GORGIA DI LENTINI INTRODUZIONE A: INTORNO AL NON ENTE, O DELLA NATURA L opera di Gorgia non ci è pervenuta nella redazione originale. Abbiamo però due esposizioni posteriori: una di Sesto Empirico, una anonima con il titolo De Melisso, Xenophane et Gorgia (testo del III o IV sec. a.c.) Gorgia si propone di dimostrare che: 1) nulla è; 2) se anche fosse sarebbe inconoscibile; 3) se anche fosse conoscibile sarebbe incomunicabile. La dimostrazione è la seguente. 1. Nulla è, perché a) essere e non essere sono termini ambigui, anzi, interscambiabili. Infatti il principio base della filosofia di Parmenide può essere ridotto all assurdo. Per l eleate solo l essere può venire pensati, ma, d altra parte, il divieto di pensare il non-essere implica che sia necessario distinguerlo dall essere e dunque dirlo e pensarlo, anche se solo per escluderlo. Si tratta di una contraddizione che presenta alcune conseguenze decisive: le nozioni di essere e non-essere trapassano l una nell altra e il senso della loro opposizione svanisce. Perciò, conclude Gorgia, in nessun modo possiamo dire che le cose sono più di quanto non siano. B) in secondo luogo, l essere è stato descritto dai filosofi attribuendogli diverse determinazioni (uno/molteplice, generato/ingenerato ecc.). Siccome però, all essere non spetta alcuno di questi predicati, allora l essere non è. 2. Se anche qualcosa fosse sarebbe inconoscibile perché, se è vero, come dice Parmenide, che non è possibile pensare ciò che non è, allora non è più possibile discriminare il vero dal falso (bisognerebbe appunto, per poterlo fare, distinguere pensare il falso, ciò che non è). di coseguenza, qualsiasi rappresentazione della mente ha lo stesso valore, così come la conoscenza sensibile e quella intelligibile. 3. Se anche qualcosa fosse conoscibile, allora non lo si potrebbe comunicare, perché a) parole e cose sono eterogenee: non si può comunicare un esperienza (ciò che si è visto) mediante un sengno linguistico, che ha natura diversa dalla parola. Chi parla trasmette parole, non cose. B) in secondo luogo perché essendo gli uomini differenti tra loro, una parola non può avere lo stesso significato per più individui, suscitando rappresentazioni uguali. L esperienza è pertanto incomunicabile. I tre momenti fondamentali della filosofia di Parmenide vengono ripresi e rovesciati: 1) ontologico; 2. gnoseologico; 3. linguistico. Mentre essi nel pensiero di Parmenide si fondono, qui vengono disarticolati e sviluppati separatamente per arrivare a tesi opposte a quelle di Parmenide. Gorgia colpisce Parmenide, Melisso, Zenone e pensatori antieleatici mostrando come le loro tesi si annullino a vicenda. L essere e la verità sono riferimenti autocontraddittori. Il logos è disomogeneo rispetto alla realtà. La terza tesi, in particolare, mostra come la dialettica di Zenone diventi una tecnica della confutazione indifferente al valore di verità degli enunciati, mentre il linguaggio si autonomizza svincolandosi dalle cose. TESTO 1: DEL NON ENTE Afferma che nulla (ouden) esiste; se poi esiste, è inconoscibile; se, infine, anche esiste ed è conoscibile, tuttavia non può venir significato direttamente ad altri. [...] Se infatti il non essere (me einai, me on) è non esistere, il non ente non sarà per nulla meno dell ente. Infatti, il non ente è non ente, e l ente è ente, cosicché in nessun modo le esperienz sono più di quello che non siano. Se tuttavia, egli afferma, il non essere è, l ìessere, che di quello è l antitesi, non è. Se, infatti, il non essere è, conviene che l essere non sia. Di conseguenza, neppur così, afferma, potrebbe esistere nulla, se essere e non essere non costituiscono un identità. Ma anche se costituissere un identità, pur in questo caso nulla esisterebbe. Infatti il non ente non è e così l ente, dal momento che esso è identico al non ente. Questa, dunque, è la sua prima argomentazione. [...] Dopo questa argomentazione, egli dice: