Proroga CIGS: criteri e modalità di richiesta

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13 Luglio 2016 Amministrazione del personale Proroga CIGS: criteri e modalità di richiesta Nella Circolare n. 22, il Ministero del lavoro definisce le condizioni e le modalità di attuazione per l accesso delle aziende ad un ulteriore periodo di CIGS. Si tratta dell opportunità concessa ai datori di lavoro in caso di cessazione dell attività e di cessione dell azienda nell ambito della quale si preveda il riassorbimento del personale. Con la Circolare n 22 dell 11 luglio 2016, la Direzione Generale degli ammortizzatori sociali e I.O. del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha definito le condizioni e modalità di attuazione per l accesso delle aziende ad un ulteriore periodo di CIGS: ciò è possibile in caso di cessazione dell attività e di cessione dell azienda stessa con il riassorbimento del personale. Il trattamento di integrazione salariale straordinaria può essere prorogato per un massimo di: - 12 mesi per le cessazioni di attività intervenute nell anno 2016; - 9 mesi per le cessazioni intervenute nell anno 2017; - 6 mesi per quelle intervenute nell anno 2018. Le condizioni per l autorizzazione Per potere legittimamente procedere alla proroga di un trattamento di CIGS per crisi aziendale già in corso è necessario che: - l impresa abbia già in corso un trattamento di integrazione salariale e sia impossibilitata a portare a termine il piano di risanamento contenuto nel programma; - si determini la cessazione dell attività aziendale; - esistano concrete prospettive di cessione dell azienda stessa e del trasferimento dei lavoratori. Iter dell istanza Il datore di lavoro è tenuto a stipulare uno specifico accordo con le parti sociali presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali anche con la presenza del Ministero dello sviluppo economico. Ad esso va allegato un articolato e dettagliato piano per il riassorbimento del personale sospeso. L accordo deve contenere: - il piano di sospensione dei lavoratori; - il piano di trasferimento e riassorbimento dei lavoratori sospesi; - le modalità di gestione per le eventuali eccedenze di personale. Il Ministero dello sviluppo economico, qualora intervenga, può confermare la sussistenza di prospettive concrete di rapida cessione o dichiarare, per ragioni di privacy, di possedere le proposte da parte di terzi volte a rilevare l azienda cedente. Prima della sottoscrizione dell accordo va controllata la disponibilità delle risorse finanziarie necessarie. Al Ministero dello sviluppo economico, nel caso in cui partecipi all accordo, è affidato il compito di monitorare il buon esito dell iter.

Una volta stipulato l accordo, la società cedente è tenuta a presentare l istanza al Ministero del lavoro e delle politiche sociali Direzione Generale Ammortizzatori sociali e I.O., div. IV, attraverso il sistema informatico di cigs on line. Ad essa va allegato il verbale di accordo, l elenco nominativo dei lavoratori interessati dalle sospensioni o riduzioni orarie e coinvolti nel trasferimento aziendale, il programma e il piano delle sospensioni del personale. A cura della Redazione Ministero del lavoro, Direzione Generale degli ammortizzatori sociali e I.O., Circolare 11/07/2016, n. 22, Riscossione Imprese e professionisti: compensazione cartelle esattoriali nei confronti della PA Pubblicato in G.U. n. 161 del 12 luglio 2016 il Decreto 27 giugno 2016 in tema compensazione per l anno 2016 delle cartelle esattoriali in favore di imprese e professionisti titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, nei confronti della pubblica amministrazione Con D.M. 27 giugno 2016 è stato decretato che anche per il 2016 sarà possibile compensare le cartelle esattoriali in favore di imprese e professionisti titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, nei confronti della pubblica amministrazione. Di fatto riprendendo le medesime disposizioni già inserite nel DM 24 settembre 2014 che davano attuazione all art. 28 quater del D.P.R. n. 602/1973 Compensazioni di crediti con somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo. A cura della Redazione Ministero dell Economia e delle finanze, D.M, 27/06/2016 (in G.U. n. 161/2016) Contenzioso tributario Processo telematico tributario