Decentramento produttivo: questione di etichetta...



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Etichettatura, «made in» e marchio L attenzione verrà rivolta all individuazione del trattamento legislativo nazionale e internazionale riservato alla stampigliatura del «made in», con relative indicazioni di massima destinate agli operatori circa i necessari accorgimenti da adottare in merito, nell attesa dell entrata in vigore della normativa europea sulla marchiatura d origine, della quale verrà, infine, tracciato un breve commento di Francesca di Bon P. - Al Najjari & Partners Law Firm - Treviso L etichettatura: definizione Tecnicamente, cioè nel linguaggio giuridico e amministrativo l etichettatura viene definita come l insieme delle menzioni, indicazioni, marchi di fabbrica o di commercio, immagini o simboli che si riferiscono al prodotto e figurano direttamente sull imballaggio e su di un cartellino appostovi o sul dispositivo di chiusura o su cartelli, anelli o fascette legati al prodotto medesimo. La definizione di etichettatura pone in risalto come la stessa assolva essenzialmente ad una funzione informativa circa alcune caratteristiche del prodotto. È agevole desumere come il soggetto al quale il fascio d informazioni è in sostanza diretto sia il consumatore, o in generale l acquirente, al quale devono giungere notizie chiare, esplicative, trasparenti e, come richiede la normativa, veritiere in merito alla natura, identità, qualità, composizione, conservazione, origine o provenienza e modo di fabbricazione o di ottenimento del prodotto che gli permettano, almeno in linea di principio, di effettuare una scelta informata. Non può comunque sottacersi - e tale implicazione deriva essa stessa dalla definizione data - il fatto che l etichetta, soprattutto se considerata nel contesto d insieme della confezione, svolga altresì una funzione di catalizzatore dell attenzione dell acquirente e, quindi, di indirizzo, se non condizionamento, della scelta d acquisto. Alla disciplina della funzione informativa e di tutela del consumatore svolta dall etichettatura è sostanzialmente finalizzata la normativa in materia. Ne deriva che, salvo che nell ambito dell UE ove la legislazione risulta unificata in virtù dell adozione di Regolamenti e Direttive 1,la normativa sull etichettatura abbia origine prevalentemente nazionale. Decentramento produttivo: questione di etichetta... Le modalità con cui, oggi, viene concepita e realizzata l organizzazione del processo produttivo determinano che spesso il prodotto successivamente posto sul mercato sia il risultato di una pluralità di contributi: singole fasi del processo produttivo quali la progettazione, lo styling, la fabbricazione, l assemblaggio e il confezionamento vengono realizzati in Paesi diversi da imprese diverse. La diversificazione dei processi industriali comporta, quindi, che più imprese ubicate anche in Paesi diversi facenti parte di un unica organizzazione imprenditoriale, concorrano alla produzione di merci sulle quali vengono apposti segni distintivi identificanti l organizzazione stessa. Tuttavia, non sempre la suddivisione dei processi produttivi viene implementata da soggetti economici appartenenti ad un medesimo gruppo. Anche se generalmente le tecniche di produzione vengono imposte e sono controllate dall impresa madre la quale conferisce «l incarico» di produrre secondo standards qualitativi specificatamente pattuiti con l impresa «esecutrice», ciò non si ritiene sempre sufficiente a rendere il fenomeno della decentralizzazione del sistema produttivo come neutro rispetto alla qualità del 1 Si pensi, a mero titolo d esempio, alla marcatura CE obbligatoria in relazione a specifiche categorie di prodotti identificati da numerose Direttive comunitarie definite del c.d. «nuovo approccio» o programma di standardizzazione europea (materiale elettrico di bassa tensione, direttiva macchine - macchine mobili - apparecchi di sollevamento, direttiva compatibilità elettromagnetica, la direttiva per i sistemi in pressione, la direttiva per i dispositivi medici etc. Per un dettagliato elenco delle Direttive si veda il sito http://www.newapproach.org/directives/directivelist.asp. Quanto al settore alimentare, si cita la Direttiva 2000/13/CE relativa al riavvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di etichettatura, presentazione e pubblicità. 24

prodotto e quindi rispetto alla tutela della buona fede del consumatore 2. A maggior ragione il rispetto delle procedure o, più genericamente il controllo del rispetto di quelli che dianzi si sono definiti standards qualitativi, risulta essere più arduo quando la realizzazione del prodotto viene affidata ad imprese esterne 3. Le ragioni che sottendono alla scelta del decentramento sono più che intuitive: riduzione dei costi di produzione, agevolazioni fiscali. Le predette scelte organizzative hanno, però, delle dirette conseguenze in merito alla possibilità e soprattutto alle modalità con le quali l impresa madre ovvero l impresa appaltatrice che affida la produzione ad una o più imprese esterne, evidenzi sul prodotto o sulla sua confezione il proprio marchio, la ditta o ragione sociale, l indirizzo e magari la stampigliatura del made in. L impresa ha infatti la necessità di valorizzare