UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA DISTRIBUTION AGREEMENTS NEL DIRITTO EUROPEO DEI CONTRATTI



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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA DIPARTIMENTO DI DIRITTO PRIVATO E DEL LAVORO ITALIANO E COMPARATO CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN DIRITTO PRIVATO COMPARATO E DIRITTO PRIVATO DELL UNIONE EUROPEA CICLO XXV TITOLO DELLA TESI DISTRIBUTION AGREEMENTS NEL DIRITTO EUROPEO DEI CONTRATTI TRA AUTONOMIA PRIVATA ED ISTANZE DI PROTEZIONE DEL CONTRAENTE DEBOLE TUTOR Chiar.ma Prof.ssa Anna VENEZIANO DOTTORANDA Dott.ssa Alessandra DE MARCO COORDINATORE Chiar.mo Prof. Ermanno CALZOLAIO ANNO 2013 1

DISTRIBUTION AGREEMENTS NEL DIRITTO EUROPEO DEI CONTRATTI TRA AUTONOMIA NEGOZIALE ED ISTANZE DI PROTEZIONE DEL CONTRAENTE DEBOLE INDICE INTRODUZIONE Obiettivi, metodo e struttura della ricerca 5 CAPITOLO I LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE IN EUROPA: ORIGINE E DEFINIZIONE DELLA CATEGORIA 1.1 Il fenomeno della distribuzione commerciale in Europa: tra regole di concorrenza e diritto dei contratti 1.2 Il trittico: agenzia commerciale, concessione di vendita e franchising nell esperienza giuridica degli Stati Membri 1.3. La dimensione normativa degli accordi di distribuzione nello spazio giuridico europeo: carenze e inefficienze del sistema attuale 9 19 24 CAPITOLO II LO EUROPEAN LEGAL FRAMEWORK IN MATERIA DI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE 1.1 I contratti di distribuzione nel processo di armonizzazione del diritto privato europeo 1.1.1 Il Draft Common Frame of Reference (DCFR): tra disciplina della parte generale del contratto e norme di settore 1.1.2 I contratti di distribuzione nel disegno sistematico del DCFR 1.1.3 Le origini della disciplina europea sui Distribution Agreements: i Principles of European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Contracts (PEL CAFDC) 30 38 41 1.2 Verso un strumento di diritto opzionale per i contratti di distribuzione? 1.2.1. Il diritto europeo dei contratti nel passaggio dal DCFR alla Common European Sales Law (CESL) 2

44 1.2.2 Il recupero dei PEL CAFDC per uno strumento di diritto opzionale in materia di contratti di distribuzione: the way forward 49 CAPITOLO III I CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE NEI PRINCIPLES OF EUROPEAN LAW ON COMMERCIAL A- GENCY, FRANCHISE AND DISTRIBUTION CONTRACTS (PEL CAFDC) 1.1 Disclosure e co-operation nel sistema dei PEL CAFDC 1.1.1. Gli obblighi di informazione tra general provisions e norme speciali 1.1.2. La co-operation come criterio generale di disciplina 1.1.3 Alcuni spunti per un indagine comparatistica sulle disclosure clauses 57 65 69 1.2 Unilateral Ending : un passo in avanti verso la legal certainty 1.2.1 Recesso unilaterale e contratti di durata nella prassi del commercio internazionale 1.2.2 Il recesso unilaterale nei contratti a tempo indeterminato: tra default rules e norme imperative 1.2.3 Primo esempio di applicazione pratica del DCFR. La sentenza della Corte Suprema di Svezia sul reasonable period of notice 1.3 Anomalie e rimedi nei rapporti di distribuzione: damages, indemnity of goodwill e obbligo di riacquisto delle scorte invendute 80 84 89 91 CAPITOLO IV IL CONTRAENTE DEBOLE NELLA PROSPETTIVA DEL DIRITTO EUROPEO 1.1. L imprenditore debole nel diritto europeo: cenni ricostruttivi della disciplina 1.1.1 L imprenditore debole nel diritto internazionale privato europeo: gli esempi specifici dell agente, del franchisee e del distributore 100 3

1.1.2 Le ultime frontiere del diritto contrattuale europeo: verso la formazione di un Business to Business Acquis in materia di contratti 1.2 Fondamento e limiti della tutela dell imprenditore debole nel diritto europeo: il ruolo della buona fede oggettiva 106 118 1.3 Prime aperture verso una disciplina sostanziale dei rapporti commerciali B2B. 1.3.1 L approccio generale del Draft Common Frame of Reference (DCFR) 1.3.2 I contratti B2B nella Common European Sales Law (CESL): profili e limiti della disciplina 127 129 CAPITOLO V ALCUNI SPUNTI PER UNA DISCIPLINA GENERALE DEI CONTRATTI DI DISTRIBUZIONE E TUTELA DEL CONTRAENTE DEBOLE 1.1 Gli obblighi di informazione nella fase precontrattuale: tra regole di validità e norme di comportamento 1.2 Esecuzione del contratto e tutela del contraente debole : rimedi contro l unfair exploitation 1.3 La patologia del contratto: risoluzione del contratto per inadempimento del franchisee o del distributore 1.4 Dalla tutela del consumatore a quella dell imprenditore debole : Unfair Terms in contracts between traders e potenziali effetti sulla rete distributiva BIBLIOGRAFIA 133 141 145 151 158 4