in 6 nuove regioni Estensione graduale per il processo tributario telematico: la prevede il decreto 30 giugno 2016 del Direttore Generale delle Finanze, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 161 del 12 luglio 2016. Il decreto estende le modalità telematiche del processo tributario in altre sei regioni: Abruzzo e Molise, Piemonte e Liguria, Emilia-Romagna e Veneto. Il processo tributario telematico raggiunge sei nuove regioni. Il D.M. 30 giugno 2016 del Direttore Generale delle Finanze, in Gazzetta Ufficiale n. 161 del 12 luglio 2016, estende le modalità telematiche del processo tributario in altre sei regioni, con una entrata in vigore graduale. Il processo tributario telematico, operativo dal 1 dicembre 2015 in Toscana e Umbria, sarà infatti attivabile per gli atti processuali e ai ricorsi notificati a partire dal: - 15 ottobre 2016 per le Commissioni tributarie presenti nelle regioni Abruzzo e Molise; - 15 novembre 2016 per le Commissioni tributarie presenti nelle regioni Piemonte e Liguria; - 15 dicembre 2016 per le Commissioni tributarie presenti nelle regioni Emilia-Romagna e Veneto. Il portale dedicato www.giustiziatributaria.gov.it consentirà di accedere al sistema informativo della Giustizia Tributaria (SIGIT) per il deposito telematico degli atti e documenti processuali. A cura della Redazione

Ministero dell Economia e delle finanze, D.M, 30/06/2016 (in G.U. n. 161/2016) Dichiarazioni Emendabile anche in sede contenziosa la dichiarazione dei redditi La possibilità di emendare la dichiarazione del redditi, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l'indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d'imposta o di un minor credito, mediante la dichiarazione integrativa a favore, è esercitabile non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante. Inoltre resta fermo il termine di 48 mesi dal pagamento per richiedere il rimborso ed è sempre possibile opporsi in sede contenziosa (in applicazione del principio quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum, art. 1442 c.c.) alla maggiore pretesa tributaria dell'amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull obbligazione tributaria. Lo hanno chiarito definitivamente le Sezioni Unite della Cassazione con la sentenza n. 13378 dello scorso 30 giugno di Francesco Brandi La vicenda scaturiva da un controllo automatizzato con cui l Amministrazione finanziaria richiedeva ad una società in liquidazione il pagamento di oltre 50 mila euro per omesso versamento di IVA, IRPEF ed IRAP per l'anno d'imposta 2002. Nel successivo ricorso il contribuente deduceva la commissione di alcuni errori nella compilazione di un quadro della dichiarazione avendo omesso l indicazione di costi inerenti ai ricavi dichiarati, per cui il vero risultato di esercizio era una perdita, come risultava dalla rettifica della dichiarazione effettuata nel 2016. I gradi di merito si concludevano a favore dell Amministrazione: secondo i giudici siciliani, infatti, la possibilità di rettifica della dichiarazione dei redditi era preclusa dal decorso del termine previsto dall'art. 2, comma 8-bis del d.p.r. n. 322 del 1998. Le Sezioni Unite, come evidenziato nell'ordinanza interlocutoria, sono state chiamate a decidere se il contribuente, in caso di imposta sui redditi, abbia la facoltà di rettificare la dichiarazione per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l'indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito o minor credito d'imposta, solo entro il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo - come stabilito dall'art. 2, comma 8-bis, del d.p.r. 22/7/1998, n. 322- oppure se, al contrario, quest'ultimo termine sia previsto solo ai fini della compensazione, richiamata dal secondo periodo del comma 8 bis cit., per cui la predetta rettifica sia possibile anche a mezzo di dichiarazione da presentare entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione - a norma dell'art. 2, comma 8, del d.p.r. n. 322- e, in ogni caso, tanto in sede rimborso, nel rispetto dei relativi termini di decadenza e/o di prescrizione, quanto in sede processuale, e cioè per opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato. La questione della natura giuridica e degli effetti della dichiarazione è stata lungamente dibattuta in dottrina e in