le proprie scelte organizzative e di strategia industriale, preservando la propria immagine, la qualità del prodotto, il valore del proprio marchio e degli altri segni distintivi. Se nulla può imporre ad un impresa di non apporre il proprio marchio legittimamente acquisito al prodotto, l estetica dello stesso, unitamente ad altre indicazioni apposte sul prodotto o sulla sua confezione possono cagionare spiacevoli quanto costosi «inconvenienti». Il problema va, infatti, analizzato in un ottica più ampia, in particolare con riferimento al rapporto esistente tra tutti i «simboli» e tutte le informazioni che possono figurare su di un prodotto ovvero sulla sua confezione. Solo un analisi che si vuole definire «percettiva» delle informazioni veicolate dai suddetti elementi faciliterà l analisi normativa e permetterà di formulare indicazioni più precise volte a coniugare le esigenze d impresa di cui si è pocanzi detto e il certamente non chiaro tessuto normativo in materia. Prologo concettuale Ricapitoliamo i termini essenziali della questione che guideranno la nostra analisi: pochi prodotti vengono oggi realizzati in un solo Paese o da una sola impresa; la normativa internazionale in materia è allo stato scarsa. Sono le legislazioni nazionali a richiedere o meno l indicazione dell origine del prodotto; sussiste una diffusa «confusione terminologica». La diffusa confusione terminologica sussiste principalmente in relazione alla nozione di origine. La necessità di comprendere il significato che il termine origine assume nei vari contesti normativi nonché nella prassi si pone come essenziale al fine di delineare i reali contorni del problema dell indicazione della stampigliatura indicante il luogo di fabbricazione del prodotto: il c.d. made in. Mentre, infatti, nella prassi doganale la regola di origine (RdO) è costituita dall insieme di quei criteri in base ai quali viene determinata la «nazionalità» di una merce oggetto di una transazione commerciale e che come tale si distingue dal concetto di «provenienza» che invece è il luogo geografico in cui è iniziato il trasporto o la spedizione 4, nel linguaggio giurisprudenziale che si ricava, come si avrà modo di sottolineare in sede di analisi di casi concreti, dalle pronunce della Corte di Cassazione, il concetto di origine ha valenza puramente soggettiva, non materiale: indica cioè la provenienza del prodotto da un determinato imprenditore che ha la responsabilità giuridica, economica e tecnica del processo produttivo e che, in tal modo, assicura la qualità del bene 5. 2 Si avrà modo di evidenziare nel prosieguo della trattazione come la stessa Corte di Cassazione in recenti pronunce in sede di controllo di legittimità di provvedimenti di dissequestro di beni prima fermati alla dogana per assunta violazione dell art. 517 c.p., abbia sottolineato l impossibilità di considerare sempre irrilevante il luogo di fabbricazione del prodotto rispetto alla qualità dello stesso (Cass. Pen. 2648/06). 3 Lo schema contrattuale tipico è quello della subfornitura. 4 Spesso origine e provenienza non sono luoghi coincidenti. 5 Appare evidente l ulteriore bisticcio concettuale nel quale la stessa Suprema Corte incorre, come si avrà modo di rilevare più compiutamente nel corso del presente intervento, confondendo e a volte utilizzando come sinonimi il concetto di origine e quello di provenienza. «Il punto di partenza di questa deriva interpretativa va plausibilmente individuato nella mancata valorizzazione, in seno all art. 517 c.p. (Vendita di prodotti industriali con segni mendaci, n.d.r.) del richiamo autonomo all origine del prodotto, ipotesi che viene sovente ritenuta equivalente e confusa con il richiamo alla provenienza: nella corretta prospettiva di negare a quest ultima significato di provenienza da un luogo (essendo invece provenienza da un produttore), si nega indistintamente e scor- 25

A ciò si aggiunga l ulteriore complicazione per la quale la normativa internazionale e nazionale 6 - che costituirà oggetto di approfondita analisi - normativa che costituisce appunto il fondamento giuridico dell intervento delle autorità competenti ad effettuare i controlli relativi alla corretta apposizione della stampigliatura del made in, si riferisce a tale dicitura come ad un indicazione geografica o di provenienza ovvero come ad un «marchio d origine». Le indicazioni geografiche o di provenienza costituiscono specifiche categorie di diritti contemplati nell alveo dei diritti di proprietà industriale 7. A livello internazionale l art. 22 degli Accordi TRIPs 8 utilizza unicamente l espressione «indicazione geografica» 9 per designare denominazioni che identificano il prodotto in ragione dell origine territoriale, allorché a questa sia attribuibile «essenzialmente [...] una determinata qualità, la notorietà o altre caratteristiche». Il legislatore italiano, pur mantenendo la distinzione terminologica tra indicazioni geografiche e denominazioni di origine, ha trasfuso sostanzialmente il principio enunciato negli Accordi TRIPs nel disposto dell art. 29 del Codice della Proprietà Industriale 10. Prescindendo in tale sede da considerazioni in merito all opportunità e all utilità pratica della scelta normativa del legislatore nazionale 11, preme invece sottolineare