INTRODUZIONE Obiettivi, metodo e struttura della ricerca L obiettivo della presente ricerca è di verificare se ed in quale misura sia possibile affermare l esistenza, nell attuale quadro del diritto europeo dei contratti, di regole sufficientemente coerenti in grado di soddisfare le istanze di protezione del contraente debole all interno della dinamica negoziale propria dei contratti di distribuzione commerciale. E noto come la crescente attenzione mostrata dal diritto contrattuale europeo verso il raggiungimento di una giustizia contrattuale sostanziale abbia indotto a riflettere sulla possibilità di estendere i meccanismi analoghi a quelli predisposti a tutela del consumatore anche a tutti coloro che, nei rapporti di mercato, si trovano a dover subire gli effetti negativi di un asimmetria di potere contrattuale. Questo partendo dalla premessa che la disparità di bargaining power, come osserva la scienza economica, costituisce un fattore fisiologico insito nella natura dei rapporti di distribuzione commerciale dove gli agenti, i concessionari o i franchisees si inseriscono come intermediari integrati all interno di una struttura organizzativa governata e diretta dall impresa affiliante, potenzialmente in grado di abusare della sua posizione imponendo condizioni contrattuali oggettivamente inique. D altro canto, non si può non rilevare la difficoltà insita nell attribuire rilevanza allo status dei soggetti, contemperando le istanze protezionistiche di derivazione comunitaria con il diritto generale dei contratti che risulta ancora oggi primariamente ispirato al principio dell eguaglianza giuridica dei contraenti. In tale contesto, le iniziative di armonizzazione ed uniformazione del diritto promosse a livello internazionale ed europeo costituiscono l espressione più compiuta di un approccio complessivo alla problematica, ponendo le premesse metodo- 5

logiche e sostanziali per un possibile futuro intervento nel settore specifico della distribuzione commerciale. Sulla scia della recente tendenza all elaborazione di strumenti non vincolanti di origine accademica in materia di diritto contrattuale europeo, la proposta di lavoro, che i successivi capitoli intendono sostenere, è della opportunità di partire da uno strumento specifico per i contratti di distribuzione quali i Principles of European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Contracts (PEL CAFDC) elaborati all interno dello Study Group on a European Civil Code per giungere ad uno strumento opzionale di regolamentazione della materia. Si osserva infatti che, qualora dovesse essere recepita come oggetto di un regime opzionale, la disciplina prevista nei PEL CAFDC verrebbe a rappresentare un alternativa molto attraente per gli operatori economici, realizzando un efficiente bilanciamento tra il principio di freedom of contract e le istanze di weaker party protection. A tali conclusioni si potrà pervenire attraverso una compiuta disamina delle soluzioni proposte con riguardo alle fasi cruciali che scandiscono il life-cycle dei contratti di distribuzione ed una successiva comparazione tra il livello di protezione raggiunto dal diritto europeo e quello generalmente assicurato dai diritti nazionali. Il lavoro di ricerca è strutturato secondo il metodo tradizionale della scienza comparatistica, vale a dire, attraverso l analisi sistematica di un selected core di obbligazioni secondo l approccio funzionale indicato dai due massimi esponenti del metodo, i professori K. Zweigert e H. Kötz 1. Inoltre, limitatamente ad alcuni aspetti specifici, si farà ricorso ai contributi dell analisi economica come ulteriore fonte di dati a completamento del quadro normativo di riferimento. Nel Capitolo I, La distribuzione commerciale in Europa: origini e definizione della categoria, si cercherà di ricostruire le origini della disciplina dei contratti di di- 1 K. ZWEIGERT H. KÖTZ, Introduction to Comparative Law, 3 ed., Oxford, 1998. 6

stribuzione, individuando le caratteristiche di un sistema evolutosi a partire da una considerazione del fenomeno in chiave esclusivamente concorrenziale. La matrice economica prima che giuridica della categoria ha reso tradizionalmente incerta l individuazione di un vero e proprio tipo contrattuale e, di conseguenza, l enucleazione di una disciplina sostanziale volta all inquadramento sistematico dei modelli negoziali singolarmente riferibili alla formula della distribuzione integrata. Nel Capitolo II, Lo European Legal Framework in materia di contratti di distribuzione, si pongono le premesse per la successiva ricerca, anticipandone in parte alcuni risultati. In particolare, si procederà ad inquadrare la disciplina dei contratti di distribuzione attraverso la ricostruzione delle più recenti vicende del diritto europeo dei contratti, sottolineando il difficile rapporto tra regole di parte generale e regole speciali. Soffermando l attenzione sulla disamina della natura e degli obiettivi dei PEL CAFDC verranno illustrate le ragioni per le quali si ritiene che detti principi soddisfino l esigenza di tutela del contraente debole in misura maggiore e più e- saustiva rispetto alle analoghe regole che sono confluite nel DCFR (Libro IV Parte E.). Nel Capitolo III, I contratti di distribuzione nei Principles of European Law on Commercial Agency, Franchise and Distribution Contracts (PEL CAFDC) saranno analizzati gli aspetti essenziali dei contrati di distribuzione, assumendo ad oggetto della comparazione le Rules ed i Principles dei PEL CADFC con riguardo specifico ai seguenti profili: doveri di informazione, co-operation, recesso unilaterale, invalidità, damages e protezione dell avviamento commerciale. Per ciascuno degli aspetti considerati si procederà ad una descrizione della disciplina offerta dai PEL CAFDC seguita dall immediata disamina delle tendenze prevalenti negli ordinamenti giuridici degli Stati Membri, allo scopo di segnalare con maggiore evidenza le differenze tra i vari sistemi. 7

Nel Capitolo IV, Il contraente debole nella prospettiva del diritto europeo, saranno esaminati gli aspetti della disciplina europea che hanno ad oggetto di specifica regolamentazione anche (e soprattutto) le relazioni contrattuali tra imprese, chiedendosi se sia possibile affermare la tendenza verso la formazione di un B2B Acquis in materia di contratti. In tale prospettiva, sarà passata in rassegna tutta la normativa comunitaria rilevante sul punto, prendendo in considerazione le indicazioni fornite dal diritto internazionale privato così come dal diritto derivato e dalle proposte di soft law relative al diritto comune dei contratti. Nel Capitolo V, Premesse per una disciplina generale dei contratti di distribuzione e tutela del contraente debole, verranno individuati i tratti fondamentali del quadro normativo che sarà possibile delineare a seguito dell entrata in vigore della proposta di Regolamento per un diritto comune della vendita (CESL). In conclusione, si vorranno esaminare quegli aspetti per cui si riterrà opportuno integrare la disciplina di parte generale regolata nella CESL mediante il ricorso ad un eventuale regime opzionale in materia di contratti di distribuzione commerciale. 8