giurisprudenza. Tramontate le remote teorie che assimilavano la dichiarazione ad una confessione stragiudiziale, vi è da tempo concordia sul fatto che la dichiarazione tributaria costituisca una comunicazione di scienza : il contribuente, attraverso lo strumento della dichiarazione, comunica al fisco il verificarsi e l entità del presupposto del tributo. Col tempo, in altre parole, si è attribuita preferenza al contenuto sostanziale del presupposto, svalutando il contenuto precettivo e vincolante della dichiarazione. Gli effetti della dichiarazione discendono esclusivamente dalla legge e non dalla volontà del dichiarante; da qui la generale natura non negoziale della dichiarazione. Tuttavia le dichiarazioni possono talvolta contenere, sotto limitati profili, anche manifestazioni di volontà: sono i casi, ad esempio, in cui il contribuente è chiamato ad optare tra due regimi alternativi di determinazione dell imponibile oppure a scegliere la modalità di utilizzo/destinazione di un eccedenza di imposta a credito. Secondo la Suprema Corte la dichiarazione dei redditi è, in linea di principio, un atto emendabile e ritrattabile, in quanto non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, ed in quanto tale è modificabile a seguito dell acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti e costituisce un momento dell iter procedimentale volto all accertamento dell obbligazione tributaria (cfr. Cass. n. 18757 del 2014). Infatti un sistema legislativo che intendesse negare in radice la rettificabilità della dichiarazione, darebbe luogo a un prelievo fiscale indebito e, pertanto, non compatibile con i principi costituzionali della capacità contributiva (articolo 53, comma 1, della Costituzione) e

dell oggettiva correttezza dell azione amministrativa (articolo 97, comma 1, della Costituzione) (Cassazione, sentenze 17394/2002, 15063/2002, 2226/2011 e 2725/2011). Tale facoltà di modifica, tuttavia, non è assoluta, in quanto non è comunque consentito al contribuente di revocare e sostituire totalmente la precedente dichiarazione, ma quest ultimo può effettuare una modifica solo nell ambito circoscritto dell indicazione dei dati reddituali, sia in positivo che in negativo, laddove abbia riscontrato degli errori materiali (è il caso degli errori di calcolo o di errate liquidazioni degli importi), o formali (è il caso degli errori inerenti l esatta individuazione della voce del modello da compilare nella quale indicare il dato reddituale). Il giudice di legittimità ha quindi posto dei precisi limiti all emendabilità delle dichiarazioni, argomentando che non è possibile apporre delle modifiche quando l errore riguarda una manifestazione di autonomia negoziale del soggetto. Con la sentenza del 5 settembre 2014, n. 18757, la Corte di Cassazione respingendo il ricorso di un imprenditore che aveva riportato in dichiarazione un debito Iva che, in realtà, doveva essere registrato in regime di sospensione d imposta ha stabilito che il contribuente non può emendare la dichiarazione Iva al punto di stravolgerla dalla qualificazione iniziale. Il ricorso viene respinto proprio perché il contribuente per sua scelta aveva revocato, con dichiarazione integrativa, l opzione esercitata tra il regime di esigibilità immediata dell imposta e quello di esigibilità differita, non trattandosi di un mero errore materiale quanto piuttosto di una scelta negoziale, per questo non più emendabile. Nel caso in cui, quindi, il legislatore subordina per esempio la cessione di un beneficio fiscale ad una precisa manifestazione di volontà del contribuente, da compiersi direttamente nella dichiarazione attraverso la compilazione di un modulo predisposto dall Erario, la Suprema Corte ha precisato che ladichiarazione assume per quella parte il valore di atto negoziale e, come tale, irretrattabile anche allorquando essa sia stata determinata da un errore. In particolare la Corte di Cassazione ha stabilito che tale opzione integra esercizio di un potere discrezionale di scelta nell an e nel quando riconducibile ad una tipica manifestazione di autonomia negoziale del soggetto che è diretta ad incidere sulla obbligazione tributaria e sul conseguente effetto vincolante di assoggettamento all imposta. All interno del nostro ordinamento tributario, i principi di emendabilità e di ritrattabilità