la necessità di stabilire che cosa sia la stampigliatura made in. La normativa internazionale, come già rilevato, prende in considerazione anche il concetto di «marchio d origine» o «origin marking». La marcatura d origine consterebbe di quelle indicazioni o diciture che identificano l origine di un determinato prodotto da un determinato Stato. L art. IX del GATT 12 si riferisce appunto alla marcatura d origine senza peraltro definirla. La norma, infatti, risponde a finalità chiaramente dirette da un lato ad evitare che attraverso la marcatura d origine possano venirsi a creare fenomeni distorsivi dei regolari traffici commerciali, dall altro volte a sottolineare la necessità di tutela del consumatore contro indicazioni decettive. La stampigliatura made in ovvero quella equivalente product of vengono spesso definite come «marchi d origine». Si suole affermare la sostanziale differenza tra marchio d origine e indicazioni geografiche individuando detta differenza nel fatto che il marchio d origine non assicurerebbe in alcun modo la presenza di specifiche caratteristiche nei prodotti ma si limiterebbe ad indicare al consumatore che l organizzazione produttiva che ha realizzato il bene è ubicata in un determinato Paese. Sottolineare tale distinzione pare non rilevare se si persegue un intento di chiarificazione ed interpretazione della normativa, ponendosi, al contrario come ingenerante ulteriore confusione. È ben vero che la funzione di garanzia espletata dall indicazione geografica, quale diritto di proprietà industriale, non può essere assolta da una dicitura quale il made in che può essere utilizzata da chiunque, ma pare logico chiedersi, peraltro anche in relazione al tenore del citato art. IX GATT, quale interesse potrebbe avere il consumatore a conoscere l ubicazione dell orgarettamente ogni riferimento territoriale anche all origine)». Così Davide Sangiorgio «L ultima sul made in» Commento a Cass. Pen. sentenza del 23 settembre 2005, n. 34103, in «Il Diritto Industriale» IPSOA 3/2006. 6 Ci si riferisce, in particolare all Accordo di Madrid sulla repressione delle indicazioni di provenienza false o fallaci, al GATT, nonché alle disposizioni della legge n. 350/2003 (legge finanziaria per il 2004). 7 La Convenzione di Unione di Parigi (1883) è stata la prima convenzione internazionale plurilaterale che include le indicazioni di provenienza nell ambito della proprietà industriale. 8 Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights Including Trade in Counterfeit Goods stipulato a Marrakech il 15 aprile 1994. 9 Superando la distinzione tra denominazione di origine, indicazioni di provenienza e indicazioni geografiche, distinzione che in altre fonti normative sia internazionali che comunitarie permane. Si veda in merito il Regolamento CE 06/510 (che comunque non menziona le indicazioni di provenienza). 10 Art. 29 c.p.i «Sono protette le indicazioni geografiche e le denominazioni di origine che identificano un paese, una regione o una località, quando siano adottate per designare un prodotto che ne è originario e le cui qualità, reputazione o caratteristiche sono dovute esclusivamente o essenzialmente all ambiente geografico d origine comprensivo dei fattori naturali umani e di tradizione». 11 Eminente dottrina ritiene infatti che la distinzione tra denominazione di origine e indicazione di provenienza sia priva di effetti pratici. Così F. Sandri, «La nuova disciplina della proprietà industriale dopo i GATT - TRIPs» CEDAM, 1996, pag. 49. 12 General Agreement on Tarrifs and Trade. 26

nizzazione che ha realizzato il prodotto se non ai fini di valutare prevalentemente, magari anche impropriamente, l incidenza di tale fattore sulla qualità del prodotto 13. E ciò sembra particolarmente vero con riferimento al made in Italy, ma non pare escludibile in linea generale anche per altre «provenienze» 14. Si è accennato in sede di esordio del presente contributo che detta indicazione presenta dei punti di contatto con il marchio d impresa. Ben lungi dal voler sostenere un identità tra l entità giuridica marchio e la dicitura made in 15, non sembra fuori luogo, al fine di comprendere la sostanza del problema, affermare, con specifico e particolare riferimento al made in Italy, come detta stampigliatura partecipi di almeno una delle funzioni tipiche del marchio: quella di essere un «messaggero» 16. Si tratta infatti di un segno che comunica, veicola un messaggio. Appare difficilmente confutabile la circostanza per cui l apposizione della stampigliatura made in Italy sul prodotto o sulla sua confezione evochi nel consumatore specifiche caratteristiche e qualità del prodotto stesso derivanti, appunto, dalla sua italianità intesa come insieme di «fattori naturali, umani e di tradizione» che imprimono al bene determinate peculiarità. Si comprende, pertanto, come molte delle problematiche afferenti la tematica del made in Italy sorgano, oltre che, come emergerà dalla successiva disamina, da discontinuità normative comportanti difficoltà interpretative, proprio dalla consapevolezza che, in alcuni settori 17,la presenza di simile dicitura sul prodotto costituisce un utile strumento indiretto di promozione delle vendite. Ciò posto, chiariti i punti di convergenza tra il made in Italy eil marchio