Perchè investire in Sicilia: i profili fiscali 1



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Perchè investire in Sicilia: i profili fiscali 1 Angelo Cuva Avvocato - Docente di Scienza delle Finanze - Università di Palermo Componente Commissione Paritetica Stato-Regione Perché ancora investire in Sicilia? Nonostante i più recenti indicatori economici confermino una serie di criticità molto forti (negatività che non ci fanno più intravedere una utilità d investimento nella nostra regione ma che, anzi, evidenziano disincentivi e condizioni frenanti), può configurarsi una prospettiva positiva che, però, deve essere giustificata da strumenti ed elementi tali affinché la scelta di impiegare risorse in Sicilia non venga considerata una sorta di missione impossibile, ovvero un mero atto di fede e speranza. Pertanto, soffermandosi il convegno odierno sulle ragioni economiche, l argomento affidatoci deve essere ricondotto ad una appetibilità degli investimenti legata alla cosiddetta fiscalità di vantaggio. Occorre, quindi, analizzare tale tema e quello della potestà tributaria della Regione nell ottica di comprendere se esistono strumenti tali da consentire e favorire l attrazione di risorse finanziarie ed iniziative economiche nel nostro territorio. In teoria la Regione possiede da tempo questi strumenti ma non li ha sfruttati e applicati secondo le effettive potenzialità. Ci riferiamo all autonomia finanziaria derivante dallo Statuto, segnatamente dal titolo V della nostra carta costituzionale siciliana, che contiene (in maniera sicuramente anticipatoria rispetto a progetti molto più recenti, sia pure a livello potenziale ed estremamente generico) un modello originale e innovativo di finanza decentrata, da noi definita come una sorta di federalismo fiscale cooperativo e solidaristico a n t e - l i t t e r a m. Il modello contenuto nel nostro Statuto si ispira alle teorie dei maggiori studiosi che hanno parlato di federalismo perequativo. Mi riferisco, in particolare, a James Buchanan che analizzò per primo i meccanismi di un federalismo fondato su sistemi di perequazione finanziaria. Il federalismo fiscale cooperativo, infatti, si fonda, da un lato, sul riconoscimento di un autonoma ed elevata autosufficienza fiscale di un determinato ente e, dall altro lato, su meccanismi di redistribuzione che consentano di superare gli squilibri di partenza esistenti fra i vari enti appartenenti ad uno Stato o ad una federazione. 1 Relazione tenuta al Convegno sul tema Perché investire in Sicilia, organizzato dall Istituto Documentazione Ricerche e Formazione per gli Enti Locali in collaborazione con L ANCE Palermo e l Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Palermo ( Palermo, 30-31 Marzo 2012). 1

Questo modello veniva delineato (sia pur con una genericità foriera di una serie di problemi) nel nostro Statuto, principalmente, attraverso gli articoli 36 e 38. Tali norme, da un lato, attribuivano alla Regione entrate proprie e la possibilità di deliberare tributi; dall altro lato, offrivano un meccanismo di perequazione ordinaria che era fondato sul principio di solidarietà nazionale. Per una serie di vicende storiche la realizzazione di questo innovativo modello di finanza decentrata e di federalismo delineato dal nostro Statuto è stata molto limitata ed estremamente parziale. I motivi che hanno determinato questa mancata attuazione derivano da limiti interni ed esterni. I primi sono riconducibili certamente alla genericità della stessa normativa statutaria, alla collegata e conseguente interpretazione svalutativa di queste norme espressa all inizio anche dall Alta Corte della Regione Siciliana e, in seguito, dalla stessa Corte Costituzionale, che si sono orientate verso un ridimensionamento della potestà tributaria della Regione. Un altro limite interno è riconducibile, evidentemente, anche ad una non adeguata capacità di interlocuzione della Regione stessa (e, quindi, della classe politica regionale) con lo Stato, nell affermazione di un interpretazione più coerente di queste norme con la ratio complessiva del titolo quinto del nostro Statuto. Un altro limite è costituito da tutte le vicende che hanno riguardato la revisione delle norme di attuazione dello Statuto in materia finanziaria. Infatti, la genericità delle disposizioni (che ha causato la già richiamata interpretazione restrittiva sia da parte dello Stato che della giurisprudenza) avrebbe dovuto essere superata attraverso una loro revisione. Tuttavia, l auspicata introduzione di nuove norme di attuazione non c è stata; circostanza che ha portato la dottrina, proprio su questo aspetto, ad affermare che le vicende della lentezza relativa a tale processo di revisione hanno evidenziato una specialità siciliana, che si è rivoltata, non poche volte, contro l autonomia, fino a vanificarne i contenuti. In effetti, le attuali norme di attuazione in materia finanziaria sono ancora quelle del D. P.R. n. 74/1965 e, cioè, di una disciplina che fa riferimento, a sua volta, ad un impianto fiscale statale che non esiste più (quello pre-riforma). Ciò basterebbe già ad evidenziarne l assoluta inidoneità a svolgere la loro corretta funzione, oltre alla circostanza che le norme non revisionate non possono essere in grado di eliminare tutte quelle incertezze interpretative che hanno dato luogo a quel noto contenzioso tra Stato e Regione riguardante, proprio, l applicazione delle disposizioni statutarie (si pensi, in particolare, all erogazione delle somme dovute in base all art. 38). Tali limiti interni hanno fortemente pregiudicato ed impedito la realizzazione di questa potenziale autonomia finanziaria della Regione Siciliana. 2