della dichiarazione sono regolamentati dall articolo 2, comma 8 (integrativa pro-erario), del Decreto del Presidente della Repubblica 22 luglio 1998 n. 322, che consente di presentare una successiva dichiarazione, anche meramente rettificativa della precedente, da presentarsi entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione originaria, facendo salvo il potere degli uffici di applicare le sanzioni amministrative. La dichiarazione integrativa deve essere redatta utilizzando i modelli approvati per il periodo d imposta a cui l integrazione è riferita. Il comma 8-bis (integrativa a favore del contribuente) dello stesso D.P.R. n. 322/1998 stabilisce, invece, che le dichiarazioni inficiate da errori od omissioni che hanno determinato l indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d imposta o di un minor credito, possono essere integrate a favore del contribuente non oltre il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d imposta successivo, con possibilità di utilizzare in compensazione il maggior credito scaturente dalla nuova dichiarazione. Per i periodi precedenti il 1 gennaio 2002 era comunque possibile presentare istanza di rimborso ai sensi dell art. 38, comma secondo, DPR n. 602 del 1973. Al riguardo, la Cassazione ha precisato che la richiesta di rimborso presentata ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, art. 38, comma 1, è idonea, per i periodi anteriori all 1 gennaio 2002, a rettificare in senso favorevole al contribuente la dichiarazione stessa, non essendo previsti, prima di detta data, termini di decadenza, per tale rettifica favorevole, diversi da quelli prescritti per il rimborso dalla citata norma. Da un lato, infatti, il menzionato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 9, comma 8, (comma aggiunto dall art. 14 della L. 29 dicembre 1990, n. 408, applicabile ratione temporis ) - che prevede un termine per integrare la dichiarazione - si riferisce soltanto alle omissioni ed agli errori in danno dell'amministrazione e non anche a quelli in danno del contribuente; dall'altro, solo con il D.P.R. 7 dicembre 2001, n. 435, art. 2 - che ha modificato, con effetto dall 1 gennaio 2002, il D.P.R. 22 luglio 1998, n. 322, art. 2, introducendo l ottavo comma bis -, è stata prevista una dichiarazione integrativa per correggere errori od omissioni in danno del contribuente, da presentarsi non oltre il termine per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo (Cass., sent. 20 aprile 2012, n. 6218). A decorrere dal 1 gennaio 2002, con l introduzione della dichiarazione integrativa c.d. a favore ex art. 2, comma 8-bis, DPR n. 322 del 1998 gli ambiti di applicabilità dell istanza di rimborso e dell integrativa appaiono distinti. Al riguardo si ritiene (anche alla luce di un orientamento giurisprudenziale convincente) che l istanza di rimborso non possa essere equipollente alla presentazione della dichiarazione integrativa

c.d. a favore ex art. 2, comma 8-bis, DPR n. 322 del 1998 tale da consentire la fruizione del più ampio termine di decadenza di quarantotto mesi ex art. 38, secondo comma, DPR n. 602 del 1973. Secondo alcune pronunce della Cassazione Tale lettura (dell equipollenza) non appare sostenibile, posto che in base ad essa la facoltà di rettificare la dichiarazione in senso favorevole al dichiarante sarebbe esercitabile senza limiti di tempo, il che è certamente contrario all'intenzione del legislatore (cfr. Cass. 4 aprile 2012, n. 5373). Si trattava ad ogni buon conto di una questione molto dibattuta, così come la possibilità di emendare (a favore del contribuente) la dichiarazione anche oltre il termine di cui al precedente comma 8-bis: secondo gli ultimi arresti vi sarebbe tale possibilità anche in sede contenziosa in ossequio al principio di capacità contributiva di cui all art. 53 della Costituzione che consente la ritrattabilità in ogni momento della dichiarazione quando dalla medesima possa derivare l assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico (cfr. Cass. n. 12481 del 4 giugno 2014, n. 4003 del 2013, n. 28209 del 2013 rese in tema di Irap in casi in cui i contribuenti avevano compilato i quadri della dichiarazione ma poi avevano ritenuto di non versare in mancanza del presupposto dell autonoma organizzazione, n. 26512 del 2012 e nn. 15063 e 