ed individuati gli stessi nella valenza comunicativa di cui sono portatori, non pare potersi dubitare che parlare di marchio con riferimento alla stampigliatura made in Italy sia certamente improprio. All interrogativo posto circa l identificazione della natura della dicitura che ci interessa si può, quindi, rispondere che, attualmente, il made in Italy viene tutelato come indicazione geografica o di provenienza, come stabilito dall art. 4, comma 49 della legge n. 350/2003 (legge finanziaria per il 2004). La normativa in essere Si focalizzerà ora l attenzione sulla normativa che, come anticipato, non si presta né a facile interpretazione né a facile applicazione, in quanto obbliga ad un analisi attenta al fine di coordinare le diverse fonti e disposizioni. Va preliminarmente sottolineato che allo stato della normativa nazionale e comunitaria attuale, salvo l obbligatorietà vigente in alcuni settori, e con le precisazioni che seguiranno in merito all Accordo di Madrid, non sussiste un generico obbligo d indicare la stampigliatura «made in» sui prodotti o sulle merci. A livello internazionale alcuni dei principali partner commerciali dell Italia e degli altri Paesi europei richiedono, invece, l indicazione obbligatoria del «made in 18». Pare utile fornire un elenco riassuntivo della legislazione implicata nell analisi che seguirà: in primo luogo si prospetteranno alcune considerazioni sulla normativa internazionale, cioè l Accordo di Madrid sulla repressione delle false o fallaci indicazioni di provenienza e sulla normativa nazionale di attuazione cioè il D.P.R. n. 656/1968. Verrà, quindi, commentato il tenore dell art. 4.49 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (come integrata dal D.L. 14 marzo 2005, n. 35 e dalla legge 27 dicembre 2006, n. 269 (legge finanziaria 2007). 13 È certamente vero che in alcuni casi l informazione veicolata dalla dicitura made in può incidere sulla scelta del consumatore anche per motivi diversi rispetto a quello della qualità del prodotto; si pensi ad esempio ad implicazioni di carattere sociale o politico. 14 La valenza della citata distinzione tra marchio d origine e indicazione geografica può quindi circoscriversi ad un ambito strettamente connesso, ma rispondente a finalità diverse quale quello della determinazione dell origine in senso doganale, pertanto a fini dell applicazione dei dazi. Ed è a tale ambito che si riferisce l art. IX GATT nella parte in cui vincola le parti contraenti a non adottare legislazioni in materia di marchi d origine che possano determinare, in sostanza, barriere protezionistiche. 15 La dicitura made in non può certamente comunicare al pubblico la presenza di un esclusiva sul segno a favore di un determinato imprenditore, funzione che invece è assolta dal marchio d impresa. 16 Si veda ampliamente sul concetto C. Galli «La protezione del marchio oltre il limite del pericolo di confusione». In Segni e Forme Distintive. La Nuova Disciplina, pag. 20 e ss. Giuffré, 2000. 17 Ovviamente in quei settori nei quali l italianità del prodotto è garanzia di superiorità qualitativa! 18 Si pensi a Cina e Stati Uniti. 27

Il Regolamento 2913/92 CE (Codice doganale comunitario) verrà analizzato al fine di sottolineare la fondamentale relazione, derivante chiaramente già dal tenore dell art. 4.49, tra l identificazione corretta dell origine del prodotto ai fini doganali e l apposizione al prodotto stesso o alla sua confezione di regolari diciture o stampigliature. Concluderanno l analisi del quadro normativo alcune precisazioni in merito alle disposizioni del D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del Consumo), con particolare riferimento all art. 6. L Accordo di Madrid è normativa risalente; venne firmato il 14 aprile 1891 e successivamente venne rivisto in numerose occasioni in tempi più recenti 19. L Italia ha ratificato l Accordo con legge 28 aprile 1976, n. 424. L Accordo vieta l apposizione sul prodotto di indicazioni false o fallaci circa la sua origine, disponendone l eventuale fermo doganale. Di particolare rilevanza, come si avrà modo di verificare in seguito, è la disposizione dell art. 3 dell Accordo, in virtù della quale il venditore ha facoltà d indicare sul prodotto il suo nome ed il suo indirizzo, ma se il prodotto è realizzato all estero deve essere aggiunta l indicazione del luogo di produzione. È stato sostenuto 20 che la norma de qua avrebbe in sostanza imposto al legislatore italiano di non consentire all operatore commerciale l importazione in Italia di prodotti contraddistinti con il proprio nome e indirizzo se non anche in presenza dell indicazione del luogo di origine degli stessi; ma che in realtà tale obbligo non sussiste in quanto il D.P.R. n. 656/1968, attuativo dell Accordo, non avrebbe espressamente recepito l art. 3. Non pare di poter aderire a tale conclusione in quanto detta posizione sembra non tenere in considerazione il fatto che l Accordo di Madrid è entrato a far parte dell ordinamento nazionale in virtù dell ordine di esecuzione trasfuso nella legge di ratifica, ordine che ha la funzione di «esprimere la volontà che il trattato sia eseguito ed applicato all interno dello Stato senza riformularne le norme» 21. La normativa di attuazione, che consta di soli due articoli, non si