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44 STUDI ITALIANI

«Studi italiani» Semestrale internazionale di letteratura italiana diretto da Riccardo Bruscagli, Giuseppe Nicoletti, Gino Tellini anno XXII, fascicolo 2, luglio-dicembre 2010 SOMMARIO scrittoio Alessandro Capata, «Queste non son più lacrime». Per una teoria del pianto nell «Orlando furioso»... Giovanni Spani, Un ritorno alle immagini dantesche nella seconda metà del Cinquecento: alcune osservazioni sulla inedita stampa del «Lucifer» di Galle... Francesca Favaro, Fra loca e loci petrarcheschi: l incontro d amore nelle «Ultime lettere di Jacopo Ortis»... Paul Geyer, Romanzo critico della coscienza e discorso indiretto libero in prima persona: «La coscienza di Zeno» di Svevo... Giorgina Colli, Prezzolini: «L italiano inutile»... Marco Rustioni, Ancora su Pasolini e l epigramma... Pag. 5» 37» 53» 69» 101» 115 archivio Marco Villoresi, Cesare e Pompeo. Due epistole in terza rima di Leonardo Benci (1445-1526)... rubrica Pasquale Guaragnella, Teatri di comportamento. La regola e il difforme da Torquato Tasso a Paolo Sarpi, Liguori, Napoli, 2009 (Pietro Sisto)... Giuseppe A. Camerino, Profilo critico del romanticismo italiano, Novara, interlinea, 2009 (Renato Lenti)... Alice Cencetti, Giovanni Pascoli. Una biografia critica, premessa di Gianfranco Miro Gori, prefazione di Marino Biondi, Firenze, Le Lettere, 2009 (Giorgina Colli)... Benigno Palmerio, Con d Annunzio alla Capponcina, a cura di Marco Marchi, Le Lettere, Firenze, 2009 (Elena Gori)... Antonio C. Vitti, I film di Gianni Amelio, Pesaro, Metauro Edizioni, 2009 (Gaetana Marrone)...» 129» 147» 149» 154» 158» 161 schedario «La Voce» 1908-2008 (Stefania Alessandra Bottini); Leucò va in America. Cesare Pavese nel centenario della nascita (Stefania Alessandra Bottini) informatica La biblioteca digitale di AD900 (Simone Magherini) collaboratori

STUDI ITALIANI 2010 XXII, 2 Edizioni Cadmo

Rubrica Benigno Palmerio, Con d Annunzio alla Capponcina, a cura di Marco Marchi, Le Lettere, Firenze 2009, pp. xxxiv-270. Una data, il 1938, si propone come trait d union fra due personalità tra loro tanto diverse e tuttavia legate, almeno entro precisi limiti cronologici, come quelle di Gabriele D Annunzio e Benigno Palmerio, il veterinario abruzzese nonché fidato segretario che dal 1898 al 1910 fu indispensabile collaboratore del poeta nella conduzione e amministrazione della Capponcina, «domus aurea secondo la felice definizione di Tom Antongini dell esteta e del superuomo, dell adoratore di sensazioni». Il 1938, prima ancora di vedere la pubblicazione della Vita segreta dello stesso Antongini, si connota infatti come anno di morte di D Annunzio così come del suo fedele conterraneo, la cui scomparsa non avvenne se non dopo aver lasciato nell inedita veste di autore la testimonianza singolare e privilegiata di oltre un decennio di permanenza del poeta a Settignano. Testimonianza singolare in quanto chi racconta, per sua stessa ammissione, non è uno scrittore di professione e dunque come tale chiede di non essere giudicato sul piano stilistico e formale, essendo sua unica intenzione fornire ai lettori «una più esatta conoscenza e [ ] una comprensione più fedele della vita intima settignanese di Gabriele d Annunzio». Privilegiata perché diretta, dal momento che la materia narrata non è per lui «cosa sentita», come nel caso dei biografi che lo hanno preceduto, ma «cosa vista». Le pagine di Palmerio, raccolte sotto il titolo Con d Annunzio alla Capponcina e pubblicate in quello stesso anno da Vallecchi, tornano oggi a pieno titolo sugli scaffali delle librerie grazie alla ristampa anastatica voluta dalla casa editrice fiorentina Le Lettere e finemente curata, con l acribia che lo contraddistingue, da Marco Marchi, studioso legato da una lunga e pur sempre appassionata consuetudine al nome e all opera di Gabriele D Annunzio. Nell ampia introduzione al testo Marchi non manca di sottolineare l «indubbio» interesse documentario di una lettura che risulta rigo dopo rigo piacevolissima, forse proprio per l intenzione di restituire un ritratto innanzitutto «umano» del personaggio, cogliendolo spesso in una dimensione di quotidiana intimità, descrivendone abitudini ed esigenze che fin da subito si configurano come condizioni indispensabili all esercizio della scrittura. Prima fra tali esigenze è senz altro la ricerca quasi maniacale del silenzio, nella quale è da ravvisare la ragione che induce il poeta a stabilirsi sui colli fiorentini, in «una villa signorile, lontana dai rumori della strada, collocata piuttosto in alto e nascosta il più possibile nel verde genuino della campagna». La scelta non può non cadere sull antica dimora quattrocentesca un tempo appartenuta alla famiglia Capponi, il cui silenzio epifanico ed artisticamente suscitatore, trovato ma anche ricreato dallo stesso poeta, innalza una barriera difensiva contro il frastuono della folla e contro la volgarità, secondo le due incisioni ai lati del pesante cancello della villa le quali, ammonitrici, recitano all importuno visitatore: «Noli me tangere», «Cave cane ac dominum». Lo stesso Federigo Tozzi nel 1909 durante una gita in bicicletta non potrà che arrestarsi, annichilito e scoraggiato, di fronte ad esse. Il silenzio è anche un baluardo di fronte ai vecchi creditori che costringono il fuggiasco D Annunzio a trovare riparo nei dintorni di Firenze, dove gode dell agognata tranquillità finché i debiti di giorno in giorno più gravosi debiti che neppure l assennato Palmerio riesce alla fine ad arginare lo costringono ad una nuova fuga. Il silenzio costituisce infine il necessario preludio 158