17394 del 2002). Si ricorda infine che l istanza di rimborso è il solo rimedio esperibile (ricorrendone i presupposti) qualora la dichiarazione sia da considerarsi omessa perché presentata oltre novanta giorni dalla scadenza. In tal caso, infatti, non potrebbe essere presentata la dichiarazione integrativa mancando lo stesso presupposto, costituito dalla presentazione di una valida dichiarazione entro i termini di decadenza previsti dalla legge. Il principio generale dell emendabilità della dichiarazione dei redditi non ha valore assoluto. Con sentenza 11 maggio 2012, n. 7294 la Corte di cassazione ha ritenuto che L affermazione di una generale ed automatica emendabilità degli errori commessi dal contribuente nella redazione della dichiarazione, tuttavia, non può ritenersi estesa alla dichiarazione dei redditi tout court, ma deve correttamente circoscriversi alla indicazione di quei dati, relativi alla quantificazione delle poste reddituali positive o negative, che integrino errori tipicamente materiali (ad es. errori di calcolo od anche errata liquidazione degli importi), ovvero anche formali (concernenti la esatta individuazione della voce del modello da compilare nella quale collocare la posta), rimanendo a tali ipotesi estranea la concreta fattispecie in esame in cui il contribuente, con la stessa dichiarazione, viene ad esercitare una facoltà di opzione riconosciutagli dalla norma tributaria. Nel caso esaminato da Cass. n. 7294 del 2012 il ricorso della società contribuente è stato respinto poiché la dichiarazione integrativa dei redditi 1994 (presentata in data 9 giugno 1995) aveva ad oggetto il riporto all annualità in contestazione di perdite registrate in anni precedenti, ex art. 102 del TUIR (in vigore fino al 31 dicembre 2003, corrispondente all art. 84 del TUIR in vigore dal 1 gennaio 2004). Poiché nella dichiarazione originaria la società non aveva utilizzato le perdite degli anni pregressi in diminuzione dell utile, l esercizio di detta opzione attraverso la dichiarazione integrativa costituiva una nuova manifestazione di volontà. Ne consegue che, nell ipotesi in cui la normativa fiscale consente al contribuente di esercitare una scelta dispositiva, quale, ad esempio, l esercizio di un opzione offerta dal legislatore, tale scelta, anche se inserita in una dichiarazione di scienza, costituisce una manifestazione di volontà che, in quanto tale, vincola il contribuente e non può essere modificata con la rettifica della dichiarazione. Con la sentenza n. 25056 del 2007, la Cassazione ha affermato che l errore emendabile deve sempre riguardare il contenuto proprio della dichiarazione di scienza, non la manifestazione di volontà implicita nell esercizio di un opzione offerta dal legislatore. In particolare, con tale pronuncia, concernente la dichiarazione resa dal contribuente ai fini dell Invim decennale, i giudici di legittimità hanno escluso la possibilità per il contribuente di rettificare il valore indicato nella dichiarazione originaria, oggetto di accertamento da parte dell ufficio, indicando il valore risultante dall applicazione di criteri automatici. Ora, con la pronuncia a Sezioni Unite è arrivato il chiarimento definitivo: la natura giuridica della dichiarazione fiscale quale mera esternazione di scienza, il principio di capacità contributiva di cui all'art. 53 Cost., il disposto dell'art. 10 dello Statuto del contribuente - secondo cui i rapporti tra contribuente e fisco sono improntati al principio di collaborazione e buona fede- nonché il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, rispetto a quelle che governano il processo tributario, comportano poi l'inapplicabilità in tale sede, delle decadenze prescritte per la sola fase amministrativa. In altri termini, in applicazione del principio quae temporalia ad agendum perpetua ad excipiendum e nel rispetto del principio di capacità contributiva, il contribuente, in sede contenziosa, può opporsi alla maggiore pretesa tributaria azionata dal fisco - anche con diretta iscrizione a ruolo a seguito di mero controllo automatizzato- allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella sua redazione ed incidenti sull'obbligazione tributaria: ciò anche in virtù della specificità dell oggetto del contenzioso, rappresentato dall accertamento della legittimità