è ragionevolmente occupata della disposizione dell art. 3 in quanto norma squisitamente sostanziale e che, pertanto non richiede di essere attuata ma applicata. Ciò posto, esaminiamo ora la normativa nazionale. L art. 4, comma 49 legge 350/ 2003 22 stabilisce che costituisce reato punito ai sensi dell art. 517 c.p. l importazione, l esportazione, la commercializzazione, di prodotti recanti «false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine» e che integra una falsa indicazione l espressione made in Italy apposta su prodotti o merci non originari dall Italia ai sensi della normativa europea sull origine. La norma precisa, quindi, quando l indicazione di provenienza può definirsi fallace e precisa che detta fattispecie si realizza a causa dell uso «di segni o figure o quant altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana, incluso l uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli» 23. 19 La più recente revisione è avvenuta a Stoccolma nel 1967. 20 Così G. Sagliaschi e L. Noja «Tutela della provenienza geografica e aziendale: la svolta del made in Italy» in Commercio Internazionale n. 1/ 2005, IPSOA. 21 B. Conforti. «Diritto internazionale» Editoriale Scientifica, Napoli, pag. 310 e ss. 22 Si riporta il testo integrale della norma: «L importazione o l esportazione a fini di commercializzazione ovvero la commercializzazione o la commissione di atti diretti in modo non equivoco alla commercializzazione di prodotti recanti false o fallaci indicazioni di provenienza o di origine costituisce reato ed è punita ai sensi dell art. 517 del c.p. Costituisce falsa indicazione la stampigliatura made in Italy su prodotti e merci non originari dall Italia ai sensi della normativa europea sull origine. Costituisce fallace indicazione anche qualora sia indicata l origine e la provenienza estera delle merci l uso di segni o figure o quant altro possa indurre il consumatore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana, incluso l uso fallace o fuorviante di marchi aziendali ai sensi della disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli. Le fattispecie sono commesse sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio. La fallace indicazione può essere sanata sul piano amministrativo con l asportazione a cura e a spese del contravventore dei segni o delle figure o di quant altro induca a ritenere che si tratti di un prodotto di origine italiana. La falsa indicazione sull origine o sulla provenienza di prodotti o merci può essere sanata sul piano amministrativo attraverso l esatta indicazione dell origine o l asportazione della stampigliatura made in Italy». 23 Per «disciplina sulle pratiche commerciali ingannevoli» il legislatore ha inteso riferirsi alla Direttiva 2005/29/ CE relativa alle pratiche commerciali sleali. 28

Tre sono, quindi, le condotte censurabili, che si commettono, come precisa la norma «sin dalla presentazione dei prodotti o delle merci in dogana per l immissione in consumo o in libera pratica e sino alla vendita al dettaglio»: la falsa indicazione di provenienza; la fallace indicazione di provenienza; l uso fallace o fuorviante di marchi aziendali. Esaminiamole singolarmente. Quanto alla falsa indicazione di provenienza, fattispecie che si è detto verificarsi in caso di apposizione della dicitura made in Italy su merci di origine doganale non italiana, la norma assume carattere semplicemente specificativo rispetto alla previsione dell art. 517 c.p. 24, disposizione ai sensi della quale la fattispecie viene punita 25. La norma dell art. 4.49 infatti indica il parametro in base al quale un prodotto può considerarsi di origine italiana, parametro che viene individuato nella normativa europea in materia di origine cioè nel Regolamento CE n. 2913/92 (c.d Codice Doganale Comunitario) che detta negli artt. da 22 a 26 le «regole» in virtù delle quali si determina l origine doganale delle merci. Particolare rilievo ai fini della presente trattazione assume l art. 24 del Regolamento che si riferisce ai prodotti industriali alla cui fabbricazione hanno contribuito due o più Paesi, intendendo con tale locuzione riferirsi, ovviamente, al caso in cui il prodotto sia il risultato di una pluralità d interventi operati da imprese situate in Paesi diversi. L art. 24 stabilisce che in tale ipotesi la merce è «originaria del Paese in cui è avvenuta l ultima trasformazione o lavorazione sostanziale, economicamente giustificata ed effettuata in un impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo od abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione». Appare quindi evidente come la possibilità o meno di apporre la dicitura made in Italy su prodotti o confezioni dipenda essenzialmente dalla corretta individuazione dell origine in senso doganale della merce interessata alla stampigliatura. L analisi specifica delle regole che permettono la corretta determinazione dell origine a fini doganali di un determinato prodotto esorbita certamente dall economia della presente disamina. Basti qui sottolineare, appunto, l imprescindibile relazione esistente tra le due normative. Quanto alla seconda fattispecie individuata dall art. 4.49, la stessa si delinea allorché vengano utilizzati segni, figure o quant altro produca l effetto d ingannareilconsumatore,anche