CAPITOLO I LA DISTRIBUZIONE COMMERCIALE IN EUROPA: ORIGINE E DEFINIZIONE DELLA CATEGORIA 1.1. Il fenomeno della distribuzione commerciale in Europa: tra regole di concorrenza e diritto dei contratti Com è noto, il fenomeno di progressiva armonizzazione del diritto privato europeo si è imposto di pari passo all obiettivo originario della realizzazione di uno spazio economico destinato alla libera circolazione di merci, persone, servizi e capitali. Pertanto, l azione legislativa dell Unione si è da sempre attestata su di una stretta correlazione tra attività economica e forme giuridiche, chiamate ad adattarsi alle esigenze del mercato nell ambito delle specifiche competenze previste dal Trattato. L adozione di un tale functional approach nello sviluppo dei temi del diritto privato ha contraddistinto ogni area di intervento ivi compresa quella relativa alla definizione dei rapporti tipici della distribuzione commerciale, i quali hanno storicamente costituito il banco di prova per l attuazione della legislazione antitrust europea 2. Sin dai primi anni sessanta, infatti, le specificità riscontrabili nei rapporti tra produttori e distributori hanno assunto rilevanza sul piano normativo esclusivamente sotto il profilo della compatibilità di tali accordi con il divieto di intese restrittive della concorrenza di cui all art. 101 del TFUE e sulla loro esentabilità ai sensi dell art. 101 3 3. Ne è derivata una disciplina di settore che qualifica indistintamente i contratti di distribuzione come accordi verticali e che assume ad oggetto della propria 2 Una raffinata analisi del fenomeno della correlazione tra attività economica e forme giuridiche è presente in J. BASEDOW, Codification of Private Law in the European Union. The Making of a Hybrid, in European Rev. of Private L., 2001, 35 ss.; U. DROBNING, Un droit commun de contracts pour le Marché Commun, in Rev. int. dr. comp., 1998, 26 ss. 3 Per una visione d insieme della politica europea della concorrenza si vedano, tra gli altri, D. GO- YER, EC Competition Law, Oxford, 1998; C. BELLAMY G. CHILD, European Community Law of Competition, London, 2001. Nella dottrina italiana si segnalano i contributi di F. DENOZZA, La disciplina della concorrenza e del mercato, in Giur. Comm., I, 1988, 366 ss.; R. PARDOLESI, Intese restrittive della libertà di concorrenza, in Diritto antitrust italiano, a cura di A. FRIGNANI, R. PARDOLESI, L. C. U- BERTAZZI, vol. I, Bologna, 1993. 9

regolamentazione le sole clausole che ricadono sotto il divieto di cui all art. 101 1 TFUE 4. In particolare, per accordi di distribuzione commerciale devono intendersi quei contratti che danno luogo un rapporto di collaborazione stabile fra i contraenti dei quali, l uno, il distributore, si obbliga a promuovere la conclusione di contratti per conto dell altro, assumendo in tutto o in parte i rischi connessi alla distribuzione a seconda che lo stesso acquisti la proprietà (concessionario di vendita) o entri solo nella disponibilità dei beni del produttore/fornitore (agente di commercio) 5. I tratti comuni più significativi di siffatta categoria sono da ricercarsi in sostanza nel carattere duraturo della relazione contrattuale e nella natura fiduciaria del vincolo contraddistinto dall obbligo del distributore di promuovere le vendite del produttore e dalla condotta collaborativa dei contraenti; un ulteriore fattore di caratterizzazione è rappresentato dall attribuzione, in favore del medesimo, di una posizione di privilegio rispetto alla generalità dei concorrenti che può tradursi, a seconda dei casi, nel riconoscimento di un esclusiva territoriale di vendita, di un esclusiva di acquisto ai fini della rivendita e/o di una licenza di know-how e del diritto all uso dei segni distintivi 6. 4 Per una più attenta disamina dei rapporti tra funzione distributiva e possibili effetti anticoncorrenziali degli accordi di distribuzione, si veda, R. PARDOLESI, Regole antimonopolistiche del Tratto C.E.E. e contratti di distribuzione: tutela della concorrenza o dei concorrenti?, in Foro It., IV, 1978, 83 ss; R. BALDI, Il diritto della distribuzione commerciale nell Europa comunitaria, Padova, 1984; R. LIN- DA, La distribuzione commerciale in Europa. Scenari e prospettive per il mercato unico, Milano, 1989; M. TUPPONI E. GHIROTTI, Il diritto della distribuzione commerciale nell Europa comunitaria, Milano, 2000; F. BORTOLOTTI, Manuale di Diritto Commerciale Internazionale, Vol. III, La distribuzione internazionale, CEDAM, 2002; R. GUIDOTTI N. SOLDATI, (a cura di), Contratti d impresa e restrizioni verticali, Milano, 2004. 5 Il presente lavoro muove dall impostazione metodologica condivisa dalla maggior parte della dottrina italiana ed internazionale che ha cercato di definire i contorni di una categoria giuridica unitaria attraverso l individuazione dei tratti comuni che caratterizzano i diversi e variegati assetti negoziali relativi alla distribuzione integrata. Così, R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, Napoli, 1979; R. BALDI, Il diritto della distribuzione commerciale nell Europa comunitaria, op. cit, secondo il quale oggi può parlarsi di diritto della distribuzione commerciale come materia a sé stante. Analogamente in Germania, questa impostazione è accolta da M. MARTINEK F.J. SEMLER, Handbuch des Vertriebsrechts, Munchen, 1996 ed in Francia da D. FERRIER, Droit de la Distribution, Parigi, 2006. 6 Sulla natura e sul contenuto delle clausole di esclusiva che accedono ai singoli accordi di distribuzione, si veda l analisi condotta da R. BALDI, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il 10