della pretesa impositiva Corte di Cassazione, Sez. Unite, sentenza 30/06/2016, n. 13378 IVA Voucher: buoni sconto esclusi dalla direttiva UE La direttiva n. 2016/1065/UE sul trattamento IVA dei voucher, applicabile dal 1 gennaio 2019, limita l applicazione delle nuove disposizioni ai buoni acquisto, senza prevedere una disciplina ad hoc per i buoni sconto. Ciò contrariamente alla proposta di direttiva predisposta dalla Commissione UE che, sul punto, prevedeva regole specifiche per i buoni che attribuiscono il diritto a ricevere uno sconto o un rimborso sul prezzo di una cessione o di una prestazione. Pertanto, per i buoni sconto, restano applicabili i princìpi espressi dalla Corte di Giustizia UE, sebbene di non facile attuazione pratica. di Marco Peirolo - Dottore commercialista in Torino In linea con il quarto considerando della direttiva n. 2016/1065/UE, le nuove disposizioni sul trattamento IVA dei voucher si riferiscono esclusivamente ai buoni acquisto e, quindi, non sono applicabili ai buoni sconto, per i quali infatti non è prevista una disciplina specifica. I buoni sconto nella proposta di direttiva È il caso di osservare che la proposta di direttiva predisposta dalla Commissione europea - doc. COM (2012) 206 del 10 maggio 2012 - si è occupata anche dei buoni sconto (discount voucher), definiti come strumenti che attribuiscono il diritto a ricevere uno sconto o un rimborso sul prezzo di una cessione di beni o di una prestazione di servizi. L intento perseguito dalla Commissione era quello di semplificare il trattamento impositivo nel caso in cui lo sconto venga concesso da chi ha emesso il buono, anziché dal soggetto che fornisce il bene o il servizio e che accetta il buono a parziale pagamento del prezzo. In pratica, il discount voucher si colloca nell ambito di un sistema promozionale attivato dal produttore/distributore, il quale provvede a rimborsare il valore facciale del buono al dettagliante, cioè a colui che lo ha accettato dal cliente per l acquisto di un bene o un servizio ad un prezzo ridotto. La proposta di direttiva aveva previsto che, laddove il buono sconto sia emesso gratuitamente, il rimborso erogato dall emittente (produttore/distributore) al soggetto passivo che fornisce i beni o i servizi (dettagliante) rappresenta il corrispettivo dovuto per l accettazione del buono e, in questo senso, la proposta introduceva una nuova fattispecie di prestazione di servizi consistente nell accettazione di un buono sconto gratuito, se il soggetto passivo che cede i beni o presta i servizi corrispondenti al buono riceve un corrispettivo dall emittente del buono. Correlativamente, era stata adeguata la base imponibile della prestazione in esame, da assumersi in misura pari alla riduzione di prezzo concessa al cliente e rimborsata dall emittente, detratto l importo dell IVA dovuta sul servizio fornito. Come chiarito dalla relazione illustrativa alla proposta di direttiva, il rimborso, invece di rappresentare il corrispettivo versato da un terzo, è considerato il corrispettivo (IVA inclusa) della fornitura di un servizio di accettazione del buono. Invece di ridurre la base imponibile della prima vendita, il fabbricante (che emette il buono) detrae l IVA a monte sul servizio prestato dal fornitore che accetta il buono. Sicché, quando un buono sconto gratuito è presentato per essere riscattato contro una cessione di beni o una prestazione di servizi, il prezzo pagato sarà ancora ridotto del suo valore nominale, ma anche la base imponibile della cessione o prestazione sarà ridotta. Tale base imponibile (più IVA) costituisce il prezzo effettivamente pagato dal cliente. L'orientamento della Corte di Giustizia UE Le disposizioni sui buoni sconto in precedenza illustrate non sono state adottate dal Consiglio europeo in sede di approvazione della direttiva, per cui troveranno applicazione, anche dal 1 gennaio 2019, le indicazioni formulate dalla