A ciò si aggiungono i limiti che abbiamo definito esterni, cioè derivanti dall ordinamento sovranazionale e, segnatamente, dai principi fondamentali dell Unione Europea in materia di concorrenza e, in particolare, dalle norme che disciplinano gli aiuti di stato: gli ex articoli 87 e seguenti del Trattato C.E., nonchè l attuale articolo 107 del Trattato sul funzionamento della U.E., che prevedono - sulla base di una tutela del fondamentale principio di un economia di mercato aperta e in libera concorrenza - una regola generale di incompatibilità tra il mercato comune e gli aiuti concessi dagli stati, ovvero mediante risorse statali. Tali vincoli, per espressa interpretazione della stessa Corte di Giustizia, si riferiscono anche alle esenzioni da imposte e tasse e, quindi, alle agevolazioni fiscali che costituiscono il cuore della fiscalità di vantaggio. Tuttavia, la normativa comunitaria prevede deroghe che avrebbero già da tempo consentito alla Regione di chiedere, sulla base di elementi oggettivi, l applicazione delle stesse. Ci riferiamo a quelle deroghe (facoltative) previste dall ex articolo 87 (ora 107) che riguardano gli aiuti a finalità regionale: si stabilisce che, attivando l apposita procedura prevista sempre dalle norme comunitarie, la Commissione Europea possa - in base ad una valutazione discrezionale - ammettere la compatibilità di misure, anche di natura fiscale, per favorire le regioni che hanno un tenore di vita anormalmente basso e forme gravi di disoccupazione. Si tratta, dunque, di condizioni economiche nelle quali, sicuramente, la Regione Siciliana si trovava ed, ancora oggi, si trova. Purtroppo, la possibilità di inserirsi nelle pieghe di queste deroghe (e, quindi, di fare valere la propria autonomia) non è stata utilizzata dalla Regione in passato, ma soltanto di recente. In particolare, le deroghe non sono state utilizzate in quel periodo antecedente agli orientamenti sempre più restrittivi della Comunità Europea (che datano dal 1997 in poi). Ad esempio, in Irlanda (nonostante gli esiti economici quasi fallimentari registrati negli anni successivi) le misure fiscali furono utilmente utilizzate perché si era in un contesto di orientamenti comunitari precedenti al codice di condotta Ecofin del 97 ed alla comunicazione del 98 della Commissione, in un periodo, dunque, antecedente a quello che ha segnato l introduzione dei citati principi restrittivi. La Sicilia, invece, al contrario dell Irlanda, non ha sfruttato quel particolare contesto storico che, purtroppo, oggi non c è più. I primi segnali ed interventi propri di una fiscalità di vantaggio li ritroviamo soltanto nella legge regionale n. 11/2009 le cui misure sono state attivate da poco anche per problemi connessi alla copertura finanziaria. Ci riferiamo, in particolare, alla normativa che prevede il credito di imposta per nuovi investimenti. Tali misure sono da salutare positivamente perché, evidentemente, favoriscono l attrazione di risorse finanziare in alcuni settori strategici ( l atti- 3