Trattandosi di accordi intercorrenti tra due o più soggetti che occupano stadi diversi del processo tecnico di produzione e di commercializzazione di un determinato prodotto, i contratti di distribuzione producono sul piano economico effetti di natura ambivalente, incidendo sulla funzionalità dei mercati in termini spesso contraddittori. Gli studi della scienza economica moderna enfatizzano i risultati derivanti dal ricorso alla formula commerciale della distribuzione giacché, se coerentemente e opportunamente utilizzata, garantisce una maggiore efficienza del processo distributivo ed una migliore ottimizzazione degli investimenti. Nello specifico, i vari schemi pattizi di integrazione verticale consentono ai distributori di massimizzare le opportunità di guadagno collegate alla commercializzazione delle merci mediante l abbattimento dei costi iniziali di esercizio e ai produttori di penetrare stabilmente all interno di nuovi mercati attraverso una politica distributiva specificamente ritagliata in base alle strategie imprenditoriali rispettivamente adottate 7. Sotto diverso profilo, l osservazione empirica del fenomeno mostra che, in presenza di determinate condizioni, l operatività delle clausole di esclusiva è di o- stacolo alla realizzazione di una workable competition 8 all interno del mercato rilevante cagionando, a seconda dei casi, l esclusione dell accesso al mercato di altri franchising, Milano, 2001, 63-76, 133-134, 145-148; F. BORTOLOTTI, Manuale di Diritto Commerciale Internazionale, Vol. III, La distribuzione internazionale, op. cit., 115-123, 268-273, 328-337; 7 In proposito, si segnalano le intuizioni di R. COASE, The Nature of the Firm, in 4 Economics, 386, 1937 e di O. E. WILLIAMSON, Markets and Hierachies: Analysis and Antitrust Implications, New York 1975. In sintesi, entrambi hanno evidenziato che le intese verticali rappresentano un alternativa e- conomicamente efficiente all integrazione strutturale dell impresa. Con la disintegrazione del ciclo produttivo mediante la devoluzione della fase distributiva ad altro imprenditore ed il mantenimento della direzione strategica da parte del produttore, si eliminano i costi legati al passaggio di informazioni caratteristiche sul prodotto, evitando che la concorrenza possa venirne a conoscenza e trarne vantaggio. In particolare, il 116 delle Guidelines individua alcune situazioni di efficienza delle restrizioni verticali: superamento del parassitismo tra imprenditori; maggiore facilità nell accesso ai nuovi mercati; aumento degli incentivi per investimenti specifici; trasferimento know-how; migliore sfruttamento delle economie di scala; maggiore uniformità e standardizzazione della qualità. 8 L origine del concetto di workable competition si deve a CLARK, Towards a concept of workable competition, in The American Review, 1940 ed è entrato successivamente nell esperienza europea a seguito della sentenza Metro, Corte di Giust. CE, 13 gennaio, 1994, C-376/92. 11

fornitori o di altri acquirenti attraverso l innalzamento di barriere all entrata, la riduzione dell intrabrand competition fra i distributori appartenenti alla medesima rete ovvero la limitazione della libertà dei consumatori di acquisire beni e servizi in qualsiasi Stato membro dell Unione 9. In tale prospettiva, la politica antitrust europea si caratterizzava originariamente per il suo approccio estremamente rigoroso in quanto, spinta dall assoluta necessità di promuovere l integrazione dei mercati, sanzionava indistintamente tutti i comportamenti imprenditoriali in grado di pregiudicare in modo sensibile il commercio intra-comunitario 10. Tenendo conto della possibile incidenza negativa sugli obiettivi di integrazione economica, il diritto europeo della distribuzione si è sviluppato tra il 1965 ed il 1988 attraverso una pluralità di regolamenti aventi ad oggetto la mera definizione di clausole contrattuali assolutamente vietate riferibili agli accordi di distribuzione selettiva, di acquisto in esclusiva ai fini della rivendita (specie di birra e di benzina), di franchising e di vendita di autoveicoli 11. 9 Sull argomento, tra gli altri, V. KORAH, An Introductory Guide to EC Competition Law and Practice, London, 1994; A. FRIGNANI M. WAELBROECK, Disciplina della concorrenza nella CEE, Torino, 1996; J. FAULL A. NIKPAY, The EC Law of Competition, Oxford, 1999; C. BELLAMY G. CHILD, European Community Law of Competition, op. cit. 10 Il principio dell irrilevanza degli accordi che non incidono in misura sensibile sul mercato è stato accolto dalla Corte di Giustizia con la sentenza Völk-Vervaecke del 9 luglio 1969, in Racc., 1969, 295, con riferimento ad un accordo avente un oggetto inequivocabilmente restrittivo della concorrenza. In particolare, la Corte affermava che L accordo non ricade sotto il divieto dell art. 85 qualora, tenuto conto della debole posizione dei partecipanti sul mercato dei prodotti di cui trattasi, esso non pregiudichi il mercato in misura rilevante. A partire dalla comunicazione sui c.d. accordi di importanza minore del 27.5.1970, in GUCE del 2.6.1970, 1 ss., la Commissione europea ha ulteriormente precisato tale principio attraverso la fissazione di quote di mercato al di sotto delle quali il divieto dell art. 101 del TFUE deve considerarsi i- napplicabile. Da ultimo, si veda il Regolamento/UE 330/2010 del 20 aprile 2010 relativo all applicazione dell articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell'unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, GUE del 23.4.2010, L 102/1, il cui art. 3: Soglia della quota di mercato prevede che L esenzione di cui all articolo 2 si applica a condizione che la quota di mercato detenuta dal fornitore non superi il 30% del mercato rilevante sul quale vende i beni o servizi oggetto del contratto e la quota di mercato detenuta dall'acquirente non superi il 30% del mercato rilevante sul quale acquista i beni o servizi oggetto del contratto. 11 Cfr. Regolamento CEE 1983/83, del 22 giugno 1983, relativo agli accordi di distribuzione esclusiva; Regolamento CEE 1984/83 del 22 giugno 1983, relativo agli accordi di acquisto in esclusiva ai fini della rivendita, entrambi pubblicati in GUCE L 173 del 30 giugno 1983; Regolamento 123/85, sugli 12