qualora sia stata indicata l origine e la provenienza estera dei prodotti o delle merci. Rilevante appare sottolineare un importante differenza rispetto al tenore dell art. 517 c.p. La disposizione dell articolo citato non si riferisce all induzione in inganno del consumatore ma fa riferimento alla più generica figura del compratore. Ovviamentetaledistinzioneindurrebbe a distinguere la configurabilità del reato di fallace indicazione solo con riferimento a beni destinati direttamente al consumatore e non ad un generico «compratore» 26. In considerazione di tale differenza terminologica si è sostenuto che «le disposizioni speciali di cui all art.4.49 deroghino ex art. 15 c.p. alla norma più generale dell art. 517 c.p., cosicché il reato di falsa indicazione (ed in particolare la stampigliatura made in Italy su prodotti o merci non originari dell Italia) sarebbe riferibile a tutti i prodotti industriali, mentre il reato di fallaci indicazioni riguarderebbe esclusivamente prodotti destinati al consumatore finale 27». Infine, in merito alla terza fattispecie prevista dalla norma, possono formularsi le stesse considerazioni quanto all individuazione del destinatario finale dei prodotti e, quindi, alla categoria di prodotti interessata. E ciò anche e soprattutto in relazione al richiamo alla normativa comuni- 24 Art. 517 - Vendita di prodotti industriali con segni mendaci Chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull origine, provenienza o qualità dell opera o del prodotto, è punito, se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge, con la reclusione fino a un anno o con la multa fino a E 20.000,00». 25 In giurisprudenza si veda Cass. Pen. 34103 del 23 settembre 2005. 26 Per un esame della relazione tra l art. 517 c.p. e la norma in commento si veda Cass. Pen 14 aprile 2005, n. 13712 in Il diritto industriale, 271, 2005. IPSOA. 27 Così G. Sena, «Il diritto dei marchi. Marchio nazionale e marchio comunitario» pag. 244, 2007, Giuffrè. 29

taria sulle pratiche commerciali ingannevoli 28. Rispetto alle due ultime ipotesi esaminate si pone tuttavia un problema di coordinamento sia con il disposto dell art. 3 dell Accordo di Madrid, che con il disposto dell art. 6 del Codice del Consumo 29, nonché tra le stesse due normative. Il citato art. 6 del Codice del Consumo prevede un contenuto minimo delle informazioni che devono esser presenti sui prodotti o sulle confezioni di prodotti destinati al consumatore. Tra le varie informazioni richieste e per quanto di rilevanza ai fini della presente analisi, spicca l indicazione del nome o ragione sociale o marchio e della sede legale del produttore o di un importatore stabilito nell Unione europea nonché del Paese di origine se situato fuori dell Unione europea. Rispetto a quest ultima indicazione, una circolare del Ministero delle attività produttive 30, oltre a stabilire il carattere generale della norma 31, ha sancito che la sua concreta operatività venga demandata ad apposito decreto ministeriale da emanarsi. L art. 7 del Codice medesimo precisa, inoltre, che l obbligo delle prescrizioni di cui all art. 6 sorge nel momento in cui il prodotto è posto in vendita e non nelle fasi precedenti di circolazione, quali ad esempio quelle di immissione in circolazione nell Unione europea 32. L art. 3 dell Accordo di Madrid, come già noto, prevede che il venditore possa indicare il suo nome o il suo indirizzo sui prodotti provenienti da un paese diverso da quello del luogo di vendita purché l indirizzo e il nome siano accompagnati «dall indicazione precisa e in caratteri chiari del paese o del luogo di fabbricazione o di produzione o di altra indicazione sufficiente per evitare ogni errore sulla vera origine delle merci». La disposizione non offre alcuno spunto per stabilire che detta indicazione debba sussistere solo quando la merce sia destinata ad un destinatario specifico, si tratti di generico compratore o di consumatore. Tuttavia nel tentativo di operare un coordinamento tra le due normative si è sostenuto che avendo la previsione dell Accordo carattere generale mentre l art. 6 Codice del Consumo avrebbe carattere speciale (riferimento al destinatario delle merci come consumatore e specificazione del paese d origine solo in riferimento alle merci di provenienza extraeuropea) si sarebbe verificata un abrogazione da parte della norma più recente della norma più risalente. Per cui «l obbligo della indicazione del paese di origine (eventualmente a fianco del nome e della sede del venditore)» riguarda «esclusivamente prodotti provenienti da paesi estranei all Unione Europea e prodotti destinati al consumatore finale 33». Volendo, invece, ritenere ancora totalmente in vigore la disposizione dell art. 3 dell Accordo di Madrid 34, il produttore che applichi il proprio marchio ovvero altri segni distintivi (nome, ragione sociale e sede) e che apponga tali segni sul prodotto o sulla sua confezione e che li presenti con tali indicazioni in dogana, dovrebbe obbligatoriamente indicare anche il made in. E ciò a prescindere dal fatto che il destinatario dei beni sia un consumatore o un compratore ovvero che il paese di origine sia o non sia extracomunitario. Ma, e qui s inserisce il difficile coordinamento con la disposizione dell art. 4.49, neppure tale adempimento, nel caso in cui la merce fosse destinata al consumatore, potrebbe evitare eventuali censure, appunto ai sensi della lettera dell art. 4.49, qualora venisse a prodursi un effetto ingannevole circa la provenienza. Si pensi, ad esempio, al caso in cui un imprenditore italiano stipuli un contratto di licenza di marchio con altro imprenditore italiano al quale affidi anche la produzione delle merci. Il licenziatario (importatore) appalta ad un impresa indiana la produzione (nulla nel contratto lo impedisce). Il contratto di licenza prevede ovviamente che sia apposta l indicazione del marchio del licenziante che comprende il termine Italy. Paradossalmente, ai 28 Direttiva 2005/29/CE reperibile sul sito www.europa.eu. 29 D.Lgs. 6 settembre 2005, n. 206. 