se l ente è, o è ingenerato o generato. E se è ingenerato 1, lo considera infinito in virtù delle proposizioni di Melisso; ma l infinito non potrebbe trovarsi un alcun luogo. Infatti, né sarebbe contenente di sé stesso, né contenuto in altro; in questo caso vi sarebbero due infiniti, il contenuto e il contenente; ma se non si trova in alcun luogo, è il nulla, secondo l argomentazione di Zenone riguardante lo spazio. Dunque, per queste ragioni non è ingenerato, e tuttavia neppure generato. Nulla, certamente, 1 Si parte dall ipotesi che l essere si ingenerato. Di conseguenza è infinito (nello spazio), perché apeiron significa sia l infinito temporale sia quello spaziale (già presente in Melisso). Ora: l infinito non può essere in alcun luogo, perché dovrebbe esservi contenuto, ma allora o sarebbe in sé stesso o in altro, con il che avremmo, ma questa è una conseguenza assurda, due infiniti. Se poi prendiamo in considerazione una affermazione di Zenone, secondo la quale «tutto quel che c è, è in qualche luogo», allora, l essere ingenerato, non essendo in qualche luogo, non può esistere.
potrebbe generarsi né dall ente né dal non-ente. Se infatti l ente si trasformasse, non più sarebbe nella sua natura ente, come appunto il non ente, se anche divenisse, non sarebbe più non ente. Né d altra parte dall ente potrebbe attuarsi il divenire. Se infatti il non ente non è, nulla potrebbe nascere dal nulla; se, invece, il non ente di per sé è, allora nulla potrebbe nascere neppure dal non ente, per quelle ragioni per cui nulla potrebbe nascere neppure dall ente. Se pertanto corrisponde a una necessità logica che, data l esistenza di qualche cosa, essa sia o ingenerata o generata, ma queste predicazioni non sono possibili, è impossibile che anche esiste qualcosa. Inoltre: se anche qualche cosa è, dice, o è uno o più; ma se non è né uno né più, allora nulla vi sarebbe. [Se, infatti, è uno, o è quantità discreta o quantità continua o grandezza o corporeità. Ma qualunque di queste predicazioni esso possieda, non è uno, ma se sua essenza è la quantità discreta, sarà esposto alla separazione; se la quantità è continua, sarà esposto alla divisione. E del pari, se è pensato come grandezza, non potrà non essere esposto alla separazione. Se, poi, è corpo, avrà una triplice dimensione, peoiché possiederà lunghezza, larghezza, altezza. Ma è assurdo affermare che l essere non sia nessuna di queste proprietà. Dunque l essere non è uno. Inoltre, non è neppure molteplice. Se, infatti, non è uno, non è neppure molteplice, giacché la molteplicità è unione di singole unità; perciò, una volta che è stato annullato l uno, viene contemporaneamente annullata la molteplicità.][integrazione dal testo di Sesto Empirico]. Neppure, alcunché, dice, potrebbe muoversi. Se infatti si muovesse non potrebbe più conservare la propria essenza, perciò l ente sarebbe non-ente, e il non-ente sarebbe generato. Inoltre, l ente, se si muove e, in quanto uno, si muove per traslazione, viene a trovarsi diviso, poiché non conserva la coesione, né si trova in questo suo luogo; di conseguenza, se in ogni sua parte si muove, in ogni sua parte viene a trovarsi diviso. Se si verifica questo caso, l ente non si trova in ogni sua parte. Infatti, esso dice, si trova in difetto dell ente, là dove viene a trovarsi diviso, e usa il termine trovarsi diviso in luogo di quello di vuoto, come sta scritto nei testi di Leucippo 2. 