Sennonché l eccessiva rigidità del sistema normativo e l assenza di norme atte a consentire l individuazione di univoci criteri di collegamento tra ciascun tipo contrattuale ed il Regolamento ad esso pertinente introduceva livelli di incertezza giuridica che collidevano macroscopicamente con lo spirito dell esenzione per categoria, determinandone l ingestibilità e lo scollamento progressivo dall analisi economica e dalla realtà contrattuale 12. Spinte dunque dalla necessità di operare una revisione globale della propria politica della concorrenza, le istituzioni dell Unione hanno optato per l adozione di un approccio più organico alla materia dapprima con la pubblicazione del Libro Verde del 1997 sulle restrizioni verticali 13 e poi con l entrata in vigore del Regolamento 2790/99/CE 14 ora sostituito, con poche varianti, dal Regolamento 330/2010 (UE) 15. accordi di distribuzione degli autoveicoli ed i servizi di assistenza alla clientela, in GUCE L 15 del 18 gennaio 1985; Regolamento 4087/88 del 30 dicembre 1988, sugli accordi di franchising in GUCE L 359 del 28 dicembre 1988. 12 Sotto il regime previgente, infatti, nulla veniva precisato in merito all eventualità di possibili conflitti fra l uno e l altro Regolamento, pur considerando le zone grigie e le sovrapposizioni riscontrabili ogni volta che le varie forme di distribuzione assumevano indifferentemente i tratti di diverse tipologie contrattuali. Del resto, la possibilità di ricondurre gli accordi ai Regolamenti pertinenti, prescindendo dalla circostanza che l oggetto degli stessi costituisse materia di specifici Regolamenti di esenzione per categoria, è stata esplicitamente affermata dalla stessa Commissione nella XVIII Relazione sulla politica della concorrenza, Lussemburgo, 1989, 39, nella quale si affermava che il Regolamento 4087/88 assumeva il ruolo di legge quadro nella cui cornice si collocavano gli ulteriori Regolamenti relativi ai contratti di distribuzione commerciale. Così, in particolare, C. VACCA, Gli accordi di franchising, il controllo sulla formazione del contratto e le condizioni di fine rapporto, in Riv. dir. comm. int., 1990, 247-248. 13 Libro Verde sulle restrizioni verticali nella politica della concorrenza comunitaria, doc. COM (96) fin. In dottrina, si veda, M. V. LEONE, Il Libro Verde sulle restrizioni verticali: una nuova politica della concorrenza?, in Contr. Impr./Eur., 1997, 783 ss.; R. RINALDI R. RAPUANO, La politica comunitaria della concorrenza e le intese verticali: un nuovo approccio, in Dir. comm. int., 1999, 423 ss.; I. VAN BAEL, Antitrust e distribuzione in Europa una nuova politica per il prossimo secolo?, in Concorrenza e mercato, 1997, 231 ss. 14 Regolamento CEE 2790/1999 della Commissione del 22 dicembre 1999 relativo all applicazione dell art. 81 paragrafo 3 del Trattato CE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, pubblicato in GU L 336 del 29 dicembre 1999. In proposito, si vedano i contributi raccolti nel dibattito all indomani della sua entrata in vigore, F. BORTOLOTTI, Il problema delle soglie di mercato nel nuovo regolamento di esenzione sulle restrizioni verticali. Osservazioni critiche e proposte, in Contr. Impr. /Eu, 1999, 535 ss.; R. RINALDI, Il nuovo regolamento della Commissione europea sugli accordi verticali, in Dir. comm. int., 2000, 479 ss.; A. VENEZIA, La nuova politica comunitaria in materia di restrizioni verticali ed il regolamento 2790/1999, in I Contratti, 2000, 1042 ss. 15 Regolamento UE 330/2010 del 20 aprile 2010 relativo all applicazione dell articolo 101, paragrafo 3, del Trattato sul funzionamento dell'unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate, in GUE L 102/1 del 22 aprile 2010. 13

