobardi nel 568; ma per quanto tempo perdurarono? Nelle sequenze bresciane le troviamo a lungo rappresentate in contesti che datiamo al momento fino alla metà del VII secolo, ma non è per ora determinabile con certezza da quando siano o meno residuali. E per quale motivo non lasciarono un eredità nelle produzioni dei secoli centrali dell alto medioevo, così diversamente differenziati. Quali i motivi di questo cambiamento davvero radicale? In area bizantina, l evoluzione pare più morbida e lineare, anche se in questa sede possiamo valutarla solo sulla base delle ceramiche grezze o perché mancano altri prodotti (come ad Eraclea) o perché non sono stati considerati nelle relazioni (nei due siti veneziani). Le variazioni ad Eraclea si colgono negli impasti, nella cottura, meno controllata e dunque meno centralizzata- specializzata e anche nell uso diverso, in un certo senso promiscuo delle ceramiche, sottolineato dall annerimento da fuoco che compare esclusivamente nei contesti alto medievali, mutamenti che postulano, come arguisce Stefania Spagnol, un modificarsi delle tecniche di cucina. La comparsa del catino-coperchio, fornetto per cottura al riverbero della fiamma del focolare in uso dalla protostoria e relegato, durante l età romana, nei contesti marginali, costituisce, come si era da tempo notato (BROGIOLO, GELICHI 1986), la maggior novità nei tipi funzionali di ceramica grezza dell Italia settentrionale. Le produzioni dei secoli centrali dell alto medioevo vedono inoltre restringersi progressivamente l area dei confronti, da intendersi in primo luogo come area di omogeneità culturale, all interno della quale operano officine che si ispirano a modelli simili, orientati da scelte funzionalmente omogenee. La ricostruzione geografica di queste aree di confronto e della loro evoluzione deve essere uno degli obiettivi prioritari, non solo perché filtro necessario per individuare gli epicentri produttivi (OLCESE), ma anche per verificarne la relazione con le suddivisioni politiche e amministrative: nella formazione di aree culturalmente omogenee giocarono un ruolo simile a quello dei territori protostorici dell Etruria, dove il fornello per la cottura dei cibi ha varianti che coincidono esattamente con i singoli territori (ZIFFERERO 1995)? E come erano e dove erano le officine? Nelle città o anche nelle campagne? E quali meccanismi di scambio regolavano la diffusione dei loro prodotti? E su questi temi che occorre indirizzare la ricerca. Sembra infatti ormai conclusa, dopo la metà del VII secolo, la stagione degli scambi internazionali di ceramiche, almeno per gran parte dell Italia settentrionale. Fin dalla metà del VI ha perso un significato economico; anche dove continuano ad arrivare sono talmente esigue da non essere valutabili che come presenza occasionale. Per tutto l alto medioevo, e in alcune regioni, fino al XII-XIII secolo, le ceramiche sono quasi esclusivamente grezze. La sporadica presenza di ceramica a vetrina pesante in contesti di IX-X su fusarole e su recipienti richiede certo una spiegazione (dove era prodotta e come veniva diffusa?), ma non può cambiare un quadro ormai assodato. Le ceramiche, sostituite in parte da altri prodotti (legno, altri materiali organici), sembrano dunque uscire dai mercati interregionali, che pur rimangono attivi per altri prodotti da cucina, come la pietra ollare, capillarmente diffusa e anche questa è un evidenza che richiede una spiegazione. (Gian Pietro Brogiolo, Sauro Gelichi)

Gian Pietro Brogiolo, Sauro Gelichi 227 BIBLIOGRAFIA G.P. BROGIOLO, S. GELICHI 1986, La ceramica grezza medievale nella pianura padana, in AA.VV., L a ceramica medievale nel mediterraneo occidentale, Firenze, pp.293-316. M. CATARSI DELL AGLIO in stampa, relazione presentata al convegno Scavi medievali in Italia, Cassino 1995. R. CURINA et al. 1990, Contesti tardo-antichi e altomedioevali dal sito di Villa Clelia (Imola, Bologna), Archeologia Medievale, XVII, pp. 121-234. D. DEMIANS D ARCHIMBAUD (sous la direction de) 1994, L oppidum de Saint-Blaise du V au VII s., Paris. S. GELICHI 1983, Ceramica grezza altomedievale, in G. BER- MOND MONTANARI (a cura di), Ravenna e il porto di Classe. Venti anni di ricerche tra Ravenna e Clas - se, Imola, pp. 127-129. N. GIORDANI 1994, Il vasellame fine da mensa: importazioni e produzioni locali. Ceramiche verniciate, in S. GELICHI, N. GIORDANI (a cura di), Il tesoro nel pozzo. Pozzi-deposito e tesaurizzazioni nell antica Emilia, Modena, pp. 75-88. C. G. MOR 1977, Un ipotesi sulla data del Pactum c.d. Liut - prandino coi milites di Comacchio relativo alla navigazione sul Po, Archivio Storico Italiano, CXXXV, pp. 493-502. A. ZIFFERERO in stampa, relazione presentata al Popolus Project colloquium, Siena 1995.