2 Gorgia distingue due tipi di moto: quello per alterazione (mutamento in generale, che va escluso perché implicherebbe una mutazione dell ente, facendone un non-ente) e quello per traslazione (mutamento di luogo). Anche il secondo è Orbene, se è nulla, egli afferma che le dimostrazioni ingannano. Bisogna infatti che tutti i contenuti del pensiero esistano, e che il non ente, se non è, non debba neppure venir pensato. Ammessa questa proposizione, non vi potrebbe essere il falso, neppure se, egli sostiene, si affermasse che cocchi corrono a gara sulla superficie del mare; infatti tutte le rappresentazioni possiederebbero eguale valore. Secondo questa supposizione gli oggetti del vedere e dell udire per questo esistono, in quanto ciascuno di essi viene pensato. Ma se questa argomentazione non è probante, allora così come non hanno una sicura esistenza gli oggetti del nostro vedere, così non l avranno le nostre rappresentazioni intellettuali. E come, nel primo caso, molti potrebbero vedere i medesimi oggetti, così, in questo caso, molti potrebbero rappresentarsi i medesimi oggetti... Ma quali esperienze siano vere non è chiaro. Quindi, anche se esistono, le nostre esperienze non ci sarebbero conoscibili 3. inammissibile, in quanto differenzierebbe l essere in sé stesso: ogni spostamento comporta infatti una differenziazione di ciò che si muove da ciò rispetto a cui si muove, per cui una parte dell essere non sarebbe più là dove era. E dunque l essere, muovendosi, sarebbe divorato dal non essere in ogni sua parte. Per Leucippo e gli atomisti il vuoto è l elemento di non essere necessario affinché gli atomi (l essere molteplice) si possano muovere. Per Gorgia il vuoto è un nulla che si genererebbe, in caso ammettessimo il movimento, proprio dentro l essere, finendo per vanificarlo. Perché parlare di questo argomento? Probabilmente Gorgia lo faceva precedere da una confutazione della quiete, per cui ci troveremmo di fronte a un altro dilemma (o sillogismo disgiuntivo in forma modus tollens): l essere, se è, o è in quiete o è in movimento, ma non è in quiete e non è in movimento, quindi non è. 3 Dimostrazione della seconda tesi A) Se vale l identificazione parmenidea tra pensiero ed essere, allora tutti i contenuti di pensiero sono equivalenti, poiché tutti sono: non è possibile pensare ciò che non è. tutto è ugualmente vero dunque l errore è impossibile, ma ciò equivale a dire che la verità è impossibile, perché essa si costituisce in antitesi all errore. Dapprima Gorgia intende con pensiero sia le esperienze intellettuali, sia quelle sensibili, che possono essere ridotte a rappresentazioni mentali. Anzi, gli oggetti dei sensi esistono in quanto sono pensabili. B) D altro lato, se si suppone, come fa parmenide, che senso e intelletto sono due cose diverse, anche così la conoscenza risulta impossibile, perché nulla ci
E, ammessa anche la loro conoscibilità, come mai uno potrebbe darne diretta conoscenza a un altro? Quello che uno vede, come mai dice, potrebbe esprimerlo con la parola? O come mai questo potrebbe divenire manifesto a chi lo ascolta, senza averlo veduto? Infatti, come neppure la vista non conosce i suoni, così neppure l udito ode i colori, bensì i suoni; e certo dice chi dice, ma non dice né un colore né un esperienza. Quello, dunque, che uno non concepisce, come mai potrà concepirlo in seguito all intervento di un altro per mezzo della parola di costui o per mezzo di un segno generale diverso dall esperienza, anziché, nel caso di un colore, per averlo visto, nel caso di un rumore per averlo udito? Infatti chi parla non dice assolutamente né un rumore né un colore, bensì una parola. Di conseguenza, non è possibile neppure raffigurare col pensiero un colore, ma solo vederlo, né un suono, ma solo udirlo. E anche se è possibile conoscere e dire tutto quello che si conosce, in quale modo chi ode potrà rappresentarsi concettualmente il medesimo oggetto? Infatti non sarebbe possibile che la medesima realtà pensata si trovi contemporaneamente in più soggetti separati tra di loro: l uno, infatti, sarebbe due. E anche ammesso, dice, che la medesima realtà pensata si trovi in più soggetti, nulla impedisce che non appaia loro simile, poiché essi non sono sotto ogni aspetto simili, né si trovano in un identica condizione: se, infatti, si trovassero in un identica condizione, sarebbero uno e non due. D altra parte neppure il medesimo soggetto evidentemente