Il processo di modernizzazione del diritto europeo della concorrenza appare dunque contrassegnato da una svolta metodologica fondamentale nella determinazione dello strumentario giuridico a disposizione, dando atto della necessità di richiamare una maggiore attenzione sui profili economici delle intese restrittive. In particolare, indicando la rule of reason delle restrizioni verticali nell attitudine ad incrementare l efficienza economica della filiera produttivo-distributiva 16, il regolamento 2790/99 contiene il riferimento ad una nozione omnicomprensiva di accordi verticali nel cui contesto si è affermata la regola generale secondo cui tutto ciò che non è espressamente vietato è implicitamente autorizzato 17. La matrice economica prima che giuridica della categoria dei contratti di distribuzione ha reso tradizionalmente incerta l individuazione di un vero e proprio tipo contrattuale e, di conseguenza, l enucleazione di una disciplina sostanziale volta all inquadramento sistematico dei modelli negoziali singolarmente riferibili alla formula della distribuzione integrata. Gli studi nel settore del commercio nazionale ed internazionale evidenziano infatti una tipologia diversificata e non completamente esaustiva poiché la nozione 16 Cfr. Considerando (6) e (7) del Regolamento UE 330/2010 Alcuni tipi di accordi verticali possono incrementare l efficienza economica nell ambito di una catena produttiva o distributiva permettendo un migliore coordinamento tra le imprese partecipanti. In particolare, essi possono contribuire a ridurre i costi delle transazioni commerciali ed i costi di distribuzione delle parti e possono altresì consentire un livello ottimale dei loro investimenti e delle loro vendite. La probabilità che tali incrementi di efficienza possano controbilanciare gli eventuali effetti anticoncorrenziali derivanti dalle restrizioni contenute negli accordi verticali dipende dal grado di potere di mercato delle parti dell accordo e pertanto dalla misura in cui tali imprese sono esposte alla concorrenza di altri fornitori di beni o servizi che siano considerati intercambiabili o sostituibili dai loro clienti, in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell uso al quale sono destinati. 17 Nel contesto del nuovo Regolamento sono automaticamente esentate tutte le clausole restrittive, con la sola eccezione di un numero limitato di pattuizioni inammissibili, previste dall art. 4 (prezzi imposti, restrizioni alla libertà dell acquirente relative alla rivendita dei prodotti, etc.) e dall art. 5 (obblighi di non concorrenza eccedenti i cinque anni). In senso opposto, la disciplina contenuta nei regolamenti precedenti, come ad esempio il Regolamento CE 1983/83 ovvero 1984/83, in base alla quale era sufficiente la presenza di una sola clausola restrittiva non espressamente autorizzata dal regolamento per far perdere il beneficio dell esenzione ad un accordo per il resto conforme all esenzione per categoria. Per un analisi approfondita delle nuove tendenze, si veda E. GENTILE, La svolta di inizio millennio del diritto comunitario della concorrenza: il nuovo approccio economico, la semplificazione delle norme, la cooperazione internazionale e la modifica del regolamento 17/62, in Contr. Impr./Eu., 2000, 557 ss. 14

di distribuzione talvolta è intesa in senso ampio, ricomprendendo tutti quei complessi meccanismi rivolti a colmare le distanze tra produzione e consumo 18, talaltra è interpretata in senso restrittivo, escludendo dal relativo ambito sia i contratti di agenzia sia quelli di franchising 19. Né è possibile rinvenire criteri interpretativi utili nella giurisprudenza consolidatasi sotto la vigenza della Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di beni mobili 20 dove la nozione di contratti di distribuzione è considerata solo in opposizione a quella di compravendita per e- scluderla dal campo di applicazione ratione materiae del testo uniforme, senza tuttavia individuarne gli elementi di tipizzazione 21. L attuale quadro normativo europeo affronta dunque la disciplina delle restrizioni verticali in modo globale, dettando regole applicabili in via generale a tutti i tipi di accordi ed assumendo come punto di partenza della disciplina il tipo di restrizione della concorrenza piuttosto che la qualificazione del modello negoziale da cui originano gli effetti discorsivi del mercato. 18 Così G. SANTINI, Il commercio. Saggio di economia del diritto, Bologna, 1979, 117 ss. Si collocano nella medesima direzione, le ricostruzioni di R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, op. cit., che approfondisce in una prospettiva comparatistica gli aspetti più rilevanti delle tipologie negoziali rientranti nella categoria in esame; G. VETTORI, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese, Milano, 1983; A. BALDASSARRI, I contratti di distribuzione, Agenzia - Mediazione Concessione di vendita - Franchising, Padova, 1989. 19 E questo il caso del Regolamento CE 593/2008 del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I), pubblicato in GU L 176 del 4 luglio 2008, per il cui art. 4.1 il contratto di distribuzione non comprende il contratto di franchising a cui è specificamente dedicato il paragrafo successivo. 20 Convenzioni delle Nazioni Unite sui contratti di vendita internazionale di merci dell 11.4.1980. La Convenzione è stata ratificata dall Italia con L. dell 11.12.1985, n. 765 ed è entrata in vigore l 1.1.1988. Per una disamina della disciplina della CISG e del suo impatto sulla prassi del commercio internazionale si vedano, tra gli altri, P. SCHLECHTRIEM I. SCHWENZER, Commentary on the UN Convention on the International Sale of Goods (CISG), Oxford, 2010; C. WITZ, Droit uniforme de la vente international de merchandises, Paris, 2010; H. BERNSTEIN - J. LOOKOFSKY, Understanding the CISG in Europe, The Hague/ London/ New York, 2 ed., 2002; M. J. BONELL, UNILEX on CISG & UNI- DROIT Principles - International Case Law & Bibliography, Center for Comparative and Foreign Law Studies, in www.unilex.info. 21 Un esempio, tra tutti, la sentenza di Cass. sez. un. 14 dicembre 1999, n. 895, Sanitari Pozzi S.p.a. c. Imperial Bathroom Company, (nel caso specifico la società inglese si era obbligata ad acquistare e distribuire sul mercato inglese tre linee di prodotti, ad acquistare una quantità minima di prodotti ogni anno e a pagare la merce ordinata entro i termini previsti dal contratto), in ELF, 2000/01, 10 ss., in nota F. FERRARI, Il contratto di distribuzione quale contratto (non) contemplato dalla Convenzione di Vienna. Nel senso del testo la giurisprudenza di molti tribunali europei e di arbitrati internazionali. 15