Rubrica al fervore creativo dell infaticabile poeta, che l autore ritrae metodicamente assorto, durante le ore diurne e notturne, nella composizione delle sue opere. Delicatissimo compendio di questa immagine è la figura indimenticabile di Eleonora Duse, devotamente seduta accanto all amato nel momento della creazione, oppure colta dall occhio «benigno» dell attento segretario «in piedi, fuori della porta, immobile e silenziosa, quasi senza respiro, ad ascoltare con viso raggiante lo stridore della penna d oca che scorreva senza un attimo di sosta su la carta filogranata». Man mano che il profilo della Duse si viene delineando nel susseguirsi dei capitoli, l arte, più che il sentimento, sembra esercitare un ruolo determinante nel sodalizio fra l attrice e il poeta, rappresentando fin dall inizio il vero punto di forza della loro unione. D altro canto questo stesso motivo non tarda a trasformarsi per la «grande tragica» in una incombente spada di Damocle pronta a cadere su di lei. Lo stesso Palmerio, nelle vesti di interlocutore di D Annunzio, da questo interrogato in merito alle accuse mossegli per aver impietosamente identificato la Duse con la Foscarina de Il fuoco, non può alla fine che prendere atto di come l arte debba attenersi solo alla legge dell arte, e «tutto il resto non conta». Di grande interesse risulta l ampio capitolo La Capponcina: quasi un inventario, da Palmerio interamente riservato alla minuziosa descrizione, stanza dopo stanza, «di tappeti, di statue, di mobili, d arazzi, di quadri, di drappi, di libri rari, d armi strane ed antiche», senza contare gli innumerevoli interventi apportati alle pareti, alle volte e agli altri elementi architettonici, tutti concepiti per trasformare l antica villa dei Capponi, spogliata di ogni vecchia suppellettile, in una dimora che sia concreta realizzazione della dannunziana filosofia dell arredamento. Certamente Marchi coglie nel segno nel paragonare lo scrittore ad una chiocciola o ad una tartaruga schiave del proprio guscio, di un involucro al quale egli non è intimamente legato, ma che gli è indispensabile per affermare e celebrare la propria personalità. Quello che ossessiona D Annunzio è d altronde come certifica Palmerio la «ricerca d un armonia perfetta nella disposizione degli oggetti che era andato personalmente a scegliersi nei più ricchi, e qualche volta anche nei più poveri, magazzini di Firenze». Alle parole del devoto segretario sembrano fare eco quelle di Praz, secondo cui «il senso ultimo d un armonioso arredamento [ ] è sì di rispecchiare l uomo, ma di rispecchiarlo nella sua essenza ideale: è una esaltazione dell io». In questo senso il dannunziano bric-à-brac, che autorizza accostamenti apparentemente improbabili fra falsi d autore e oggetti d indiscusso valore, fra una testa di statua greca e la collana di turchesi che la adorna, riveste una funzione rivelatrice per lo spettatore, acquisisce un significato che lega indissolubilmente la cosa al suo possessore. Stessa funzione è assolta dai motti disseminati ovunque, all interno e all esterno della Capponcina, per i quali il poeta nutre una vera e propria predilezione. Si richiamano per esempio all idea di isolamento, oltre alle già citate, le monastiche iscrizioni Clausura e Silentium, all operosità l onnipresente Per non dormire e Lege lege lege et relege labora ora et invenies. Dall inventario di Palmerio emerge inoltre come non solo le passioni amorose di D Annunzio, ma anche l arredamento si riverberi nella pagina scritta divenendo materia letteraria; ritroviamo dunque l antico leggio di noce dello studio nelle Faville del maglio, lo scrittoio sul quale nasce la Laus Vitae nel proemio alla Vita di Cola di Rienzo, mentre una statuetta in terracotta riproduce l angelo muto de La figlia di Jorio. Documentare questo significa per il segretario-biografo ribadire come le due dimensio- 159