esperimenta percezioni simili nel medesimo tempo, ma quelle dell udito diverse da quelle della vista, e in modo differente ora e in passato. Di conseguenza, difficilmente uno potrebbe avere percezioni identiche a quelle di un altro. E così nulla esiste, e se anche esistesse non sarebbe per nulla conoscibile, e se anche fosse conoscibile, nessuno potrebbe darne diretta conoscenza a un altro, per il fatto che le autorizza a dire che gli oggetti del pensiero sono più reali di quelli sensibili. È vero, afferma Gorgia, che spesso i contenuti dell esperienza sensibile o intellettuale sono condivisi da una collettività, ma ciò non basta a garantirne la verità Per concludere: se le percezioni sensibili si riducono a quelle intelligibili, non possono fornire un criterio di controllo rispetto a esse, e se invece ne differiscono, non possono essere controllate con quelle, perché anche le rappresentazioni intellettuali sono incerte. esperienze non sono parole, e che nessuno riesce a farsi una rappresentazione concettuale identica a quella di un altro. (Anonimo, De Melisso, Xenophane et Gorgia, tr.it. di Mario Untersteiner, in Sofisti. Testimonianze e frammenti, Firenze 1967, vol II). TESTO 2: ENCOMIO DI ELENA [È nostro compito] confutare coloro che biasimano Elena, donna sulla quale unisona e unanime è la voce dei poeti, e la affidabilità del loro pubblico, e la risonanza del nome, che è divenuta simbolo di sventura. Io dunque mi propongo, di trovare argomenti per liberare dall'accusa questa donna malfamata, dimostrare che chi la biasima mente, mostrare la verità e frenare l'ignoranza. [...] Incomincerò esponendo le ragioni per cui era naturale che Elena partisse per Troia. Certo o per volere della sorte o per decisione divina e per decreto della necessità fece quello che ha fatto, oppure trascinata con la forza, o persuasa con la parola, o presa da amore. Se dunque avvenne per la prima ragione, è giusto che sia accusato chi è colpevole, perché è impossibile ostacolare il volere divino con la previdenza umana. Secondo natura non è il più forte a essere impedito dal più debole, bensì il più debole a essere comandato e spinto dal più forte: il più forte guida, il più debole segue. Dio è più potente dell'uomo per forza, per potenza, per ogni altra cosa. Se dunque sulla sorte e sul dio deve essere rigettata l'accusa, si deve liberare Elena dalla cattiva fama. E se fu rapita con la forza, violentata contro ogni legge e ingiustamente offesa, è chiaro che ha commesso ingiustizia chi l'ha rapita, perché l'ha oltraggiata, mentre lei, che fu rapita, fu sventurata e oltraggiata. È giusto perciò che il barbaro che intraprese un'azione barbara secondo la parola, secondo la legge, secondo l'azione, abbia secondo la legge privazione dei diritti pubblici, secondo la parola un'accusa, secondo l'azione una punizione. Ma lei, oltraggiata e privata della patria, spogliata dei suoi cari, non dovrebbe a ragione essere compianta piuttosto che calunniata? L'uno infatti commise ingiustizia, l'altra la subì: è giusto quindi compiangere l'una e odiare l'altro. Ma se invece fu la parola a persuaderla e a ingannarle la mente, neppure sotto questo rispetto è difficile scusarla e scioglierla dall'accusa nel modo seguente. La parola è una potente signora, che pur dotata di un corpo piccolissimo e invisibile compie le opere più divine: può far