Tale impostazione se da un lato è in grado di favorire una maggiore uniformità di trattamento delle restrizioni simili all interno di accordi di tipo diverso, dall altro, rende più difficoltosa l esatta individuazione delle regole applicabili a ciascun tipo di accordo, essendo necessario verificare, per ciascuno di essi, quali disposizioni del regolamento pertinente siano in concreto applicabili. Si pensi, ad esempio, agli effetti derivanti dalla stipulazione di un contratto di franchising finalizzato alla costituzione di un sistema di distribuzione selettiva ossia di una rete in cui i prodotti possono essere commercializzati solo da rivenditori accuratamente selezionati e numericamente individuati in base alle scelte discrezionali del franchisor. In tale circostanza, la tenuta del tipo contrattuale sotto il profilo della conformità del regolamento negoziale alla disciplina antitrust vigente presuppone l esatta individuazione a monte anche dei divieti propriamente riferibili agli accordi di distribuzione selettiva 22. Inoltre, la rigidità di un sistema basato sulla mera enunciazione di clausole restrittive vietate (quali quelle di cui agli artt. 4 e 5 del Reg. 330/2010) e del tutto svincolate da ogni riferimento all oggetto e alla causa delle singole operazioni negoziali non appare sempre compatibile con l assetto di interessi di volta in volta divisato dai contraenti, introducendo così una certa indeterminatezza all interno del meccanismo europeo di public enforcement. A titolo esemplificativo vengono in rilievo le sorti antitetiche cui incorre una clausola di non concorrenza di durata superiore a cinque anni a seconda che essa venga inserita nel contesto di un contratto di distribuzione esclusiva ovvero di franchising. Nel primo caso, il dato normativo di riferimento è senz altro rappresentato dall art. 5 lett. a) del Regolamento 330/2010 che esclude l applicazione 22 Cfr. art. 4 lett. c) e d) e art. 5 lett. c) del Regolamento UE 330/2010. In linea di massima, l esigenza di ricorrere a canali di distribuzione specializzata è legittimamente giustificata a condizione che sia garantita la particolare natura tecnica del prodotto e la libertà dei distributori autorizzati di effettuare vendite attive e passive agli utenti finali di qualsiasi territorio, di eseguire le forniture incrociate tra i membri della rete e di vendere marche di particolari fornitori concorrenti. 16

dell esenzione per categoria ad un accordo contenente un obbligo di non concorrenza, diretto o indiretto, di durata indeterminata o superiore a cinque anni 23 ; nel secondo caso, viceversa, la giurisprudenza della Corte di Giustizia riconosce espressamente la validità della medesima clausola, rinvenendone la rule of reason nelle esigenze di protezione del know-how sostanziale e di conservazione dell uniformità e della reputazione della rete 24. E possibile ravvisare ulteriori elementi di contraddittorietà della normativa antitrust anche in riferimento alla disciplina di cui all art.5 lett. b) del Reg. 330/2010 che, in deroga alla regola generale, estende il beneficio dell esenzione al patto di non concorrenza post-contrattuale a condizione che abbia una durata annuale, sia relativo alla sola commercializzazione dei prodotti venduti nei locali e nei terreni da cui l acquirente ha operato durante il periodo contrattuale e risulti indispensabile per proteggere il know how trasferito dal fornitore all acquirente 25. Diversamente, aderendo ad un impostazione più permissiva, la Corte di Giustizia ha escluso l applicabilità del divieto di cui all art. 101 1 del TFUE alla clausola che vieta al franchisee, durante un adeguato periodo dopo la scadenza di aprire negozi per l esercizio di attività identiche o simili nelle zone in cui (l ex affiliato) possa trovarsi in concorrenza con commercianti aderenti alla rete di distribuzione 26. 23 Cfr. art. 5 (a) Regolamento UE 330/2010. 24 Sotto tale profilo, si rinvia al testo della sentenza Pronuptia dalla Corte di Giustizia europea del 28.1.1986 (causa 161/1984), in Racc. giur. Corte, 1986, 394 ss nonché alla nota di R. BALDI, La sentenza Pronuptia della Corte ed il franchising in Europa, in Riv. dir. ind., 1987, II, 277 ss. 25 Cfr. art. 5 (b) Regolamento UE 330/2010. 26 Cfr. 15 della sentenza Pronuptia Paris (1986). Il ragionamento seguito dalla Corte si basa sul presupposto che, nella misura in cui il franchising consente ai commercianti sprovvisti dell esperienza necessaria di avvalersi di metodi che essi avrebbero dovuto acquisire solo dopo una lunga e laboriosa ricerca e di giovarsi della reputazione del segno distintivo del concedente, esso non arreca pregiudizio per sé alla concorrenza e non cade, dunque, sotto il divieto dell art. 101 1 del TFUE. In questo modo la Corte, facendo ampio ricorso allo strumento della rule of reason, effettua un bilanciamento tra aspetti positivi e negativi di una restrizione concorrenziale, sottraendola a monte al divieto dell art. 101 1 del TFUE, senza necessità di essere esentate (in via individuale o per categoria) ai sensi del 3. 17

In via generale, si osserva come i vari schemi della distribuzione integrata siano generalmente inclini ad operare una reciproca sovrapposizione delle principali clausole restrittive, così confermando le difficoltà relative ad una ricostruzione organica del disegno normativo europeo; per di più, si rileva che i medesimi vincoli di esclusiva, considerati con estremo rigore dal Regolamento 330/2010/UE in riferimento alla generalità dei rapporti di distribuzione, incontrano spesso un terreno più permissivo nella giurisprudenza della Corte di Giustizia che ne afferma la piena validità qualora gli stessi siano inseriti nel contesto di un contratto di distribuzione con caratteristiche particolari qual è quello di franchising. In tale prospettiva, è ragionevole ritenere che le incongruenze riconducibili all adozione di un approccio strettamente funzionale alla regolamentazione degli accordi verticali possano trovare opportuno temperamento attraverso un più compiuto coordinamento fra la disciplina sostanziale dei singoli modelli contrattuali e l applicazione delle norme antitrust che colpiscono con la sanzione della nullità di pieno diritto situazioni di forza non tollerate dalla disciplina pubblicistica del mercato. La presenza di una disciplina uniforme dei principali modelli della distribuzione integrata, infatti, consentirebbe di individuare più facilmente e con maggior grado di certezza le clausole tipicamente restrittive del regolamento negoziale al fine di agevolare il vaglio di compatibilità con la disciplina antitrust. Inoltre, una più chiara determinazione dei diritti e degli obblighi delle parti nonché dei relativi rischi economici e finanziari avrebbe l effetto di rafforzare l incidenza del public enforcement, con notevole semplificazione dell istruttoria relativa all accertamento dei presupposti alla base dell illecito anticoncorrenziale. Più nel dettaglio, V. KORAH, Pronuptia Franchising: The Marriage of Reason and the ECC Competition Rules, in EIPR, 1986, 99 ss.; M. C. MALAGUTTI, Il franchising davanti alla Corte di Giustizia delle Comunità europee, in Riv. trim. dir e proc. civ., 1988, 605 ss. 18