vità estrattiva, manifatturiera, il turismo agroalimentare e le nuove tecnologie) ed il potenziamento e la crescita dimensionale del sistema imprenditoriale siciliano. In particolare, tali misure rappresentano una delle prime forme di utilizzo della fiscalità di vantaggio congiunturale e degli strumenti di natura fiscale autorizzati dalla Commissione Europea in via transitoria e in deroga, appunto, al divieto generale di aiuti di stato previsto dall articolo 107. Fino ad ora gli interventi realizzati dalla Regione in questo campo si sono mossi soltanto nell ambito del cosiddetto de minimis : quelle misure che si attestano entro massimali previsti dalla Comunità Europea e che, nel caso di specie, hanno interessato esclusivamente l Irap. Ma questi aiuti (considerati di minore importanza e proprio per questo sottratti al regime dell articolo 108 e, quindi, alla comunicazione ed alla preventiva autorizzazione) si sostanziano in interventi qualitativamente e quantitativamente di scarsa rilevanza, oltre che poi temporalmente definiti. Invece, le misure del credito d imposta (configurandosi come interventi più significativi e, quindi, come veri e propri aiuti) sono state giustamente proposte invocando le condizioni di deroga previste dal Trattato alla luce della particolare situazione economica sempre più allarmante in cui la Regione si trova. Condizioni che avrebbero già potuto legittimare la Regione a muoversi in questa direzione negli anni precedenti. Questo primo utilizzo della fiscalità di vantaggio congiunturale rappresenta una via che va ulteriormente perseguita nell interlocuzione con l Unione Europea per osare di più, per andare oltre. Bisogna spingersi verso interventi che siano di fiscalità di vantaggio strutturale, sulla base delle prerogative che lo Statuto della Regione Siciliana contiene in materia finanziaria e, soprattutto, anche alla luce di una serie di recenti pronunce da parte della Corte di Giustizia Europea. In particolare richiamiamo due sentenze della Corte di Giustizia: quella della Grande Sezione nella causa contro la Repubblica Portoghese (il caso Azzorre del 2006) e quella della Terza Sezione che riguarda i Paesi Baschi. Con queste sentenze la Corte di Giustizia Europea apre spiragli importanti e significativi in questo ambito, in quanto introduce un principio innovativo in ordine alla possibilità di prevedere misure di fiscalità di vantaggio strutturale e, dunque, non meramente congiunturale. Si tratta di misure generali e stabili che sfuggono, quindi, ai vincoli della disciplina comunitaria in materia di aiuti di stato, atteso che si afferma un principio che delinea la possibilità di considerare la Regione e non lo Stato come l entità di riferimento. La conseguenza è che interventi di differenziazione territoriale di natura fiscale - oggi qualificati come aiuti - potrebbero, invece, essere considerati come misure generali della regione stessa e, quindi, sfuggire al regime dei vincoli e dei limiti previsti dalla normativa comunitaria. 4

Ora, nell ottica del tema dell attrazione degli investimenti, riteniamo che la Sicilia debba cogliere tale momento cruciale sulla base di queste aperture della Corte di Giustizia e alla luce delle condizioni fondate sulla presenza di un autonomia istituzionale, procedurale e finanziaria (che la Corte considera come presupposto per l applicazione della fiscalità di vantaggio strutturale). E ciò, anche, in considerazione del particolare e delicato contesto storico, nell ambito del processo di attuazione del federalismo fiscale, fonte di una forte contrapposizione fra Stato e Regione. Ebbene, proprio in questo momento, riteniamo che la Sicilia debba, in maniera decisa, richiedere un utilizzo legittimo di questo importante strumento della fiscalità di vantaggio strutturale. Ciò costituisce una possibilità residua per rendere ancora attuale questo modello di fiscalità di vantaggio e, più in generale, di autonomia finanziaria della Regione contenuto nello Statuto ma che non è stato attuato se non in parte. Ciò anche al fine di evitare omologazioni riduttive che si nascondono nell ambito del processo di attuazione del federalismo fiscale italiano rispetto al quale la Regione ha cercato di fornire elementi di contrasto, anche se recenti sentenze della Corte Costituzionale, invece, anno espresso su questo tema orientamenti particolarmente restrittivi. Le condizioni necessarie per attuare una fiscalità di vantaggio strutturale (oltre che congiunturale) ci sono ancora e rappresentano una via per attrarre investimenti e risorse finanziarie. Certamente, lo strumento fiscale non costituisce la panacea di tutti i mali, non è risolutivo, ma ha sempre una significativa rilevanza. Il mancato sfruttamento di tale particolare e cruciale momento storico rischia di determinare una irreversibile condizione che ci costringerà a rispondere negativamente all interrogativo, che oggi ci poniamo, sul perché investire in Sicilia. Rischiamo, infatti, di perdere un treno che non passerà più, soprattutto in questo frangente in cui i provvedimenti di attuazione del federalismo fiscale in Italia potranno cristallizzare (soprattutto con riferimento ai meccanismi di perequazione) delle condizioni di non ritorno rispetto alle quali, poi, nessun altro intervento potrà essere utile. 5