cessare il timore, togliere il dolore, produrre la gioia e accrescere la compassione. Ma occorre mostrare quanto dico e convincere chi ascolta. Considero la poesia nel suo complesso e la definisco come un discorso in metro. Chi la ascolta è invaso da un brivido di terrore e da compassione piena di lacrime e da un rimpianto che evoca il dolore, mentre l'anima, sotto l'efficacia della parola, di fronte a vicende o a persone a lei estranee, fortunate o sventurate, subisce una sua particolare affezione. Consideriamo poi il fascino divino che avviene per mezzo della parola è generatore di piacere e liberatore dal dolore. La forza dell'incantesimo, accompagnandosi all'opinione dell'anima, la seduce e la persuade e la trasforma per mezzo del suo incanto. Duplice è l'arte dell'incanto e della magia: l'errore proprio dell'anima e l'inganno dell'opinione. Quanti persuadono e persuasero infinite persone su infiniti argomenti, inventando un menzognero discorso! Se su ogni cosa ognuno avesse il ricordo del passato, la conoscenza del presente, la previsione del futuro, il discorso, pur essendo uguale, non ingannerebbe così. Ora invece non è facile né ricordare il passato, né considerare il presente né indovinare il futuro. Cosicché nella maggior parte dei casi i più offrono all'anima l'opinione come consigliera. E l'opinione, che è fallace e malsicura, circonda coloro che la usano di incerta e malsicura felicità. Quale ragione ci impedisce di credere che anche a Elena giungessero tali parole, mentre lei forse non era disposta a udirle, come se fosse rapita dalla violenza? Possiamo infatti vedere quale forza abbia la persuasione, che senza avere l'aspetto della costrizione, ne ha la potenza. E la parola che persuase l'anima la costrinse a prestar fede a quanto le veniva detto e ad approvare quanto era fatto. Dunque chi persuase ha commesso ingiustizia in quanto ha costretto, mentre l'anima persuasa, in quanto è costretta, ha ingiustamente una cattiva fama. Quanto al fatto che la persuasione, aggiunta alla parola, pone anche nell'anima un'impronta nel modo che vuole, bisogna considerare innanzitutto i discorsi dei fisici, che, distruggendo e formulando un'opinione al posto di un'altra, fanno sì che tutto quanto è incredibile e oscuro appaia manifesto agli occhi dell'opinione. Poi bisogna osservare i discorsi coercitivi degli agoni oratorii, in cui un discorso diletta una gran folla e la persuade se è scritto con arte, e non se è detto secondo verità; infine le dispute dei discorsi dei filosofi, in cui si mostra come facilmente la rapidità del pensiero possa mutare la fiducia della nostra opinione. La forza della parola si rapporta all anima come il farmaco al corpo. Poiché, come alcune medicine eliminano dal corpo alcuni umori ed altre altri, e le une pongono fine alla malattia le altre alla vita, così anche dei discorsi alcuni addolorano, altri rallegrano, alcuni spaventano, altri incoraggiano gli uditori, altri ancora, esercitando una malvagia persuasione, avvelenano e ammaliano l'anima. Ho così dimostrato che, se obbedì alla parola, Elena non commise ingiustizia, ma fu sfortunata. In quarto luogo esaminerò la quarta accusa. Se fu amore, a commettere tutto questo, non sarà difficile, per Elena, sfuggire all'accusa di essere colpevole. Tutto ciò che vediamo non ha quella natura che noi vogliamo, ma quella che ciascuna cosa ha: attraverso la vista, peraltro, l'anima si modella anche nel carattere. Subito, quando persone nemiche si armino contro i nemici di una armatura guerriera di bronzo e ferro...se la vista li osserva, ne è sconvolta e sconvolge l'anima, cosicché spesso, come se ci fosse pericolo del futuro, fuggono spaventati. Infatti, la consuetudine della legge, per quanto forte, è scacciata dal timore proveniente dalla vista: essa, presentandosi, fa sì che non ci curiamo del bello che risulta dalla legge e del bene che nasce dalla vittoria. E alcuni, vedendo cose spaventose, perdono anche il senno che hanno in quel momento: a tal punto la paura spegne e scaccia l'intelligenza. Molti si ammalano gravemente, provano affanno e divengono folli senza rimedio: a tal punto la vista imprime nella mente le immagini di tutto ciò che è visto. Tralascio molte altre cose spaventose, ma ciò che tralascio è simile a quello che ho già detto. D'altra parte anche i pittori, quando ritraendo da molte cose e molti corpi ritraggono perfettamente un corpo e una figura, dilettano la vista. La creazione di immagini umane e la costruzione di statue di