30 Circolare 24 gennaio 2006, n. 1. 31 La quale riveste un ambito di applicazione generale e, quindi, regola i casi non disciplinati in modo specifico. Di conseguenza deve essere applicata a tutte quelle tipologie di prodotti per le quali non esistono apposite disposizioni comunitarie o nazionali. 32 Precisa altresì la circolare che «l assenza delle predette indicazioni nel processo distributivo anteriore alla messa in vendita del prodotto sul territorio nazionale non configura violazione della disposizione sul contenuto minimo delle informazioni stabilito di cui all art. 6 del codice». 33 Così G. Sena, op. cit., pag. 245. 34 Anche in considerazione della tesi sostenuta in relazione alla vigenza di ogni disposizione dell Accordo. 30

sensi dell art. 4.49 l indicazione di ogni elemento fattuale così come prospettato, ancorché in presenza della corretta indicazione di origine, potrebbe far scattare la censura qualora dall analisi complessiva delle indicazioni potesse ravvisarsi una potenzialità decettiva. Dovendo quindi fornire un interpretazione plausibile della disposizione concernente le fallaci dichiarazioni di provenienza può concludersi che la stessa sia diretta a reprimere situazioni quali l utilizzo di segni, come ad esempio la bandiera italiana, ovvero l uso di espressioni che possano evocare, in qualunque modo l italianità del prodotto 35 e che, ovviamente tale origine il prodotto non abbia. La posizione della giurisprudenza La casistica dimostra chiaramente come la principale preoccupazione del legislatore cioè quella di censurare l indicazione di qualsiasi elemento, indicazione, dicitura che complessivamente considerata potesse avere effetti decettivi, non si sia tradotta in un altrettanto efficace repressione a livello penale. E ciò emerge chiaramente dalle numerose sentenze della Suprema Corte di Cassazione rese in sede di legittimità cautelare. Nella maggior parte dei casi la Corte di Cassazione ha disposto l annullamento dei precedenti gradi di giudizio, di fatto depenalizzando condotte illecite. Si pensi in particolare al caso FRO nel quale la società Fro s.r.l. produceva i propri prodotti in Romania (elettrodi per saldatura). I prodotti venivano importati con la seguente stampigliatura sulla confezione FRO via Torricelli 15/a Verona «Italy». Non veniva indicata la provenienza rumena. L Agenzia delle Dogane di Padova operava il fermo ipotizzando il reato di cui all art. 517 e all art. 4.49 legge n. 350/2003. Ovvero al caso LEGEA: la società aveva fatto produrre i beni in Cina e li aveva successivamente importati in Italia apponendovi un etichetta recante la dicitura «Legea - Italy» o un cartellino con la scritta LEGEA con una striscia sottostante riportante i colori della bandiera italiana e un riquadro con la dicitura Italy. Come già sottolineato tale risultato è derivato da un erronea interpretazione del concetto di origine e provenienza. La Corte ha infatti sostenuto che «con l espressione origine e provenienza del prodotto il legislatore (ad eccezione delle ipotesi espressamente previste dalla legge) ha inteso fare riferimento alla provenienza del prodotto da un determinato imprenditore e non già da un determinato luogo 36». Come è stato evidenziato in dottrina, e in linea con le considerazioni svolte in tale sede, la «corretta applicazione dell art. 517 c.p. è pacificamente riferibile anche alle ingannevoli indicazioni relative all origine territoriale del prodotto, nei casi in cui essa assuma un rilievo ed un significato pregnante nella formazione della scelta dei consumatori 37». Quindi, se da un lato in sede giurisdizionale la valenza della disposizione dell art. 517 in relazione all art. 4.49 legge 350/2003, veniva posta nel nulla, l Autorità doganale ha comunque continuato e continua a procedere a sequestri e a denunce penali. La normativa in fieri: il Regolamento sulla marcatura obbligatoria UE Pare che i tempi per una definitiva chiarificazione in merito alla problematiche del made in siano ormai maturi, grazie all adozione, che sembra ormai prossima, di un Regolamento comunitario in materia di marcatura d origine. La Commissione europea aveva infatti nel dicembre 2005 presentato al Consiglio dell Unione Europea una proposta di Regolamento (Proposta di Regolamento del Consiglio relativo all indicazione del paese di origine di taluni prodotti importati da paesi terzi, 16.12.2005). In attesa della formale approvazione se ne delineeranno i principali caratteri: introduzione di un sistema di marcatura obbligatoria made in in lingua inglese per alcuni prodotti industriali illustrati negli allegati al Regolamento ed importati da Paesi terzi rispetto all UE 38 ; 35 Si pensi ad espressioni quali Italian style o Italian design. 