Rubrica ni di vita e letteratura si intersechino reciprocamente nel caso del nostro poeta e come spesso la prima finisca per porsi al servizio della seconda. Giustamente Marchi ha individuato negli arredi e negli apparati scenici della Capponcina una risposta all horror vacui da cui D Annunzio si sente progressivamente minacciato; nel momento in cui tale minaccia si fa più incombente, quando un incrinatura sembra guastare l armonia di questa allestita rappresentazione, lo scrittore si riscopre come la Fenice capace di rinascere dalle proprie ceneri. Estremamente eloquenti sono le parole da lui pronunciate allorché, assediato dai creditori, lascia per sempre Settignano: «Vogliono la Capponcina? Se la prendano [ ]. Mi basta la carta, l inchiostro, la penna, per rifare non una, ma dieci Capponcine! Addio». In questi termini si congeda dal fedele segretario, il cui buon senso e la completa devozione saranno ricambiate negli anni a venire col silenzio di chi da sempre ha dimostrato una «specie di idiosincrasia» per la corrispondenza. Così prende commiato, alla stessa stregua che dagli oggetti e dagli arredi della villa enumerati nel Catalogo della vendita d asta del giugno 1911, dai suoi levrieri, dal prediletto cane-filosofo Teli-Teli e dai cavalli che gli sono stati favoriti compagni durante gli anni fiorentini. E in effetti, nonostante la strenua difesa che Palmerio fa del suo signore ogni qual volta se ne presenti l occorrenza, si ha l impressione scorrendo le pagine di assistere ad una sorta di parificazione da parte del poeta fra cose, bestie e persone: un poeta che vede ad esempio soggiacere una passione amorosa alle leggi implacabili dell arte, o che riduce le figure femminili al pari degli animali della Capponcina quasi a complementi di arredamento o quanto meno ad oggetti di cui appropriarsi, finalizzati al soddisfacimento e all esaltazione del proprio io. La stessa folla, che durante il discorso tenuto dall onorevole D Annunzio candidato dai socialisti nel collegio centrale del «bel San Giovanni» in occasione delle elezioni della Camera dei Deputati indette per il 30 giugno 1900 riempie ed anima gli spogli ed umili locali della lavanderia Sbolgi, finisce per essere agli occhi del poeta un accessorio il quale, più che nobilitare l ambiente, lo arreda. Non stupisce allora il distaccato ricordo dell asta affidato alle pagine della Contemplazione della morte: «Si vide che la magnificenza del mio vivere non era nei miei velluti e nei miei cavalli [ ]. Avendo perduto qualche bel legno tarlato, qualche bel vetro incrinato, qualche bel ferro arrugginito, entrai nel possesso di questa più bella verità: esser necessario bruciare o smantellare i vecchi tetti sotto i quali abitammo in carne o in ispirito». Così, a ben vedere, il libro di Palmerio risponde anche strutturalmente ad una interna simmetria: il lungo soggiorno settignanese, come con acutezza Marchi suggerisce, si apre con uno sgombero quello dell antica villa quattrocentesca e con un secondo sgombero quello della dannunziana Capponcina si chiude. A suggello di un intera vicenda l immagine del nobile Malatesta, il fiero cavallo storno irlandese preferito dal poeta, destinato a morire solo e sventrato dalla stanga del suo stesso barroccio. Elena Gori 160

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