dèi offre agli occhi una dolce visione. Così per natura alcuni spettacoli addolorano la vista, altri l'appassionano. Molti spettacoli in molti generano amore e passione di molte cose e molti corpi. Se dunque lo sguardo di Elena, rallegrato dal corpo di Alessandro, ispirò all'anima ardore e desiderio di amore, che c'è di strano? E se Eros è un dio e ha degli dèi la divina potenza, come avrebbe potuto un essere più debole respingerlo e difendersi? E se è malattia umana e ignoranza dell'anima, non deve essere biasimata come errore, ma compianta come sventura. Venne dunque, come venne, per gli inganni della sorte e
non per volere della mente, per necessità d'amore e non per i mezzi dell'astuzia. Dunque, come si può considerare giusto il biasimo di Elena, che, se ha compiuto quel che ha compiuto o per amore o persuasa dalla parola, o strappata con la violenza, o costretta da necessità divina, in ogni caso sfugge all'accusa? Così, coi miei argomenti, ho liberato una donna dalla diffamazione, come mi ero proposto all inizio di questa difesa. Il biasimo si è mostrato ingiusto, l opinione, ignoranza. Questo elogio di Elena è stato per me un passatempo. Note sulla difesa di Elena (tratte da: Il testo filosofico, p. 199) È utile distinguere tre livelli di lettura: a) il fine esplicito dell'orazione è: dimostrare l'innocenza di Elena, moglie di Menelao, la cui partenza per Troia al seguito di Paride aveva scatenato la famosa guerra. Nucleo centrale dell'argomentazione di Gorgia è l'irresponsabilità etica dell'uomo di fronte a forze che lo sovrastano e che annullano la sua stessa volontà. Elena può aver agito per decreto della sorte o degli dèi, oppure perché sottomessa dalla violenza fisica, o perché persuasa dalle parole di Paride o, infine, perché vinta dalla passione amorosa: in ogni caso ella ha subito il dominio di una Necessità che ha molteplici voli, ma che l'uomo, a causa della sua debolezza (che per Gorgia è essenzialmente incapacità conoscitiva, mancanza di controllo mentale sul fluire degli eventi) non può contrastare. In questa prospettiva [...] il comportamento di Elena va considerato come una sventura, tutt'al più come un errore, ma non come una colpa. b) La vicenda di Elena è poi pretesto per una riflessione sul potere del logos (discorso, parola), che Gorgia introduce come la terza delle quattro ipotetiche cause del suo tradimento. Dopo aver escluso (nel trattato sul non ente) che il linguaggio potesse trasmettere la verità, Gorgia presenta ora una descrizione in positivo dei poteri della parola, imperniata sul concetto di persuasione. Dal testo emerge che la persuasione non è tanto il frutto di un'intenzione del retore, quanto un effetto del linguaggio, delle sue strutture, dei suoi movimenti. [Gorgia considera la parola come un centro di forze] le quali agiscono nei diversi ambiti dell'esistenza umana. [...] Si può dire che Gorgia considera il logos da quattro punti di vista: a. Nella sua capacità di plasmare l'anima producendo in essa piacere e dolore; b. Nella sua funzione estetica, cioè come parola poetica e in particolare come poesia tragica; c. Nella sua funzione propriamente persuasiva, ossia come discorso che strappa il consenso e determina l'azione; d. Nella sua portata gnoseologica, ossia nella sua relazione con la verità e con l'opinione. [...] c) Si osservi infine la struttura argomentativa dell'opera che riprende, benché in modo meno rigoroso, il procedimento di dimostrazione indiretta. [...] Si incomincia prendendo in considerazione la tesi contraria a quella da dimostrare (si considera cioè la colpevolezza di Elena, che è opinione consolidata e trasmessa dai poeti); si costruiscono poi ipotesi, fra loro alternative, che coprano tutto l'ambito dei possibili moventi dell'azione di Elena; infine si mostra che, sviluppate le conseguenze di ciascuna ipotesi, la colpevolezza di Elena è confutata e, di conseguenza, ne ê dimostrata l'innocenza.