36 Cass. Sez. III, 2 febbraio 2005, n. 3352, FRO, in Il diritto industriale, 2005, 271. IPSOA. Cass. Penale 17 febbraio 2005, n. 13712, Acanfora, in Guida al Diritto, 2005, n. 20, 73. 37 Così D. Sangiorgio, op. cit., aderendo alla posizione di A. Alessandri, Tutela penale dei segni distintivi in Dig. disc. Pen., Vol XIV, Torino, 2002, 463. 38 Art. 1 Proposta di Regolamento. «Goods that require marking are those listed in the Annex to this Regulation, and imported from third countries, except for goods originating in the Territory of the Euro- 31

per prodotto originario s intenderà, finalmente chiarificando ogni dubbio interpretatativo, un prodotto di origine non preferenziale ai sensi del Codice Doganale comunitario; la dicitura dovrà essere visibile ed indelebile e nettamente distinta da altre informazioni (al fine di non ingenerare confusione circa l origine del prodotto); saranno gli Stati membri a stabilire le sanzioni per la violazione delle norme relative all indicazione del Paese di origine. Le principali finalità che si propone la nuova normativa possono riassumersi come segue: eliminazione dello svantaggio commerciale che l UE soffre nei confronti delle sue principali controparti commerciali come il Canada, la Cina, il Giappone, gli USA; maggiore trasparenza nei confronti dei consumatori e quindi scelte di acquisto maggiormente informate. L assenza di una comune definizione di origine al fine della marcatura, e delle relative normative influisce sia sulla tutela dei consumatori che sul potenziale competitivo dell industria europea. Sembra, notizia che certamente può interessare l operatore, che l imposizione dell obbligo della marcatura d origine non genererà costi aggiuntivi in quanto la nuova normativa dovrebbe prevedere disposizioni volte a semplificare l apposizione della dicitura e non dovrebbe prevedere nuove procedure o nuova documentazione 39. Conclusioni L analisi condotta ha ulteriormente sottolineato 40 la difficoltà di orientarsi nelle fitte maglie di una legislazione la cui portata è tutt altro che intuitiva. Nell attesa del riordino generale della materia che presumibilmente verrà implementato in virtù dell adozione a livello comunitario della citata normativa, il presente intervento verrà licenziato offrendo alcuni suggerimenti di massima. L operatore dovrà considerare che: la stampigliatura «made in Italy» su di un prodotto può essere apposta quando il prodotto è stato interamente ottenuto in Italia ovvero quando ha subito in Italia una fase di lavorazione sostanziale 41 ed è, quindi, di origine italiana in senso doganale. Se viene apposta la dicitura made in Italy sul prodotto in assenza delle predette condizioni la condotta è penalmente rilevante; quanto ai prodotti importati 42, se viene indicata correttamente l origine estera, la fallace indicazione potrebbe riscontrarsi solo nel caso in cui vengano apposti sul prodotto segni, figure e quant altro possa oscurare fisicamente o simbolicamente l origine indicata, rendendola di fatto poco visibile o comunque non evidente ad un esame sommario del prodotto; ogni indicazione relativa alla ragione sociale dell azienda italiana presente su prodotti importati nonché l uso di segni o di altre diciture che possano indurre il consumatore o anche il compratore a ritenere che il prodotto o la merce sia di origine italiana vanno affiancate dall apposizione della stampigliatura made in (paese terzo di produzione della merce) o, salvo i casi in cui il made in è obbligatorio per legge, almeno dalla chiara indicazione importato da seguito dal nome e sede dell impresa; quanto ai prodotti esportati, la fallace indicazione dell origine si avrebbe in tutti i casi in cui l aspetto, le diciture o i simboli riportati sul prodotto inducano falsamente a ritenere che esso sia di origine italiana. Indicazioni quali bottled in Italy o packed in Italy non sono ritenute idonee a ricondurre un falso concetto di origine italiana. pean Communities, Bulgaria, Romania, Turkey, and the Contracting Parties of the EEA Agreement. Goods may be exempted from origin marking, when for technical or commercial reasons, it appears impossible to mark them». 39 Commissione Europea, Non Paper, Working Party on Trade Commission, 22 marzo 2006). Le analisi dei settori dell industria italiana coinvolta evidenziano l esistenza di costi trascurabili (Ministero del Commercio Internazionale, Italian intervention on the costs for operators in relation to the proposed Regulation on the origin marking, Working Party on Trade Questions, MD 28/06, 9 settembre 2006). 40 Ma si è certi di poter affermare che gli operatori e gli stessi interpreti ne abbiano già sperimentato la «pesantezza». 41 Ove per sostanziale deve farsi riferimento alle apposite indicazioni riportate a livello europeo nelle c.d. regole di lista dettate per specifici prodotti ovvero alle regole di lista stilate dalla UE nell ambito dei negoziati WTO. 42 Si riportano le linee di condotta tracciate nella circolare 20/D del 13 maggio 2005 dell Agenzia delle Dogane. 32