1.2 Il trittico: agenzia commerciale, concessione di vendita e franchising nell esperienza giuridica degli Stati membri La carenza di fonti europee attinenti ai profili sostanziali degli accordi di distribuzione commerciale sconta anzitutto le incertezze derivanti dalla mancata tipizzazione del fenomeno all interno degli ordinamenti nazionali nel cui contesto la relativa disciplina assume contorni particolarmente evanescenti. La capillare diffusione della formula della distribuzione commerciale ha di fatto determinato la progressiva affermazione di nuove tipologie contrattuali, le quali costituiscono un immediata risposta di adeguamento di istituti giuridici preesistenti alle nuove e mutevoli esigenze del mercato. Tuttavia, ad una tipizzazione ampiamente consolidatasi sul fronte socio-economico non è corrisposto un pari e tempestivo riconoscimento della tipicità sul piano del diritto, essendosi privilegiato sino ad ora un approccio pragmatico incentrato sulla disamina delle finalità economicosociali divisate dai contraenti e sulle obbligazioni di volta in volta assunte dalle parti 27. Sotto il profilo dogmatico, voci autorevoli della dottrina italiana 28 ed europea 29 hanno optato per il riconoscimento del carattere autonomo ed unitario della categoria, individuando i tratti fisionomici principali di ciascuna figura: a) nella me- 27 In generale, sull argomento G. DE NOVA, I nuovi contratti, Torino, 1994; A. LUMINOSO, I contratti tipici e atipici, in Tratt. dir. priv., Milano, 1995. 28 Nella dottrina italiana, si vedano, tra gli altri, le ricostruzioni di G. SANTINI, Il commercio Saggio di economia del diritto, op. cit.; R. PARDOLESI, Distribuzione (contratti di), in Digesto delle discipline privatistiche, sez. commerciale, vol. V, Torino, 1990, 66 ss.; R. BALDI, Il contratto di agenzia. La concessione di vendita. Il franchising, op. cit.; O. CAGNASSO G. COTTINO, Contratti commerciali, in Trattato di diritto commerciale, vol. IX, Milano, 2000; F. GALGANO, Diritto civile e commerciale, vol. II, in Le obbligazioni e i contratti, Padova, 2004. 29 Nel panorama europeo si segnalano i contributi di A. GEORGIADIS, New contractual forms of the modern economy, Leasing/Factoring/Forfaiting/Franchising, Athina, 1998; E. GUARDIOLA SA- CARRERA, Contratos de Collaboration en el Commercio International, Barcelona, 1998; J. HUET, Les principaux contracts spéciaux, in Traité de droit civil sous la direction de Jacques Ghestin, in LGDJ, Paris, 2001; J. M. MOUSSERON J. RAYNARD R. FABRE J. L. PIERRE, Droit du commerce international, Paris, 2003; A. JAUSAS, International Encyclopedia of Agency and Distribution Agreements, The Hague, 2009; M. MARTINEK - F. SEMLER S. HABERMEIER E. FLOHR (a cura di), Handbuch des Vertriebsrechts, Munchen, 2010. 19

desimezza della destinazione funzionale; b) nella stabilità e nella continuità del vincolo negoziale; c) ed infine, nel privilegio generalmente concesso all intermediario autonomo che si traduce nell inserimento di quest ultimo all interno della filiera distributiva e nella sua tendenziale soggezione economica e giuridica nei confronti del committente/produttore. Alla luce di tale ricostruzione, si ritiene che i tratti di differenziazione tra l uno e l altro strumento contrattuale (agenzia, franchising e distribuzione) debbano misurarsi sulla base di fattori quantitativi piuttosto che qualitativi giacché essi riflettono la trasposizione giuridica di una diversificazione rilevante sotto il profilo dell organizzazione aziendale ed economica del committente/produttore 30. In via esemplificativa, si osserva che nel contratto di agenzia commerciale l attività dell agente si sostanzia nel promuovere in una zona determinata la conclusione di contratti di vendita dal preponente direttamente a terzi mentre nella concessione di vendita l attività dell intermediario si concretizza nell acquisto e nella successiva rivendita, in nome e per conto proprio, dei beni oggetto del contratto. Rispetto all agente di commercio, dunque, il concessionario di vendita in esclusiva si accorda per una maggiore intensificazione degli obblighi nei confronti della controparte a cui corrisponde una collaborazione economica caratterizzata da più marcati elementi fiduciari e che acquista rilevanza giuridica in funzione delle clausole volte ad incrementare la commercializzazione dei prodotti 31. La suddetta ricostruzione, pur accentuando i tratti unitari della categoria, tiene opportunamente in considerazione le specificità proprie di ciascuna figura contrattuale, ritenute di per sé sufficienti ad attribuire ad ognuna una posizione di completa autonomia. Allo stesso tempo, la reciproca affinità di tali modelli consente 30 Così R. PARDOLESI, I contratti di distribuzione, op. cit.; A. FRIGNANI, Franchising. La nuova legge, Torino, 2004. 31 I caratteri differenziali e comuni tra agenzia e concessione di vendita sono posti in evidenza da A. BALDASSARRI, I contratti di distribuzione, op. cit., 2142 ss.; in generale, si veda O. CAGNASSO G. COTTINO, Contratti commerciali, in Trattato di Diritto Commerciale, Milano, 2000. 20