giurisprudenza comunitaria in merito al trattamento IVA dei discount voucher, vale a dire l impostazione che la proposta della Commissione europea intendeva modificare proprio per risolvere le difficoltà applicative riscontrate dagli operatori nell attuarla. Secondo il consolidato orientamento della Corte di Giustizia (causa C-317/94, Elida Gibbs; causa C-288/94, Argos Distributors; causa C-427/98, Commissione/Germania), il dettagliante determina la base imponibile della cessione o della prestazione posta in essere nei confronti del possessore del buono sconto al lordo della riduzione di prezzo, nel rispetto, cioè, del principio codificato dall art. 73 della direttiva n. 2006/112/CE (corrispondente all art. 13, comma 1, del decreto IVA), secondo cui la base imponibile comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al fornitore o al prestatore per tali operazioni da parte dell acquirente, del destinatario o di un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con il prezzo di tali operazioni ; correlativamente, al produttore/distributore che ha emesso il buono viene riconosciuto il diritto di operare la variazione in diminuzione della base imponibile relativa alla prima cessione della catena distributiva, detraendo l imposta corrispondente allo sconto. Il principio in base al quale la procedura di variazione dell art. 26, comma 2, D.P.R. n. 633/1972 può essere applicata in relazione agli sconti riconosciuti dal produttore ai consumatori finali per mezzo di buoni sconto quand anche la vendita originaria sia avvenuta direttamente nei confronti del distributore e, quindi, solo indirettamente nei confronti del consumatore finale, è stato avallato anche dall Amministrazione finanziaria e dalla Corte di Cassazione. In particolare, con la risoluzione n. 147/E del 10 aprile 2008, l Agenzia delle Entrate ha chiarito che: ancorché l art. 26 del D.P.R. n. 633/1972 non disciplini espressamente le ipotesi di variazione dell imponibile o dell imposta in conseguenza dell applicazione di sconti o abbuoni concessi a un soggetto diverso da quello con il quale è stata effettuata l operazione originaria, si è dell avviso che, in conformità al principio di ordine generale espresso dalla Corte di Giustizia CE (...), lo strumento della nota di variazione sia applicabile anche alle ipotesi in cui tra l alienante e l acquirente finale non intercorra un rapporto giuridico di compravendita diretta. Alla stessa conclusione è giunta la giurisprudenza di legittimità (Cass., 16 ottobre 2015, n. 20964), sottolineando che, dal punto di vista operativo, il produttore che si avvalga della procedura di variazione dovrà verificare: - se dalle note di credito gli sconti o i rimborsi concessi ai consumatori finali siano univocamente ricollegabili alle operazioni originarie effettuate dal produttore nei confronti del rivenditore; - se la variazione, pari alla somma rimborsata, sia stata imputata proporzionalmente alla base imponibile e all imposta; - se la variazione in diminuzione delle operazioni sia intervenuta entro l anno di effettuazione delle corrispondenti operazioni originarie, tenuto conto che la rettifica è subordinata all adesione del consumatore finale alla campagna promozionale, ossia ad un sopravvenuto accordo fra le parti, ex art. 26, comma 3, del decreto IVA. Reati Esercizio abusivo della professione di commercialista Secondo la sent. n. 26617 della Corte Cass., sono irrilevanti le modalità attraverso cui siano state espletate attività, come ad esempio, la elaborazione dati o la registrazione dei corrispettivi, come nel caso della partecipazione ad una società fornitrice di servizi, se fatte da chi non è in possesso del titolo abitativo idoneo all attività di commercialista. Commette il reato di esercizio abusivo della professione chi, non in possesso del titolo di studio e abilitativo idoneo all attività di commercialista, effettui le prestazioni di elaborazione dati, raccolta fatture attive e passive, registrazione corrispettivi, liquidazione IVA e situazioni contabili periodiche con prospetti di costi e ricavi: tali atti, infatti, sono univocamente di competenza specifica di professione per la quale occorre il possesso del relativo titolo abilitativo. Inoltre, sono irrilevanti le modalità attraverso cui siano state espletate le attività in oggetto, come nel caso della partecipazione ad una società fornitrice di servizi, poiché quel che rileva è che colui il quale ha offerto le prestazioni professionali, dirette o mediate attraverso lo schermo societario, sia in possesso dei requisiti professionali idonei ad

assicurarle e, quindi, del titolo abilitativo richiesto dalla legge Corte di Cassazione, Sez. VI pen., sentenza 27/06/2016, n. 26617